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10.000 AC
Regia di Roland Emmerich con Camilla Belle,
Steven Strait, Cliff Curtis. Genere Avventura
produzione USA, Nuova Zelanda, 2008 Durata 109
minuti circa
All'inizio temevo si trattasse di una specie di "Apocalipso",
poi ad un certo punto mi è venuto il sospetto che
fosse una sorta di prequel di "Stargate" (il regista
è lo stesso), mentre invece è un film tranquillo,
con una trama senza grosse sorprese, un pizzico di
mistero e qualche accenno en passant ad Atlantide e
alla teoria degli antichi astronauti. Il pregio
maggiore di questo film sta negli effetti speciali
ed in una certa suspence che si mantiene fino alla
fine. Certi anacronismi facevano pensare ad un film
di "fantarcheologia" (le piramidi, ad esempio, sono
di 73 secoli più tarde…) ma in definitiva è un film
d'avventura che se la cava senza gloria e senza
infamia. Valeva comunque il biglietto.
Massimo Acciai
Iron man
Regia di Jon Favreau con Robert Downey Jr.,
Terrence Howard, Jeff Bridges, Shaun Toub, Gwyneth
Paltrow. Genere Azione produzione USA, 2008 Durata
126 minuti circa
Ennesimo film basato su un fumetto Marvel, dalla
trama piuttosto inconsistente e dalle solite
americanate coatte che si fanno perdonare solo
grazie agli effetti speciali di ottimo livello (cosa
che si può dire di quasi tutto il genere specifico).
All'inizio troviamo un protagonista, certo Stark,
tutto sommato antipatico e superficiale: le risposte
che dà ad una giornalista riguardo al suo mestiere
(è un fabbricante d'armi, un "mercante di morte"
come viene giustamente definito) sono di pessimo
gusto, così come i suoi modi da fighetto
miliardario. Dopo l'esperienza di prigionia in
Afghanistan (un luogo da cui gli americani
dovrebbero girare alla larga…) lo troviamo cambiato,
ma non poi di molto. Convertitosi ad un inverosimile
pacifismo, si scontra con il consiglio
d'amministrazione e con il suo fido collaboratore
(che poi lo tradirà) dopo aver annunciato la
chiusura della produzione bellica della Stark
Industries. Fin qui il film è abbastanza noioso;
comincia a diventare interessante (non tanto per la
trama, quando per i mirabolanti effetti speciali) da
questo punto in poi, quando cioè il protagonista
veste i panni del supereroe ipertecnologico e
comincia a salvare vite umane anziché contribuire
alla loro distruzione. Vale la pena vederlo, se non
si sa cosa fare durante un pomeriggio di pioggia, ma
se si perde non è certo un dramma…
Massimo Acciai
Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo
Regia di Steven Spielberg con Harrison Ford,
Karen Allen, Cate Blanchett, Shia LaBeouf, John Hurt,
Ray Winstone, Jim Broadbent. Genere Avventura
produzione USA, 2008 Durata 125 minuti circa
Il quarto film sulle avventure dell'illustre
archeologo non è certo all'altezza dei primi tre, ma
si difende bene. Trionfano gli effetti speciali ed
il ritmo è sempre serrato; c'è anche la giusta
ironia. La scena migliore è quando Indiana Jones si
rifugia in un frigorifero per scampare
all'esplosione di una bomba atomica. Molte anche le
citazioni dai precedenti film, per gli affezionati
(come me). Poco credibile invece il protagonista,
invecchiato ma sempre agile, nei panni di padre e di
marito…
Massimo Acciai
* * *
CACCIATORE DI TESTE
Il cacciatore di teste di Costa Gravas è un film che
affronta un tema attualissimo, dove il protagonista
Bruno Davert dirigente in una fabbrica di carta,
dopo quindici anni di fedele servizio, un giorno
viene brutalmente licenziato insieme a un centinaio
di colleghi a causa di una ridistribuzione
economica. In un primo momento, Bruno non si
preoccupa, perchè per il suo livello di competenza è
convinto di trovare un lavoro simile. Tre anni dopo,
ancora disoccupato, si rende conto di essersi fatto
coinvolgere, seppur con riluttanza, in una guerra
che lo ha logorato.Ora, metaforicamente, è un
soldato semplice la cui unica missione è
sopravvivere e preservare il suo benessere e quello
della sua famiglia. Ecco allora che si arma e va
all'assalto dell'Arcadia Corporation.Il titolo
originale è Le couperet, che significa la mannaia.
