|
|
Attualità
Psicologia
Storia
Giornalismo
|
|
Ciccio Cappuccio e l'Imbrecciata
Tutta la zona che, attualmente va
da Porta Capuana a via Martiri d'Otranto, sita nel
quartiere dell'Arenaccia, verso la metà dell'800 era
chiamata ""Imbrecciata"", a causa dei ciottoli con
la quale era stata lastricata, la così detta
""breccia"". In questa strada, ripida e malfamata la
facevano da padroni prostitute e camorristi. Il
delitto era il pane quotidiano degli abitanti di
quel quartiere; rapine, accoltellamenti, uccisioni e
la prostituzione erano più che frequenti. Insomma,
anziché una casa chiusa, era un rione chiuso. Il
tutto cominciò all'incirca nel tredicesimo secolo.
Nel tredicesimo secolo, Ferrante Ferdinando duca di
Calabria (poi Re) perse al gioco con Fabio Incarnato
700 ducati ma, non potendo pagare, gli cedette 50
moggi di terreno. Questi fece costruire delle case e
dei giardini. Morto Fabio gli eredi fittarono il
terreno a diversi coloni. La zona era davvero
bellissima, tanto che i napoletani vi correvano
numerosi data, anche, l'amenità del sito.
Lentamente, però, questo luogo divenne un
famosissimo lupanare ed acquistò il nome di
quartiere degli incarnati. Verso il 1692 questo
quartiere venne a ripulirsi ed infatti ""il laido
lupanare era, per la Dio grazia quasi estinto,
vedendosi abitato da gente onorata e curiale"".
Difatti le donne ospitate in questi postriboli si
trasferirono al vico Gelso a Toledo, poi a San
Matteo sopra i quartieri ed infine, nel 1851, furono
relegate in un solo vico che fu circondato da mura
di cinta. Era, infatti, di quell'anno l'editto col
quale tutte le case di Tolleranza venivano dislocate
in via Santa Maria della Fede nel quartiere
dell'Imbrecciata, a ridosso dell'ospedale di San
Francesco. La zona era anche detta ""del cavalcatoio"",
in quanto vi si addestravano i cavalli. L'unica via
d'uscita era proprio via Santa Maria della Fede che,
però, era chiusa da un gran cancello in ferro e
costantemente vigilata dalla polizia. Addentrarvisi
era quanto mai rischioso, in particolare dopo il
1851. Da notare che, nel 1862 a Napoli c'erano 78
postriboli, di cui 26 all'imbrecciata mentre, nel
1863 si contavano 383 prostitute solo al''imbrecciata.
Nel 1756, in Via Santa Maria della Fede, agiva
Leopoldo Cappuccio detto 'o mandriano, che imperava
quale Deus ex machina. Ogni attività lecita o non,
era fatta oggetto delle sue attenzioni, tutto ciò
che si guadagnava doveva essere spartito con don
Leopoldo. In cambio di questa ""tassa"", 'o
mandriano, assicurava tranquillità e protezione e
qualunque inosservanza era puntualmente punita.
Molto spesso, la punizione comminata, era un'urinata
nel cappello del trasgressore. Nel 1784, don
Leopoldo, venne trucidato dal nipote Antonio che ne
prese il posto. Questi restò in carica per quasi
venti anni. Dato che Antonio non aveva figli, gli
successe nel 1804 il nipote, primogenito del
fratello Francesco, detto Ciccillo tagliatella,
contronome affibbiatogli a causa di tre sfregi sulla
guancia. Dopo un anno Ciccillo fu condannato
all'ergastolo per omicidio e il suo posto fu preso
dal fratello Ferdinando. Nel 1817 ""salì al trono""
il figlio Totonno, di salute cagionevole e, difatti,
di li a breve fu sostituito dal Fratello Gabriele,
detto ""'a signurina"". Dopo un piccolo interregno
fu la volta di Salvatore e poi, nel 1853, del figlio
di questi: Ciccio. Costui rimase ""in carica"" fino
al 1869, anno in cui divenne capintesta della Bella
Società Riformata e passò il titolo di capo paranza
dell'imbrecciata a suo figlio Antonio. Quella di
Antonio, però, fu una debacle lenta ed inesorabile.
