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Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Simonetta Biserni, Giovanna Casapollo, Rossana D'Angelo, Alessandra Ferrari, Emanuela Ferrari, Erika Gherardotti, Cesare Lorefice, Paola Moreali

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Marco Bazzato, Manuela Léa Orita

Recensioni

In questo numero:
- "Apologia del perduto" di Lorenzo Spurio e Massimo Acciai
- "Poetikanten", poesie dei Poetikanten
- "Il vento in si minore" di Paolo Ragni
- "Contatto" di Annalisa Margarino
- "Granelli di sabbia" di Andrea Gerosa
- "Fango e luce" di Maria Antonietta Nardone, nota di Massimo Acciai
- "Non oltrepassare la linea gialla" di Roberto Mosi
- "Aborto d'amore" di Marco Bazzato

Interviste

Intervista a Dorotea De Spirito, autrice di "Destinazione Tokio Hotel"
A cura di Massimo Acciai

Così e adesso
 

Simonetta Biserni




Questa è la storia dell'Anima Martino,
che non volea sulla Terra ritornare,
anche stavolta il caro piccolino,
era riuscito a superar sé stesso,
e pronto ancor non era a navigare.

Lui aveva il dono delli Maghi,
sapea legger del Cielo ogni Suo verso,
ed i suoi sensi mai erano paghi,
di riconoscer cosa si celava,
nelle righe del Magico Universo.

Non era molto che era rincasato,
stanco era della Lunga Lotta,
e non voleva ritornar neonato,
era davvero troppo presto,
per rientrare in flotta.

Aveva ricevuto un telegramma,
da parte del suo caro Comandante,
di certo, era accesa la sua Fiamma,
ma lui guardava il mare,
e non voela ritornare infante.

La notte era tranquilla,
diafana era ancora la sua pelle,
che contrastava con quella Scintilla,
che era il Fuoco, quello eterno,
che lo mettea in contatto con le Stelle.

Tenea in mano il telegramma,
come fosse merce che già scotta,
ancora non avea alcun programma,
di riprendere il Viaggio, non adesso,
la vita vecchia era stata una gran botta.

Stelle stelle, ditemi vi prego,
che cosa devo fare? Su dite a me.
Si tratta ancora del mio ego,
se pronto ancora non mi sento,
a diventar di nuovo un Re?

Sappiamo quanto sia stata dura,
Anima Martino, Anima Intelligente
ma se il Comandate chiama,
anche se non ti va,
non puoi pensar di far finta di niente.

Lo so amiche care,
non posso più tergiversare,
ma pur amando questo mare,
mi sento stanco e ho poca voglia,
di riprendere a navigare.

Carissimo Martino,
non lo decidi tu, questo lo sai,
e quando è l'ora di tornar bambino,
devi onorare la chiamata,
oppure saranno di sicuro guai.

E' certo che lo so, non sono scemo!
Calcoli fo con la mia penna,
perché da poco ho posato il remo,
e traversare l'Acqua è stata dura assai,
ed è per questo che ho un gran dilemma.

Su, su caro Martino,
è ora di narrar la storia,
altrimenti quel piccolo bambino,
che diventar dovrai,
si perderà nel Ciel della memoria.

Va bene, si cominci,
tanto lo so, un po' scappare,
e tu Ishtar *che sempre mi convinci,
anche questa volta, credimi,
avrai il tuo gran da fare.

Si apra il sipario, su presto!
La storia di Martino ha da iniziare,
e tu scrivano, cerca d'esser lesto,
a cogliere quanto verrà detto,
che nel diario suo dovrai fedelmente riportar.

Signore e signori, questa è la storia dell'Anima Martino,
che non volea sulla Terra ritornare,
anche stavolta il caro piccolino,
era riuscito a superar sé stesso,
e pronto ancor non era a navigare.

E' arrivata la chiamata, sulla Terra ho da tornare,
certa non sono di ripercorrer la Via;
che fatica il tornar ad errare,
ma se disobbedisco sono guai,
di Iddio avrò l'antipatia.

Da poco a Casa son rientrata,
Anima che ha tanto disperato;
ma se anche mi son sentita amata,
e i frutti cogliere ho potuto,
ora è tempo del riposo mio agognato.

Credeo che non ce l'avrei fatta,
a lavar nell'acqua i miei peccati;
ma anziché giocar di tutta matta,
mi son prodigata; è stata dura,
ma or' essi sono mondati!

Ma ora chi lo dice al Comandante,
al quale nulla può venir celato;
che giù ne ho passate tante,
ed anche se Egli dice che è tempo,
io non ce la faccio a ritornar neonato.

Mi dirà, ne son sicura,
che tutte le volte fo la stessa lagna;
non so perché divento sempre scura,
sarò anche un'Anima ribelle,
ma se rifiuto per me sarà la gogna.

Qual fortuna! Andrete pensando.
Che bello tornare sul Pianeta Terra!
Voi che leggete, dico, non è il quando,
ma il come si dovrà,
e che non debba fare ancor la Guerra.

Vieni a me o pioggia tanto amata,
segna il mio volto come quando nacqui,
l'altra volta lo ricordo, mi hai bagnata,
per Battezzare la mia Nuova Vita,
ed io la bocca chiusi e tacqui.

Bagna i miei occhi che adesso sono asciutti,
lacrime salate fai ancora scendere,
perché la Precedente volea chiuderli tutti,
è stata dura ma ci son riuscita,
ad andare ove era giusto tendere.

Ed esse scenderanno, son sicura,
come l' acqua che passa tra le rocce,
che di ristagnar in nessuna cavità si cura,
ma ricolma tutte, e a scorrere continua,
e tutto colma con le sue preziose gocce.

Così alla sua natura fedele ella rimane,
comunque in ogni situazione,
è strano, l'ho scoperto stamane,
ma sto per esser ricevuta,
e ho di recuperare la ragione.

