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Intervista a Francesco Panizzo:
il teatro radice di un impegno artistico
Si è laureato in Discipline
della arti della Musica e dello Spettacolo a
Firenze. Stiamo parlando di Francesco Panizzo. Oggi
propone un progetto teatrale particolare, originale
e quanto mai unico. Si parte dalla sua tesi "Il
manque à être di J.Lacan, nella poetica di J.
Grotowski & C.Bene". Si dedica all'arte teatrale e
attoriale da sempre tanto da affermare alla domanda
se il teatro sia arte formativa o performativa: "non
è il frutto che dipende dall'albero ma l'albero che
dipende dal frutto …" E' già autore di diverse opere
e ha un percorso letterario artistico interessante
da portarlo a riprendere le parole di Warhol: "nel
mondo d'oggi, già previsto da Warhol quando parlava
del quarto d'ora di celebrità possibile a chiunque,
non posso certo lamentarmi di non aver raggiunto lo
stesso record".
Lo abbiamo intervistato per meglio conoscerne la
poetica e l'idea di arte.
1. Francesco Panizzo, sei autore di due opere
pubblicate anche sulla nostra rivista, I peccanti e
L'eredità di tutti. Che cosa è avvenuto da quel
momento a livello letterario?
Se vuoi sapere cosa è cambiato, posso dirti di non
aver avuto molti feedback come riscontri diretti ma
indirettamente questo ha decisamente contribuito a
farmi inserire in un contesto diverso da quello che
avevo vissuto fino a poco prima.
Per quanto concerne le esperienze fatte da allora in
poi si può parlare di piccoli saggi, qualche poesia
e una prima pubblicazione di ciò che era la mia tesi
prima che la modificassi per un libro che ho
titolato Quel Me Smedesimo. Il tutto è condito da
qualche intervista e alcune conferenze che propongo
per divulgare il mio lavoro.
Difficile dire che quanto fatto finora abbia
provocato delle modifiche a quanto costruito e
voluto fin dall'inizio. Certamente ogni giorno
integro il mio percorso di nuove esperienze
soprattutto di conoscenze che arricchiscono le
sorprese e le belle scoperte presso ogni passo che
lancio. Il segreto è la pazienza e la veridicità
delle relazioni. La stessa letteratura che esperisco
viene condizionata da questa rete di rapporti. Non
nascondo uno scetticismo di base sulla innumerevole
quantità delle proposte letterarie e sulla
complessità di gestirne il valore a tutti i livelli.
2. La tua tesi: di cosa tratta? In che cosa
consiste?
Il titolo, Il manque à être di J.Lacan, nella
poetica di J. Grotowski & C.Bene, potrebbe essere
più esaustivo di lunghe trattazioni. Ma in realtà
questo è quello che sarebbe bello accadesse. Sono
ben conscio della particolarità della tematica e
della nicchia di interesse a cui può andare
incontro; prognosi riservata di molte tesi presso le
facoltà o nomi di studiosi che si rispettino. Posso
riassumere il suo contenuto dicendo che tratta il
linguaggio, dei suoi limiti e della sublime risposta
che figure come Jacques Lacan, Jerzy Grotowski e
Carmelo Bene hanno rilasciato grazie la loro intera
vita e non solamente al secolo del novecento. La
tesi mette in discussione le scoperte e i rapporti
fra queste personalità che, affrontando forme
espressive in modo diverso, sono partiti da un
assunto decisamente importante anche per le nuove
generazioni.
3. Approfondisci la poetica di Carmelo Bene e di
Jerzy Grotowski: quanto di attuale sussiste dei due
autori nella nostra cultura post contemporanea,
quali sono le connessioni tra i due autori e,
soprattutto, perché parlare oggi di questi due
autori?
