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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
La città
di Massimo Acciai (con traduzione in rumeno di
Lucia Dragotescu),
La Città della Gioia di Antonio
Piccolo, Il
meraviglioso viaggio estivo di Paolo
Ragni, Sicilia, agosto
2008 di Francesco Trecci,
Ogni mela al suo posto
di Stefano Carlo Vecoli
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, in lingua diversa
dall'italiano, purché rispettino i più
elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai,
Lucia Dragotescu,
Manuela Leahu,
Anna Maria Volpini
Eventi
Recensioni
In questo numero:
- "Cronache degli artisti e dei commedianti"
di Giorgia Tribuiani
- "Tuttoteatro" di Liliana Ugolini, nota di
Massimo Acciai
- Una bella sorpresa: Barbara Baraldi,
recensioni di Eduardo Vitolo
- "Parigi non finisce mai" di Enrique
Vila-Matas, recensione di Elisa Giancontieri
- "Psicofantaossessioni" di Faraòn Meteosès,
nota di Enrico Pietrangeli
- "Ogni mela al suo posto" di Stefano Carlo
Vecoli, nota di Massimo Acciai
- "Briganti E Saltimbanchi" di Iuri Lombardi e
Vincenzo La banca
- "Pashmina" di Antonio Ferrazzani
- "Il bravo figlio" di Vittorio Buongiorno,
recensione di Simonetta De Bartolo
- "Melissa Parker e l'incendio perfetto" di
Danilo Arona, recensione di Eduardo Vitolo
Interviste
Incontri nel giardino
autunnale
Teatro
Articolo
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Arriviamo in Sicilia la mattina
presto. Atterriamo all'aeroporto di Trapani. Sono le
8 e fa un caldo terribile. Prendiamo una macchina a
noleggio e l'intenzione è quella di visitare tutta
la Sicilia occidentale in una settimana scarsa.
Attraversiamo Trapani velocemente con l'idea di
tornarci a dormire l'ultima notte prima di
riprendere il volo di ritorno. La nostra prima tappa
è San Vito lo Capo. Piccolo e tranquillo borgo di
pescatori. San Vito, è stato letteralmente travolto
dal turismo di massa dei nostri tempi. Si susseguono
uno dietro l'altro alberghi, hotel pensioncine,
ristorantini tipici, locali notturni e il bello
arriva sulla spiaggia. Musica sparata a fuoco dalle
decine di stabilimenti balneari. Non si vede quasi
più la bianchissima battigia, sovrastata com'è da
decine e decine di corpi di giovani, anziani,
bambini, famiglie; ognuno con i propri teli,
ombrelloni e poi campetti improvvisati per giocare a
pallavolo, a calcio e a bocce. Un carnaio. Scappiamo
immediatamente e ci rifugiamo in una spiaggetta
fuori mano, c'è meno gente e si riesce a godersi un
pò di tranquillità. Dietro la spiaggia si apre un
enorme paesaggio lunare. Tutto un saliscendi di
montagne e collinette, senza la benché minima
vegetazione. E' il trapanese. Una delle zone più
aride del Paese. Dall'altra parte del mare si
dischiude l'immenso continente africano con i suoi
deserti magnifici e sterminati. Questo è solo un
piccolo assaggio. La luce è abbacinante. Il caldo
veramente torrido. A vederla così sembra una terra
maledetta da Dio, l'agricoltura è impossibile.
D'industrie non c'è traccia. Da sempre qui la
salvezza è venuta dal mare. I commerci, il pesce, il
sale ecco il tesoro nascosto di questi siciliani.
Rinfrescati dal bel mare che guarda le isole Egadi
siamo pronti per andare verso il capoluogo
siciliano. Montiamo in macchina e prendiamo
l'autostrada (gratuita, in quanto zona depressa il
governo nazionale ha deciso di non mettere i pedaggi
a tutte le autostrade isolane), in una dirittura
verso Palermo ci prende un groppo allo stomaco: per
centocinquanta metri sopra il guard rail sventolano
le bandiere italiane e quella della Regione Sicilia.