Ho il nome di Martino,
che scelgo sempre quando ho giù d'andare,
e so che sarò bambino,
e anche stavolta credo così sarà,
che come maschietto deciderò di tornare.

Sole vieni ad asciugare il mio pianto disperato,
che se deciderò di accettare nuove Sfide
so che solo non sarò e sarò sempre grato,
a coloro che saranno i miei aiutanti,
amici insostituibili, compagni e Guide.

Mentre mi avvio torno a rammentare,
che sulla Terra tanto amata,
tutte le regole tenderò a scordare,
e se decido di riprender l'Avventura,
dovrò rammentare della Cultura data.

Son cosciente che della scelta,
e solo io devo decidere,
di lasciare tutta la roba che ho divelta,
l'erba cattiva che sta nella valigia,
e che son riuscito a recidere.

Quindi, mentre vo dal Creatore,
passo dal deposito bagagli,
e la zavorra vecchia deposito al Mentore,
proprio a Colui che nella Vita mi ha guidato,
evitandomi di commettere grandi sbagli.

Dice che è contento di quel che ho combinato,
beato Lui, temevo di aver fatto fallimento!
E nuovamente a Lui verrò affidato,
mi fa felice assai questa notizia,
ma di discendere, avrete inteso non son certo contento.

Dovrei tornare ad esser d'uomo un cucciolo,
o chissà quale forma assumerò,
non voglio fare un commento spicciolo,
ma vorrei tornare ad essere quel che ero,
per migliorare, se non di tanto, almeno un po'.

Laggiù, Io lo ricordo bene,
tutto funziona all'incontrario,
vivon tutti di delitti e pene,
vogliono essere pure uguali uno all'altro,
e guai a uscir dall'ordinario.

Subito viene appiccicata l'etichetta del diverso,
e messi s' è nell'immediato a una parte,
considerato all'unisono un uomo perso,
senza pensare che per cambair sul serio,
bisogna rivoltar tutte le carte.

L'ultima volta mi son stancato tanto,
che ancora abbisogno di riposo,
e anche se non me ne fo vanto,
tante cose ho risolto per davvero,
e avanti sono andata non a ritroso.

Dure le Prove da superare sono state,
ho giocato una dura partita,
ed anche la situazione meno amata,
s'è rivelata, a lungo andare,
un'esperienza assai riuscita.

Mi è capitato di viver l'abbandono,
e di soffrir di tanta solitudine,
a malincuore l'ho presi come un dono,
l'unico mezzo è l'accettazione,
per godere infine della Beatitudine.

Ma per fortuna poi mi sono sentita amata,
Anima che ha trovato la Sua via,
così che la prova ho superata,
finalmente vittoriosa,
ho potuto lasciare la mia scia.

Mi fermo al Fiume a riposare,
sotto un bell albero di fico,
e sento il vento alitare,
e mi godo il mio presente,
pien di beltà che non ti dico.

Riposata faccio un tuffo,
e nella acqua fa capolino,
vien a me un animaletto buffo,
è peloso e con la coda,
rassomiglia a un topolino.

Familiare mi è il suo volto,
ma si! E' colui che fa l'indiano,
dice sempre che son stolto,
mi saluta con calore,
E' l' Opussum* Silvano!

Ciao mio piccolo Martino!
Te ne vai dal Comandante?
Ti darò un aiutino,
di sicuro non hai voglia,
ma ti giuro che è importante.

Certo io vorrei capire,
perché non posso ancor restare,
sono stanco di salire,
scale, scale e ancora scale,
vorrei solo un po' sostare.

Non pensar che non capisca,
tutti a Casa si sta bene,
ma giusto é che gioisca,
nell'avere l'occasione,
di risolver le tue Pene.

Metto sempre tanto impegno,
nello stare sulla Terra,
stanco adesso è il mio ingegno,
voglio solo riposar,
sono stanco della Guerra.

Ho per Te un bel Consiglio,
dai impara a far l'indiano!
Che il tuo Occhio non batta ciglio,
apprendi l'arte del silenzio,
così niente sarà vano.

Molte grazie, grazie tante!
Il tuo aiuto mi è prezioso,
per andar dal Comandate,
certo non lo scorderò,
cercherò di non stare ozioso.

Perché quando il Comandante chiama,
or riesco a ricordare,
non è l'ora della fama,
ma vuol dire che le Prove,
siamo pronti ad affrontare.

Però spesso m'è successo,
d'aver netta sensazione,
di non poter trovare il nesso,
e mai volesse avere fine,
ogni mia situazione.

Ma si sa tutto ha un fine,
ai cui segue un nuovo inizio,
e stavolta senza mine,
vorrei stare un po' sereno,
e togliermi ogni sfizio.

Rinfrancato, ma non tanto,
or riprendo il mio cammino,
del consiglio non fo vanto,
lo ripongo nella nuova sacca,
lo conservo per benino.

Nel percorrere la strada,
anche se mi sento meglio,
vedo il giorno che dirada,
ed io devo trovar riparo,
troppo presto è per star sveglio.

Come un faro nella notte,
un grande amico riconosco,
lo Scoiattolo* Mascotte,
che mi da ospitalità,
nel suo albero nel bosco.

Qual buon vento!
Che sorpresa!
È trascorso come un lampo,
il tempo che è passato,
dalla ultima discesa.

Or riposa che sei stanco,
prendi un po' delle provviste!
Stai tranquillo non ammanco,
ce ne sono talmente tante,
mangia su, non esser triste!

Molto buone per davvero,
già mi sento rinfrancato,
e se devo esser sincero,
vorrei restar sino a quando,
mi sarò un pò riposato.

Qualche giorno puoi restare,
ma poi sai meglio di me,
ti dovrai rincamminare,
per la Tua Strada Maestra,
per far della Nuova Vita il Re.

Un consiglio per riflettere,
è arrivato cambiamento,
e un consiglio: non rimettere,
nella tua piccola sacca,
ciò che ora è cemento.