Oggi ci sono molti epigoni per ogni specialità, è
giusto che così sia vista la difficoltà di superare
una generazione di "santi folli" quale quella appena
o quasi del tutto salutata, una generazione figlia
di fiori sempre più resa nostalgia nei nostri
progetti. Certo che se si volesse davvero rispettare
quanto fatto non si dovrebbe copiare a pappagallo,
anzi anche sconvolgere quanto proposto soprattutto
dai più grandi può diventare una base di ricerca,
certo che ciò è ammesso se non ci s'impone di
trovare a ogni costo una meta. "Trova il maestro e
uccidilo", dice la massima tibetana "altrimenti non
sparare", io aggiungerei. Quanto questi geni hanno
fatto non lo si è ancora capito o scoperto del
tutto, ma questo mi spinge solo a continuare e
sempre in loro rispetto. Il presupposto che abbiano
delle connessioni parte appunto da una concezione di
approccio al mondo della comunicativa e
dell'espressione umana, prima che da un risultato
accomunabile fra i loro lavori. Tutti sono partiti
dalla messa in discussione del prevaricante ruolo
dato all'identità delle persone, favorendone
l'esautorazione e l'apertura a nuovi stili di
pensiero, azione e operato. Potremmo dire, a un
"uomo nuovo". Mi chiedi cosa sussiste dei due autori
nella nostra cultura post contemporanea: il
Workcenter degli eredi di Grotowski stanno davvero
dando molto e sempre con quella enorme dignità che
li ha sempre distinti. Sembra che non accada nulla
se accendiamo la televisione, (spingo sempre più
fruitori a non seguirla più), ma se ci si addentra
nel sottosuolo degli appassionati, degli studiosi o
di qualsiasi detto sprovveduto si scopre un mondo
molto più brulicante di quanto possa sembrare in
superficie. Certo l'ambiente grotowskiano è più vivo
nel suo anacoretico percorso, nonostante la sua
odierna capacità di divulgarsi in giro per le
istituzioni più importanti del mondo. Carmelo Bene,
è certamente più isolato e monumentale nell'Olimpo
delle sue faraoniche imprese. Ma è da loro che
secondo me bisogna ripartire. Hanno davvero varcato
"valichi insondabili". Sarebbe da commercialisti non
considerare questo enorme particolare.
4. Hai già un ricco percorso letterario: saggi
antropologici, cinematografici, pubblicazioni web. A
quale approdo culturale ti ha portato e quali
potrebbero essere i futuri scenari?
Nel mondo d'oggi, già previsto da Warhol quando
parlava del quarto d'ora di celebrità possibile a
chiunque, non posso certo lamentarmi di non aver
raggiunto lo stesso record. Certo per il mio lavoro
vedo (prima che per me) un ben più lauto riscontro.
Per ora sono ancora in via di divulgazione e di
contatto che sto avendo con le persone e so che la
strada inizia solo ora a farsi ripida anche se molti
mi rassicurano che sarà tutto in discesa d'ora in
poi. Beh! Paradossalmente, ma saggiamente, mi auguro
che non lo sia. In questo momento metto a
disposizione la mia intuizione a chi la voglia
investigare. Ho lavorato per trattare concrete
corrispondenze tra la mia visione delle cose e
l'espressione di chi ha avuto la possibilità di
provarne la materia. Tuttora sto collaborando con
persone davvero eccezionali e questo mi aiuta in un
percorso che altrimenti sarebbe impossibile
praticare. In questo senso continuo, il resto non
potrei ne immaginarlo ne viverlo finché il mio
lavoro non venga messo di fronte a quello di realtà
già esistenti, di compagnie importanti che spero
stiano continuando a dare alla cultura la propria
evoluzione. Io attendo possibilità di visibilità
attinenti alla mia produzione e questo è già tutto
l'universo che mi auguro.
5. Da tempo proponi in diversi contesti un tuo
progetto teatrale: in che cosa consiste?
Ho lavorato in diverse realtà anche se ho sviluppato
maggiormente un occhio critico distaccato come da
osservatore praticante più che come completamente
coinvolto nelle spirali degli avvenimenti nei gruppi
frequentati. Questo mi ha permesso di essere
considerato in qualità di studioso paziente prima
che di avventato ingranaggio inconsapevole in
veicoli altrettanto abbozzati. Ho cercato di trarre
il meglio da una microcarriera in difetto alla
partenza, traendo paradossalmente piccoli
particolari per iniziare una grande avventura. Un
percorso a chiasmo.
Nel libro Quel Me Smedesimo spiego la nascita e la
dura crescita di un pargolo da sempre orfano che ho
chiamato Psychodream. All'ultimo capitolo del libro
do solo un accenno al lavoro fatto; ne seguirà un
volume completo di chiarimenti in vista anche della
risposta, del riscontro con la realtà attuale
attraverso le conferenze. Certo non fermerò questa
nave ormai salpata, ma per spiegazioni più
specifiche invito a vedere, prima che a capire,
quanto ho fatto, mi sembra il modo migliore anche
per coloro che vogliano accostarsi intellettualmente
o con curiosità al mio lavoro.
6. A chi è rivolto il progetto teatrale?
Ai suoi esordi ho collaborato con persone la cui
idea di teatro non era quasi contemplata e persone
per le quali si erano immaginate mete tra le più
ambite. Mi è capitato di riscontrare molto più
plauso grazie alle prime che ne dalle seconde. Ora,
però, voglio avere a che fare con le seconde poiché
il mio lavoro si basa sulla messa in crisi
dell'attore e più formato è, più posso metterlo in
crisi. Per certi versi ricordo con affetto il lavoro
di Carlo Goldoni e le difficoltà incontrate con i
suoi attori nel loro essersi fatti abituè di una
tradizione rancida.
