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Narrativa

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi in prosa inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
La città di Massimo Acciai (con traduzione in rumeno di Lucia Dragotescu), La Città della Gioia di Antonio Piccolo, Il meraviglioso viaggio estivo di Paolo Ragni, Sicilia, agosto 2008 di Francesco Trecci, Ogni mela al suo posto di Stefano Carlo Vecoli

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Massimo Acciai e Matteo Nicodemo, Fabrizio Buratta e Faraòn Meteosès, Andrea Cantucci, Rossana D'Angelo, Alessandra Ferrari, Emanuela Ferrari, Iuri Lombardi, Cesare Lorefice, Roberto Mosi, Anna Maria Volpini

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, in lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Lucia Dragotescu, Manuela Leahu, Anna Maria Volpini

Eventi

La poesia in bicicletta: sette tappe con incontri e reading da Messina a Ragusa
nota di Enrico Pietrangeli

Recensioni

In questo numero:
- "Cronache degli artisti e dei commedianti" di Giorgia Tribuiani
- "Tuttoteatro" di Liliana Ugolini, nota di Massimo Acciai
- Una bella sorpresa: Barbara Baraldi, recensioni di Eduardo Vitolo
- "Parigi non finisce mai" di Enrique Vila-Matas, recensione di Elisa Giancontieri
- "Psicofantaossessioni" di Faraòn Meteosès, nota di Enrico Pietrangeli
- "Ogni mela al suo posto" di Stefano Carlo Vecoli, nota di Massimo Acciai
- "Briganti E Saltimbanchi" di Iuri Lombardi e Vincenzo La banca
- "Pashmina" di Antonio Ferrazzani
- "Il bravo figlio" di Vittorio Buongiorno, recensione di Simonetta De Bartolo
- "Melissa Parker e l'incendio perfetto" di Danilo Arona, recensione di Eduardo Vitolo

Interviste

Stefano Carlo Vecoli: scrittore viareggino
intervista a cura di Massimo Acciai
Damiano Mazzotti, autore di Uomini e Amori, Gioie e Dolori
intervista a cura di Massimo Acciai

Incontri nel giardino autunnale

Intervista a Marco Cimmino
A cura di Matteo Nicodemo

Teatro

Animanera: quando il teatro è continua sperimentazione
Intervista a cura di Alessandro Rizzo
Da "Romeo e Giulietta" di Shakespeare
interpretazione di Paolo Filippi e Maria Ianniciello

Articolo

L'illusione del sublime: Venezia in Fondamenta degli incurabili di Josif Brodskij
di Maria Cristina Famiglietti

L'illusione del sublime: Venezia in Fondamenta degli incurabili di Josif Brodskij
 