Si, si, non ti preoccupare!
l'ho lasciato dal Mentore,
e che lo prendeo a fare,
visto che era solo un peso,
e di quello assai peggiore?

Che bei giorni che trascorse,
col suo amico roditore!
E trai rami agili corse,
tanto cibo e buon riposo,
a tutte le sante ore.

Ora il giorno è arrivato,
che tu torni sulla Via,
dai non essere imbronciato,
presto noi ci rivedremo;
allegria, dai, suvvia!

Ti ringrazio amico caro,
il momento è ormai giunto,
e come un dono raro,
a memoria l'ho imparato,
ecco, punto dopo punto.

Rinfrancato, ma non tanto,
or riprendo il mio cammino,
del consiglio non fo vanto,
lo ripongo nella nuova sacca,
lo conservo per benino.

Ma per niente non ho voglia,
di dover ancor remare,
ma mi trovo sulla soglia,
e che quando li si giunge
non si può più rimandare.

Ma Buon Dio, che tempo brutto,
or mi devo riparare,
altrimenti il mio frutto,
se matura anzitempo,
si potrebbe anche sciupare.

V'è di legno una casetta,
che fortuna inaspettata!
Ecco via in tutta fretta,
corro svelto a quel riparo,
tanto ancor non è la data.

Mamma mia che profumino,
nell'entrare ho percepito!
Mi presento son Firmino,
ecco che arriva l' Orso*,
e rimango lì basito.

Dai su non sentir timore!
Hai dimenticato tutto?
Hai scordato le dimore,
di chi tutto ti insegnò?
Stai nascendo non è un lutto.

Mi dispiace, chiedo scusa,
è che a stare sulla Terra,
e vivendo alla rinfusa,
tutto ho dimenticato,
come sai si fa la Guerra!

Su ragazzo ora riposa,
togli i panni, son bagnati,
ecco qui, mangia qualcosa,
e poi vai nel tuo letargo,
che i tuoi sogni sian realizzati.

E così il buon Martino,
ubbidì senza esitare,
troppo saggio era Firmino,
il suo Orso preferito,
or riusciva a ricordare.

Rammentava che Lassù,
tanti sono gli Insegnanti,
e non è come Laggiù,
dove crede solo l'uomo,
di far parte degli Santi.

Questa volta era toccato,
alla Via degli animali,
era stato scellerato,
a pensare solo a sé,
e ai problemi in quanto tali.

Diede retta al buon Firmino,
mangiò, bevve e riposò,
sette giorni e un pochino,
poi co' un bagno nel laghetto,
più pulito diventò.

Dai riprendi il tuo cammino,
ora è tempo che tu vada,
vai orsù, caro Martino,
il silenzio ti ha rimesso,
sulla tua giusta Strada.

Rinfrancato, ma non tanto,
or riprendo il mio cammino,
del consiglio non fo vanto,
lo ripongo nella nuova sacca,
lo conservo per benino.

Ecco è ritornato il Sole,
dopo il sonno e aver mangiato,
son tornate anche le viole,
e Martino va dal Capo,
con il corpo rinfrancato.

Ma la Strada è ancora lunga,
tanto c'è da camminare,
ma lontan sto dalla funga,
ora che sono pulito,
non mi voglio impantanare.

Che profumi ormai scordati,
ora senton le mie nari,
come sono verdi i prati,
nella mia Terra Natale,
che Laggiù ormai son rari.

Mentre vo, io mi rammento,
della Vita ormai andata,
senza tanto sentimento,
conta ormai solo il presente,
il resto è solo acqua passata.

Certo è stato importante,
agli errori rimediare,
se sarò di nuovo infante,
spero maschio in verità,
credo a breve, così pare.

Ma chi vedo alto volare,
con le ali maestose?
la mia amica secolare,
è Adelaide nel cielo,
le cui parole son assai preziose.

Ecco l'Aquila * che plana,
e con i suoi grossi artigli,
mi trasporta nella tana,
perché sta facendo notte,
e mi deve dar consigli.

Come va caro Martino,
e, come andata l'Avventura?
Dai racconta per benino,
sto ascoltarti mentre mangi,
non aver tanta premura.

Tante Guerre ho combattuto,
tanti sbagli ho rammendato,
ma non son stato battuto,
certo qualche volta ho perso,
ma il mio Karma ho un po' scontato.

E che io ora contavo,
di poter un po' star fermo,
e comunque un po' pensavo,
di restar tranquillo a Casa,
perlomeno un altro Inverno.

Questo è il dono che ho per te,
ama il buio come il giorno,
tornerai ad esser Re,
e riposare un po' potrai
nel tuo prossimo ritorno.

La Tua Libertà è Legge,
legalizzala ti prego,
c'è con Te chi Ti protegge,
tu non devi aver paura,
se sfoltisci un po' il tuo ego.

Ora dormi mio Martino,
che domani arriva in fretta,
fai il bravo e buon bambino,
e dei nostri buon consigli,
tu farai subito incetta.

Spunta adesso il mattino,
ed è già tempo di andare,
ecco il nostro buon Martino,
che riprende il suo sentiero,
ricomincia a camminare.

Metti nella tua saccoccia,
quanto dissi ieri sera,
senza far troppa bisboccia,
né vantarti dei consigli,
nella buona sorte spera.

Rinfrancato, ma non tanto,
or riprendo il mio cammino,
del consiglio non fo vanto,
lo ripongo nella nuova sacca,
lo conservo per benino.

Che bel vento mattutino,
che arriva da lontano!
Vieni qui, vien da Martino,
a spazzar tutti i suoi dubbi,
e condurlo per la mano.

Spazza via ogni rancore,
porta via le incertezze,
portami un po' d'Amore,
nella prossima discesa,
più non vo' le nefandezze.

Qui per questo arrivo a Te,
devi solo star sereno,
ora dai, vieni con me,
hai già fatto tanta strada,
devi continuare in treno.

