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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
La ville / La
città di Massimo Acciai,
La scomparsa dello
scienziato Ettore Majorana di Budetta
Giuseppe Costantino,
Università e ricerca
di Budetta Giuseppe Costantino,
Africa di
Paolo D'Arpini, Mia
dagli occhi verdi di Lucia Dragotescu,
Purtroppo sono sano
di Marcellino Lombardi,
Lucien di
Maria Pia Moschini,
Eritrea di
Paolo Ragni, Uganda
di Paolo Ragni,
Ritorno dall'Africa di Anna Maria
Cecconi Volpini
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, in lingua diversa
dall'italiano, purché rispettino i più
elementari principi morali e di decenza...
poesie di Emanuela
Ferrari, Paolo
Filippi, Manuela Léa,
Sédar Senghor
Recensioni
In questo numero:
- "Il caso Imprimatur" di Simone Berni, nota
di Massimo Acciai
- "I migranti nel cinema italiano" di Sonia
Cincinelli
- "L'indegnità a succedere" di Roberto R
Corsi, nota di Massimo Acciai
- "Il viandante" di David Morganti, recensione
di Emanuela Ferrari
- "Oltre la vallata…" di Alessandra Ferrari,
recensione di Emanuela Ferrari
- "Lucien" di Maria Pia Moschini, nota di
Massimo Acciai
- "come un uomo sulla terra" di Andrea Segre,
Dagmawi Yimer e Riccardo Biadene
- "Ultima onda anomala" di Duccia Camiciotti
- "Carillon ballerina and the brave tin oldier"
di Caterina Pomini
- "La questione della terra in Sudafrica" di
Francesco Rossolini
- "Come diventare scrittori oggi" di Andrea
Mucciolo, nota di Massimo Acciai
- "Ho sognato di essere vivo" di José Monti,
nota di Massimo Acciai
- "I milioni di luoghi" di Carla Saracino,
recensione di Simonetta De Bartolo
- "18°Vampiro" di Claudio Vergnani, recensione
di Eduardo Vitolo
- "L'estate di Montebuio" di Danilo Arona,
recensione di Eduardo Vitolo
Interviste
Incontri nel giardino
autunnale
Saggi
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Palloncini
- Ehi Anna Maria, vieni fuori? Vedessi che
spettacolo!
- Mamma, posso uscire un attimo con Luciano?
- Ragazzi state attenti. Tu dalle la mano. E' troppo
piccola per stare fuori da sola.
- Mamma, ho quasi sei anni.
- Tenetevi al corrimano e non sporgetevi dalla
spalletta. Prima di uscire mettiti il golfino, non
siamo più in Africa. Qui, a gennaio, fa freddo.
Nel 1942 con la mia famiglia vivevo nelle colonie
italiane in Africa dove mio padre era direttore
delle scuole elementari di Asmara. Là stavamo bene,
ma scoppiò la guerra. Gli occupanti Inglesi tennero
in città gli uomini (anche lui insegnante e
ufficiale dell'ex esercito italiano), mentre i
civili (donne, bambini e invalidi) vennero
rimpatriati.
- Ci penso io mamma, fidati. Sono abbastanza grande
da badare a lei.
Mio fratello maggiore aveva quindici anni. Era
bravo, responsabile, intelligente. Lo avevo
soprannominato "il sapientino" perché mi raccontava
tante cose e rispondeva sempre alle mie domande. Con
me era molto paziente e tollerava i miei capricci.
- Dai vieni, guarda!
- Ma io non vedo nulla. Da qui vedo solo il cielo.
- Ora ti porto in un posto dove c'è una scaletta.
Arrampicati fino alle scialuppe di salvataggio. Lo
vedi bene adesso il mare? Guarda le onde come si
arricciano piene di spuma. Le senti battere contro
la nave?