Ai due lati della strada si elevano due grandi
stele. Ci sono dei nomi e il simbolo della
Repubblica. E' l'uscita di Capaci. Nel 1992 la mafia
fece saltare un intero tratto autostradale facendolo
tornare terra nuda per uccidere un giudice e tutta
la sua scorta. Giovanni Falcone, un siciliano dal
fortissimo senso dello stato, voleva estirpare
questa piaga della sua terra, per sempre. Cosa
Nostra ha invece eliminato lui. Dopo qualche curva
appare Palermo. Grande, imponente e moderna. Con i
tutti suoi palazzoni costruiti frettolosamente negli
ultimi decenni. Per entrare in città si deve
percorrere un grande stradone che va dritto nella
città vecchia. Via via che che ci s'inoltra verso il
centro le strada si fa più stretta e sempre più
brulicante, si passa una porta, appare la
Cattedrale, è imponente. Vicino c'è il palazzo dei
Normanni. Severo e medievale è attualmente la sede
della Regione Sicilia. Palermo è antichissima.
Stretta in una baia tra i monti e il mare, è tutta
affollata e brulicante di mercati. La città, dice la
leggenda, fu fondata dai Fenici, anche se nei
dintorni ci sono tantissime testimonianze che fanno
affondare nella notte dei tempi l'origine di questo
luogo. Il Centro storico è enorme ed è come tagliato
in due dalla grande via Maqueda. Lasciamo la
macchina e ci inoltriamo nelle stradine. Ci appare
un altro mondo. E' incredibile. Basta fare due metri
e siamo catapultati in un'altra era. Gli edifici
sono tutti fatiscenti, le strade piene di sporcizia,
i cani come avvoltoi sulle prede si muovono furtivi.
Vucciria, Ballarò, il Capo, l'Albergheria. Sono i
nomi dei quartieri del centro storico che se il
giorno sono un susseguirsi di bancarelle, la sera
sono spettrali, deserti e inospitali. Sono i grandi
allevamenti industriali della mafia per le nuove
leve criminali. La miseria si taglia fette. La gente
sembra pronta a tutto pur di sbarcare il lunario.
Intere aree sono ancora distrutte dai bombardamenti
dell'ultima grande guerra mondiale e nonostante
siano passati 60 anni sono sempre ridotte a macerie.
Il resto è una grande città disfatta, ma tutta
abitata. Le persone sono chiuse, molte hanno facce
non proprio raccomandabili. Ci fermiamo in un forno,
la gente ci passa avanti. Siamo invisibili. Dalle
finestre le vecchie tirano giù le carrucole per
farsi mettere il pane. Tanto pane. Sono stordito. Ho
visitato tante altre città del Mezzogiorno ma
Palermo è diversa. Non c'è la plebe vociante di
Napoli. Qui la gente è silenziosa. Non c'è la minima
traccia della tediosa classe media che governa
questo paese. Ma c'è poco di arabo e africano. E'
invece tutto medio-oriente. Palermo è punica, è
Beirut. Come la capitale libanese, ha avuto tante
distruzioni e poche ricostruzioni nonchè una miriade
di guerre per bande. Ho visto tante città decadenti,
ma Palermo non mi sembra decadente. E' peggio. Mi
sembra confinata in un angolo ad aspettare di finire
i suoi giorni. Forse vedendo il mondo di quaggiù
aveva proprio ragione lo storico belga Pyrenne che
diceva che il mondo antico (in cui il Mediterraneo
era un mondo unico) era finito per sempre non nel
476 dc, con la caduta dell'impero romano d'occidente
nelle mani di Odoacre, ma nel settimo secolo con
l'invasione araba del mediterraneo meridionale. Da
allora, infatti, la Sicilia comincia a perdere il
suo ruolo di ponte nel Mediterraneo. Le due sponde
anche oggi non si parlano. Quaggiù finisce l'Italia,
l'occidente, l'unione europea. Di là la marea
musulmana. I traffici di Palermo sono finiti per
sempre.
Ritorniamo in via Maqueda e imbocchiamo via Roma.
Respiriamo un attimo l'aria occidentale. Ci sono un
pò di negozi e due militari con un poliziotto che
fanno la ronda.
Dopo le stragi mafiose del primi anni novanta il
governo di Roma inviò in questa regione ben
ventimila soldati a presidiare il territorio. Oggi
il governo ne ha rispediti qualche decina nelle
principali città, pattugliano le vie sicure stando
ben alla larga dalle zone degradate.
L'indomani per rinfrescarsi dal caldo torrido (in
città si sfiorano i 44 gradi all'ombra) decidiamo di
andare sul litorale della città. Evitiamo la
bellissima Mondello, troppo affollata nei giorni
agostani, e ci dirigiamo nella vicina Vergine Maria.
Il mare è bello, c'è anche un buon venticello, e la
spiaggia al mattino ci appare miracolosamente vuota.
