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Libri a fumetti
Un Edgar Allan Poe come non l'avete mai visto...
L'Antro dell'Orrore di Corben e Margopoulos!
Recensione di Andrea Cantucci
Cinema
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Fumetti in corso 5 - 6
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"Ai nostri occhi il cinema sostituisce un mondo
che s'accorda ai nostri desideri" (G.L. Godard)
L'universo diegetico traccia davanti a noi il
profilo della via lattea: miliardi di stelle, di
immagini ci sobbalzano contro, tanto da non saperle
neppure afferrare con le mani, le nostre mani nude,
e neppure con gli occhi, a quanto pare, accecanti da
una bellezza divina. Ciò che ci appare d'incanto è
il cinema: l'altra faccia della realtà che noi
vediamo, viviamo. E' un insieme di paesaggi,
persone, luoghi che sembrano essere dei riflessi
lucidi su di un coccio di cristallo. Una proiezione,
insomma, sulla quarta parete, quella incantata,
sulla quale si estende l'infinito, il frammento
della storia, in particolare della nostra, in altre
parole: dove termina il reale ed inizia l'onirico.
Il viaggio che inizia da qui, con gli occhi puntati
sul bianco macchiato di nero come un urlo
nell'aurora, oggi porta in una sola destinazione,
nel pianeta dei corti. Cortometraggi, piccoli
racconti, fuori del tempo, senza età e di età
diverse, i quali sono accomunati da un sottile filo
chiamato similitudine. Parola facile, in questo
caso, da tradurre in giornalismo cinematografico,
impronta etnografica, indagine antropologica che
prende respiro tramite l'obiettivo. Tre corti di due
registi diversi, di poetiche distanti tra loro ma
assimilabili per la stessa passione per il mondo,
per la vita, per le cose: Michelangelo Antonioni,
Pier Paolo Pasolini. Per il primo regista visitiamo
Gente del Po e N.U, poi il viaggio prosegue con La
sequenza del Fiore di Carta, per il secondo
cineasta. Non ci resta allora che augurarci buon
viaggio!
Gente del Po e N.U - La macchina da presa si fa
spazio fra le acque navigabili del Po, a pochi passi
dall'Adriatico, dove il fiume cede il passo al mare
incontrandosi alla foce, dove, come afferma la voce
fuori campo, l'acqua dolce si mescola con quella
amara. Brevi riprese panoramiche, a trecentosessanta
gradi, delineano l'orizzonte lungo la battigia,
teatro del dramma di una piccola famiglia di
pescatori che si consuma quotidianamente. Uomini e
donne dal volto scavato, dai corpi affaticati, si
trascinano a poppa della propria barca per un altro
giorno di duro lavoro. per una pesca miracolosa che
puzza già di miseria. La fune è snodata e una breve
spinta di remo fa salpare la barca che adesso, nelle
prime luci del mattino, si dirige a largo, oltre il
fiume. La macchina da presa la insegue, la
raggiunge, filma ciò che vede per intrappolarla tra
le maglie del proprio occhio che, presto, sarà il
contenuto di una pellicola, un piccolo frammento
nell'universo di celluloide. Tutto sul fiume scorre
con lentezza, persino la vita dei protagonisti, dei
nostri pescatori, sembra essere sempre uguale:
pesante, indelebile, monotona, tagliente come una
lama di rasoio. A riva non è rimasta che la capanna
disabitata in attesa del ritorno serale per essere
di nuovo abitata. L'obiettivo sembra respirare,
palpare quei corpi, inseguirli, a cominciare dalle
riprese frontali tra le acque che riflettono il
cielo grigio del Veneto.
Cielo grigio che a distanza di pochi anni si ritrova
nel solito obiettivo, questa volta a Roma, nelle
prime ore dell'alba, a filmare la vita dei
netturbini che, quasi per incanto come fossimo a
teatro, appaiono con i loro arnesi da lavoro a
ramazzare lo sporco della strada. La città si
sveglia, passanti ancora assonnati passano
sfilacciati davanti alla macchina da presa che
filma. Brevi parole concitate s'accompagnano al
rumore delle ramazze lungo le strade semidormiente e
tra i lampioni che si spengono come fiammiferi nel
vento. Brevi panoramiche immortalano la cupola di
San Pietro per poi ritrovare i soliti spazzini
nell'ora del rancio. Lungo un muro scalcinato, tra
locandine di film e roba varia, i netturbini
pranzano con pane e latte servito in delle ciotole.