- E' vero. Quante onde! E sbattono forte! Oddio e
quelli laggiù che sono? Palloncini? Ma che ci fanno
tutti in fila dentro il mare?
- Che dici? Quelli non sono palloncini. Sono mine.
- Che sono le mine?
- Sono come le bombe, ma invece di cadere dagli
aerei galleggiano sul mare. Se una nave ci passa
sopra loro scoppiano e al nave salta in aria. Lo sai
che siamo in guerra.
Mi sentii gelare per la paura e per il freddo.
Tirava vento. Io non avevo vestiti pesanti. Con uno
strattone tirai la sua mano.
- Ho paura. Non voglio saltare in aria!
- Quanto sei stupida. Noi siamo sulla nave della
Croce Rossa. Le vedi le croci dipinte sui fumaioli e
tutte quelle luci accese? Alle navi della Croce
Rossa gli Inglesi non fanno niente. Qui non ci sono
soldati, ma solo donne e bambini. Siamo profughi e
ci riportano in Italia. Te l'ho detto altre volte.
- Senti, io so solo che mi sono stufata di stare su
questa nave, sempre nei soliti posti, stretta con
tutti gli altri, in quella cabina dove mi sento
soffocare. E non ne posso più di vomitare ogni volta
che vengono quelle terribili onde. Ma quanto tempo è
che siamo qui dentro?
- E' più di un mese. Abbiamo fatto la
circumnavigazione dell'Africa. Il canale di Suez è
chiuso.
- Non m'importa niente del canale di Suez. Voglio
andare a casa dai nonni.
Dopo questo discorso fatto senza riprendere fiato,
mi misi a piangere e a singhiozzare così forte che
non facevo in tempo ad asciugarmi le lacrime che
quelle cadevano a torrenti. Mio fratello mi
abbracciò stretta e mi dette un fazzoletto per
soffiarmi il naso.
- Ora calmati. La vedi quella nave laggiù? E' la
nostra protettrice, una dragamine. Ci fa navigare
sicuri dietro la sua scia mentre le mine vanno di
qua e di là.
In quel momento una voce dall'altoparlante avvertì
di qualcosa ma non riuscivo a capire le parole. Un
signore si avvicinò dicendo che dovevamo rientrare
tutti perché era pericoloso rimanere fuori mentre si
passava davanti alla Rocca di Gibilterra.
- Cos'è la Rocca di Gibilterra?
- Vieni andiamo. Se possiamo arrivare dall'altra
parte della nave te la farò vedere.
Rientrammo sotto coperta reggendoci ai corrimani.
Mio fratello mi accompagnò fino al salone e poi uscì
di nuovo.
- Dove sei stata tutto questo tempo? E Luciano
dov'è?
- Mamma ho visto le mine che galleggiavano
sull'acqua e anche la dragamine.
- Hai sentito cosa ha detto il comandante? Adesso
mettiti calma e vieni a giocare vicino a me.
Mi misi da una parte e facevo finta di riposarmi. In
realtà, col naso attaccato all'oblò, cercavo di
vedere qualcosa mentre aspettavo che mio fratello mi
portasse fuori.
La rocca
- Non stare lì a piagnucolare con il naso attaccato
all'oblò.
- Mi avevi promesso che mi facevi vedere la Rocca.
Sei un bugiardo.
- E' forse colpa mia se il comandante non vuole
nessuno sopra coperta?
- Si potrebbe andare in quel posto dove andate
sempre quando non volete le sorelle tra i piedi.
- Va bene. Mentre io vado a chiamare gli altri tu
cerca una scusa con mamma.
Mio fratello si allontana ed io non vedo l'ora di
uscire. Nel salone c'è molta gente ma di solito non
è così affollato. La nave procede lentamente lungo
il canale minato.
- Mamma posso andare a chiamare Maria Pia? E poi
vado in sala mensa a prendere la merenda. Non stare
in pensiero, conosco la strada, su e giù per queste
scalette.
