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Libri a fumetti

EROI IN CRISI E MALATI EMARGINATI
Il malato come diverso nel fumetto d´autore

Articolo di Andrea Cantucci

Cinema

The avengers
di Mario Gardini
Dark shadows
di Mario Gardini
La casa nel bosco
di Mario Gardini
Men in black 3
di Mario Gardini
Marigold Hotel
di Mario Gardini
Marylin
di Mario Gardini

Fotografia

"Rendere visibile ciò che l'uomo non vede, ma sente";
Intervista alla fotografa Daniela Bellu

A cura di Alessandro Rizzo
Edoardo Albisetti: la fotografia on the road davanti a realtà che stupiscono
A cura di Alessandro Rizzo

Teatro

Notre Dame de Paris
di Mario Gardini

Booktrailer

Booktrailer Online Awards

Arte performativa

Quando l'arte performativa diventa un ensemble: intervista al giovane artista Andrea Rossi
A cura di Alessandro Rizzo
Xena Zupanic: quando nell'arte il corpo trasforma la mente
A cura di Alessandro Rizzo

Arte pop

Come sarebbe il mondo senza la Factory: priva dell'arte post moderna concettuale e pop esempio della nostra contemporaneità
A cura di Alessandro Rizzo

Miti mutanti 17

Strisce di Andrea Cantucci

Un artista a Coverciano 3

Strisce di Luca Mori

Come sarebbe il mondo senza la Factory: priva dell'arte post moderna concettuale e pop esempio della nostra contemporaneità

 