Quest'ultima cade spietata su chi lavora in
un'azienda quando qualcuno decide la
ristrutturazione, che significa mandar via più gente
possibile. Gavras mostra icone e modelli che
l'occidente ben conosce: scioperi violenti,
pubblicità volgare e la tivù della spazzatura in una
dialettica banale e disperata, dove l'unica
industria florida è quella del crimine e poi
"ciascuno per sé e nessun dio per tutti". Nel film
ci sono rimandi a Peter Cattaneo col suo Full Monty,
anche se là i licenziati reagivano organizzando il
famoso spogliarello maschile. Gavras ci presenta i
singoli esseri umani vittime dolorose di
applicazioni spietate, risolvendo il film con
efficacia e qualità e meritando così un alto
credito.
Sonia Cincinelli
Il vento fa il suo giro
Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti, primo
lungometraggio di un regista non giovanissimo con un
passato di tv e documentari, ha conquistato il
pubblico in un debutto da non dimenticare. Un film
raccontato in tre lingue diverse (italiano, occitano
e francese sottotitolato) che parla del difficile
trasloco, morale e materiale, di un pastore francese
in un villaggio montano piemontese. La comunità, che
parla ancora in lingua d'hoc, all'inizio assai
diffidente, decide sotto la spinta del sindaco
progressista di azzardare ed accogliere "lo
straniero", nella speranza anche di vedere un po' di
ripresa economica per Chersogno. L'uomo (Thierry
Toscan) e la sua donna (Alessandra Agosti) sono due
spiriti liberi, che hanno deciso di vivere seguendo
i tempi della natura e dei propri desideri. Una
libertà che il paese non accetta, che mette in crisi
e pone domande a cui la comunità disgregata non è
più in grado di rispondere. Diritti, ci propone il
tema della "diversità" che può creare una distanza
insanabile cosicchè le porte dell'accettazione si
chiudono e l'indigeno sceglie la morte. Come da
titolo, il vento gira in un movimento circolare che
ci fa assistere ad un mutamento biologico della
gente. Chi è l'altro? Che vuole da me? In che modo
cambierà la mia vita? Sono le domande primordiali
dell'incontro, del singolo che si apre all'altro da
se. Un film antropologico che ci fa riflettere su un
tema attualissimo ed accostabile al fenomeno
sociologico per eccellenza dei tempi odierni,
l'immigrazione. Infatti l'isolamento del
protagonista ci racconta una storia universale. Un
film che sembra un documentario poetico dagli echi
olmiani ed avatiani con attori bravissimi non
professionisti. Assolutamente da vedere.
Sonia Cincinelli
Je vous salue Marie
Je vous salue Marie,film del 1984 che fu a suo tempo
accusato di vilipendio alla religione, fu
sequestrato e poi dissequestrato. Marie, una giovane
benzinaia fidanzata con Giuseppe, un tassista,
riceve una visita di Gabriele, accompagnato da una
bambina, che le comunica che presto diventerà madre.
Sorpresa, Marie risponde che "non conosce nessuna
persona e che pertanto questa notizia le appare
assurda". Eppure Marie è incinta. Incredulo è
Giuseppe e anche arrabbiato, incredulo è il
ginecologo che visita Marie. La ragazza è vergine ed
allo stesso tempo è madre. Gabriele interviene in
modi piuttosto bruschi per far comprendere a
Giuseppe che deve abbandonare ogni umana gelosia e
proteggere con religioso sentimento d'amore il
mistero che si è realizzato in Marie. Il bimbo
nasce, cresce e se ne va per la sua strada. Ormai
Marie ha compiuto la sua missione, come ironicamente
le dice Gabriele: "Je vous salue Marie" e potrà
d'ora in poi essere come tutte le altre donne.