E così a sera tarda,
ecco la locomotiva,
e lui adesso bene guarda,
finalmente riconosce,
la sua allegra comitiva.

Ed il treno corre e va,
rilasciando la sua scia,
e Martino se ne sta,
nel vagone a riposare,
sul binario della Via.

Questo treno corre assai,
e lo porta ancor più avanti,
per diminuire i guai,
ed imparare ancora,
dai suoi validi Aiutanti.

I Paesi sono tanti,
non vi è alcuna fermata,
alla Casa degli Aiutanti,
lui di certo sarà fermo,
e la sua Anima placata.

Nella corsa del trenino,
Oceani scorreano lenti,
ora l'Anima, Martino,
si disonna rinfrancata,
pronta a nuovi Insegnamenti.

Ad attenderlo al binario,
puntuale è Gedeone,
lui che è il bibliotecario,
del Paese delle Guide,
evviva il Re, Lui è il Leone*!

Son sicuro hai riposato,
nel tuo comodo vagone,
ma sol quando avrai pranzato,
starai meglio certamente,
dopo qualche buon boccone.

Arrivarono così,
alla Casa del Leone,
e già era un nuovo dì,
nella Magica Foresta,
dove stava Gedeone.

Che bel posto in verità!
Stava bene lì Martino,
e mangiava a sazietà,
mentre dentro sé pensava,
alla Luce di Aladino.

A quel Genio che sa tutto,
e da mano a chi nei guai si trova,
anche se pareva brutto,
allo scopo far domande;
la curiosità non giova.

Ogni cosa al suo momento,
questo si lo ricordava,
ed infatti giovamento,
dal silenzio gli arrivò,
e il Leone già narrava.

Una volta, qui si legge,
un Leone neonato,
fu trovato da un gregge,
che lo prese in adozione,
perché era abbandonato.

Lui cresceva forte e sano,
gli fu messo il nome Gino,
stava sempre mano mano,
per la vita e a pascolare,
come fosse un vero ovino.

E poi nulla gli mancava,
era proprio coccolato!
Ma qualcosa non andava,
anche se felice era,
e da tutti assai amato.

Però c'era un problema,
che era ormai di lunga data,
che invece del diadema,
ridicolaggine e gran riso,
gli veniva regalata.

Quando lui vedea un Leone,
si mettea le zampe in spalla,
te lo dice Gedeone,
che in tutta questa storia,
c'era un'enorme falla.

Dei parenti scoppian le guance,
dallo rider a crepapelle,
e dolevano le pance,
e le lagrime dagli occhi,
giù scendean per la valle,

Nel veder quello Leone,
con la coda tra le gambe,
te lo dice Gedeone,
era un gran divertimento
per quelle creature strambe.

Così un giorno un Leone vecchio,
assai stufo della farsa, in verità,
con il fiume come specchio,
gli fece ben capire,
la sua vera identità.

Con un calcio nel sedere,
che facea assai rumore,
lo sospinse a vedere,
nello fiume il suo riflesso;
ma lui iniziò a tremare.

All'inizio ebbe spavento,
non sapeva che era lui,
ma sicuro al super cento,
un ovino certo non era,
ed a fine ormai i giorni bui.

Se ancor oggi al vostro orecchio,
un regal ruggito arriva,
è del Leon che nello specchio,
vide la vera sua natura,
e la sua Anima fu viva.

Era stato buggerato, poverino!
Lui nemmen lontanamente,
somigliava ad un ovino,
gli era stato fatto creder,
come a un povero demente.

Mamma mia che bella storia!
E così anche nella vita,
questo accade, ne ho memoria,
spesso gli altri e non tu
che conducan la tua partita.

E così pel buon Martino,
giunse il tempo di avviarsi,
né veloce né pianino,
lo attendeva il Comandante,
per capire il da farsi.

Gedeone lo portò,
allo scalo della nave,
e così lo salutò,
ringraziandolo del dono,
di quella preziosa Chiave.

Rinfrancato ormai davvero,
fo la lunga traversata,
e ad essere sincero,
ormai non ho più paura,
di tornare dove ero.

Cento giorni e cento notti,
durò la navigazione,
grazie ai suoi amici dotti,
ora ricordava tutto,
era pronto per l'Azione.

Ad attenderlo al Porto,
venne un suo caro Amico,
anche lui da poco morto,
ma ormai Guida divenuto,
c'era il Corvo* Federico.

Qual buon vento amico mio,
che gran gioia, che emozione!
Anche tu sei qui da Dio,
e di certo non pensavo,
alla tua sì evoluzione!

Mentre insieme andavan al Comandante,
gli narrava l'accaduto,
non era una storia come tante,
e felice più che mai,
di esser divenuto il nero pennuto.

Interessante la mia trasformazione,
della Magia sono divenuto detentore,
mentore di chi vuol cambiare,
ma non per tutti son disposto,
a giocare col mio onore.

Di guarire bisogna avere voglia,
non è che arrivo così, tanto per fare,
si deve anche agir per arrivare sulla soglia,
altrimenti, mi dispiace,
il mio talento nuovo non po' sprecare.

Adesso che ricordo tante cose,
sono contento di aver tutti ritrovato,
e grazie alle vostre rime giocose,
adesso sono sicuro pronto,
a divenir ancor neonato.

E arrivò dal Comandante,
con l'amico Corvo in compagnia,
al quale per saluto Grazie Tante,
ed un arrivederci diede,
sperando di un reincontro per la Via.

Grande era l'emozione,
col suo Capo faccia a faccia,
e sul volto né alcun finzione,
lo abbracciò e gli disse:
tutti i consigli ho nella bisaccia.

Bravo, bravo il mio Martino,
sulle prime un gran svogliato,
ma adesso è ora; riprendi il tuo Cammino,
e sono felice molto assai,
che tu sia ancor cambiato.

Sarai stavolta un piccolo Scrivano,
un Poeta, un vero artista,
e adesso tendimi la mano,
che scegliamo l'abito
per rimetterti nella pista.