A cura di Alessandro Rizzo
 


Andy Warhol
Chiedersi come sarebbe stato il mondo senza Andy Warhol e senza tutta la realtà artistica e culturale che ne è conseguita dalla sua figura e poetica è come chiedersi che cosa sarebbe oggi il mondo della produzione artistica e performativa senza il suo reale capostipite. Un libro edito da Abscondita, "La filosofia di Andy Warhol da A a B e viceversa", è la testimonianza più puntuale e dettagliata sul valore e la portata di un personaggio che ha saputo trasporre l'interpretazione di una poetica in un programma commerciale dando all'arte quell'inossidabile connubio che crea con il prodotto. Andy Warhol diventa l'opera d'arte autonoma: lui stesso, la sua personalità sono un'opera d'arte, espressione di un modo di concepire ed elaborare il reale riproponendolo sotto canoni tipici dell'arte: estetica, eccentricità, provocazione, personalità. Ha inventato il concetto di "divismo" e di glamour, così come rappresentano le massime personalità di travestiti, cross dressing e transessuali che frequentano la Factory negli anni ancora cupi dell'America del proibizionismo e del perbenismo benpensante in campo sociale e di costume. È la sua una trasandatezza non ricercata ma spontanea, consapevole ma non invadente, naturale e non filtrata: l'arte è mercato, ma chi vuole rappresentare l'arte diventa lui stesso il rappresentato, la superstar, come canterà David Bowie in una sua canzone, noto frequentatore della Factory. È lui una superstar globale, internazionale, di fama mondiale: partecipa in prima persona a spot pubblicitari, quello dei televisori giapponesi, così come fa una comparsa, impersonando niente altro che sé stesso, il personaggio che diventa assoluto, nel noto serial televisivo Love Boat. Non esiste un catalogo Andy Warhol delle sue opere, ma le sue opere sono riproducibili da chiunque sia nel concetto sia nell'estetica e nella tecnica: questo definisce come lato l'aspetto di un artista pop senza scadere nel main stream e nello scontato, nel banale, nell'effimero. Niente è effimero e dato come prefigurabile nel concepire l'arte in Warhol. Lui stesso è diventata, come dicevamo, opera d'arte: se qualcuno vi dicesse Magritte che cosa vi verrebbe in mente? Sicuramente i famosi quadri, tra l'altro parte della poetica del pittore è ripresa da Warhol, in forma rivisitata e attualizzata, contestualizzata. Se qualcuno vi dicesse, invece, chi è Andy: voi cosa vi verrebbe in mente se non lo stesso viso di Warhol. Le icone dello spettacolo sono passate dall'azione forgiatrice di Warhol nelle sue composizioni, rimanendo quindi immagini appartenenti a un patrimonio collettivo post moderno mondiale. Ricordiamo Marylin Monroe, ma anche Liz Taylor, Liza Minnelli, e quante altre figure notorie. Tra le drag che divengono le rappresentazioni dello spirito liberatorio ed emancipatorio della Silver Factory si propone con forza la figura e la personalità di Holly, ripresa in diverse opere da Warhol, ricordiamo anche alcune sue installazioni videortiastiche. Ricordiamo anche l'attore Joe d'Alessandro, figura che assumeva la carica erotica virile con la dolcezza e la sinuosità più delicata del suo aspetto: una contraddizione che viene celebrata da Warhol e che sdogana un certo tipo di vivere la mascolinità e l'impeto sensuale che ne deriva.
È assodato che il grande artista abbia segnato una pagina fondamentale nella storia moderna e contemporanea dell'arte figurata ma, anche, scritta. La Factory è il luogo principe, fisico, tangibile, reale, esistente di questa poetica filosofica che ha imperniato, come stile della Pop Art, una filosofia esistenziale in un ambito, quale quello americano di fine anni 60, che cominciava a diventare importante e rilevante a livello internazionale, come suggerisce il critico Antonio Spadaro. È un cenacolo di Andy Warhol, non più artista individualista, ma costruttore di un movimento: costruttore inconsapevole ma convinto, non paternalista ma armonico. Andy Warhol ha saputo imprimere uno stile artistico e culturale pur non essendo una figura formatasi nell'ambiente accademico: non è ufficialmente un regista ma è stato anche autore di diverse opere videoartistiche, quasi segnando un imprimatur a un genere che si diffonderà qualche decennio dopo; non è stato un fotografo ma ha garantito la costruzione dell'idea di diversi servizi fotografici, come quelli che lo immortaleranno quasi novello Duchamp espressione di un neodadaismo, manifesto di una rivisitazione della grande corrente artistica, per mano del suo fotografo amico intimo, Cristopher Makos; non è ufficialmente un pittore o artista figurativo ma diventa celebre per aver creato quel logo che è diventato quasi insegna commerciale della vita consumeristica ripresa nella sua paradossalità quotidiana, ossia la ripresa in serie delle scatolette Campbell. La sua volontà, quindi, non è quella di sottomettersi alle logiche del consumerismo astratto e fine a sé stesso come valore, ma è quella di ricercare nel prodotto commerciale una forma di arte e di espressività quasi dissacrante e spesso astratta dall'ambito in cui l'occhio popolare è abituato a concepirlo.
