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Libri a fumetti

EROI IN CRISI E MALATI EMARGINATI
Il malato come diverso nel fumetto d´autore

Articolo di Andrea Cantucci

Cinema

The avengers
di Mario Gardini
Dark shadows
di Mario Gardini
La casa nel bosco
di Mario Gardini
Men in black 3
di Mario Gardini
Marigold Hotel
di Mario Gardini
Marylin
di Mario Gardini

Fotografia

"Rendere visibile ciò che l'uomo non vede, ma sente";
Intervista alla fotografa Daniela Bellu

A cura di Alessandro Rizzo
Edoardo Albisetti: la fotografia on the road davanti a realtà che stupiscono
A cura di Alessandro Rizzo

Teatro

Notre Dame de Paris
di Mario Gardini

Booktrailer

Booktrailer Online Awards

Arte performativa

Quando l'arte performativa diventa un ensemble: intervista al giovane artista Andrea Rossi
A cura di Alessandro Rizzo
Xena Zupanic: quando nell'arte il corpo trasforma la mente
A cura di Alessandro Rizzo

Arte pop

Come sarebbe il mondo senza la Factory: priva dell'arte post moderna concettuale e pop esempio della nostra contemporaneità
A cura di Alessandro Rizzo

Miti mutanti 17

Strisce di Andrea Cantucci

Un artista a Coverciano 3

Strisce di Luca Mori

Edoardo Albisetti: la fotografia on the road davanti a realtà che stupiscono

 

A cura di Alessandro Rizzo
 


La curiosità e la voglia di studiare diversi soggetti hanno fatto il resto nella formazione del giovane fotografo Edoardo Albisetti. Ha esposto in un locale milanese, Luca e Andrea, sui navigli una sua personale dedicata al suo "diario visivo" del viaggio in Patagonia. Lo abbiamo intervistato per assaporarne la poetica, il messaggio che vuole trasmettere e, soprattutto, il significato dell'arte fotografica nelle sue opere.


1. Chi è Edoardo Albisetti, ossia non sei un fotografo professionista se per professionista si intende che vivi e ti dedichi integralmente a questa arte: com'è nata la passione e l'attenzione per questa forma d'arte e perchè hai deciso di riservare a essa parte del tuo tempo?
Il mio primo contatto con la fotografia è stato attorno ai 10 anni, quando mi è stata regalata la SP-500. Nonostante il nome importante, si trattava di una scatoletta rossa con due tasti: lo scatto e la rotella per avvolgere il rullino. Per i primi viaggi in famiglia portavo decine di rullini e mi fermavo ad ogni angolo a scattare su tutto quello che mi colpiva. Come potrai immaginare, ci sono tante cose che colpiscono un bambino di 10 anni. Il risultato è che al ritorno c'erano tonnellate di fotografie in giro per casa..
All'inizio la fotografia era solo un modo per non dimenticare quello che mi succedeva; poi verso la fine del liceo ho deciso di andare più a fondo, frequentando qualche corso di tecnica fotografica e comprando la prima reflex analogica; la curiosità e la voglia di studiare diversi soggetti hanno fatto il resto.

2. Che cosa vuoi trasmettere come messaggio scattando una fotografia e attraverso la tua poetica?
Con questa serie di fotografie ho voluto provare a catturare l'osservatore, anche solo per qualche istante, e a portarlo quanto più lontano possibile dalla sua esperienza urbana di tutti i giorni. Gli elementi che concorrono a definire l'immagine, dal formato, alla vividezza dei colori, all'equilibrio della composizione, vogliono prendere per mano chi guarda e accompagnarlo nel suo personale viaggio. Ovviamente ognuno di noi prova sensazioni diverse davanti alla stessa immagine; per questo, in fondo, l'immagine va intesa come un suggerimento, un punto comune da cui partire, ma che poi può essere abbandonato per seguire un percorso più personale.

3. La Patagonia: è stato un primo momento in cui hai utilizzato la fotografia come "diario visivo" di viaggio. Perchè hai scelto questo genere di fotografia, quella on the road, e che cosa ti ha spinto a realizzare questo lungo servizio?
Il primo impulso, davanti di questi paesaggi, è di sentirsi sopraffatti. Allo stesso tempo però nasce il desiderio di catturare il più possibile di quello che ci circonda. Una fotografia non si limita a fermare un'immagine, ma riesce a racchiudere tutta una serie di sensazioni e di percezioni che hanno poco a che fare con il solo senso della vista, ma che poi vengono richiamate nell'osservatore.
Mi affascina l'idea di viaggio inteso come mezzo per entrare in contatto con realtà diverse davanti alle quali stupirsi. La fotografia "on-the-road" è un modo per trasmettere in modo forte e istintivo questo concetto.

4. Riponi investimento anche in termini temporali nella tua attività affinchè in futuro possa diventare la tua professione primaria?
Penso che sia molto difficile fare di una passione il proprio lavoro senza che le motivazioni originarie vengano meno; per ora, con la fotografia è un rischio che non voglio correre, per il futuro si vedrà.

