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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Megghiu porcu ca surdato
di Ballecca,
Lido Rex di
Giuseppe Costantino Budetta,
Dialogo tra un
italiano e un immigrato di Marcellino
Lombardi, Un racconto di Natalia Radice,
Pianeta originario di Natalia Radice,
Cerando
un decalogo di Stefano Carlo Vecoli (vincitore
del concorso letterario S. Mauro),
Giovedì, 31 agosto 1943 di Zelda
S.Zanobini
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, in lingua diversa
dall'italiano, purché rispettino i più
elementari principi morali e di decenza...
poesie di Lucia
Dragotescu, Emanuela
Ferrari, Manuela Léa
Orita, Iuri Lombardi,
Anna Maria Volpini
Recensioni
In questo numero:
- "Pensieri di una donna qualunque" di Amanda
Nebiolo, nota di MassimoAcciai
- "Un prete in Paradiso" di Luciano Ragni,
nota di Paolo Ragni
- "Il salottino degli ospiti invisibili" di
Maria Pia Moschini, nota di Massimo Acciai
- "Non abbiamo potuto essere gentili" di Marco
Palladini, nota di Enrico Pietrangeli
- "Viaggio nel passato" di Marco Pezza, nota
di Massimo Acciai
- "La guerra del Vietnam attraverso la stampa
cattolica italiana" di Maria Ianniciello
- "Bentornato galateo" di Alberto Presutti
- "Camere e frontiere" di Maria Antonietta
Tardone, nota di MassimoAcciai
- "Cambio di luci" di Maria Lenti
- "Prove di felicità a Roma est" di Roan
Johnson, recensione di Ilaria Mainardi
Arte in cucina
Interviste
Incontri nel giardino
autunnale
Saggi
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1. Prof Vanolo mi può definire
che cosa significa per un geografo studiare "lo
spazio industriale"?
In generale, in geografia si studia la "forma" che
un certo fenomeno assume nello spazio. In questo
caso, si tratta essenzialmente di analizzare
l'industria: come si distribuisce, come si relaziona
con il territorio, quali fenomeni sociali riverbera
intorno a sé. Si possono quindi individuare
molteplici dimensioni d'analisi, a seconda dei vari
filoni di studio della disciplina. Per esempio, uno
dei primi problemi analizzati dalla geografia
economica ha riguardato la questione della scelta
"ottima" per la localizzazione di uno stabilimento
industriale. Ma è possibile per esempio interrogarsi
su come l'industria possa influenzare lo sviluppo
delle città (per esempio il rapporto fra la crescita
della Fiat e lo sviluppo di Torino), oppure come i
circuiti del capitale e della produzione possano
ridisegnare lo spazio mondiale, relegando alcune
regioni del pianeta in una posizione "periferica".
2. In questi ultimi anni di crisi economica quali
sono i più significativi fenomeni che si sono
verificati sul paesaggio industriale italiano?
Non saprei dare una risposta "scientifica", perché
non mi occupo di questo tema. Dal punto di vista
industriale, la mia impressione è che la crisi
economica più recente abbia semplicemente accelerato
alcune tendenze già in atto da molti anni: le
peculiarità del capitalismo italiano hanno
consentito un grande sviluppo negli anni del boom
nel dopoguerra, ma si rivelano inadatte a
fronteggiare gli scenari più recenti. Per esempio,
l'organizzazione dell'economia in tessuti di piccole
imprese radicate in alcuni luoghi, ossia il
"capitalismo di territorio" caratteristico dei
distretti industriali, nel passato ha conferito una
grande vitalità al sistema produttivo del paese.
Negli anni 80, studiosi di tutto il mondo guardavano
con interesse ai distretti industriali italiani, un
po' come oggi accade con la Cina. L'economia di
questi tessuti produttivi era tradizionalmente
organizzata in rapporti funzionali di cortissimo
raggio, basati su relazioni con fornitori e clienti
fortemente radicati nel territorio locale: la
circolazione di idee, capacità, capitali, tecnologie
spirito imprenditoriale e capitale sociale (fiducia)
in uno spazio circoscritto ha costituito
tradizionalmente la base di questo sistema. Oggi le
relazioni alla base di questi meccanismi si sono
però frantumante; in altre parole, il capitalismo
fatto esclusivamente di reti di corto raggio sembra
oggi "inadeguato": da un lato, le conoscenze e il
"saper fare" locale che avevano costituito la chiave
del successo paiono insufficienti per competere in
uno spazio globale; dall'altro lato, i volumi di
produzione realizzabili su scala locale o nazionale
sono anch'essi inadatti per uno scenario economico
sempre più "aperto" al resto del mondo. L'economia
dei distretti di imprese di piccola e media
dimensione si trova così oggi a trasformarsi e a
operare in uno spazio "dei flussi" di scala
geografica assai più ampia, fatta per esempio di
relazioni con le economie emergenti, con l'Est
europeo, con l'estremo Oriente. Ne emerge una
geografia delle relazioni estremamente complessa che
opera contemporaneamente a scale geografiche e
funzionali differenti, con evidenti effetti sul
territorio: per citarne uno dei più visibili, una
diffusa deindustrializzazione, già in atto da anni.