Godard affronta il dualismo corporalità/spiritualità
giustapposto a caso/individualità alla luce di una
rivisitazione contemporanea del "mito"
dell'Immacolata Concezione di Maria. La splendida e
bravissima Myriem Roussel porterà per tutto la
durata del film il fardello di una dolorosa
accettazione che di fondo è l'esistenza stessa,
entro la quale la lotta per affermare la propria
felicità e far sbocciare il proprio amore resta
chiusa come in una scatola. Pregare equivale a
toccarsi. Toccare la propria anima ( ma anche il
corpo) per darle il piacere di un senso/sensazione
della vita (di quel momento o di tutti i momenti).
Un film da vedere più di una volta per pesarne il
valore, la poesia, il cinema puro. Il film è
anticipato da un cortometraggio dal nome "il libro
di Maria" che poi si ricollega al film stesso.
Consigliato agli amanti di Godard e al cinema come
poesia di pasoliniana memoria.
Sonia Cincinelli
Non aprite quella porta
Non aprite quella porta (The Texas Chainsaw Massacre)
è un horror indipendente e a basso costo diretto da
Tobe Hooper, che venne distribuito nelle sale
cinematografiche nel 1974.
Il film, bandito dalla Gran Bretagna e vietato ai
minori in Francia, Germania, India e Romania, narra
la storia di un gruppo di cinque ragazzi texani che
finiscono nelle grinfie di "Faccia di cuoio", uno
dei più famosi assassini seriali del cinema
dell'orrore oltre che il personaggio principale del
film. Egli è caratterizzato da una maschera di pelle
umana, un grembiule da macellaio insanguinato e
soprattutto da una motosega, che usa come arma per
massacrare le sue vittime. Non aprite quella porta è
stato uno dei film indipendenti di maggior successo
della storia del cinema ed è considerato il
prototipo del film violento, nonostante non fosse
stato ideato con l'intento di generare suspence e
ribrezzo agli spettatori. Tratto da una storia vera,
fu girato solamente per creare una sorta di
documentario sui massacri da cui trae spunto, per
renderli noti agli spettatori. Contrariamente a ciò
che si crede, il film non ripropone fatti reali e al
pari dei film Psycho (1960) e Il silenzio degli
innocenti (1991) è infatti solo parzialmente
ispirato alla storia del serial killer del
Wisconsin. Gli interni della casa e in particolare
il macabro salotto della famiglia furono comunque
ricreati prendendo spunto da quelli filmati dalla
polizia durante un sopralluogo a casa del killer. Il
regista del film ha perciò utilizzato la tecnica del
falso documento per rendere la storia maggiormente
verosimile e più adatta a spaventare le folle. Non
aprite quella porta è diventato fonte di ispirazione
per molti film, libri e canzoni, per esmpio la
canzone Chainsaw del primo album dei Ramones,
infatti Joey Ramone scrisse la canzone dopo averlo
visto; insomma un cult Horror da non perdere.
Sonia Cincinelli
OGNI COSA E' ILLUMINATA
Ogni cosa è illuminata, il film dove un giovane
ebreo americano decide di andare alla ricerca della
donna che durante la Seconda Guerra Mondiale in un
villaggio in Ucraina aveva salvato la vita a suo
nonno, nascondendolo durante un raid dei Nazisti. Il
giovane viene aiutato nella sua ricerca da Alex, un
ragazzo del luogo. Tratto dall'omonimo romanzo di
Jonathan Safran Foer, appartenente alla terza
generazione di scrittori che hanno ricordato la
Shoah, Everything is illuminated è la storia di un
viaggio della memoria. Il protagonista, interpretato
da Elija Wood, non sembra un personaggio ben
definito, ma quasi uno strumento della memoria, non
dotato di caratteristiche proprie. Un particolare a
cui bisogna fare attenzione è la dialettica tra
luce-oscurità (piuttosto evidente) ed il contrasto
tra vista e cecità(tema caro ai film del nostro
millennio). Quest'ultima ha a che fare con la
facoltà umana di guardare solo esteriormente, perché
si tratta piuttosto della capacità di ricordare, di
vedere con gli occhi del passato. Pur parlando di
temi di grande importanza, questo è un film
godibile, con aspetti umoristici e a tratti
commovente. La pellicola di Liev Schreiber
(consigliata davvero a tutti) è uno dei film più
belli che parlano di Shoah, proprio perché
richiedono allo spettatore un coinvolgimento attivo
nella "ricerca" di Safran Foer , infatti la sua non
è una semplice attività di testimonianza, come in
Schindler's list o nel Pianista, film pur sempre di
grande rilevanza, nel loro genere.