Andy Warhol sapeva essere trasgressivo, stravagante, amava definirsi trasandato eccentrico, semplice quanto complesso, nella ricerca tesa sempre a trovare una normalità, pur esaltando ogni forma di anticonvenzionalismo, anche e soprattutto nei costumi sociali.
L'arte di concetto risulta nella ripetitività seriale delle immagini, oggetti di vita quotidiana, presenti in modo ossessivo e ossessionante nella nostra giornata, oggetti di consumo, oggetti casalinghi, oggetti di una familiarità confortante, diventando quasi l'elemento artistico unico e originale, sprigionando la valenza estetica che diventa anche valenza contenutistica e sostanziale. Sullo schermo, nel dipinto vediamo presentarsi con una certa continuità le stesse rappresentazioni, singole figure, che assurgono a manifesti di una poeticità senza pari e senza precedenti, consacrando e allo stesso tempo denunciando la società dei consumi, alienata e disattenta a contemplare solamente la forma. La sua sarà un'arte non solo di consumo, per il consumo e fondata sul consumo, ma anche arte del feticcio, in cui l'oggetto diventa tangibile, pieno di vitalità e soggetto di attenzione morbosa da parte dell'occhio vuoyerista dell'autore e non solo. Le immagini venivano, così, svuotate del proprio contenuto attribuito dal pubblico mainstream, riassegnando loro una dimensione artistica e visiva notevole e autonoma. Rappresentazione di questa forma d'arte che suscitò scandalo tra i benpensanti e conservatori dell'epoca, ma che segnò un cambio di pagina e una rivoluzione del modo di pensare l'arte prima che farla, è il cortometraggio Blow Job, un intero primo campo su un ragazzo mentre riceve una fellatio: dietro al ragazzo in estasi e in tensione erotica, prima, poi in uno stato di totale rilassamento e spensieratezza, c'è un semplice muro irrilevante, quasi adombrato, non appariscente, al fine di rendere il viso del ragazzo centrale in un'inquadratura quasi compulsiva e continuativa sulla sua espressività estatica. È, questo, l'inno a quell'edonismo e a quella liberazione umana che fu espressione della sua arte performativa e manifesto politico della Silver Factory. Altre opere che sono degne di nota in quella che fu la stagione pionieristica della videoarte è il film Eat, 1963, dove Andy Warhol riprenderà nell'ambito delle sperimentazioni artistiche dirompenti di questa figura, dove per 45 minuti sarà ritratto in campo totale e una soggettiva senza fine Robert Indiana, altro esponente della Factory, mentre mangia qualcosa, che potrebbe essere un fungo, oppure un panino, alcuni ipotizzano una pesca. Durante l'ossessiva e costante ripresa del soggetto passa un gatto due volte, piccola distrazione in un crescendo di attenzione fissa dello sguardo dello spettatore "vuoyerista". Molte delle sue opere venivano fatte circolare in un ambiente privato a causa dell'alta presenza della censura per qualsiasi forma di espressione trasgressiva, bollata spesso in modo inconsapevole e pregiudiziale come opera a contenuto pornografico. L'arte edonistica, il piacere per l'estetica con un contenuto, si trova, invece, in Warhol dalle sue prime opere: ricordiamo Kiss del 1963, inizio di una lunga produzione, quella della Silver Factory, che si concluse con Women in revolt, una satira del femminismo militante, sempre dal tono provocatorio, in cui le protagoniste sono tre personaggi travestiti che inscenano rispettivamente una ricca donna che ha un incesto col fratello, una donna che è ninfomane ma che detesta gli uomini e, infine, un'intellettuale che crede che le donne siano oppresse dalla società paternalista americana. Dalla provocazione e dall'esagerazione nella caricatura dei soggetti si aprono momenti di confronto concettuale su dogmi ideologici e militanti fino a quel momento considerati imprescindibili.
"E' dalle idee e dalla personalità di ognuno che Warhol trae il materiale per la sua arte" dice.
Warhol fa, pertanto, del consumo e del commercio una forma d'arte, rendendo quest'ultima a sua volta un oggetto di consumo e di costume, esponendo, per esempio, sculture come le scatole di detersivo Brillo sugli "scaffali" dei musei; proponendo figurativamente in modo ripetitivo, lui stesso affermava che lavorare alla Factory era come lavorare in modo concettuale in una catena di montaggio, icone mediatiche, da Marylin Monroe a Mao Tzedong.
Popolare è la quotidianeità delle sue opere, fatte di costumi e di consumi, mentre le emozioni sono suscitate dall'esasperazione della continua ripetitività delle rappresentazioni in un momento artistico, quello in cui Andy opera, di crisi delle forme classiche figurative. Andy ha reso artistico ciò che poteva essere banale e ciò che era banale veniva volgarmente snobbato dalle espressioni culturali maggioritarie: questa è l'abilità di una figura senza la quale un nuovo concetto rivoluzionario ancora oggi pervadente dell'arte non ci sarebbe stato. Diverse sono le espressioni che rendono efficacia a una poetica di un'arte familiare da un lato ma altamente di rottura rispetto ai clichè estetico classici fini a sé stessi:
"essere freak in modo chic", "essenza passiva dello stupore", "segreta conoscenza che ammalia", "perfetta alterità", "trascuratezza narcisistica" o, infine, "l'aura ombrosa, voyeuristica, vagamente sinistra, la pallida e sussurata magica presenza".
Andy è regolare nella sua trasgressività, come trasgressiva risulta essere la sua regolarità, esigenza di regolarità.
"Mi piace la routine. La gente mi telefona e dice: "Spero di non aver disturbato la tua routine, chiamandoti"". Sanno quanto mi piace".
L'omosessualità di Andy Warhol era nello stile di vita che Warhol e i suoi protetti del cenacolo argentato della Factory palesavano. Era la sua un'omosessualità clamorosamente esibita, a volte fatta di eccessi estetici comportamentali, spesso provocatoria ad oltranza, altre volte vissuta in un estetismo fine a sé stesso, mai stucchevole e mai invadente. Il New York Times per la prima volta nella storia del quotidiano definì Andy Warhol un artista omosessuale. Il suo essere geniale, il suo essere opera d'arte come personaggio pop costruiscono di lui un'immagine dirompente e attraente, controcorrente e anticonvenzionale senza alcuna pretesa ideologica di denuncia. La Silver Factory non era altro che il luogo dove la personalità di Andy Warhol e il suo estro si esprimevano, diventavano palpabili: quarto piano di un'ex fabbrica di cappelli sulla 47° strada è la casa dell'estremo. La trasgressività si percepiva come base fondante della produzione del grande laboratorio: in quel contesto si assaporavano serigrafie, droghe, incontri gay lesbici, feste con drag queen ed esibizioni performative eccezionali. Qualsiasi comportamento, incluso quello sessuale, aveva una forte presenza e un assoluto diritto di cittadinanza nella Factory, mai oggetto di denuncia o di critica da parte degli altri. La pop art è uno stile di vita e Andy Warhol ne è l'espressione antropomorfizzata.
La routine giornaliera nella quale si costruisce il personaggio che niente altro è che la personalità naturale di un individuo teso a proporsi come soggetto artistico nella sua quotidianità è alla base di una delle filosofie estetiche della Factory: quello di apparire come una superstar pur non essendo definibile come autore di importanti opere o persona dalle doti intellettive e creative interessanti e innovative.
JOE DALESSANDRO
Esempio fisico di questo concetto di protagonismo senza eccessi né invedenze è l'attore Joe Dalessandro, primo vero sex symbol maschile del cinema, diventato nell'immaginario comune e collettivo del tempo il primo fenomeno di oggetto di desideri sessuali, ruolo, questo, prima riservato solo alle figure femminili. È una rivoluzione nell'estetica e nel concetto di produzione cinematografica che ha espresso conseguenze anche nel mondo della cultura e dei costumi sociali del tempo e contemporanei. Ricordiamo Dalessandro per le intriganti e sensuali fotografie di nudo di cui fu uno dei modelli più contesi dalle famose firme dell'epoca di arte omoerotica, tra cui spicca Bruce Weber. Joe è uno dei protagonisti del documentario quasi fiction e narrativo "Beefcake" incentrato sulle figure maschili di giovanotti provenienti dalla provincia in cerca di fortuna a Hollywood disposti a esprimere liberamente la propria sensualità e disponibilità erotica per affermarsi. Si parla della "factory" del noto fotografo omosessuale Bob Mizer, produttore dell'Amg, Athletic Model Guild, che ospitava nella sua dimora e nel suo studio uno stuolo di ragazzi accattivanti con ingenuità o con semplice malizia invitante e spudorata donne e uomini, rapiti dal loro sorriso maschio e intrigante, oltre che dalla loro possenza fisica monumentale ma anche spontanea. È la Golden Age dell'Hard narrato con attenzione e con poetica dal regista Thom Fitzgerald, a vent'anni di distanza da quel periodo, una vera e propria arcadia del novecento, di liberazione sessuale e di connubbio tra arte e profitto, tra opera estetica e prodotto commerciale, che fu alla base di quel mitico e rivoluzionario "american dream" della Silver Factory di Andy Warhol. Anche il corpo maschile viene sdoganato come oggetto di attrazione e di celebrazione su note copertine di magazine fotografici erotici del tempo quali come "Physique Pictorial", "Adonis", "Body Beautiful". Joe Dalessandro diventa, così, rappresentazione di una figura che imperversa nel mercato mondiale dell'arte omoerotica, tanto da divenire quel personaggio bello e dannato, angelico e demoniaco, affascinante e tentatore, dal lato trasgressivo dei costumi, semplicemente recitando la parte che gli è propria caratteristica nella sua realtà, quella di attore prostituto.
HOLLY WOODLAWN