Il governo italiano, nel 1876, emanò un
provvedimento che permetteva l'esercizio della
prostituzione anche in altre zone della città. Via
Santa Maria della Fede si spopolò e, Antonio, nel
dicembre del 1880 lasciò liberi da ogni obbligo quei
pochi che erano rimasti e si ritirò a vita privata.
Ciccio Cappuccio esordì a soli diciassette anni,
quando malmenò tre aversani che, dopo aver mangiato
all'osteria del padre, non volevano pagare il conto.
Qualche anno dopo si buscò sette anni di domicilio
coatto, per lesioni e resistenza a pubblico
ufficiale. Accadde che, Ciccio, si era recato per
delle commissioni al Lanificio Sava. Indispettito
dall'attesa, a cui fu costretto dal proprietario del
lanificio, lo ferì con una coltellata in pieno viso.
Durante la reggenza all'Imbrecciata, Cappuccio si
rese protagonista di grandi bravate la più eclatante
accadde nel 1855. Le autorità borboniche, onde porre
riparo alle sconcezze perpetrate in quel luogo, vi
fecero erigere un muro di cinta ed un unico
cancello, costantemente sorvegliato dalla polizia.
Questo stato di cose non fu mai accettato, infatti,
già dal 1829 si lamentava l'esigenza di abbattere
quel muro, lo si desume da una lettera anonima, che
venne recapitata all'Eletto della Vicaria proprio in
quell'anno e nella quale si leggeva
""Se le povere figlie di mamma non hanno parenti per
farsi fare giustizia, vi siamo noi che abbiamo tanto
di cuore e sempre pronti a versare sangue per esse e
scannare quelli che contribuiranno a fare il muro al
vico S. Francesco""
Ecco che, con l'avvento del Cappuccio, i ""degni""
abitanti di quel luogo si rivolsero al masto, certi
che avrebbe risolto l'annoso problema.
Ciccio prese tempo, aspettava l'occasione giusta,
occasione che venne nel giugno del 1860. Forte dei
disordini scoppiati in città, Cappuccio fece
indossare a tutte le prostitute la camicia rossa dei
garibaldini e, alla loro testa, sfondò il muro e
tentò di liberare i prigionieri del carcere di San
Francesco. Il giorno seguente il muro fu riparato.
Tra il 27 e 28 agosto, aiutato anche da camorristi,
Cappuccio e le sue donne riaprirono la breccia che
rimase così fino al 18 novembre quando il duca di
Belgioioso convocò il Cappuccio e gli intimò non
solo di permettere agli operai di chiudere il buco,
ma anche che quest'atto non si verificasse mai più,
pena il domicilio coatto. Ciccio comprese il tono
deciso e perentorio del duca e si attenne alle sue
disposizioni, minacciando ritorsioni contro coloro
che non avessero rispettato la sua volontà. Ciccio
subentrò a Tore 'e Criscenzo, sia pure dopo un breve
interregno di tale Vincenzo 'o bellu guaglione e
Pasquale Caiazzo. Cappuccio si trasferì al quartiere
Montecalvario dove, nel 1869 apri una rivendita di
crusca. Ciccio era convinto che le attività
camorristiche andavano mascherate dietro commerci
legali e, negli anni in cui fu mammasantissima,
costrinse molti dei suoi accoliti ad imitarlo.
Avendo lasciato la moglie all'imbrecciata, Cappuccio
era alla ricerca di un'altra compagna e la trovò
nella moglie di ""Tore 'o Schiavuttiello"", un
ladruncolo di porta Capuana che, suo malgrado,
dovette fare buon viso a cattivo gioco. Sono
tantissimi gli episodi che si raccontano su Ciccio,
molti documentati ed altri presunti. Cappuccio al
suo carattere deciso e intransigente, alternava
anche momenti di bontà, intervenendo in difesa di
poveri e derelitti, in aiuto di poveri studenti, di
ragazze disonorate, ma anche in favore di ricchi
derubati ai quali, prontamente, faceva restituire il
maltolto. Più volte incarcerato, Ciccio non rimase
mai in carcere a lungo e ciò accrebbe a dismisura la
potenza della sua figura, fino ad essere considerato
immortale perché scampato ad un attentato (in
effetti Cappuccio girava con una specie di corpetto
in ferro costruitogli da un armiere). Don Ciccio
morì il 5 dicembre 1892 per un attacco di cuore
mentre era a tavola.
|
|
|