- Non uscire fuori hai capito? Abbottonati il
golfino perché verso sera fa più freddo.
- Ma se lei sta facendo i compiti mi metto un po' a
disegnare nella sua cabina.
Mia madre, che è troppo occupata a guardare mio
fratello più piccolo, mi dà facilmente il permesso e
appena scorgo Luciano che fa capolino alla porta
esco.
- Svelta. Maria Pia, Paolo, Emidio ci stanno
aspettando. Dobbiamo andare a poppa. Vicino al
fumaiolo c'è un deposito di cordami. Ci nasconderemo
là. Dammi la mano.
Ci incamminiamo e quasi subito troviamo gli amici, i
figli del signor Bertolotti un collega del babbo.
Per fortuna non incontriamo nessuno. La gente è
tutta nei saloni o nelle cabine.
- Salite su, presto. Paolo aiuta le bambine. Se vi
nascondete a sinistra, senza sporgervi troppo
riuscirete a vedere la Rocca. Anna Maria guarda in
alto. Li vedi i cannoni,?
- Io vedo solo dei buchi neri.
- Quelle sono le bocche da fuoco e sono armi vere.
Una nave tedesca non avrebbe scampo!
Mi siedo sopra delle corde e mi reggo forte perchè
ho paura di scivolare. Tira vento. Mentre mi
abbottono il golfino rabbrividisco.
- Guardate, adesso si vede anche l'altro lato della
rocca. Paolo passami il binocolo.
Mio fratello guarda per primo, poi a turno anche
noi. Io non riesco a vedere bene. Per il movimento
della nave le immagini si confondono, sono come
sfuocate.
- Tra poco si dovrebbe entrare nel mar Mediterraneo.
Lo sentite il vento che soffia da nord?
- Ma come fai a dire che si entra in un altro mare?
A me sembra sempre il solito.
- Anna Maria il mare è lo stesso, cambia solo il
nome. E'una questione di geografia. Quando sarai più
grande lo studierai a scuola. Ragazzi, quelle onde
al largo non promettono niente di buono. Noi stiamo
andando in quella direzione e tra poco il mare sarà
molto mosso.
- Oh, no! Non ho più voglia di vomitare. Solo a
pensarci mi gira la testa. Ho freddo.
- Per forza, non siamo più in Africa. Qui a gennaio
è già inverno.
Mio fratello ha sempre una risposta pronta per ogni
domanda. Interviene Maria Pia che fino a quel
momento era rimasta accucciata vicino a me senza
parlare, ma si capiva che era un po' preoccupata
anche lei.
- Lo sapete che giorno è domani?
- Lo sanno tutti, dai. Domani è il sei gennaio, la
festa della Befana.
- Domani nel salone l'equipaggio festeggerà con i
passeggeri la festa della Befana Fascista. Me lo ha
detto la maestra che ci ha fatto preparare i canti e
una poesia da recitare davanti alle autorità. Dopo
la cerimonia le Crocerossine distribuiranno i regali
sia per i grandi che per i bambini.
Maria Pia ha tre anni più di me, fa la terza
elementare. Durante il viaggio ha frequentato la
scuola insieme a tanti altri bambini. Io non vado a
scuola perché non ho ancora sei anni, però gioco con
lei alle maestre. Così ho imparato a scrivere e a
leggere un po' e a contare i numeri fino a venti.
- Non è come andare alla scuola vera, ma almeno le
giornate passano meglio. A giugno voglio essere
promossa in quarta. Mi dispiacerebbe perdere un anno
scolastico per colpa della guerra.
- Non faranno certo come vuoi tu. Purtroppo in
guerra ci rimettono tutti, anche chi non ha nessuna
colpa. Guarda cosa è successo alle nostre famiglie.
Abbiamo lasciato tutto all'Asmara, hanno tenuto
prigionieri i nostri babbi e su questa nave ci sono
solo donne, vecchi e bambini. E come bagaglio, una
valigia per uno!