Non possiamo altro che individuare un altro tipo di superstar warholiana nella figura di Holly Woodlawn, che debuttò come personalità di successo e di fama nell'opera Trash dello stesso Warhol, film del 1970. il regista George Cukor fece pressione sull'Accademia per nominarla all'Oscar. Divenne addirittura un'icona e musa ispiratrice nel testo della canzone di Lou Reed, componente dei Velvet Underground, altro gruppo musicale scoperto e lanciato alla Factory:"Holly came from Miami FLA, / hitch-hiked her way across the USA, / plucked her eyebrows on the way, / shaved her legs, and then he was a she..."
nell'ultimo periodo degli anni 70 Holly rilasciò un'intervista a Geraldo Rivera in cui alla domanda chi fosse e che cosa sentisse di essere, se donna ingabbiata in un corpo maschile, un travestito, un transessuale, lei rispose semplicemente: "But darling, what difference does it make, as long as you look FAB-ULOUS?". Oggi Holly vive a Hollywood e rimane sempre un'icona intramontabile di un glamour che non trascende mai nel volgare e nello scontato ma che appare semplicemente ed elegantemente camp, come sempre è stata la sua personalità, amata come sempre da tanti fan, oltre a essere una delle eroine transessuali degli anni 70, conosciuta e lanciata da Warhol alla Factory. La scelta del suo nome indica la spiccata caratteristica del personaggio: si è data il nome di Holly in omaggio ad una delle figure cinematografiche più affascinanti e illustri della pellicola hollywoodiana, Audrey in Colazione da Tiffany; il cognome Woodlawn è ripreso dal nome del cimitero di New York, quasi dissacrando l'apparente sontuosità e serietà artistica.
MAPPLETHORPE
Mapplethorpe è un'altra delle figure vicine al movimento filosofico della Factory, prima che produzionale artistico. Il noto fotografo celebra lo sdoganamento dell'arte fotografica erotica di nudo maschile e non solo, trasgressiva e dirompente, ma non pubblicitaria né massificata e massificante.
E' grazie a Mapplethorpe che oggi se notiamo delle immagine erotiche od omoerotiche nel mondo della pubblicità non abbiamo più nessun tipo di reazione scandalistica, ma anzi un apprezzamento dei contorni e della scelta estetica e contenutistica. Mapplethorpe sfondò la scena del mercato dell'arte con la sua prima e provocatoria produzione della serie "portfolio X", autoritratto nudo di spalle con una frusta inserita nell'ano. I soggetti di Mapplethorpe, da questo momento in poi, saranno sempre quelli di scene estreme erotiche tanto da dare un contorno e una conseguenza commerciale alle produzioni, così, realizzate. In questi scenari vedremo l'artista affrontare gli ambienti underground sottoculturali di New York. Si dirà di lui di essere un autore che ha saputo trasporre immagini appartenenti al mondo dell'omoerotismo in un ambito prettamente classico, facendo "del nudo - indifferentemente maschile o femminile - una forma di studio botanico", come considera il noto critico d'arte Adriano Altamira. È chiaro che Mapplethorpe abbia operato un vero e proprio linguaggio di rottura, una reinvenzione del ruolo dell'arte e della sua funzione, del suo messaggio, utilizzando spesso allitterazioni metaforiche prese dalla natura, come la botanica, in cui i fiori venivano comparati a organi sessuali del corpo maschile, con una raffinatezza compositiva delicata quanto elegante.
HARING
Penso che ognuno di noi abbia una maglietta o sia capitato di vederla indossare da qualcun altro con dei disegni raffiguranti omini stilizzati danzanti o che giocano tra di loro, a volte facendo l'amore, a volte abbracciandosi in un grande girotondo; oppure penso che qualche anno fa ad alcuni di noi sia capitato di comprare uno Swatch con degli ideogrammi tra il fumetto e i disegni rupestri dei Maya che segnassero e scandissero le ore della nostra giornata: ebbene non ci sarebbero state queste immagini ormai patrimonio della cultura main stream internazionale se non ci fosse stato un artista eclettico quanto innovativo, Hip Pop, nel vero senso di artefice di una popular art, un'arte che parlasse non all'elite ma alle persone, attivista, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, nella battaglia contro l'aids, di cui lui stesso, come dichiarò nel 1986 in un'intervista apparsa su Rolling Stone, era affetto: Keith Haring. Haring è sinonimo di "bambino raggiante". In rapporto ad Andy Warhol Keith dirà: "La vita e il lavoro di Andy hanno reso possibile il mio lavoro. Andy - prosegue - aveva stabilito il precedente che rende possibile l'esistenza della mia arte. È stato il primo vero artista pubblico in senso globale".
Da Andy Warhol lo distanzierà il fatto di aver dato una svolta maggiore e più evidente alla dimensione popolare dell'artista, non un intellettuale cattedraticamente elevato, ma disposto a proporre un'arte che sia per tutti, fine verso cui ha voluto sempre indirizzarsi.