3. Di conseguenza che cosa cambia per lo
studioso?
La geografia alla base di questi fenomeni deve
essere "reinventata". Da un lato, persistono le
tradizionali relazioni di prossimità fra imprese,
territorio, soggetti e culture locali (come la
matrice "distrettuale" del capitalismo latino).
Dall'altro lato, le relazioni fra imprese
travalicano lo spazio locale, per riferirsi a luoghi
molto distanti. E, nel mezzo, alcuni spazi giocano
un ruolo "intermedio", di "gateway". Si pensi al
caso di Milano, probabilmente il più importante
centro urbano del paese per quanto riguarda le
possibilità di interconnessi a reti della
tecnologia, della moda, della conoscenza, della
finanza di livello continentale.
4. Ricerca e innovazione sono il futuro. Cosa
rimane del passato, forse e solo la classe operaia?
Effettivamente uno dei pochi temi su cui esiste
consenso fra tutti i dibattiti scientifici
(economia, geografia, sociologia) è la centralità
dell'innovazione. Non solo quella tecnologica: anche
la creatività e l'innovazione "sociale" (l'evolversi
verso modi più efficaci di gestire la politica, per
esempio) sono altrettanto importanti. Al tempo
stesso, non si può pensare che la realizzazione
della "società della conoscenza", per usare
un'espressione molto diffusa, possa comportare la
"riqualificazione" di tutti i segmenti della
società. Da un lato, molti settori economici sono
ancora organizzati in maniera estremamente
"tradizionale"; dall'altro lato, è semplicemente
impensabile che "tutti" possano o riescano a
riconvertirsi ai mestieri della conoscenza. In
questo senso, credo rimanga ancora molto del
"passato". Ma, per assurdo, temo che la stessa
"classe operaia" di cui parlava non esista più in
senso stretto, e non tanto perché il numero degli
operai è diminuito: è il concetto di "classe",
intesa come un gruppo relativamente omogeneo,
politicamente orientato e con una identità comune, a
essere inesorabilmente in crisi.
5. quali sono i provvedimenti che uno stato
dovrebbe adottare per aiutare l'industria?
Non saprei. Naturalmente incoraggiare l'innovazione
è di primaria importanza, ma d'altro canto è un'idea
così comune da diventare "post-politica":
sostanzialmente sono tutti d'accordo, a destra come
a sinistra. Il problema è piuttosto trovare la
maniera per conseguire questo obiettivo; per
esempio, non sono sicuro che una politica di
sostegno al settore dell'auto travestita da politica
ambientale (gli "ecoincentivi") sia realmente in
grado di produrre un'evoluzione qualitativa. Ed
esistono mille esempi di retorica politica
strumentale a interventi assai miopi, probabilmente
destinati a favorire ristette élite: si pensi a come
la speculazione dei decoder digitali sia stata
"venduta" come politica tecnologica, alla
privatizzazione dell'acqua, ai continui tagli alla
scuola mentre si annuncia la ridicola iniziativa dei
"buoni vacanza" per le famiglie più povere, pura
demagogia. Tutte queste, naturalmente, non sono
questioni strettamente "industriali", ma temi come
la formazione scolastica e l'integrazione sociale
giocano un ruolo di primo piano rispetto alle
dinamiche dell'economia, nel lungo periodo. Occorre
infatti trovare interventi radicati e compatibili
con le esigenze e le dinamiche evolutive della
società: l'industria non è un qualcosa di
"superorganico", ossia "esterno" alle vite dei
lavoratori, all'ambiente, al welfare e ai più ampi
obiettivi di sviluppo umano, ma parte di un unico
ecosistema.
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