- Povero babbo. Mi manca tanto. Chissà quando potrò
rivederlo.
- Non ti lamentare. Siamo fortunati ad essere sempre
vivi, mentre tante altre persone sono morte.
- Speriamo che a nessuno venga in mente di
scambiarci per nemici.
- Stai tranquilla, le navi della Croce rossa sono
ben riconoscibili e viaggiano sempre illuminate
giorno e notte.
- E se c'è un pilota che non conosce il rosso,
magari ci bombarda!
- Paolo, sei sempre il solito spiritoso! Torniamo
dentro. Le mamme staranno in pensiero e forse sono
venute a cercarci.
Pronti per l'inverno
- Maria Pia io non ci vado sul palco se non vieni
con me.
- Come faccio a venire con te. La maestra ci ha
detto che chiameranno in ordine alfabetico. Il mio
cognome è Bertolotti e comincia con la B. Il tuo è
Cecconi e comincia con la C. La B viene prima della
C perciò dovrò andare prima di te.
Maria Pia è la mia migliore amica. La conosco fin da
quando sono arrivata all'Asmara. Ha tre anni più di
me. E' alta, magra, con i capelli corti e una
frangia che le copre tutta la fronte. Quando sorride
strizza gli occhi che sono profondi e gentili. In
questi ultimi tempi è cresciuta così tanto che la
gonna, rimasta corta, le scopre due gambe magre,
senza muscoli. La mamma dice che è giudiziosa e
paziente, infatti sopporta sempre tutti i miei
capricci. La sua famiglia ritorna a Reggio Emilia
dove l'aspettano i nonni materni. Anche i miei nonni
ci aspettano ed io non vedo l'ora di riabbracciarli.
- E' inutile, non mi convinci con l'ordine
alfabetico.
- Farò quello che posso ma non devi avere paura. La
crocerossine non ti mangiano davvero. Tu fai la
prepotente con chi conosci bene e poi sei timida con
tutti gli altri!
- Bambine, siete pronte? Ci chiamano nel salone
grande.
Mentre l'alto parlante impartisce informazioni ci
dirigiamo verso i luoghi indicati. A metà della sala
ci fermiamo. La mamma e al signora Elda si siedono
vicine e noi bambine ci mettiamo lì accanto. I
nostri fratelli maggiori, che sono coetanei, stanno
dietro e Mario, mio fratello piccino è in braccio
alla Tata che sta accanto a loro. C'è tanta gente
che parla ad alta voce, all'apparenza sembra
allegra. Tutto sommato è un giorno di festa.
Quando inizia la cerimonia tutti si zittiscono:
discorsi ufficiali inneggianti al Regime,
recitazione delle poesie, canti della patria.
- Ma non la finiscono più? - La mia voce è un
sussurro all'orecchio della mia amica. - Io mi sto
annoiando.
- Psss…Zitta che ci sentono. Li vedi quegli
scatoloni? Guarda quanti pacchi dovranno
distribuire.
- Cosa ci sarà dentro?
- Abbi pazienza e lo scoprirai.
Finiti i canti si fa il saluto al Duce, tutti con la
mano destra alzata. Poi le famiglie chiamate salgono
sul palco mentre le crocerossine distribuiscono i
pacchi dono. Alla fine tutti si allontanano tra la
generale confusione. Io apro il mio pacchetto piena
di emozione e di curiosità.
- Mamma, guarda! Mi hanno dato un bambolotto di
celluloide. Muove le gambe e le braccia, può stare
anche a sedere. Non è una meraviglia? In confronto
alla bambola di cencio che avevo prima, lui è
bellissimo. Però lo hanno vestito da femmina. Per me
un bambolotto è maschio e invece gli hanno messo una
gonna e una camicia a quadrettini rosa, le mutande
bianche e le scarpe nere.