Brevi dissolvenze ci riportano sulle strade: è l'ora
del congedo, della ritirata. Oramai la città si è
svegliata, le strade sembrano pulite e tutto può
ricominciare. Ora, i netturbini sono come le mosche
bianche e nulla più sappiamo di loro. Roma
svegliatasi dalla notte appare incantata, affacciata
sul Tevere dove l'obiettivo, il ladro di immagini e
di storie, sempre spegnersi abbandonandoci.
La Sequenza del Fiore di Carta - Ninetto Davoli
cammina per le strade di Roma e con lui la macchina
da presa, la presenza di Pier Paolo che si fa
obiettivo, quasi fosse un fantasma, per rovistare
nei pensieri del ragazzo. Una carrellata d'immagini,
lunga quanto un treno, incombe al suo passare. Sono
scene di guerra, del Vietnam, di soldati feriti, di
minacce nucleari, immagini fasciste, sequenze
d'archivio recuperate per l'occasione. Il ragazzo
che sorride cammina, cammina, cammina mentre le
immagini, come brevi e struggenti epifanie, non
tentano di placarsi, sovrapponendosi tra loro al
ritmo melodico delle dissolvenze incrociate. Una
voce fuori campo - il verbo di Dio - (voce di
Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini) giudica
recitando che l'innocenza è una colpa e di colpa si
può morire. Il ragazzo, allegro e dal passo
raggiante, tiene in mano un grande fiore rosso di
carta mentre la voce di Dio, con un tuono, declama
la sua morte. Ora la macchina da presa è sul ragazzo
inerme, inanimato e sul gigantesco fiore che fa
ombra al giovane cadavere. Si tratta di una morte
qualunque avvenuta per strada. Ninetto muore perché
ignora ciò che accade attorno a lui, perché ignora
la guerra, il sangue, la miseria e la bellezza
umana. Muore perché incapace, per la sua puerilità
d'animo e psicologica, di ascoltare il lato
drammatico dell'esistenza per il quale è necessario
prendere posizione. E' da vigliacchi non essere
coscienti, non saper distinguere il bene dal male,
o, ancor peggio, il giorno dalla notte.
Gente del Po e N.U segnano l'esordio cinematografico
di Michelangelo Antonioni e sono reperibili nelle
cineteche. Nel caso di Firenze si possono consultare
nella Cineteca regionale. Si tratta di due filmati
girati nel periodo bellico e sono pellicole diverse
tra loro, come diversa è la data: '43/47 per la
prima, '48 per la seconda. La Sequenza del Fiore di
Carta fa parte di una serie di cortometraggi di vari
registi del film Amore e Rabbia. Un progetto
cinematografico nel quale hanno partecipato
Bertolucci, Godard, Lizzani e Pasolini. Una
pellicola importante dove generi e poetiche diverse
tra loro si misurano, si confrontano, quasi a
sviluppare un film d'inchiesta storica e
sentimentale: un documento in bilico tra cinema
narrativo e giornalistico.
II
Sesso. E' questa la parola che oggi incontreremo nel
nostro universo di celluloide, lungo il viaggio nel
cielo diegetico. Sesso, una parola che sembra farsi
vita, azione prima ancora che desiderio, intenzione.
Una parola poetica, fisica, intima, proibita,
profondamente sincera. Ne parlo con Mik lungo
l'Arno, al termine del giorno, quando all'orizzonte
s'affacciano gli echi serali e le strade dintorno si
fanno pallide di luci, di rumori sordi, di passanti
frettolosi. Siamo seduti e un gioco di sguardi
accompagna la nostra discussione sul cinema, tra
ricordi e pensieri confusi. Siamo soli e il vento ci
lambisce dolcemente. Mik mi parla della foto dei
genitori nel giorno del loro matrimonio, in posa
davanti all'obiettivo nei loro abiti eleganti. Il
padre, in abito scuro, abbraccia la sposa
sorridendo. Un pacchetto di bionde si intravede
nelle tasche dei suoi pantaloni stretti, aderenti, a
zampa d'elefante, quasi a manifestare un'enfasi
esplosiva d'amore e un'adulta sensualità. Era il
1968, dice Mik, il tempo delle contestazioni, delle
lotte, della rivoluzione femminile, delle minigonne
e dei cortei. Era il '68, mi ripete sorridendo.