L'acqua è calda e il bagno si lascia fare
volentieri, piano piano però la battigia si popola
di piccole tende ad igloo. Una, due, tre, in pochi
attimi sono decine. Vicino ad ogni gruppo di sei,
sette tende viene montato un grande gazebo. Dentro i
gazebo donne operose montano cucine da campeggio,
tavoli, sedie. Si preparano grandi pranzi. Sono i
palermitani che in massa per Ferragosto si
trasferiscono sulle spiagge per due, tre giorni con
tutte le famiglie. Zie, cugini, fratelli, emigranti
di ritorno, giovani, vecchi e bambini. Si riuniscono
tutti. E' un tutto un brulicante vocio di umanità.
La mattina seguente riprendiamo la macchina e
attraversiamo tutta la Sicilia occidentale. Passiamo
la piccola Corleone. Grazioso borgo arroccato sulle
montagne. Il centro del paesino è quasi elegante,
molto pulito. Qui sono stati arrestati i peggiori
mafiosi della storia recente.
E' sempre un caldo torrido. La Sicilia centrale è
spoglia, brulla, abbacinante. Arriviamo ad
Agrigento, la città è aggrappata su un poggio
sbilenco che guarda il mare. E' un borgo medievale
interessante, circondato da orrendi caseggiati della
nostra epoca, costruito su quest'altura nel settimo
secolo, dopo che misteriosamente la popolazione si
spostò in massa dalla vecchia Agrakas-Agrigentum,
situata poco più a valle, e oggi ridotta a sito
archeologico. Di fronte ad Agrigento e sopra la
vecchia città greco-romana si stagliano tre templi
del periodo greco. Sono belli, dello stesso colore
della terra. Purtroppo tutto intorno si affastellano
case, palazzi, palazzine, tuguri e villette
costruite non proprio in assoluto ossequio al Piano
Regolatore cittadino.
Entrando dentro la città però si scopre un'aria
completamente diversa. Le strade sono abbastanza
pulite, ci sono sempre tanti cani e quasi tutti gli
edifici non sono intonacati, ma ci sono anche tanti
negozi e ristorantini, i giovani sono vestiti alla
moda e identici a tutti i loro coetanei europei.
Addirittura un ragazzo porta un maglietta con la
scritta: "un intero popolo che paga il pizzo è un
popolo senza dignità". Dopo i giorni palermitani ci
sentiamo a casa. Stazioniamo tre giorni nella
vecchia Girgenti, visitiamo l'operaia Porto
Empedocle. Qui è stato costruito un intero nuovo
borgo color rosa con accanto una mega chiesa in
stile razionalista. All'ora delle funzioni è
stracolma. In tante altre parti di questo Paese i
sindaci quando edificano nuovi quartieri fanno
costruire accanto moderni supermercati. In Veneto e
quaggiù è diverso. Si costruiscono ancora le chiese.
Eraclea Minoa, Scalo dei Turchi, Siculiana Marina
sono solo alcune delle piccole perle del mare
agrigentino che vale la pena visitare.
Siamo agli sgoccioli del nostro soggiorno siciliano,
ripartiamo velocemente attraversando Sciacca, Mazara
del Vallo e Marsala. Sono villaggi arabi, semplici e
operosi.
Giungiamo infine alla nostra ultima tappa, la città
che la mitologia vuole sia stata originata dalla
falce caduta a Cerere mentre sul carro trainato da
serpi alati correva per il mondo alla ricerca della
figlia rapita dal dio Ade: la falce caduta in mare
si mutò in una lingua di terra arcuata sulla quale
sorse una città, per tale forma detta appunto
Drepanon ("falce" in greco antico). Siamo a Trapani,
abitata dagli antichi Elimi, italici pre-romani.
Oggi appare quanto mai vivace e particolare.
Circondata dal mare e dalle saline, è sede di un
importante porto per le antistanti isole Egadi. La
citta vecchia è tutta stretta su una piccola
penisola. Le vie sono sovrastate da grandi pali di
ferro che vanno da edifico ad edificio. Ci spiegano
che, dal momento che non ci sono tanti soldi a
disposizione, per non fare crollare l'intero centro
storico le case vengono puntellate le une con le
altre. Mangiamo e beviamo divinamente nell'antico
ghetto ebraico. Siamo pronti per ripartire. Ci
lasciamo alle spalle questa terra dura e
antichissima con la speranza di poterci tornare
presto.
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