Le scarpe si infilavano e si sfilavano con troppa
facilità, così ben presto ne persi una e non la
ritrovai mai più. Ci fu un continuo via vai tra le
nostre cabine che erano contigue e un continuo
mostrarci gli oggetti.
Nel mio pacco c'erano anche dei dolci e della
cioccolata vera, non come quella a fettine che ci
davano spesso per merenda. Per tutta la famiglia
c'erano vestiti pesanti, maglie, gomitoli di lana e
coperte.
- Pia, perché io ho avuto un bambolotto piccino e te
una bambola grande?
- Non lo so. Forse hanno dato i regali pensando
all'età. Mario ha avuto un carrettino di legno, noi
femmine le bambole e per i nostri fratelli grandi ci
sono stati dei libri. E poi hanno fatto bene a darci
dei vestiti pesanti. Sentirai che freddo, quando
arriveremo in Italia.
- Vieni a provarti questa gonna?
Era una gonna a pieghe di lana scozzese che però mi
arrivava fino alle caviglie. Mentre la provavo ero
imbronciata.
- Non vado in giro vestita così.
- Alla tua età si cresce in fretta. - La voce della
mamma voleva mitigare la mia delusione.- E poi
cucirò un orlo per accorciarla al punto giusto. Sei
contenta?
- Uhm.. Perché questa gonna non la prende la Pia?
Lei è più alta di me perciò le potrebbe stare bene.
A me invece piace molto il suo cappotto blu. Per
caso non ti sta un po' stretto vero?
Allora si decide di far scambio di indumenti e tutte
due ci sentiamo molto eleganti con i nostri nuovi
vestiti.
- Mamma, bisognerebbe vestire un po' meglio anche
lui! Se ti avanza un po' di lana potresti farmi un
paio di calzoncini, una maglietta e un cappellino
con il pon pon?
- Certamente, così bambine e bambolotti saranno
pronte per affrontare l'inverno.
In porto
- Stiamo entrando nel porto di Brindisi. Tra poco la
nave attraccherà alla banchina.
- E' qui che scendiamo?
- No. Qui scendono solo le famiglie dirette verso le
città e i paesi dell'Italia meridionale. Quelli che
vanno al Nord e noi del centro scenderemo a Venezia
e poi andremo a Firenze.
Ancora qualche giorno di navigazione e saremo
arrivati. Stiamo navigando nel mar Adriatico.
- Perché cambi sempre il nome del mare? Siamo
partiti col mare azzurro come il cielo e un bel sole
caldo mentre adesso che stiamo per arrivare il mare
è grigio come il cielo e per di più piove.
- Se vuoi venire con me sul ponte B si vede la
passerella di sbarco.
L'alto parlante lancia ordini in continuazione " I
passeggeri si rechino verso le passerelle. Procedete
con calma. Restate uniti con i vostri bagagli al
fianco. I marinai e le crocerossine vi aiuteranno,
specialmente le donne con i bambini piccoli e gli
anziani".
- Stai vicina a me. Non vorrai perderti proprio
adesso.
Anche se la gente è in fila c'è lo stesso una gran
confusione. Per un po' resto a guardare quell'andirivieni
con il mento appoggiato sul parapetto, ma c'è troppo
freddo a dico a Luciano che voglio rientrare. Nel
salone le mamme stanno salutando la signora
Scarpulla e suo figlio Armandino. Devono sbarcare
perché vanno a Catania. Si abbracciano commosse. La
signora abbraccia forte anche me.
- Non dimenticarci. Appena finita la guerra ci
ritroveremo.
- Si signora. Addio Armandino. Scusa se ti ho fatto
i dispetti.
Mentre lo saluto guardo i suoi occhi neri, la sua
faccia pallida e sento che le sue mani sono fredde.
All'improvviso mi sembra di aver perso al voce. Non
so più cosa dire. Li seguo mentre si allontanano,
poi mi avvicino a Maria Pia.
