Edoardo Albisetti: la fotografia
on the road davanti a realtà che stupiscono
A cura di Alessandro Rizzo
La curiosità e la voglia di
studiare diversi soggetti hanno fatto il resto nella
formazione del giovane fotografo Edoardo Albisetti.
Ha esposto in un locale milanese, Luca e Andrea, sui
navigli una sua personale dedicata al suo "diario
visivo" del viaggio in Patagonia. Lo abbiamo
intervistato per assaporarne la poetica, il
messaggio che vuole trasmettere e, soprattutto, il
significato dell'arte fotografica nelle sue opere.
1.
Chi è Edoardo Albisetti, ossia non sei un fotografo
professionista se per professionista si intende che
vivi e ti dedichi integralmente a questa arte: com'è
nata la passione e l'attenzione per questa forma
d'arte e perchè hai deciso di riservare a essa parte
del tuo tempo?
Il mio primo contatto con la fotografia è stato
attorno ai 10 anni, quando mi è stata regalata la
SP-500. Nonostante il nome importante, si trattava
di una scatoletta rossa con due tasti: lo scatto e
la rotella per avvolgere il rullino. Per i primi
viaggi in famiglia portavo decine di rullini e mi
fermavo ad ogni angolo a scattare su tutto quello
che mi colpiva. Come potrai immaginare, ci sono
tante cose che colpiscono un bambino di 10 anni. Il
risultato è che al ritorno c'erano tonnellate di
fotografie in giro per casa..
All'inizio la fotografia era solo un modo per non
dimenticare quello che mi succedeva; poi verso la
fine del liceo ho deciso di andare più a fondo,
frequentando qualche corso di tecnica fotografica e
comprando la prima reflex analogica; la curiosità e
la voglia di studiare diversi soggetti hanno fatto
il resto.
2.
Che cosa vuoi trasmettere come messaggio scattando
una fotografia e attraverso la tua poetica?
Con questa serie di fotografie ho voluto provare
a catturare l'osservatore, anche solo per qualche
istante, e a portarlo quanto più lontano possibile
dalla sua esperienza urbana di tutti i giorni. Gli
elementi che concorrono a definire l'immagine, dal
formato, alla vividezza dei colori, all'equilibrio
della composizione, vogliono prendere per mano chi
guarda e accompagnarlo nel suo personale viaggio.
Ovviamente ognuno di noi prova sensazioni diverse
davanti alla stessa immagine; per questo, in fondo,
l'immagine va intesa come un suggerimento, un punto
comune da cui partire, ma che poi può essere
abbandonato per seguire un percorso più personale.
3. La Patagonia: è stato un primo momento in cui
hai utilizzato la fotografia come "diario visivo" di
viaggio. Perchè hai scelto questo genere di
fotografia, quella on the road, e che cosa ti ha
spinto a realizzare questo lungo servizio?
Il primo impulso, davanti di questi paesaggi, è
di sentirsi sopraffatti. Allo stesso tempo però
nasce il desiderio di catturare il più possibile di
quello che ci circonda. Una fotografia non si limita
a fermare un'immagine, ma riesce a racchiudere tutta
una serie di sensazioni e di percezioni che hanno
poco a che fare con il solo senso della vista, ma
che poi vengono richiamate nell'osservatore.
Mi affascina l'idea di viaggio inteso come mezzo per
entrare in contatto con realtà diverse davanti alle
quali stupirsi. La fotografia "on-the-road" è un
modo per trasmettere in modo forte e istintivo
questo concetto.
4. Riponi investimento anche in termini temporali
nella tua attività affinchè in futuro possa
diventare la tua professione primaria?
Penso che sia molto difficile fare di una
passione il proprio lavoro senza che le motivazioni
originarie vengano meno; per ora, con la fotografia
è un rischio che non voglio correre, per il futuro
si vedrà.
5. Quali sono le prossime tue idee da realizzare?
Sto lavorando su qualcosa di completamente
diverso, a delle composizioni in bianco e nero di
soggetti architettonici e interni di musei, tre New
York e Milano.
6. Come avviene la fase di produzione di una
fotografia: quali sono i passaggi, quali i tempi che
ti dai, come catturi il momento?
Direi che all'inizio c'è sempre qualcosa che
colpisce; può essere la luce particolare, il
soggetto interessante, l'atmosfera. La foto poi
viene costruita attorno a questo qualcosa; per cui,
tutta la composizione e gli equilibri dell'immagine
vengono studiati per mettere in risalto questo punto
di partenza. In realtà ci sono foto il cui punto di
partenza è proprio la composizione degli elementi.