Possiamo ricordare alcune opere che scandiscono la produzione di Haring: nel 1983 realizza un murale per la Marquette University a Milwaukee, nel Wisconsin, mentre, nel 1986, produce il grande dipinto sul Muro di Berlino, che ancora separa la Germania Est da quella Ovest, ricco di significato pacifista e di conciliazione umana, una critica ai contrasti tra poteri e potenti internazionali. (anche questa immagine imperversa come Marylin Monroe seriale di Andy Warhol negli schermi e nelle rappresentazioni commerciali e non di tutto il mondo). Ricordiamo l'ultima sua epica opera: la decorazione attraverso un murales gigantesco sulla parete esterna del Convento di Sant'Antonio a Pisa, Tuttomondo, dedicata alla Pace Universale.
Il sesso così come il suo orientamento sessuale saranno la base di ogni sua opera, l'essenza, l'anima, il messaggio e la tecnica estetica. Keith Haring vive la sua omosessualità senza filtri, anche e soprattutto nella sua produzione artistica, quindi. Ne sono esempio i murales trasgressivi, sensuali ed erotici, che realizza nei bagni del Gay Lesbian Community Service Center nel Greenwich Village, poco lontani da un'altra opera dai toni più miti proposta sulla parete di una piscina. E', questa, una celebrazione estetica quanto sostanziale del sesso, parte integrante della sua vita e del suo stile disinibito e senza limiti, spesso promiscuo, non conformato, sempre estroso, irruente, altamente innovativo e dirompente.
I supermercati, la strada, le fermate della metropolitana, sono gli elementi costitutivi e costituenti di una filosofia senza pretesa, non certo distaccata ed esclusiva, fondata su una primitività del segno grafico che si confonde e si integra con il segno verbale, con le parole, ritornando all'intensità ideogrammatica in un progredire seriale."I miei disegni non vogliono imitare la vita, cercando di crearla … ciò si avvicina di più ad una idea primitiva … non uso le linee ed i colori in senso realistico", affermerà a proposito Haring. Haring è l'ideatore del minimalismo essenziale di un nuovo modo di pensare l'arte, accessibile alla massa, e amerà eseguire dal vivo per strada davanti gli occhi dei passanti le proprie installazioni: è il primo che farà di sé autore mentre crea una videoinstallazione. La sua arte celebra l'uomo, così come quella controcultura di strada genuina e viva, ricca di ispirazioni e di idee innovative e rivoluzionarie di una poetica più attenta a comunicare nel quotidiano che a essere appannaggio interpretativo di qualche critico accademico. "L'arte celebra l'uomo - dirà Haring - non lo manipola" ed è qui l'assenza totale di un intento pedagogico e quasi educativo dell'arte, uscendo fuori dagli schemi ideologici e paternalistici che tante volte molte correnti hanno espresso, dal realismo all'ipperrealismo, dal surrealismo all'impressionismo.
Le installazioni sono fatte con gesso bianco su carta nera applicata su vecchi manifesti pubblicitari presenti lungo i percorsi della metropolitana newyorkese, suo atelier e laboratorio performativo per eccellenza.
Nell'arte di Haring si riscontrano eredità poliedriche, lo stile fumettistico, l'influenza della tradizione Maya, l'incisività dei pittogrammi giapponesi e, infine, la cromaticità vivace di un Picasso nella sua prismaticità plastica di rappresentazioni popolate da forme antropomorfe semplici. Haring ama realizzare le sue opere in una sola giornata perché vuole che il pubblico, nella sua composizione sociale plurale, nella sua accezione interclassista, lo guardi e lo osservi durante la produzione artistica. Act Up sarà l'associazione che vedrà un Haring attivista nel movimento per la ricerca contro l'AIDS, tanto da fondare la Keith Haring Foundation a favore di bambini sieropositivi. Haring produce anche opere che subentrano nelle televisioni e nella comunicazione mass mediatica generale e popolare: i tessuti per una collezione dello stilista Stephen Sprouse, l'etichetta d'artista per i quotati vini Château Mouton Rothschild; la BMW della serie Art. Haring vedrà anche un lato camp della sua produzione attraverso l'epifania di quell'affezione per il kitsch in senso deliberato, consapevole e sofisticato, lato imprescindibile dall'analisi di Keith Haring come uomo preartistico nell'invito a forma di disco inciso a 45 giri e realizzato per la festa di compleanno della principessa Gloria von Thurn und Taxis.
Un mondo ideale è quello che viene rappresentato nel testamento di Keith Haring, un vero e proprio inno alla vita, che lui amò profondamente e completo in modo edonistico ed emancipato, non superficiale e attento alla dimensione umana. Haring è anche ricordato come frequentatore abituale e sponsor di fatto del noto locale d'avanguardia, Plastic, da lui stesso considerato il primo club europeo per eleganza e distinzione, e, infine, ideatore del restyling dello store di Fiorucci in Corso Vittorio Emanuele con graffiti sulle pareti, colori appariscenti e fosforescenti nell'arredamento.

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