Questo è davvero bello,
che ne dici?
E' alto, riccio e snello,
adatto a tutte le occasioni,
e per farti riconoscer dagli Amici.

Mi piace per davvero,
non vedo l'ora di indossarlo,
ma dimmi, sii sincero;
chi saranno i miei genitori questa volta?
Io vorrei Paola e Carlo.

Li ho già visti l'Altra Volta,
siamo in confidenza assai,
la stima reciproca era molta,
e visto che rientro nel Samsara,
col loro son sicuro, eviterei dei guai.

Se non ricordo male, credo,
stanno in attesa di un bambino,
se mi permetti scruto e vedo,
con la mia sfera do un'occhiata,
se il caso diverrò il loro Martino.

Credo che si possa fare,
sta a te decidere se e come,
ma a parte quel che vorrai dare,
e ti prego, di la verità,
vorrai mantenere il tuo nome?

Martino a me mi piace,
e anche se così mai non si dice,
il suo suono con Me mi mette in pace,
quindi sì, lo manterrò anche pe' sta vita,
il suo sinonimo è per me: Sagace.

Stavolta prender puoi iniziative,
quindi vai nella Grande Stanza,
molte son le tue prerogative,
quindi prendi tutto quello che ti serve,
è l'ora di riprender la tua danza.

E fui così che gli fu dato il suo vestito,
e la sua valigia piena di consigli,
di cui non si era mai pentito,
felice si avviava, per la prima volta,
pronto ad esser il Figlio dei Figli.

Tutti salutò prima di partire,
stavolta era certo, non avrebbe scordato,
e avrebbe ricordato per i giorni a venire,
tutti i suoi Amici, le sue Guide,
e quello che gli era stato insegnato.

E dopo nove mesi nacque Martino,
un piccolo neonato riccioluto,
ed di sicuro in quell'esserino,
i genitori Paolo e Carla,
in Martino aveano riconosciuto,

Quell'Anima solerte ad imparare,
per migliorarsi in continuazione,
ed erano pronti a fargli ricordare,
che loro l'avean riconosciuto,
stavolta non bisogna la finzione.

Questa è la storia dell'Anima Martino,
che non volea sulla Terra ritornare,
anche stavolta il caro piccolino,
era riuscito a superar sé stesso,
e pronto era di nuovo a navigare.

 

Elogio alla scrittura
 

Simonetta Biserni


Alla farina dello stesso sacco appartengono anche quei tali che aspirano all'immortalità pubblicando libri.
Tutti costoro mi debbono moltissimo, ma principalmente mi sono obbligati coloro che imbrattano le pagine di scipitaggini senza sugo.
Difatti quanti scrivon libri, attenendosi al giudizio di pochi dotti e che accettano come critici un Persio o un Lelio, mi pare che debbano esser più degni di commiserazione che di felicità, poiché la loro vita, è un continuo tormento; aggiungono, mutano, tolgono, rimettono, ripigliano, riplasmano, fanno esaminar la loro opera, la tengono nel cassetto per nove anni, non sono mai contenti di sé e pagano quel futile premio che è evidentemente la lode, e di pochissimi per giunta, a prezzo assai salato, con le numerose veglie, con l'abbondante perdita di sonno, il dono più dolce di salute e bellezza fisica, che si divien orbi e anche ciechi, che si è soggetti alla povertà e all'invidia, che si rinuncia ai piaceri, che la vecchiaia e la morte arrivano prima del tempo e così via di seguito.
Gravissimi mali son questi e a tal prezzo quel saggio che voi sapete stima opportuno acquistare l'approvazione d'uno o due tizi cisposi come lui.

Elogio alla Pazzia
Erasmo da Rotterdam
I poeti L - pag. 59
Ed. BIT


Vedo una quantità di versi sciocchi
una massa di parole data al caso,
tutto pare esser stato vano ai tanti occhi
e nel tentar di dare lustro alla Parola,
son stata presa per il naso.

Inutili gli sforzi dei Maestri d'Alto Rango
Allievi pel mio degno han giocato la partita,
se tutto somiglia a uno sgraziato tango
o quanto più sgradevole,
una farsa mal riuscita?

Nel mio cuore è custodita una tristezza
un'angoscia inaspettata,
lesion profonda efferatezza;
l'uomo che la ferita ha inferta,
e mai non s'è rimarginata.

A chi pensa d'avermi dato fama e gloria,
dico di non aver tanta premura,
se poi non rimarrà nella memoria,
come nello Antico Tempo il bello,
ma solo tanta spazzatura.

Che me ne fo di grandi apparizioni
se manca la sostanza, carne rossa e succulenta;
se l'uomo gioca con le costruzioni
gettando versi nel crogiolo,
come ciccia macilenta?

E a me nessuno pensa, tanto io
secondo lor reagir non posso,
ma hanno torto, è vero Iddio;
non mi contento più
di un verso scarno come un osso.

A chi vuol piena la bocca
di celebrità e di trionfi,
in giro se ne va e non lo tocca
se le ferite m'ha inferte,
e i miei occhi divenuti gonfi.

Del mio dolor nessun si cura
non mi pronuncio, sono offesa;
finir non voglio certo in sepoltura
e stanca son che mi si prenda in giro,
proprio io che son la parte lesa.

Ma con la Morte di viver non si cessa,
trattasi solo di passaggio,
evoluzion che ha inizio con una nerea messa
e le maniche rimbocco,
pel degno della Vita e per Me stessa.

E pensar ch' Ella fu la prima
ad apparir nel Magico Universo;
e di qualunque Dio abbiate stima,
né animale, né pianta né uomo,
per primo nel Mondo fu riverso.


Primigenia è inutile negare,
ancora prima del tanto decantato Amore,
iniziò il Suo peregrinare
ma amor perdona, amor che nulla ho amato,
fu Lei del mondo solo unico splendore.