Le fotografie più difficili a mio avviso sono le
istantanee, cioè quelle che riescono a catturare un
momento unico, qualcosa che svanisce immediatamente
dopo lo scatto. In questo caso il fotografo deve
avere la straordinaria capacità di anticipare quello
che sta per succedere, di prepararsi, sapendo che ci
sarà un solo istante buono per trattenere qualcosa
di evanescente. Una delle frasi più celebri che
esprime meglio questo concetto è di H. C. Bresson:
"Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in
una frazione di secondo un evento e il rigoroso
assetto delle forme percepite con lo sguardo che
esprimono e significano tale evento, fotografare è
porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi
e il cuore".
7. Esiste e può esistere, e se sì come, un
equilibrio tra estetica, contenuto, il messaggio che
può essere anche intrinseco, e tecnica artistica?
Sicuramente esistono tecniche artistiche che più
di altre sono adatte a trasmettere un determinato
messaggio. Piuttosto che piegare il messaggio ai
limiti della tecnica, preferirei adattare la tecnica
al messaggio. Per ora con la fotografia non è
successo, ma non escludo in futuro di integrare la
fotografia con elementi differenti.
8. Esiste un lavoro di post produzione accurato e
non ritieni che più un'opera fotografica si tocchi
nella fase post produttiva e più si tende a
snaturare il valore artistico della medesima?
Tema delicato. Partendo dall'ultima domanda, in
generale, a mio avviso, no: se come "parametro" di
giudizio sulla qualità di una stampa fotografica si
prende la "verosimiglianza" con l'originale appena
scattato, allora ovviamente la fase di post
produzione è deleteria, ma è fondamentale capire che
questa è solo una delle categorie che, a torto o a
ragione, possono essere considerate. Per intenderci,
esagerando, è come guardare un quadro impressionista
e giudicarlo negativamente perchè "poco
dettagliato"; assolutamente vero, se si considera
come categoria di giudizio "l'attenzione ai
dettagli" del quadro. Ovviamente però non è l'unica
categoria che si può considerare, e non è
sicuramente la più significativa. Con la fotografia
è più o meno lo stesso secondo me. L'equivoco può
nascere quando si pensa alla fotografia
esclusivamente come un ritratto "quanto più
oggettivo possibile" del mondo; è molto più di
questo; quindi nascono altre categorie attraverso
cui filtrare le opere e necessariamente si aprono
nuove modalità espressive che si concretizzano anche
nella post-produzione.
D'altra parte è vero che con l'avvento del digitale
compiere qualsiasi tipo di alterazione sugli
originali è tecnicamente molto più semplice e alla
portata di tutti (ma la post-produzione è una fase
fondamentale anche nello sviluppo in camera oscura).
Io trovo che questa sia, da un certo punto di vista
tutt'altro che una semplificazione: ci vengono date
talmente tante possibilità che il rischio di
perdersi tra i meandri del "fotoritocco" è
altissimo. Allora sì che la fotografia può venire
"snaturata": quando si perde di vista il punto di
arrivo e il messaggio da trasmettere, la fase di
post-produzione può arrivare a stravolgere
completamente il messaggio originale dell'immagine.
Per riassumere, post-produzione sì, ma avendo sempre
ben in mente dove si vuole arrivare; nel mio caso il
lavoro di post-produzione ha riguardato
essenzialmente lo studio del colore e dei contrasti.
9. A chi ti vuoi rivolgere nella tua produzione
fotografica e quali sono state le reazioni maggiori
da parte del pubblico?
A chi è disposto a staccare per qualche minuto i
piedi da terra e lasciarsi trasportare. Per ora sono
molto contento delle reazioni, ho raccolto
sensazioni positive, di persone stupite che si
lasciano coinvolgere dalle immagini. Vuol dire che
forse a qualcosa sono servite.
10. Quali sono le influenze che hai potuto
avvertire come più incisive nella tua produzione
artistica, ossia esistono dei riferimenti culturali
fotografici a cui ti rifai, anche non volutamente?
Mi ha sempre affascinato molto la figura del "Wanderer",
il Viandante; quello del dipinto di Friedrich: "Il
Viandante sul mare di nebbia", per intenderci..e il
suo rapporto con la natura, con il tema del viaggio.
Dal punto di vista fotografico mi piace molto Steve
McCurry, la sua curiosità e l'incredibile forza con
cui riesce a trasmettere le esperienze vissute dalle
persone che ritrae. E dall'altra parte Elliott
Erwitt, la sua leggerezza e ironia nel trovare
situazioni surreali nel quotidiano.
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