5. Quali sono le prossime tue idee da realizzare?
Sto lavorando su qualcosa di completamente diverso, a delle composizioni in bianco e nero di soggetti architettonici e interni di musei, tre New York e Milano.

6. Come avviene la fase di produzione di una fotografia: quali sono i passaggi, quali i tempi che ti dai, come catturi il momento?
Direi che all'inizio c'è sempre qualcosa che colpisce; può essere la luce particolare, il soggetto interessante, l'atmosfera. La foto poi viene costruita attorno a questo qualcosa; per cui, tutta la composizione e gli equilibri dell'immagine vengono studiati per mettere in risalto questo punto di partenza. In realtà ci sono foto il cui punto di partenza è proprio la composizione degli elementi.
Le fotografie più difficili a mio avviso sono le istantanee, cioè quelle che riescono a catturare un momento unico, qualcosa che svanisce immediatamente dopo lo scatto. In questo caso il fotografo deve avere la straordinaria capacità di anticipare quello che sta per succedere, di prepararsi, sapendo che ci sarà un solo istante buono per trattenere qualcosa di evanescente. Una delle frasi più celebri che esprime meglio questo concetto è di H. C. Bresson: "Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento, fotografare è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore".

7. Esiste e può esistere, e se sì come, un equilibrio tra estetica, contenuto, il messaggio che può essere anche intrinseco, e tecnica artistica?
Sicuramente esistono tecniche artistiche che più di altre sono adatte a trasmettere un determinato messaggio. Piuttosto che piegare il messaggio ai limiti della tecnica, preferirei adattare la tecnica al messaggio. Per ora con la fotografia non è successo, ma non escludo in futuro di integrare la fotografia con elementi differenti.

8. Esiste un lavoro di post produzione accurato e non ritieni che più un'opera fotografica si tocchi nella fase post produttiva e più si tende a snaturare il valore artistico della medesima?
Tema delicato. Partendo dall'ultima domanda, in generale, a mio avviso, no: se come "parametro" di giudizio sulla qualità di una stampa fotografica si prende la "verosimiglianza" con l'originale appena scattato, allora ovviamente la fase di post produzione è deleteria, ma è fondamentale capire che questa è solo una delle categorie che, a torto o a ragione, possono essere considerate. Per intenderci, esagerando, è come guardare un quadro impressionista e giudicarlo negativamente perchè "poco dettagliato"; assolutamente vero, se si considera come categoria di giudizio "l'attenzione ai dettagli" del quadro. Ovviamente però non è l'unica categoria che si può considerare, e non è sicuramente la più significativa. Con la fotografia è più o meno lo stesso secondo me. L'equivoco può nascere quando si pensa alla fotografia esclusivamente come un ritratto "quanto più oggettivo possibile" del mondo; è molto più di questo; quindi nascono altre categorie attraverso cui filtrare le opere e necessariamente si aprono nuove modalità espressive che si concretizzano anche nella post-produzione.
D'altra parte è vero che con l'avvento del digitale compiere qualsiasi tipo di alterazione sugli originali è tecnicamente molto più semplice e alla portata di tutti (ma la post-produzione è una fase fondamentale anche nello sviluppo in camera oscura). Io trovo che questa sia, da un certo punto di vista tutt'altro che una semplificazione: ci vengono date talmente tante possibilità che il rischio di perdersi tra i meandri del "fotoritocco" è altissimo. Allora sì che la fotografia può venire "snaturata": quando si perde di vista il punto di arrivo e il messaggio da trasmettere, la fase di post-produzione può arrivare a stravolgere completamente il messaggio originale dell'immagine. Per riassumere, post-produzione sì, ma avendo sempre ben in mente dove si vuole arrivare; nel mio caso il lavoro di post-produzione ha riguardato essenzialmente lo studio del colore e dei contrasti.

9. A chi ti vuoi rivolgere nella tua produzione fotografica e quali sono state le reazioni maggiori da parte del pubblico?
A chi è disposto a staccare per qualche minuto i piedi da terra e lasciarsi trasportare. Per ora sono molto contento delle reazioni, ho raccolto sensazioni positive, di persone stupite che si lasciano coinvolgere dalle immagini. Vuol dire che forse a qualcosa sono servite.

10. Quali sono le influenze che hai potuto avvertire come più incisive nella tua produzione artistica, ossia esistono dei riferimenti culturali fotografici a cui ti rifai, anche non volutamente?
Mi ha sempre affascinato molto la figura del "Wanderer", il Viandante; quello del dipinto di Friedrich: "Il Viandante sul mare di nebbia", per intenderci..e il suo rapporto con la natura, con il tema del viaggio.
Dal punto di vista fotografico mi piace molto Steve McCurry, la sua curiosità e l'incredibile forza con cui riesce a trasmettere le esperienze vissute dalle persone che ritrae. E dall'altra parte Elliott Erwitt, la sua leggerezza e ironia nel trovare situazioni surreali nel quotidiano.

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