|
|
Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Oceania
di Misha, Fiction
di Giuseppe Costantino Budetta,
Ricerca universitaria di Giuseppe
Costantino Budetta
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, in lingua diversa
dall'italiano, purché rispettino i più
elementari principi morali e di decenza...
poesie di Lucia
Dragotescu
Recensioni
In questo numero:
- "Gioco d'ombre sul sipario" di Liliana
Ugolini, nota di Massimo Acciai
- "Come pubblicare un libro" di Andrea
Mucciolo, nota di Massimo Acciai
- "A seconda di come volgo lo sguardo" di
Massimo Acciai e Matteo Nicodemo
- "Giulia, l'etrusca" di Maria Antonietta
Nardone, nota di Massimo Acciai
- "Le allegre vacanze" di Maria Antonietta
Nardone
- Romanzi di Antonio Ferrazzani
- "Novecento" di Alessandro Baricco, nota di
Emanuela Ferrari
- "Dall'Arno al Tamigi" di Amerigo Iannacone,
nota di Emanuela Ferrari
Arte in cucina
Interviste
Saggi
|
|
In questo numero segnaliamo
- "Gioco d'ombre sul sipario" di Liliana
Ugolini, nota di Massimo Acciai
- "Come pubblicare un libro" di Andrea
Mucciolo, nota di Massimo Acciai
- "A seconda di come volgo lo sguardo" di
Massimo Acciai e Matteo Nicodemo
- "Giulia, l'etrusca" di Maria Antonietta
Nardone, nota di Massimo Acciai
- "Le allegre vacanze" di Maria Antonietta
Nardone
- Romanzi di Antonio Ferrazzani
- "Novecento" di Alessandro Baricco, nota di
Emanuela Ferrari
- "Dall'Arno al Tamigi" di Amerigo Iannacone,
nota di Emanuela Ferrari
* * *
Maria Antoniella Nardone
Giulia, l'etrusca
AndreaOppureEditore, 2005
Il romanzo non è ambientato in epoca antica come il
titolo potrebbe far pensare (ma all'autrice piace
giocare con i titoli ambigui) bensì ai giorni
nostri, in una Roma quotidiana che fa da sfondo alle
vicende della protagonista, Giulia, un'archeologa
affascinata dal mondo degli etruschi: un mondo in
cui compie, nella seconda parte del libro (che è
composto da tre parti), un viaggio iniziatico
immaginario accompagnato dall'evanescente figura di
Marta, una sorta di guida psichica. Le altre due
parti - la prima e l'ultima - descrivono
l'evoluzione della vicenda umana di Giulia, dalla
sua storia col medico Angelo alla tragica morte
della figlioletta Chiara, alla sua nuova storia col
compositore ebreo Andrzej. Un personaggio complesso
quello di Giulia, con le sue scelte autolesioniste
che la porta a distruggere le sue relazioni, a
procurarsi sofferenza in aggiunta a quella che già
le ha arrecato il destino. Molto interessante anche
il personaggio di Andrzej che vuole comporre
un'opera sulla Shoah, ed introduce la protagonista
(e noi lettori con lei) nel mondo ebraico, anch'esso
con le sue contraddizioni e le sue tragedie.
Una bella storia, di cui consiglio senza dubbio la
lettura.
Massimo Acciai
* * *
Alessandro Baricco, Novecento, Feltrinelli
- Milano 2008; pp. 62, euro 5,00 (ISBN 978 - 88 -
07- 81302 - 3)
E' difficile catalogare il libro di Alessandro
Baricco poiché il lettore, scorrendo le pagine, si
trova davanti un testo narrativo denso di
descrizioni, dialoghi, particolari che riescono a
far "rivivere" situazioni e personaggi. Forse
l'opera Novecento è un lavoro in cui prosa e testo
teatrale si fondono dando luogo ad una nuova
prospettiva di scrittura. Infatti anche il contenuto
risulta fuori dagli schemi.
Novecento è un giovane pianista, molto bravo. Si
esibisce all'interno del Virginian, un piroscafo che
naviga per l'Oceano. Il piccolo infante fu trovato
nella nave; qualche passeggero lo aveva lasciato lì…
Il marinaio Danny Boodman se ne prende cura fino a
quando, per un incidente durante una burrasca, perde
la vita. Così a otto anni Novecento divenne orfano
per la seconda volta. Il giovane continua a
trascorrere la sua vita sulla nave.
Non scende mai, nessuno sa della sua esistenza. Non
ha documenti quindi se dovesse essere fermato…Anzi
era come se non fosse mai nato, infatti non aveva
patria, non aveva data di nascita, non aveva
famiglia ma continuava a suonare.