Certo, il '68 dico io. E ci raccontiamo a vicenda la
storia, cosa accade in quell'anno partendo dal
cinema. Ci narriamo la storia secondo quanto ci ha
svelato la macchina da presa, le trame proiettate
sulla quarta parete, nelle buie gallerie delle sale
cinematografiche. E discutiamo, discutiamo fino ad
arrivare al punto che ci vince, che ci travolge:
Teorema di Pier Paolo Pasolini. Ci soffermiamo, ci
abbandoniamo al film, tanto da correre a casa per
rivederlo, per assaporarne le scene scandalose per
allora. E' notte fonda oramai quando suona il
campanello di casa. Simona che ci ha raggiunto non
sa niente di come abbiamo trascorso la serata ma
sembra curiosa di sapere e la invito a guardare il
film, che lei non conosce. E così anche lei sembra
ora viaggiare con noi, sino all'impossibile, sino
all'alba che ci sorprende addormentati sul divano a
rovistare tra la cenere della discussione ormai
andata ancora un'emozione, forse un eco. E così
ricomincia il nostro esodo, il viaggio pasoliniano.
Teorema racconta la storia di una famiglia borghese,
la cui vita un giorno è stravolta da un giovane
amico di passaggio ospitato per una vacanza. Il
capofamiglia, un borghese poco liberale, è
proprietario di una fabbrica nella quale lavorano
tanti operai. Abita nella villa dove risiede con la
moglie e i due figli, un maschio e una femmina, più
la cameriera. Si tratta di una villa lussuosa, con
tanto di parco e di rimessa. Tutto sembra viaggiare
per il meglio, sino a quando il giovane ospite
inizia a svelare loro la vera essenza del sesso: la
sua sconvolgente verità. Passano i giorni e la
narrazione passa dal verbo all'azione. Ogni
componente della famiglia è sedotto carnalmente
dalla bellezza sconvolgente del giovane amico, al
punto di subire una metamorfosi che gli fa cambiare
il loro sguardo sulla vita e sul mondo. Il primo ad
essere cambiato sembra il figlio maschio, che fa il
pittore, che ad un tratto diventa folle e si trova a
camminare nel deserto. Di seguito la sorella si
ammala di crisi epilettiche, tanto da essere
trasportata in ospedale. La madre dei ragazzi si fa
prostituta e con la sua auto va ad abbordare i
ragazzini per le strade dei dintorni. Anche la
cameriera è cambiata, tanto da tornare in Emilia,
sua terra d'origine, a pregare travolta da una
vocazione mistica. Alla fine anche l'uomo, il
capofamiglia, si sente cambiato e dona la fabbrica
ai propri operai. Così racconta la storia, così ha
inizio un'ipotetica e risolutiva rivoluzione:
l'unica e vera che passa solo e attraverso la carne
prima che nell'animo.
Rivoluzione attraverso il sesso, non rivoluzione
sessuale. Forse la morale della favola è proprio
questa: la capacità del sesso di sconvolgere e
travolgere intere realtà. Infatti, cari amici, a
pensarci bene è proprio così; solo il sesso può
riuscire a modificare interi codici esistenziali,
può riuscire a scomporre il mazzo delle carte per
poi ricomporlo. Solo attraverso una rivoluzione che
passa dalla carne in termini d'amore può farci
ritrovare il senso delle cose, il filo sottile
dell'intuizione, farci fare pace con la vita. In
fondo, se bene si pensa la vita stessa è una
manifestazione di carne e di spirito e solo
attraverso questo modo di essere, questa condizione,
possiamo accedere ad un'elevata e più alta
considerazione di noi stessi e del prossimo.
Insomma, noi, come sosteneva il poeta, siamo
l'altro. Se non ci fosse l'altro non potremmo
esserci, ci sarebbe negata l'esistenza. La vita
stessa nasce da questo binomio, da questa
partecipazione. Io esisto, noi esistiamo perché
esiste il prossimo, l'altro. E' vero quindi il
messaggio del film, la morale che si può così
sintetizzare: non esiste altra rivoluzione se non
quella tra noi e l'altro. Unica forma di cambiamento
radicale e decisivo. Un impegno nei confronti della
vita, un traguardo per il futuro
Teorema è un film del 1968. Il soggetto è tratto da
un romanzo dello stesso Pasolini che porta lo stesso
nome del film. Particolare e suggestiva è
l'interpretazione i Silvana Mangano nella parte
della madre. Alcune parti sono state censurate. A
Firenze, oltre che essere reperibile in DVD, si può
trovare nella cineteca regionale.
Un ultima cosa: vi consiglio di vedere il film,
uscito nelle sale in questi giorni, di Riccardo
Milani sulla vita di Luca Flores, musicista jazz
fiorentino scomparso prematuramente. Una biografia
interessante e fedele che fa riflettere. Buon
viaggio.