E quale investitura gli fu data,
Onore sì e pur la Gloria;
che dal Mondo fosse amata
ma anche una difficile Missione;
che nello scritto dovea trovar memoria.

Saprai restar fedele a Te o Parola
e divenir nel Tempo la Scrittura;
o saprai esser sol come scarola,
pessimo manicaretto o peggio ancora,
maleodorante rancida frittura?

Non Ti deluderò, rispose Lei al Divino,
combatterò con tutto il mio coraggio;
e getterò nel tino qual cattivo vino,
ciò che potrà esser offesa
bruttura, o peggio ancora, oltraggio.

Ma aveva fatto i conti senza l'oste la Parola,
confidando in colui ch'oggi si vanta;
che dovea, in una espressione sola,
non tradirla e denigrarla,
ma farla progredire e divenire Santa.

Ecco i colori dell'Iride decoro
inchiostro bianco e nero,
e come un Templare con il suo Tesoro,
tingi dentro il calamaio la penna d'oca
servendo sempre ciò che è vero.



Predi le cere e gli stoppini
che nella notte buia bruceranno,
senza avere mai secondi fini
porta alla Luce la Sapienza;
e per la Scrittura non vi sarà danno.

Sia Tu che lo Scrivano
avrete buona Pace di Coscienza,
se asservirete della destra mano,
senza sostare solo alla Letteratura,
ma sia alla Musica che alla Scienza.

Ecce per Voi bianchi volumi,
prendi tutto o Prediletta!
Avrai dalla Tua anche Numi,
gnomi e folletti ti proteggeranno;
pur' anche il Dio del tuono con la sua saetta.

Scherzi e burle andranno bene,
ma non dimenticar cos'è il Rispetto;
che 'l Signore ti ha creato e non con poche pene,
usa bene i tuoi strumenti
o Parola, o Verbo prediletto.

Che compito importante
avea da terminare la Parola,
vi sarebbero anche state Guerre Sante,
senza temer tranello certa ne era
avrebbe Vinto, e non sarebbe stata sola.

Ma non sapea che i conti senza l'oste
non fanno certo salir di gerarchia,
come il marinaio che viaggia per le coste
la vela issata, il vento in poppa,
assistendo una incomparabile naumachia.



Ma Iddio le fece ancor notare
di non dar nulla per scontato,
che molto su di Sé dovea contare;
e senza niente tralasciar,
tutto alla perfezione organizzato.

Così uscì dalla Porta Principale
piena di sogni e di speranze,
al fin di alacremente lavorare,
senza porre carro davanti ai buoi,
incamminandosi verso le sue Stanze.

Alzò lo sguardo con candore
e vide in Ciel le Stelle,
e rimase folgorata dallo tanto splendore;
pescò un aggettivo e disse:
come son belle!

Saranno dritta per color che lo vorranno
il Nord pel il navigatore e il marinaio,
che gli Oceani infiniti solcheranno,
dipingendo irregolari anse,
e anche per loro, adoperò la penna e il calamaio.

O piccola Parola! Dissero in coro Oceani e Stelle,
Ti aiuteremo nel tuo peregrinare,
ti ispireremo espressioni belle
e faremo faro a quel Poeta,
che ci guarderà sapendo amare.

E mentr' Ella camminava
per giungere alla Sua dimora,
venne alla Luce colui che già pensava
a come attuar il suo funesto piano,
e già di divenir famoso non vedeva l'ora.



Se ne importava poco della linea del Rispetto
che Egli non avea da superare,
sicuro era d'esser il prediletto
avrebbe vinto persino sulla Morte,
bastava l'Universo buggerare.

Ma Ella pur col suo Sapere Antico
si fidava dell'animale che credea alleato,
egli altri non era che il suo peggior nemico,
reo di prima categoria;
un essere ignorante e scellerato.

Pronto a tutto per essere nel mondo
l'unico a sciabolar col suo fendente,
e aspirava d' esser a tutto tondo
lui non volea rivali!
divenir l'unico potente.

Anziché esser d' aiuto fisico e morale
Lei ebbe lentamente la memoria,
che della peggiore specie lui era animale
bestia affamata e pronta a tutto,
anche a sbranare per ottener la Gloria.

Qual fatica divenir Scrittura
e quante meraviglie decantato,
con Avventure, Scienze, la Cultura;
perché anche se giunse quello piccolo,
anche il Grande Uomo c'era stato.

Verne cantò di Viaggi in giorni ottanta
Mr Fogg Passepatout, personaggi rari;
andate, ritorni, fatica tanta
in treno, nave, a piedi, in mongolfiera
di uomini capaci e temerari.



Cantò di Ventimila Leghe sotto i Mari
il Capitano Nemo che un sottomarino costruì,
per viaggiare in mondi pari,
che volean dire più di quel che c'era,
che pur son ricordati nel presente dì.

Le sfere guardano al Sole
che al centro dell'Universo è,
sistema eliocentrico, senza parole
De Revolution orbium coelestium
teoria che non ammette perché.

L'Opra Galileo continuò con minor fortuna
dichiarando del Copernico lo verso,
ma fu tacciato di magia bruna,
che fu costretto a ritrattar Parola
per non venir ne lo foco immerso.

Pronunciò frase che mai fu persa nella Via,
per far intender le idee vere e nuove;
che del pensier non avea lobotomia,
e sentenziò senza paura di sbagliare
Eppur si muove!

La Parola poi divenne nota, una bella melodia,
nel pentagramma non avea bisogno di riportare
Mozart, quel che nella sua testa già era sinfonia,
Lacrimosa, Flauto Magico e Don Giovanni,
dolci muse per orecchie da intenditor e rare.

Nemico suo si dice, era Salieri
ma non sappiamo se ciò è verità,
è solo che i Musici di ieri
non v'è inganno credere,
oggi sono sempre magica realtà.
:


Michelangelo, Botticelli e Sanzio Raffaello
nello dipingere e scolpire, strumenti in mano,
portarono nel mondo il buono ed il bello,
sapendo già chi si celava nello marmo e nella tela bianca,
vedendo capii che nulla era stato vano.

