|
|
Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Megghiu porcu ca surdato
di Ballecca,
Lido Rex di
Giuseppe Costantino Budetta,
Dialogo tra un
italiano e un immigrato di Marcellino
Lombardi, Un racconto di Natalia Radice,
Pianeta originario di Natalia Radice,
Cerando
un decalogo di Stefano Carlo Vecoli (vincitore
del concorso letterario S. Mauro),
Giovedì, 31 agosto 1943 di Zelda
S.Zanobini
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, in lingua diversa
dall'italiano, purché rispettino i più
elementari principi morali e di decenza...
poesie di Lucia
Dragotescu, Emanuela
Ferrari, Manuela Léa
Orita, Iuri Lombardi,
Anna Maria Volpini
Recensioni
In questo numero:
- "Pensieri di una donna qualunque" di Amanda
Nebiolo, nota di MassimoAcciai
- "Un prete in Paradiso" di Luciano Ragni,
nota di Paolo Ragni
- "Il salottino degli ospiti invisibili" di
Maria Pia Moschini, nota di Massimo Acciai
- "Non abbiamo potuto essere gentili" di Marco
Palladini, nota di Enrico Pietrangeli
- "Viaggio nel passato" di Marco Pezza, nota
di Massimo Acciai
- "La guerra del Vietnam attraverso la stampa
cattolica italiana" di Maria Ianniciello
- "Bentornato galateo" di Alberto Presutti
- "Camere e frontiere" di Maria Antonietta
Tardone, nota di MassimoAcciai
- "Cambio di luci" di Maria Lenti
- "Prove di felicità a Roma est" di Roan
Johnson, recensione di Ilaria Mainardi
Arte in cucina
Interviste
Incontri nel giardino
autunnale
Saggi
|
|
Avevano viaggiato con un furgone
fino a che la striscia d'asfalto non era finita.
Le ultime centinaia di metri erano la strada
principale dell'ultimo centro abitato, un paesino ai
margini delle terre selvagge.
Spesso giungevano lì ricercatori, giornalisti e
viaggiatori in cerca d'avventura.
Perciò nessuno fece caso al loro arrivo.
Si erano fermati qualche giorno in un casa in
affitto. Avevano scaricato l'attrezzatura al buio e
si erano fatti vedere poco in giro, per paura di
essere riconosciuti.
Poi l'inquietudine aveva preso forma nei loro
pensieri, ed erano ripartiti.
Ma, a differenza di quanto pensavano i locali, non
erano tornati a casa.
Erano entrati nell'area proibita.
Quando si fece l'alba, i due uomini stavano
camminando già da un paio d'ore. Si erano preparati
ed erano partiti in silenzio. Sempre in silenzio
avevano attraversato la foresta, poi una piana
ghiaiosa, il letto morto di un antichissimo fiume.
Ed infine erano giunti alle terre gibbose, un
susseguirsi a perdita d'occhio di avvallamenti e
rigonfiamenti di roccia fusa, liscia e scura.
Un timido sole aveva rischiarato per pochi istanti
quella visione, e riacceso i ricordi.
Poi, insieme alle nuvole, era arrivata
l'apprensione, la consapevolezza che il momento
della prova era ormai vicino.
Ripresero il cammino, a passi decisi e parlando
forte, colti da un attacco di scaramantica euforia.
Il primo tentativo era fallito portandosi via tre
compagni. Ma ora no, si sentivano pronti.
Conoscevano il loro nemico e, questa volta,
avrebbero vinto loro.
Era il sogno di una vita ed era la loro vendetta. Si
erano preparati con cura maniacale per questo
momento.
Percorsero l'ultimo tratto quasi correndo per
l'ansia e l'eccitazione di essere arrivati.
Quando la videro, provarono un senso di liberazione
e di terrore.
In una vasta depressione del terreno giaceva una
forma lunga ed arrotondata, fatta di una materia
totalmente diversa da tutto ciò che la circondava,
una roccia di provenienza e composizione
sconosciuta.
Per tutta la sua lunghezza, era percorsa da profonde
e strette spaccature, come dei crepacci, quasi che
fosse una viscera della terra, lievitata fino alla
superficie e crepatasi nello sforzo di uscire fuori.
Ed, in effetti, i due uomini supponevano che fosse
davvero quella la sua natura.
Scesero dall'ultima collina ed arrivarono a lei.
Salirono sulla sommità, poi si posizionarono proprio
in prossimità della spaccatura centrale, che
percorreva quasi tutto il dorso del corpo roccioso
nel senso della lunghezza.