- Credi che Armandino guarirà?
- Sì, se riescono a trovare un ospedale. Emidio che
vuol fare il dottore mi ha detto che debbono fare in
fretta. Ma io non so che malattia abbia.
- I grandi sono sempre misteriosi. Non potrebbero
spiegarsi meglio sulle malattie?
- Pensano che noi bambine non si capisca niente.
Invece si capisce, eccome!
- Mamma non voleva che lo toccassi tanto e
soprattutto che lo baciassi. Però la sera, quando
andavo a letto, mi faceva dire una preghiera a Gesù
perché lo facesse guarire.
- Poveretto, speriamo. Senti, ti va di disegnare un
po'?
- Va bene, così si passa meglio il tempo. Porta la
roba e andiamo a quel tavolino laggiù.
- Lo vuoi il mio quaderno a quadretti e questo libro
di classe prima? Ti posso dare anche un astuccio con
le matite colorate. Così quando non saremo più
insieme ti ricorderai di me.
- Grazie. Ma io cosa ti posso regalare? La vuoi
questa collana di perline? Io ne ho un'altra
scatolina piena e le posso infilare quando voglio.
- Volentieri. Legamela intorno al collo. Guardandola
mi ricorderò di te.
Fatto questo scambio di doni ci mettiamo a disegnare
e poi ci regaliamo anche i disegni. La mamma mi
aveva cucito una borsetta di stoffa colorata che
potevo tenere a tracolla e per un po' di tempo la
usai per conservarci le cose che mi erano
particolarmente care.
Da quel pomeriggio passò forse una settimana e poi
finalmente arrivammo a Venezia. Già dal giorno prima
avevamo preparato i bagagli, (pochi in verità, una
valigia per ciascuno e qualche pacchetto) , messo in
ordine la cabina e controllato che nessuno avesse
dimenticato qualcosa.
Io tenevo a tracolla la mia borsetta con i regali di
Maria Pia e in braccio il mio bambolotto. Alla fine
indossava un paio di calzoncini e un gilè fatto con
gli avanzi di lana uguali al mio golfino. Tutti i
passeggeri erano pronti per sbarcare. Gli
altoparlanti davano ordini, dicevano dove andare, ma
anche se invitavano alla calma c'era molta
confusione.
Prima di uscire all'aperto avevo indossato dei
vestiti pesanti: il cappotto, un paio di calzettoni,
i guanti con un dito solo e il berretto con il pon
pon legato sotto la gola. La signora Bertolotti con
quel suo accento romagnolo diceva sempre.
- La tua mamma ha le mani d'oro. Dalle dei ferri da
calza e della lana che ti riveste completamente!
Diceva le parole strascicando la voce e io mi
divertivo a farle il verso quando lei non c'era.
Firenze
- Vieni a vedere. Nevica!
- Nevica! E' così la neve? Quando guardavo le foto
sul tuo libro di scuola non riuscivo ad immaginare
che cadessero tutti questi fiocchi bianchi. Ah! Mi
entrano dappertutto. Se apro la bocca li mangio come
un gelato.
- Si stanno cadendo fitti, fitti. Torniamo dentro,
adesso. Se ci bagniamo le mamme ci brontolano.
- Non voglio venire dentro, voglio rimanere qui ed
essere ricoperta come un pupazzo di neve.
Qualcuno mi dette uno strattone e mi portò via. Era
arrivato il momento di sbarcare e quando toccò a noi
a camminare sulla passerella avevo tanta paura. Non
potevo guardare in basso perchè mi sembrava di
cadere in mare e non potevo guardare neppure in alto
perché la neve mi bagnava la faccia. Tenevo stretta
la mano di mio fratello e seguivo la mamma che
portava due valigie. Dietro di noi la Tata teneva
Mario in braccio.