Ma l'animale su due zampe eretto
che volle far di Noi uno zimbello,
scordatosi del significato del Rispetto
senza tregua atteggiavasi a pavone,
e alle nostre spalle si facea bello.

Triste saper ciò che l'animale pensa
che nel parlar non si commetta errore;
lui non sa che se il Verbo mal si dispensa,
non porta certo bene ad alcuno
ma sol sciagura, il brutto e pur l'orrore.

Vero che fu detto a Lei che nacque prima
che pure eran lecite burle e scherzi;
ma il primate intendea giocar di brutta rima,
perché primo avea da essere;
non abitar coi secondi o i terzi.

Gli Scrivani tutti vadano a quel paese
come miriade di uccelli in un sol stormo;
che direbbero Dante, Epicuro Socrate, Pavese,
pronuncerebbero son certa,
all'unanime la Parola… Un Corno!

Sui muri son dipinta con un belletto che non mi piace affatto,
che a legger mi viene mal di testa;
vedo di questo o di quell'altro fatto,
portato come offesa, ingiuria,
come se quelle Parole fossero una festa.



Spiegatemi signori per favore
quel che chiedo non mi pare troppo;
credetemi, non lo faccio con livore,
temo d'aver cagionato fallimento
per la mia Missione; un vero e proprio intoppo.

E non mi importa se le Parole son d'amore
le mura non sono certo da imbrattare;
volumi ancora intonsi e bianchi,
quelli che alla Parola, il Signore,
nel giorno del Big Ben volle donare.

Che dir di quei signor che con affanno
ogni dì vanno dietro ad un pallone,
e i loro adepti sia con lode che co' inganno
ragione o torto, questo non importa;
imbrattan tutto con ingiurie e brutte parolone.

Perché i colori dell'Iride han sprecato
per imbrattar la Madre delle Madri?
A Roma Caput Mundi è capitato,
e Lei senz'altro ha dato il suo perdono
a chi dicea d'aver vinto il campionato.

Rossa son divenuta per la vergogna
usata da animali su due zampe eretti;
personalmente vi metterei alla gogna,
senza sentir giustificar
Non siam perfetti!

L'equilibrio già si è rotto.
C'è ancora un Grande Uomo, per favore,
per riodinar ciò che il piccolo ha corrotto?
Un Musico, un Poeta, ma soprattutto occorre
qualcuno che per Noi provi vero Amore.



Ma questo è un Elogio e non certo un Lamento
ma debbo pur dir cosa è accaduto;
che quando si ha ragione e sentimento,
si trovano aiutanti per terminare l'Opra
e nulla sarà stato vano né perduto.

Grandi Cose potranno ancora essere scritte
e tante ancora se ne scriveranno;
se i primate sulle due gambe dritte
si faran da parte senza indugio,
saremo vincitori senza danno.

Non vo' compagni indegni
o chi si crede d'esser chissà chi,
preferirei piuttosto pagar pegni
da soli si è sé stessi, in compagnia sol la metà,
questo dicea Leonardo in un lontano dì.

Se Dante oggi Mi leggesse,
non sarebbe gentile come aria fresca;
senza considerar la sozzura mèsse,
riuscendo solo balbettar
Paolo e Francesca

Ulisse non inizierebbe l' Avventura
e Omero quel Poema tanto amato;
sul serio finirebbe in sepoltura
senza sprecare il suo prezioso tempo,
a scriver per qualunque scellerato.

Non componevano per essere apprezzati
questo risponde al certo vero,
però credo, non si sarebbero sciupati
se avesser nella mente lor pensato,
che lo scritto non fosse divenuto mero.



Rossini, musicò il Barbier di Beaumarchais
che quando per la prima volta Io lo udì,
mi vennero i brividi, quel certo no so che;
e venne giù il teatro dagli applausi
ed una grande gioia percepì.

E come lui ancora tanti altri
Foscolo, Leopardi ed Ungaretti,
tutto facevan per Me non eran scaltri,
nel voler scriver per la moda o il danaro,
ma per necessità del cuore, per divenir perfetti.

Perché Nobili son le discendenze mie
i miei Natali vengono dall'Universo intero;
pregando che arrivin delle mani pie,
devo assolutamente ritorvar l'onore
affinché ciò che è reale torni vero.

Non è vanto, pavoneggiamento, orgoglio
se vi rammento in queste righe ciò,
ma ricordo a chi fa di me un imbroglio
per apparir cero qualcuno qualcuno,
severa certamente Io sarò.

Quando iniziai a riempir le pagine col mio narrare,
stavo attenta avendo assai paura,
di riportar scempiaggini ed errare,
temendo che nella notte il Padre,
mi trafiggesse con la lancia scura.

Per l'Ispirazione collegatami a Binah
che solo i Grandi Uomini san dov'è,
Lei che dell'Intelligenza è la Sefirah
nel quale io vedeo la Conoscenza
di tutto ciò che da sapere c'è.

Cercando il mio pensiero di non contaminare
quanto mi apprestavo a metter sui libri bianchi;
riportando poi con fede, con lucidità solare,
la nuda e cruda verità,
senza passi falsi e stanchi.

Scriveo in vero, non per compiacer le masse
cercando di far tutto decoro,
sarebbero altrimenti stati guai e tasse,
e che gioia quando mi veniva detto:
Hai fatto un bel lavoro!

Aiutami o Grand' Uomo a traversar la Grande Acqua;
immantinente voglio uscir dalla clausura,
non sono Una che nel fiume i panni sciacqua;
vieni in mio soccorso senza indugio,
non farmi finire, ti prego, in sepoltura.

Sicuro avrei taciuto una lieve deviazione
se non fosse oltrepassata la linea del Rispetto,
e perdonate la mia indignata ribellione,
adesso stare zitta sarà dura;
e non mi pento del futuro né di ciò che ho detto.