Spero di poter creare un gruppo che aderisca al duro
lavoro dell'attore quale ho da proporre o
semplicemente a coloro che vorranno farne parte come
esperienza limitata a semplici esperienze
d'approccio.
7. Il teatro secondo te è un'arte formativa o
solo performativa?
Mi viene da riportarti un detto zen: non è il frutto
che dipende dall'albero ma l'albero che dipende dal
frutto...
8. Parli anche di progetto editoriale, potresti
approfondire questo aspetto?
In un periodo come quello che sta passando ogni
nazione, ho cercato di aprire le porte a u nuovo
approccio politico e a un nuovo sistema di
finanziamento per le proprie opere letterarie. Forse
potrebbe allargarsi ad altri settori ma per ora
quello dell'editoria mi ha preso in prima persona
dal momento che ho voluto produrre e pubblicare le
ricerche e la teorizzazione del mio percorso.
Con la Edizione Psychodream sto promuovendo una
realizzazione attraverso autoproduzioni dal basso.
Tramite il fenomeno del Crowdfunding chiunque è
possibilitato a produrre un proprio libro con spese
ridotte e in viso alla tanto divulgata
imprenditorialità e urgenza d'inventiva promossa dal
governo italiano di questi ultimi anni. In sintesi
una persona può raccogliere dei fondi per ovviare
alle ingenti spese e percentuali che solitamente un
casa editrice pretende. La mia neonata casa editrice
è fra le migliaia in Italia che in stile
irredentista cerca di surclassare il "monopolio"
delle più in vista e meno patrocinanti. Certo,
bisognerebbe poter aspirare a vedere il proprio nome
accanto a quelli di Montaigne, Euripide, Rousseau e
quantaltri. Penso a Carmelo Bene e al fatto che,
giudicato genio del Novecento teatrale, è edito
presso la Bompiani e a chi derideva perché non
compariva presso la Mondadori ritenendosi egli un
classico. Poi scorro le mensole dove sotto la
Mondadori leggo Fabbio Volo e tutto il bisogno di
votarmi a una famosa casa editrice cade
d'improvviso. Oggi ci sono molti movimenti
interessanti nati per altro a Venezia e a Milano che
danno la possibilità di spendere molto meno per
pubblicare presso loro, opponendo una forte
concorrenza alle casi più potenti. Quello che ho
ideato io tratta di un'altra pioneristica
possibilità tramite il sovvenzionamento dal basso.
Che io sappia non ne ho sentite di simili. La mia
casa lascia indenne l'autore dando solo un
contributo minimo al mio lavoro e dei mie
collaboratori. Per il resto la spesa è pari al costo
netto di produzione. Impossibile da concorrere.
9. Come descrivere Francesco Panizzo in qualità
di autore e cultore di teatro e, soprattutto, quali
sono i tuoi riferimenti?
Io non ho mai avuto riferimenti.. anche quando
credevo di aver apportato delle novità allo studio
teatrale scoprivo che erano già state affrontate
molto tempo prima e paradossalmente questo per me è
sempre stato motivo di pregio e non di debolezza.
Vedi, quando non trovi maestri in vita, devi
affidarti diciamo, all'universo delle possibilità,
molta stoica stoltezza giovanile e passione a sfare
come si dice a Firenze. L'inventiva e l'intelliggere
sono le virtù che ho sempre coltivato, in questo non
ho mai perso smalto. Come pure cercare sempre la
fatica, in un modo o in un altro mi ha spinto a
credere che ne sia sempre valsa la pena. Molti
artisti sono nati sotto una stella benevola, penso a
Leopardi, allo stesso Bene ai quali non mi posso
paragonare, Karma diversi. Io son figlio di operaio.
Ho lavorato quando i miei coetanei andavano a scuola
e ho studiato quando i miei coetanei hanno iniziato
a lavorare. Ho tenuta la forza dell'ingenuità
protetta dalla saccenza dei docenti quando era più
invulnerabile e sensibile, Ho poi protetto le mie
energie vitali dalla alienazione del mondo
industriale e mi son messo a studiare quando avevo
le armi per difendermi dall'ipocrisia dei docenti
che non hanno praticato il teatro o l'arte ma ne
parlano da fuori. Ho così potuto osservare come si
muoveva il mondo appeso a un albero a testa in giù e
ora scendo perché sento di aver trovato la mia via.
I miei riferimenti? Ho descritto in Quel Me
Smedesimo le mie scelte stilistiche
Eugenio Barba ha parlato dell'attore in questi
termini "..obbligo a pagare di tasca propria e di
doversi inventare tutto", dice anche "Sicuramente ci
sono altri modi di fare teatro. Io conosco solo
questo".
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