III
La strada sembra un fiume di auto in corsa, una dopo
l'altra; un fiume in piena che minaccia di tracimare
e inondare la città. Io e Mik cerchiamo di
attraversarla in attesa del verde ma nonostante il
semaforo il timore resta. Lui è poco distante da me,
tra il marciapiede, la nostra isola felice, e le
strisce, mentre io sono pochi passi addietro e lo
guardo nel suo intento mentre fumo. Le macchine non
rallentano, disertano in pieno ogni segnaletica,
ogni stop, ed il rosso pare loro essere
indifferente. Mik si intimidisce con facilità; e
così, dico in certi momenti, non mi resta difficile
osservarlo. Lo vedo ora in certo ora deciso, mentre
pronuncia ad avviarsi per poi ritornare sui propri
passi e arrendersi. Allora gli dico- per incitarlo a
muoversi, per fargli comprendere che lui è nella
ragione e non nel torto, in quanto le auto si devono
fermare sulle strisce-: "se sei pecora il lupo ti
mangia!". Non comprende e allora gli ripeto la
frase. Capisce, connette il ricordo come una spina
nell'interruttore e mi dice:"certo, come non avevo
potuto pensarci prima; la strada, noi intenti ad
attraversare, le strisce, il viale e la frase della
pecora e del lupo. Certo: La Cuccagna di Luciano
Salce, in cui nel film Luigi Tenco veste i panni di
Giuliano, un giovane marxista nullafacente, in lotta
con il progresso e con le istituzioni".
"Allora te lo ricordi"- gli rispondo di botto.
"Certo, certo che me lo ricordo, e ricordo tutto
persino la colonna sonora: la ballata dell'eroe di
De Andrè, che Tenco canta accompagnandosi con la
chitarra".
Certo, mi dico, come non si può ricordarci della
Cuccagna, dell'unico film in cui Luigi Tenco,
eravamo nel 1962, poco più che ventenne, è
protagonista. Una pellicola di un Salce impegnato,
se pur ironico, nella quale la fotografia, la
musica, e il protagonista fanno un tutt'uno. Un
film, affermo rivolgendomi a Mik, il cui scopo era
quello di contestare una società radicalmente
mutata. Sì, una pellicola che prescinde dal Tenco
cantautore, un film che anticipa il '68, tanto da
poter affermare che in esso il cantautore genovese
ha espresso e vissuto il suo '68, non avendolo
potuto vivere storicamente, essendo morto nel 1967.
Un film, nel suo piccolo, manifesto. "Ma te la
ricordi la trama?"
"No! Non tanto bene, sai l'ho visto diversi anni
orsono".
"Allora te la racconto".
Giuliano, un giovane marxsista nullafacente, in
lotta con se stesso e con la società, incontra per
caso una ragazza che fa la dattilografa e che vive
sognando di diventare una diva del cinema. Lei, la
ragazza, però, è vittima di proposte indecenti da
parte di fotografi e produttori che incontra durante
i provini. Giuliano instaura con lei un bel rapporto
d'amicizia, tanto da difenderla innumerevoli volte
da questi soprusi. In tanto, col passare del tempo,
l'amicizia va avanti: si incontrano nei caffè,
escono assieme la sera, lei lo va a trovare e
discorrono di politica, di antimilitarismo, di pace,
di capitalismo e di omologazione, al punto che la
ragazza si invaghisce di Giuliano e pian panino ne
condivide le scelte e l'ideologia. Giuliano un
giorno, stanco di questa società, della freddezza
dei suoi simili, propone alla ragazza di suicidarsi
assieme, come forma di protesta nei confronti del
mondo. I due vorrebbero, infatti, suicidarsi in un
campo militare ma nel momento in cui si recano nel
luogo stabilito rinunciano all'estremo gesto e
decidono di emigrare in un altro paese.
Il film, reperibile in qualsiasi videoteca e in DVD,
è stato all'epoca bersaglio di innumerevoli critiche
da parte di cinofili e cronisti. Anche i gossip
fecero la loro parte, soprattutto a riguardo di
certe idee che Tenco esprime con tutta franchezza.
Molti ancora lo hanno considerato una sorta di
preludio su ciò che si sarebbe verificato nel giro
di pochi anni. Un preludio biografico che tende a
risaltare, in tutta la sua suggestiva articolazione,
l'immagine di un artista del suo tempo, in lotta con
se stesso e con gli altri, con la società e col
tempo. In realtà, a prescindere da quelli che
possono essere i dati biografici, la pellicola
sembra essere un film piacevole, ideologico, con i
toni miti della commedia. Lo stesso Tenco, che
recita con la sua voce, assume una mimica giusta,
sia nei toni sia nella gestualità, ispirata a James
Dean, incarnazione della bit generection
cinematografica. Da ricordare una breve ma intensa
partecipazione di Ugo Tognazzi che, per Salce, gira
poco dopo il Disertore. Insomma si tratta di una
commedia del suo tempo, ricca di suggestioni, le cui
tematica sono ancora oggi di viva attualità.
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