Dicea Rousseau a ragione
il corpo più è debole più ti tiene in pugno;
più forte è, meglio obbedisce al suo padrone,
ed anch' io che mi son corroborata,
nel male più non sbatto il grugno.

C'è chi m'accusa d'essere prolissa,
ma credetemi, a me importa poco!
Non è una questione di aver la fissa,
non è certo dipendente dalla mente;
troppo grande è la posta in gioco.



Son forse presuntuosa?
Me ne importa ancora meno;
meglio esser presa per uggiosa,
che esser stesa al sole,
e seccar come succede al fieno.

Cerco di ritrovar la Dignità
e di renderla anche alla Parola stessa;
date uno stop malvagità,
è ora di piantarla
di considerarmi fessa!

Perché quando il Padre sentenziò
Di non dar nulla per scontato,
senza indugi Lei giurò,
parte facea delle persone serie
nulla mai sarebbe considerato fato.

O Grande Uomo uniamo i nostri cuori
io sto letteralmente soffocando,
aiutami a uscir da quegli orrori
buttiam la spazzatura fuori dalla porta,
che sia nell'immediato messa al bando!

Buon Dio voglio tornare a respirare
e tornare Regina del mio Re,
il mio Karma ho finito di espiare,
è ora di tornare al vero
che il Dahrma giunga tosto a me!

Rammento ai Signor della Cultura,
di non promuovere talenti sol per moda;
spesso scrivon sol sozzura,
e chi degno è vien lasciato, è verità,
indietro come fanalino di coda.



C'è chi mette l' Anima nell'onorarmi
che senza sosta ascolta i loro cuori;
lungi io da Lui allontanarmi,
vicino sto come una Madre,
perché essi non siano tagliati fuori.

Non badano al denaro nè allo stanco
non vanno al calderone delle fiere;
ma stanno chini a scriver su quel banco,
e scrivono, scrivono
ore interminabili e settimane intere.

Inorridisco quando ve' che ai mie Protetti
e ho notato che il caso non è raro,
per cercar onore e non reietti
senza vergogna né alcuna dignità,
viene chiesto loro del denaro.

La coda di paglia non serve per favore
senza dire che le colpe sono Mie,
che pe' i libri nessun prova più amore,
vedete che c'è in giro;
Non accetto le bugie!

E chiedo di tacere, di non stare a litigare
a chi dice d'esser come il Magnifico sublime,
nemmen le scarpe e degno di legare,
a colui che per l'arte oro ha prodigato
e non solo per chi dettava rime.

Perché parlate di Club della Letteratura,
e chi più ne ha più ne metta?
Pensate a non scrivere solo lordura,
ma anche di cose belle e pure
o pedalerete con la vostra bicicletta.



Sentendo simili corbellerie
mi viene il mal di mare;
non state a dire sempre scempierie,
collegatevi col bello
e lavorate senza mai sostare.

E sempre a voi Signor della Cultura
il mio discorso lo so, non vi è piaciuto;
ma date anche possibilità d'uscir dalla clausura,
e qualcuno lo merita sul serio!
Soprattutto chi non ha un nome conosciuto.

Perché pensate che i Migliori,
abbiano cuciti nomi illustri?
Quelli Veri non cercano gli albori,
vogliono solo lavorare,
senza appellativo di Maestri.

Non componete solo cose cruente,
di drammi, di tristezze;
perché allora meglio tacer, non dire niente,
datemi retta,
e lasciar tutto com'è, pieno di incertezze.

Nessun di voi cambierà il mio mondo,
recar offesa non voglio, non fraintendete!
Ma quando date inizio, andate sino in fondo.
Tornate ad aver fede nelle fiabe
per una sera di pace e se non ci credete

Provate a legger di Biancaneve, Scarpette Rosse,
le mie Parole sono come l' oro;
oppure perché no anche il mio amico Hesse,
amante dello Spirito e Natura,
colui che narrò di Narciso e Boccadoro.



Ma non voglio essere saccente
decidendo cosa sia giusto o che sbagliato,
però vi prego d'aprir la vostra mente;
non c'è solo chi ha buona nomea,
date speranze anche a chi ora nato.

Sentite quella voce che dal cuore
vi parla come un ape co' una rosa,
talmente piano e senza far rumore
che solo voi potrete udire
datele un suono, appunto, una Parola.

Della salute Fisica e Mentale,
potrete allora star tranquilli
che niente potrà farvi più del male,
se farete le cose con coscienza
senza avere nella testa tanti grilli.

Chi non sa tener la penna poi é un gran danno
è inutile voglia dar pan per focaccia
e non pretenda di salire sullo scranno,
per non far perdere a chi è nel vero
la sua naturale e bella faccia.

Anche Hesse allor Vi sarà grato
per quel che avrete fatto;
e verrà reso ciò che avete dato,
non due, ma cento volte
se avrete me e la Parola Rispettato.

Non dico ciò per scorrettezza
né muover una guerra, una mozione;
dico solo a chi di nettezza narrerà,
credete a me, d'ora in avanti,
sarà sfidato a singolar tenzone!




…Oh quanto è corto il dire e come fioco
Al mio concetto! E questo, a quel ch'i' vidi,
è tanto, che non basta a dicer << poco >>.
O Luce etterna, che sola in te sidi,
solo t'intendi e da te intelletta
e intendente te, ami e arridi!
Quella circulazion che sì concetta
Pareva in te come un lume riflesso,
da li occhi miei alquanto circuspetta,
dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige;
per che 'l mio viso in lei tutto era messo.
Qualè 'l geomètra che tutto s'affigge
Per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond'elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l'imago al cerchio e come vi s'indova;
ma non erano da ciò le proprie penne:
se non che lam ia mente fupercossa
da un fulgore in che sua voglia venne.
A l'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e 'l velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
l'amor che move il sole e l'altre stelle*

* Dante: Divina Commedia
Paradiso, Canto XXXIII

 
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