Sonia Cincinelli
Sussurri e grida
Sussurri e grida (1972) è il capolavoro indiscusso
di Ingmar Bergman. Questo progetto comune scaturì da
un sogno del regista stesso che aveva per
protagoniste tre sorelle ed una vecchia casa.
Agnes (Harriet Anderson) è in fin di vita dopo
dodici anni di lotta contro il cancro; vive
nell'antica casa di famiglia con la domestica Anna (Kary
Sylwar) e le sorelle che sono accorse al suo
capezzale,Karin (Ingrid Thullin)e Maria (l'attrice
musa di una vita Liv Ullman).
Quattro figure femminili, quattro differenti
personalità. Nell'impenetrabile silenzio della villa
alla periferia di Stoccolma, il contrasto tra due
opposte polarità:i sussurri e le grida, la
giovinezza e la maturità, il bene ed il male ed
infine la fede religiosa e l'ateismo.
Bergman ci mostra l'isolamento,l'alienazione,
l'angoscia della società svedese, meditando sulla
vita e la morte. Un film perfetto formalmente con un
rigore minimalista nell'uso semiotico dei colori e
sobrio nella costruzione. Esso trae la sua forza
nell'uso evocativo e violento delle immagini, lente
e sontuose, che contrastano con l'inaccettabilità
delle situazioni limite come l'agonia di Agnes e
l'automutilazione di Karin.La denuncia spicca dei
valori borghesi ma emerge ancor di più la triste
condizione di una donna appesa tra la vita e la
morte. Le vere urla nel film non sono quelle della
malata di cancro,ma il pianto del prete, delle
sorelle, le confessioni di aridità e disgregazione
che rivelano l'incapacità di una comunicazione
duratura, tema caro al film Il posto delle fragole.
Le sofferenze che diventano ferocia reciproca in una
condizione di vita sopportata come vizio. Anna è
l'unica figura capace di pietà nella sua vita
semplice e nella morte ed il suo essere culminerà
visivamente in una splendida pietà michelangiolesca.
Bergman ci ha regalato questo pezzo di "poesia
visiva decadente" degna di rappresentare
simbolicamente un'intera carriera.
Sonia Cincinelli
Transylvania
Transylvania di Tony Gatlif,il regista tzigano,
è la storia di una ragazza milanese ribelle,
Zingarina (Asia Argento) innamorata di un musicista
scomparso, che viaggiando insieme con l'amica Marie
(Amira Casar), va alla ricerca dell'amato. Quando lo
trova, lui la respinge. La follia amorosa le fa
proseguire il viaggio, insieme con Tchangalo (Birol
Unel) un turco solo come lei. Zingarina a poco a
poco si identifica con il Paese che attraversa e
partorisce in auto dolorosamente, riposando infine
accanto a suo figlio lietamente. Gatlif, riprende un
paesaggio innevato desolato, innamorandosi della
geografia, ci mostra superstizioni, esorcismi, riti
pagani con Asia Argento piena di enfasi che culmina
arrivando ad urlare "Bandiera rossa" in bicicletta.
Il film è ambientato in Romania al confluire della
Russia e dell'Ungheria, dove abitano diverse
comunità (anche rom o tedesche), una terra piena di
simboli. Come accade spesso nei film di Tony Gatlif;
questo è il suo quindicesimo lungometraggio, la
musica e la danza nutrono, muovono, arricchiscono la
storia, accompagnando e suscitando le passioni.
Immagini coloratissime e musiche calde. Il film che
era stato scelto per chiudere il Festival di Cannes
del 2006,ci parla della gente senza frontiera, un
viaggio, grazie al quale non mutano soltanto i
panorami e gli ambienti, ma le fisionomie dei
personaggi, i loro rapporti con gli altri e con la
vita. Forse, narrativamente, non tutto è espresso in
modo convincente (troppe lacune che non è facile
definire ellissi), ma ugualmente ci prende questo
clima così appassionato.