Si guardarono e si abbracciarono.
Poi aprirono gli zaini e ne trassero due lunghe
corde, alle quali agganciarono una sonda di metallo.
Avevano a lungo discusso delle caratteristiche che
avrebbe dovuto avere quella sonda. L'avevano
progettata loro e fatta realizzare appositamente.
Si misero uno di fronte all'altro. In mezzo la
spaccatura, nera, non più larga di un metro.
Fissarono le corde ad un gancio in vita. Cercarono
di far presa il più possibile con le suole degli
scarponi sulla superficie, a gambe larghe, ed
afferrarono le corde con le mani protette da spessi
guanti.
A quel punto calarono la sonda.
Sentirono subito le vibrazioni, un leggero muggito
in profondità.
Qualcosa aveva avvertito la loro presenza e si era
svegliato.
Continuarono a far scendere la sonda, sempre più
giù, lentamente.
La tensione cresceva, mentre il cielo si faceva
rosso, l'aria fredda ed il tempo ad un certo punto
sembrò fermarsi.
Le corde continuavano a scivolare nella crepa nera
ma non succedeva nulla.
Sembrava che la sonda avesse perso peso, temettero
che si fosse incastrata in qualche strettoia.
Poi all'improvviso la roccia cominciò a tremare
violentemente, a scuoterli come se volesse
scrollarseli di dosso. Vennero dapprima sbalzati
via, poi ricaddero a terra e si sentirono trascinare
per la vita verso la spaccatura. Cercarono
disperatamente di puntellarsi, di rialzarsi.
Nonostante la loro resistenza, l'essere li attirava
a sé e giunsero a pochi centimetri dal baratro.
- Non sganciare la corda, Paulo, non sganciare la
corda!!
Paulo guardò il suo compagno e tolse la mano dal
gancio. Strinsero i denti e, dopo qualche secondo,
inspiegabilmente i movimenti tellurici ed il
trascinamento verso il basso cessarono.
Paulo fece per rialzarsi e rimettersi al lavoro,
quando David cominciò ad urlare, con gli occhi
spalancati.
- E' pieno di serpenti qui! Cristo santo, dobbiamo
andare via!
- Cosa stai dicendo, David? Non c'è nessun serpente!
Calmati, David, ti prego!
David saltava ossessivamente di qua e di là, si
agitava, poi si buttava per terra colto da
convulsioni.
Si era annodato la corda varie volte attorno al
corpo e muovendosi in modo sconclusionato rischiava
di cadere in qualche crepaccio.
- David… - proseguì Paulo, con dolcezza - qui non ci
sono serpenti…e, anche se ci fossero, abbiamo
portato il siero, ricordi?
A quelle parole David si calmò, rimase accasciato al
suolo per qualche minuto e, piano piano , riprese il
controllo.
Faticosamente, i due sbrogliarono le corde e si
rimisero all'opera.
La sonda si sentiva ancora. Oscillava in profondità.
Scendendo, la fenditura si allargava sempre più e si
aveva la sensazione che la sonda fosse entrata in
una caverna sotterranea.
Era giunto il momento di fare il prelievo.
Paulo estrasse dalla tasca un telecomando ed attivò
l'apertura della sonda.
Di nuovo la terra cominciò a tremare, a scuotersi.
L'essere riprese a tirarli giù con forza.
La lotta si fece estenuante. Paulo e David avevano
la schiena e le gambe doloranti, avevano perso la
sensibilità alle mani e dovevano rimanere
concentrati per non essere di nuovo colti da
allucinazioni.
Sentirono la sonda che penetrava in una sostanza
gelatinosa. Poi il segnale che il prelievo era
avvenuto e la sonda si era richiusa.
Un grido acuto, straziante, si levò dalla caverna e
gelò loro il sangue.
Allora si misero ad urlare, per lo sforzo di
riportare in superficie la sonda.
Dopo l'urlo, una sorta di pianto sommesso.
L'essere era stato violato e vinto, e non si muoveva
più.
I due uomini tiravano le corde e la sonda risaliva
lentamente verso di loro.
Con le bocche spalancate, ansimando, riuscirono
finalmente a riportala all'ingresso della
spaccatura.
La afferrarono. Quella cosa era loro. Volevano
toccarla, sentirla nelle loro mani, possederla.
Ma quasi non osarono guardarla.
La chiusero in una cassa nera.
Sulla strada del ritorno non festeggiarono,
guardarono solo fisso davanti a loro.
Abbandonarono quel luogo fino ad allora
incontaminato senza mai voltarsi indietro.
|
|
|