Lui e la sua musica sono come un connubio
inscindibile nella nave, che mai abbandona neanche
quando questa ha finito il suo tempo e deve essere
distrutta con la dinamite. Tutti sono andati via
mentre Novecento rimane fino alla fine.
Emanuela Ferrari
* * *
Amerigo Iannacone, Dall'Arno al Tamigi,
Edizioni Eva - Milano 2008; pp. 45, euro 8,00 (ISBN
978 - 88 - 96028 - 00 - 1)
L'autore del libro, nel volume intitolato Dall'Arno
al Tamigi, ha raccolto dei testi significativi,
comparsi in alcuni numeri del suo mensile letterario
Il Foglio Volante.
Amerigo Iannacone riconosce nella televisione un
mezzo di comunicazione e di formazione molto
efficace, almeno tale era intorno agli anni
Cinquanta e Sessanta poi ha, progressivamente,
"perso" in qualità e si sono moltiplicati i
programmi "spazzatura".
In questa raccolta è possibile comprendere come il
linguaggio quotidiano risulti "leso" da una
programmazione squallida.
Nell'articolo intitolato Superlativo assolutamente
viene evidenziato un uso smoderato, anzi una sorta
di "mania del superlativo" su parole che non lo
richiedono come: campionissimo, governissimo,
canzonissima, in gambissima ecc.
Molto interessante è l'articolo: Maiuscole sì,
maiuscole no. Ci sono delle regole precise sul loro
uso, ma "gli italiani vanno sempre più abolendo le
maiuscole di patria, stato, ministero, presidente,
assessore e simili", ciò accade in quanto
"diminuisce la loro fiducia in quello che le parole
rappresentano" ma, in E Jacopone diventò Giacopone,
si riconosce che la lingua italiana è "una delle più
belle del mondo" ed è importante ricordare che "una
volta per la lingua facevano testo i parolai del
piccolo schermo".
In Non ci resta che baipassare l'autore evidenzia
che per porre fine a "questa deriva linguistica, è
sempre consigliabile aggrapparsi a un buon
vocabolario. Meglio se di qualche anno fa" come
emerge nel testo La scocciatrice.
Questo volume riesce a "cogliere" i cambiamenti e le
alterazioni di una lingua, quella italiana, che ci
appartiene e che meriterebbe una difesa più accesa e
condivisa, anziché rimanere in balia di influenze
straniere e di spropositi quotidiani.
Emanuela Ferrari
* * *
Maria Antoniella Nardone
Le allegre vacanze
AndreaOppureEditore, 2005
Passeggiare a Roma per cinema e teatri. Ogni
ingresso è l'occasione per un approfondimento sullo
spettacolo andato in scena, sugli autori che l'hanno
scritto e gli attori che l'hanno interpretato. Un
avvincente "saggio interiore" che unisce le
notazioni del diario alla freddezza specialistica
della critica, per una didattica del recensire che
non manca di affilate stroncature.
* * *
Segnaliamo con piacere i romanzi di Antonio
Ferrazzani, scrittore fiorentino, liberamente
scaricabili in pdf al suo
sito personale. Riportiamo qui sotto i titoli ed
il link diretto ai romanzi e alle rispettive
copertine:
LA RAGAZZA DAL NOME DI UN FRUTTO
Copertina
IL MATRIMONIO DI MICKEY BRUMESEY JR
Copertina
LA VACANZA INTERROTTA
Copertina
FLAUTO DI VERTEBRE
Copertina
VIAGGIO IN OCCIDENTE
Copertina
PASHMINA
Copertina
DENOUEMENT
Copertina
L'UOMO CHE IMPARO' A VOLARE
Copertina
LA SCHIENA FREDDA
Copertina
* * *
A seconda di come volgo lo sguardo
di Massimo Acciai e Matteo Nicodemo
Edizioni Segreti di Pulcinella, 2009
Scarica e-book
Il tempo, i colori e la ricerca dell'anima
Massimo Acciai e Matteo Nicodemo hanno dato il via
ad un'esperienza non comune tra i poeti, ma
comunissima ad entrambi: quella di scrivere insieme
poesie. Talvolta nello stesso posto, talvolta via
mail.
Questo modo di lavorare ricorda molto il mondo delle
canzoni, della musica, della pittura quando
esistevano le botteghe degli artisti: ripenso a Mc
Cartney e Lennon, a Masolino da Panicale e Masaccio,
a Verrocchio e Leonardo. Senza dubbio la musica e il
forte impatto visivo sono struttura portante di
questi testi, in bilico tra poesia e canzone - e chi
sa che sia Matteo che Massimo scrivono, cantano,
compongono canzoni anche separatamente capisce bene
l'importanza di questo lavoro comune.