Sonia Cincinelli
TSOTSI
TSOTSI di Gavin Hood, significa "bandito" nel
linguaggio di strada della periferia di
Johannesburg, è il soprannome di un giovane ragazzo
che ha rimosso ogni ricordo del suo passato,
compreso il suo vero nome. Egli conduce una vita
all'insegna della violenza; riempie di botte un
compagno della sua gang perché gli fa troppe
domande, ruba un'automobile, ferendo la donna che la
guidava, ma scopre sul sedile posteriore la presenza
di un neonato. A modo suo Tsotsi incomincerà a
prendersi cura di lui.
Tratto da un romanzo di formazione ambientato negli
anni '50, dello scrittore e drammaturgo Athol Fugard.
La storia è stata trasposta nell'attualità perché i
temi affrontati sono universali e senza tempo: la
consapevolezza di sé e la redenzione. Lo stile è
quello di un thriller psicologico che strizza
l'occhio al noir con finale alternativo, in cui il
protagonista sarà costretto a confrontarsi con la
propria natura aggressiva e ad affrontare le
conseguenze delle proprie azioni. Gli attori parlano
il linguaggio-slangs delle strade di Soweto e il
mondo di Tsotsi è un mondo di contrasti:
baracche/grattacieli, ricchezza/povertà e
rabbia/dolore. I personaggi hanno un'anima duplice:
dietro alla corazza di rabbia e violenza si cela la
loro umanità, il loro grido di aiuto e di
attenzione. Un film globalizzato, siamo in Africa,
ma potremmo essere nel Bronx newyorkese, la colonna
sonora sembra la versione esotica dell'hip-hop dei
ghetti statunitensi che con l'ottimo montaggio danno
un bel ritmo al film. Nessun accenno all'apartheid
anzi, qui gli unici ricchi che si vedono sono di
colore. Poetici sguardi tra Tsotsi e Miriam, la
giovane vedova che accudirà il bambino, che
ammutoliscono; facendoci percepire la forza
dell'amore come cura. Un viso e uno sguardo, quelli
del protagonista impenetrabili. Ultimo dei cinque
film "stranieri" candidati all'Oscar 2006 ad uscire
in Italia.Un bel film da vedere.
Sonia Cincinelli
Tutta la vita davanti
Tutta la vita davanti, ultima fatica di Paolo Virzì,pellicola
distribuita da Medusa in 350 copie in tutta la
penisola, uscito in piena campagna elettorale.
Il film racconta il moderno problema del precariato,
nello specifico mostra il tempio
dell'indeterminatezza professionale di molti giovani
italiani: un call center dove a lavorare sono
ragazzi con tante speranze ma poche prospettive
concrete.
Il film accompagnato dalla voce narrante di Laura
Morante, ci introduce nel mondo di Marta, Isabella
Ragonese, reduce dal successo di Nuovomondo di
Crialese. Quest'ultima,ventenne siciliana che dopo
aver conseguito brillantemente la laurea in
filosofia, viene catapultata suo malgrado nell'amara
realtà lavorativa.
Virzì delinea una periferia romana che sembra aliena
dal resto del mondo dove si consuma la follia
apocalittica della disgregazione umana e dove fanno
la loro apparizioni personaggi fobici egregiamente
interpretati da Elio Germano,Sabrina Ferilli e
Massimo Ghini; ma anche ribelli come Valerio
Mastrandrea, che non ci stanno ad assistere a questa
assurdità che si chiama precariato.
Tutto questo esaltato dalla struggente
interpretazione di Micaela Ramazzotti che interpreta
Sonia, ragazza madre costretta a prostituirsi dopo
il licenziamento.
Forse da parte di Virzì, per trattare questo
argomento scottante dei nostri giorni, sarebbe stato
preferibile uno sguardo cinema veritè, ma ricordiamo
che il cinema è sia Lumière che Méliès e quindi gli
"inserti" dei sogni di Marta ci avvertono che di
fronte al crollo sociale non si può che auspicarci
un'altra realtà.
Film consigliato soprattutto a tutti coloro che
hanno vissuto l'esperienza del precariato.