I marinai e le crocerossine ci aiutarono a scendere
sul molo. Non so come, ma ci ritrovammo alla
stazione ferroviaria davanti ad un treno e poi
dentro uno scompartimento.
- Sedete qui, bambini. Non vi muovete finché non
abbiamo sistemato i bagagli e non disturbate gli
altri passeggeri. Luciano metti le valigie sotto i
sedili, i cappotti e le borse nelle reticelle.
- Mamma, perché Maria Pia non è qui con noi? Voglio
andare a trovarla.
- Adesso non possiamo muoverci. Loro sono in un
altro vagone e come vedi è difficile spostarsi.
Eravamo in otto dentro lo scompartimento ma anche i
corridoi erano pieni di borse e valigie. Passarono a
darci delle coperte e dei cestini con i viveri. Era
già notte quando il treno si mosse. Tutti i vagoni
erano illuminati, si doveva viaggiare così perché il
treno non venisse bombardato. Fuori era buio. Ogni
tanto si sentiva un fischio e il rumore delle ruote
sui binari. La neve che si scioglieva sul vetro dei
finestrini scivolava in lenti goccioloni.
- Mamma ho fame. Possiamo mangiare qualcosa?
- Guardiamo. Pane, formaggini, fruttini di
marmellata e cioccolata da spalmare. Cosa vuoi?
- La cioccolata col pane, un fruttino e un po'
d'acqua.
La mamma mi aveva tolto le scarpe perchè erano
bagnate, così dopo mangiato mi rannicchiai sotto una
coperta. Avevo freddo e sonno. Mi addormentai con la
testa appoggiata sulle sue ginocchia tenendo le mani
sotto la guancia per scaldarmele un po'.
- Anna Maria svegliati, siamo arrivati. Dobbiamo
scendere. Mettiti le scarpe, il cappotto e prendi la
tua borsa.
- Oh come sono indolenzita! E mi fa anche male una
spalla. Luciano per favore mi leghi le scarpe e poi
mi porti a salutare Maria Pia?
- Non è possibile, noi ora siamo a Firenze e loro
sono scesi a Bologna. La Pia mi ha detto di
salutarti e di abbracciarti forte. Vuole che tu
conservi i suoi regali perché lei conserverà il tuo.
- No, non è possibile. Perchè non mi hai svegliato?
E quando la rivedrò?
- Non lo so. C'è la guerra. Ora non si può
viaggiare. Forse dopo, quando sarà tornato il babbo.
Strinsi forte i pugni e le labbra mentre le lacrime
cominciarono a scendere giù.
- Che fai? Piangi?
- Lasciami stare, pensa per te. Voglio piangere da
sola.
Sentivo tanto male alla gola che non potevo nemmeno
singhiozzare. Il dolore dentro era tanto forte ma
fuori si vedevano solo lacrime. Il treno si fermò.
La gente scese in fretta. Passeggeri e bagagli si
ammucchiarono sul marciapiede bagnato. A Firenze
pioveva.
In quella confusione - chi chiamava, chi cercava,
chi si spostava di qua e di là - nessuno faceva caso
ad una bambina che si asciugava gli occhi con la
manica del cappotto. Non sapendo da che parte andare
stavamo fermi tutti insieme in attesa di una
decisione.
- Elide, bambini, siamo qui.
- Tina, Guido, finalmente! Bambini salutate gli zii.
Lo zio Guido Volpini, il fratello minore del mio
nonno e sua moglie Tina stavano abbracciando i
componenti di una famiglia di profughi rimpatriati
dall'Asmara, capitale dell'Eritrea, un impero
crollato come un castello di carta durante la
seconda guerra mondiale.
Era il 14 gennaio del 1943, pochi giorni prima del
mio sesto compleanno. A quel tempo
chi avrebbe potuto prevedere che vent'otto anni più
tardi avrei sposato il figlio dei coniugi Volpini?
Anna Maria Cecconi Volpini
Marzo 2006
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