di Maria Cristina Famiglietti


L'oblio forzato è stato per lungo tempo il compagno del ritiro in occidente dello scrittore russo Josif Brodskij (1940- 1996). Divenuta una costante critica senza la quale, con tutta probabilità, sarebbe impossibile capire la vita e le opere di questo autore, la sensazione di forzata solitudine e impossibilità a confrontarsi direttamente con la sua patria che lo aveva voluto esule, sarà lo scenario preferito dei suoi affreschi poetici.
Fin da giovanissimo lasciò gli studi e si interessò alla politica, alla sottile contestazione che animava le giovani coscienze reazionarie russe. Fu costretto all'esilio nel 1972 e ripiegò sugli Stati Uniti, in quegli anni paese più democratico e aperto alle nuove idee.
Poeta e scrittore illuminato, all'inizio fu certamente influenzato dall'acmeismo di Mandel'stam; raggiunse poi livelli poetici molto alti, e presto il suo nome fu conosciuto in tutto il mondo, e così apprezzato che nel 1987 gli venne conferito il premio Nobel.
Brodskij fu l'esule di una Russia dittatoriale e chiusa. Mandato via da un regime oscurantista che non permetteva agli artisti di esprimersi a pieno, visse gli anni della maturità viaggiando tra Europa e America. La Russia non permetteva espressioni di dissenso, e tanto meno critiche al suo regime. A questo proposito ricordiamo Michail Bulgakov, il cui Maestro e Margherita dovette aspettare le edizioni inglesi per vedere le stampe nella forma integrale, censuratissima in patria, a ancor oggi considerato uno dei capolavori della letteratura moderna. La maggior parte degli scrittori del Novecento russo furono soggetti non solo a censura, ma molte volte a vere e proprie persecuzioni politiche, che potevano anche sfociare in deportazioni e pene perfino peggiori. Gli attacchi satirici e pungenti al regime si tradussero per molti di loro nell'esperienza dell'esilio. Si dovrà aspettare il 1991 con il crollo del Partito comunista e la fine dello stato sovietico per avere una nuova rinascita della coscienza culturale russa, coscienza che ancor'oggi si muove a passi incerti e timidi sulla scena mondiale. Nonostante il clima oscurantista degli anni delle dittature, ci sono pervenuti- molto spesso attraverso edizioni inglesi o americane- diversi capolavori. Chi non conosce la storia del Dottor Zivago di Boris Pasternak? Pensate che in Italia questo romanzo venne pubblicato nel 1957, mentre l'edizione russa arrivò solo nell'87. L'autore fu costretto dalle autorità sovietiche a rifiutare il Nobel, perché il suo romanzo conteneva accenni di critica al marxismo, per questo non degno di essere plaudito dai suoi compatrioti, tanto meno di essere letto. Anche in questo caso, il successo fu immediato, come avviene per ogni cosa proibita.
Molte menti illuminate della Russia del secondo Novecento non ebbero la soddisfazione di vedere la prima stampa delle loro opere in patria; per poter pubblicare anche all'estero, erano spesso costretti ad usare pseudonimi, come fece Andreij Simiavskij, conosciuto come Abram Terz, autore di un saggio polemico sul socialismo moderno.
Chiusa la breve parentesi sulla situazione politica e culturale della Russia ai tempi di Brodskij, concentrerò le prossime righe su una delle numerose opere di questo poeta: Fondamenta degli Incurabili. Opera scritta nel 1989, quando il Consorzio Venezia Nuova chiese all'illustre ospite di dedicare qualche bella pagina alla città che tanto amava. Brodskij scelse il titolo per dare un'ulteriore valore simbolico a quello che, senza dubbio alcuno, è il più simbolico dei suoi scritti in prosa. Fondamenta degli incurabili deriva il suo nome dall'ex Ospedale degli incurabili, struttura eretta dall'architetto Jacopo Sansavino (1486-1570). La scelta di un nome parlante rimanda il senso alla memoria di una sofferenza lontana, condizione sentita come propria anche dal poeta, il cui destino psicologico e fisico è legato ad un disagio costante, di esule e di uomo.
Accetta l'invito dei veneziani a parlare della loro città, del luogo che per tanto tempo ha sentito anche suo, e dove ha scelto di essere sepolto, come ultimo estremo omaggio. Brodskij aveva eletto Venezia luogo dell'anima, proprio per la sua unicità e decadenza. A qualsiasi turista, occhio indiscreto e capace di assorbire significati profondi, Venezia resta impressa nella memoria per sempre, a causa del suo essere inconfondibile, diversa da tutti gli altri luoghi. Una città " […] talmente narcisista che ritrasforma la mente in un amalgama, alleggerendola del suo significato".
Nel ricordo Venezia è associata all'acqua, perché la sua più grandiosa caratteristica è quella di esservi sospesa, appoggiata e perduta, in cui " […] il sole scavalca la propria immagine dorata ai piedi di San Giorgio e va a danzare sopra le innumerevoli squame delle piccole onde che increspano la Laguna […]". L'acqua è materia primordiale, lo scenario perfetto e rarefatto in cui lo splendore dell'antica patria dei dogi può esprimere il suo raffinato e violento decadentismo. Un palcoscenico perfetto, dove tutti- veneziani e non- sanno di potersi ritagliare un ruolo, anche solo per qualche istante, facendo parte di un quadro irripetibile e, allo stesso tempo, eterno. Così assume le fattezza di un "gigantesco specchio liquido […] e la città vi si crogiola, gustandone il tocco, la carezza dell'infinito dal quale essa è venuta. Un oggetto, dopo tutto, è ciò che rende privato l'infinito".
Il Novecento, col suo romanzo della crisi, celebra la metropoli come luogo di perdizione, dove l'individuo estrania se stesso dal contesto e dalla propria identità. Le città diventano labirinti, luoghi deputati alla corruzione,al rumoroso frastuono della modernità; sono sospese e fantastiche, invisibili e dimenticate. Lo stesso Brodkij si ricorda di Calvino, per il fatto che la bellezza di Venezia aveva da sola raggiunto l'apice di qualsiasi fantasia, ricolma di una bellezza quasi fastidiosa, a tratti prorompente: la bellezza strana che rende Venezia la meraviglia che è. Per Brodskij Venezia è anche un capolavoro immenso di tristezza, per il quale ognuno deve lasciare un tributo di memoria, generato dall'estatica osservazione di una cosa bella. La visione del bello assoluto che genera torpore e straniamento, un guizzo romantico che unisce bellezza e morte, dicotomia assoluta e indispensabile per un artista del suo sentire. " D'inverno, specialmente la domenica, ti svegli in questa città tra lo scroscio festoso delle sue innumerevoli campane, come se dietro le tendine di tulle delle tue stanze tutta la porcellana di un gigantesco servizio da tè vibrasse su un vassoio d'argento nel cielo grigio perla […]". Immagini poetiche per descrivere una città. Nel raccontarci Venezia usa ricordi ed immagini pervase di lirismo, che hanno accompagnato i suoi anni maturi, il suo esilio e la sua vita di scrittore acclamato. La memoria compone i cinquantun capitoli di questo piccolo grande libro, che ad ogni lettura regala note e sfumature diverse, mai scontate. La Venezia di Brodskij è una città percepita, che ci viene raccontata attraverso immagine potenzialmente irreali. Il filo del racconto non è una trama; la trama è assente e lascia il posto al sentimento di un sogno. Il luogo diviene memoria, illusione e sublimità fantastiche. La possibilità data al lettore è quella di riuscire a percepirla, ma non a coglierla completamente.

" Ripeto: acqua è uguale a tempo, e l'acqua offre alla bellezza il suo doppio. Noi, fatti in gran parte d'acqua, serviamo la bellezza allo stesso modo. Toccando l'acqua, questa città migliora l'aspetto del tempo, abbellisce il futuro. Ecco la funzione di questa città nell'universo. Perché la città è statica mentre noi siamo in movimento. La lacrima ne è la dimostrazione. Perché noi andiamo e la bellezza resta. Perché noi siamo diretti verso il futuro mentre la bellezza è l'eterno presente. La lacrima è una regressione, un omaggio del futuro al passato. Ovvero è ciò che rimane sottraendo qualcosa di superiore a qualcosa di inferiore: la bellezza all'uomo. Lo stesso vale per l'amore, perché anche l'amore è superiore, anch'esso è più grande di chi ama".

E come ogni forma di bellezza contratta, impossibile da cogliere nella sua interezza, così come l'amore e l'arte, per molti resta un sogno sublime.

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