Sonia Cincinelli
GOMORRA
Gomorra, ultimo film di Matteo Garrone che ha
trionfato a Cannes accaparrandosi il Gran Premio
della Giuria. Qui Totò ha tredici anni, aiuta la
madre a portare la spesa a domicilio nelle case del
vicinato e sogna di affiancare i grandi, quelli che
girano in macchina invece che in motorino, che
contano i soldi e i loro morti. Ma diventare grandi,
a Scampia, significa farli i morti, scambiare
l'adolescenza con una pistola. O magari, come accade
a Marco e Ciro, trovare un arsenale, sparare
cannonate che ti fanno sentire invincibile. Puoi
mettere paura, ma c'è sempre chi ne ha meno di te.
Impossibile fuggire, si sta da una parte o
dall'altra, e può accadere che la guerra immischi
anche Don Ciro (Imparato), una vita da tranquillo
porta-soldi, perché gli ordini sono mutati, il clan
s'è spezzato in due. Si può cambiare mestiere, ma
non si può uscire dal Sistema che tutto sa e tutto
controlla. Quando Roberto si lamenta di un posto
redditizio e sicuro nel campo dello smaltimento dei
rifiuti tossici, Franco (Servillo), il suo datore di
lavoro, lo ammonisce: non creda di essere migliore
degli altri. Funziona così, non c'è niente da fare.
Matteo Garrone porta sullo schermo Gomorra,
libro-scandalo di Roberto Saviano che in Italia ha
venduto oltre un milione di copie, aprendo il
sipario sulla luce artificiale e ustionante di una
lampada per camorristi vanitosi ed esaltati. Il sole
non illumina più le province di Napoli e Caserta,
impossibile rischiarare questa terra buia e
straniera al punto che gli italiani hanno bisogno
dei sottotitoli per decifrarla. Siamo in un altro
paese: all'inferno. Un film freddo scarno,
probabilmente il regista si ispira alla suo primo
cortometraggio Terra di Mezzo, un po' nella
struttura e nelle modalità di linguaggio. Le due
scene più belle degne di diventare vere e proprie
icone quella in cui Marco e Ciro sparano verso il
mare nudi , pura poesia Pasoliniana e infine quella
in cui Franco e Roberto escono da una discarica con
delle tute fluorescenti estremamente oniriche. Un
vero capolavoro.
Sonia Cincinelli
NAZIROCK
Nazirock documentario di Claudio Lazzaro sui giovani
neofascisti. Il film doveva essere proiettato il 2
Aprile 2008 in anteprima al cinema Anteo di Milano e
dal 4 Aprile 2008, per due settimane, al Politecnico
Fandango di Roma. Invece da Forza Nuova arrivò una
diffida che invitò le sale a rinunciare alla
programmazione. I motivi: il film conterrebbe
"immagini, affermazioni, frasi, scene,
ricostruzioni, gravemente diffamatorie del
movimento". Nazirock è uno spaccato del mondo
neofascista italiano attraverso la musica, i raduni,
gli scontri, il look dei giovani che aderiscono
all'estrema destra. Il film apre con le immagini dei
"due milioni" convocati a Roma dall'opposizione al
governo Prodi, il 2 dicembre 2006, ma soprattutto
racconta la Nashville dell'estrema destra: una
grande manifestazione, organizzata da Forza Nuova,
il movimento guidato da Roberto Fiore (condannato a
nove anni per banda armata), che si è svolta a
Viterbo, nel Lazio, con la partecipazione dei
principali gruppi rock assieme a militanti e a
leaders provenienti da Spagna, Germania, Francia,
Grecia, Libano e Romania. Niente film in sala
dunque, ma la copia in dvd resisterà in vendita
presso le librerie Feltrinelli, film più libro. "Il
cinema - afferma Lazzaro - dovrebbe essere uno
spazio di libertà, mi dispiace che si preferisca
annegare il film nella censura basata sulle
minacce". Nazirock usa come filo conduttore le band
che infarciscono di testi fascisti la loro musica
skin, oi, white power e punkadestra; con materiali
di repertorio che ricordano gli orrori e le
distruzioni provocati da un'ideologia portatrice di
morte e vergogna. Un incubo che lascia spiazzati,
perché la domanda è sempre la stessa: "Possibile che
la storia non riesca a insegnare nulla?".
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