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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi narrativi inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
L'ultima regina
d'Inghilterra di Massimo Acciai Baggiani,
Il riposo di Rossana
D'Angelo,
Verso l'Australia di
Gennaro Tedesco
Poesia in italiano
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, purché rispettino
i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai
Baggiani, Andrea
Cantucci
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, purché rispettino
i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Valentin Ioan
Remus Niculescu,
Aurelian Sorin Dumitrescu
Recensioni
In questo numero
segnaliamo:
- "La lingvovendejo", di Massimo Acciai,
recensione di Davide Zingone
(esperanto/italiano)
- "Laura e il treno per Elintur", di Antonio
Messina
Articoli
Intervista
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Replica
Gennaro Tedesco
Noi non pretendiamo di "asserire
qualcosa a maggior diritto di un altro."Esprimiamo
soltanto un nostro parere,che,in quanto nostro,è
diverso da quello degli altri,ma non asserente
"qualcosa a maggior diritto di un altro".La nostra è
una delle tante possibili e "verosimili" opinioni.
Anche ammettendo che "il poeta parla di ciò che è
nel mondo per la sua esperienza",egli lo fa
attraverso il mezzo espressivo linguistico,che non è
la realtà,ma una convenzione.E ciò vuol dire,proprio
perché il poeta parla della"sua esperienza",che tale
sua "esperienza" non è più sua perché ora ce la
comunica attraverso il linguaggio,e,se mai lo è
stata prima di comunicarla,l'unico modo per
comunicarla è solo il linguaggio in quanto
convenzione che ci accomuna.
E non è vero che affermiamo che"esistenza cosciente
a se stessa possa essere letta come una affermazione
metafisica",perché il metafisico è colui che afferma
o nega qualcosa sulla realtà,ma il poeta come il
mistico,anche se con le dovute differenze,non sono
metafisici,non operano sulla realtà,ma sul
linguaggio,o meglio,"alle frontiere del linguaggio".Il
poeta e il mistico urtano contro il linguaggio,lo
distorcono,gli danno un "loro senso",che poi
ovviamente non è un senso o per lo meno non è il
senso della convenzione linguistica usuale,ma
agiscono sempre sul linguaggio,mai sulla realtà.
D'accordo,"il nome rimanda all'oggetto",ma siamo noi
che diamo convenzionalmente i nomi agli oggetti e
non gli oggetti ai nomi! Certo che "ci accorgiamo
che sta piovendo",ma che la pioggia fosse "reale" e
che la pioggia fosse "
pioggia" ce ne siamo accorti solo quando siamo
entrati in possesso del mezzo linguistico,prima la
pioggia non era altro che…non si potrebbe dire che
cosa. Solo dopo la prima riflessione umana
attraverso il linguaggio abbiamo appreso della
"pioggia". Ora noi distinguiamo due possibilità
all'interno del linguaggio: la prima riguarda la
prova dimostrativa così detta "scientifica",che ha
come oggetto la sperimentazione che dovrebbe
verificare o falsificare l'ipotesi. La verificazione
e la falsificazione dello scienziato è sempre una
selezione dei dati,cioè una scelta personale,che
avviene attraverso il linguaggio,che, pur vago,non è
zoppicante,ma,anzi,proprio grazie alla sua vaghezza
consente il calcolo delle probabilità,che forse
nella scienza è meno soggettivo,ma mai meno
oggettivo,che in altri campi.
Certo che "nostro padre capitale è sempre troppo
paranoicamente presente",ma siamo noi,che,che
attraverso delle riflessioni anch'esse
linguistiche,vediamo l'"esistenza del capitale".Ma
l'"esistenza del capitale" non è "oggettiva" se non
nella misura in cui siamo capaci di addurre prove
non assolute,ma probabilistiche,di una probabilità
senz'altro inferiore rispetto a quella della
scienza,non fosse altro perché siamo in pieno regno
dell'opinabile,dell'estremamente soggettivo.Proprio
perché non esiste l'obbiettività,e tanto meno quella
del capitale,dobbiamo sempre essere pronti a
ricrederci su tutto,anche su noi stessi,"Ciò che
conta è chi parla,e chi parla è fuori del mondo,e lo
dice proprio Wittgenstein." Certo che lo dice
Wittgenstein,ma egli,nelle "Ricerche
filosofiche",che sono anche un ripensamento critico
del "Tractatus",sostiene anche un'altra cosa: dato
che siamo nel mondo e parliamo,anche il linguaggio
fa parte del mondo e quindi parliamo nel mondo e non
fuori del mondo a meno che non si tratti del
mistico,ma di lui già abbiamo detto.Le formule
matematiche,come la logica,sono differenti rispetto
alla lingua.La matematica e la logica sono
analitiche,cioè necessitanti perché non ammettono il
dissenso dell'uditorio. Sono stabilite così e basta.Non
c'è possibilità d'intervento personale. Le cose
stanno diversamente per la lingua. Il significato di
una parola è il suo uso.e ognuno di noi può fare
l'uso che vuole di una parola a patto che ci dica il
modo in cui la usa. E se la vuole usare in maniera
diversa da noi senza spiegarne l'uso,lo faccia
pure,ma si renda conto che non ha più un senso a noi
comprensibile. La lingua quindi si distingue dalla
matematica e dalla logica perché non è
necessitante,perché ammette il nostro intervento
critico e la nostra immaginazione personale.E'
possibile che il poeta non riesca a "convenzionalizzare
una comunicazione",ma non perché non usi una
convenzione,cioè il linguaggio,ma,anzi,perché egli
usa un nuovo tipo di convenzione di cui non sa o non
vuole chiarire il senso.Il fatto stesso che scriva e
che abbia un pubblico conferma l'esistenza della
nuova convenzionalità. D'altra parte è proprio
l'esistenza della convenzione linguistica che
consente "l'eccezione poetica".
"Se il referente è il mondo,allora siamo nella
tautologia".E infatti l'analisi del linguaggio,la
chiarificazione logica del linguaggio,non scopre
nulla,solo chiarisce ciò che già esiste e che noi
avevamo sotto i nostri occhi,ma prima non vedevamo.
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