La musica e l'anima. Quale viene prima? Forse la
prima ricerca la seconda, e la seconda la prima,
attraverso le pause che il trascorrere del tempo
lascia intatte, pronte ad una meditazione. Poco
importa se i ripensamenti e le apparenti crisi non
trovino adesso uno sbocco, positivo o negativo, ed
anzi rimangano sospese in un'aria assorta, aperta ad
ogni ipotesi, in uno spirito di ricerca inquieto,
vigile.
Molti testi, quasi tutti del resto fortemente
visivi, vedono proprio nel passare del tempo uno
spunto per andare oltre: oltre agli occhi (elemento
ricorrente, questo), oltre al ciclo delle stagioni,
oltre agli eventi di una vita quotidiana spesso
trascorsa nell'ambito delle città. E particolarmente
curioso l'uso dell'antico calendario rivoluzionario
francese, fatto tutto di eventi atmosferici e di
lavori dell'uomo legati al ciclo delle stagioni.
Mi pare che l'elemento atmosferico, ambientale, sia
proprio una caratteristica delle poesie di Acciai e
Nicodemo. Questo elemento è ben lontano dal
rappresentare un fatto meramente ambientale, o da
essere una mera esternazione di sentimenti
interiori. Le descrizioni paesaggistiche in questi
testi sono da un lato del tutto autonome e vivono
quindi di vita propria, dall'altro misurano realtà
indefinite, spesso assorte, rivolte al passato,
molto spesso al presente, ma anche,
sorprendentemente, al futuro.
Prendiamo ad esempio "Nelle piogge di pratile".
"…quando scrivevo poesie d'amore non corrisposto"
"la fiamma consuma la cera e il tempo consuma i miei
giorni"
"quando le dirò che l'amo".
Oh! Finalmente i tre tempi a distanza di pochi
versi! Non è frequente trovare una cosa del genere
nella poesia d'oggi. Tanto che mi viene da pensare
all'antica poesia sapienziale, a quell'Antico
Testamento in cui i profeti vedevano, preparavano e
preconizzavano tempi futuri, improntati a valori,
ideali, aspettative i cui germi erano soltanto
appena presenti nel mondo loro contemporaneo.
E, analogamente, ripensiamo a quei futuri infilati
uno dopo l'altro di "piccole abitudini", dove, in
contrasto con una situazione di dispiacere,
disappunto e forse stizza, riemerge comunque la
volontà di ribellarsi, di vivere, di affinare "il
tatto alla novità".
Al contrario "la vertigine dell'infinito" che
troviamo in "Finale" pare volersi ricapitolare in
un'attesa stanca, in una fatica troppo intensa per
poter meritare una riflessione più approfondita, i
cui momenti si ipotizzano arrivare in una prossima
raccolta di poesie. E' curioso osservare la
compresenza, l'assemblaggio direi quasi, di elementi
di speranza e di sconforto, e in particolare quell'atteggiamento
di sosta che caratterizza sia le poesie sia alcuni
flash in cui il giudizio e perfino i sentimenti
paiono sospesi.
"Se l'anima è il fondo / è dura questione di
imparare" dicono i poeti in "Sguardi". E realmente,
in questo trascolorare di colori, di stagioni, di
sorrisi e inquietudini, resta sempre il dubbio sulle
possibilità di indagare l'anima, quale anima in
particolare, quella della persona amata oppure
quella, altrettanto importante, di noi stessi, che
si porta dietro il peso del vivere ma anche l'attesa
di tempi diversi.
Così, certi accenti epigrammatici, che nella loro
sibillina scultorea chiarezza danno conto della
potenza dell'invenzione creativa, non sono da
vedersi come meri richiami letterari (il Montale
schierato a difesa di un'impossibile ricerca del
senso della vita) ma, al contrario, rimandano ad un
senso più nuovo, più ricco e, scusatemi il
bisticcio, vitale di vita. Pensiamo un attimo a "la
primavera nell'inverno": può far ripensare ad una
canzone di Juri Camisasca (il sole nella pioggia),
può far ripensare a Sandro Penna, per via di quel
trovarsi "nel gran concerto libero del mondo".
Il mondo: quale concerto? Senz'altro quello sonoro
dei vari endecasillabi , uno dei quali ho appena
citato, ma anche il concerto delle stagioni, il
concerto di una tavolozza varia, fatta sì di "un
cielo monocromo" e di "capelli bianchi" (Diario di
viaggio) ma anche, e direi principalmente, di
"macchie di luce" (Incontri), di "rosso che
s'intona", (Breve sosta alle Giubbe Rosse), di
"fusioni di colori" (Vi son luoghi…) di "stivali
neri" (il solito fascino) , di "nubi porpora" (Le
città vicino ai monti)… e non vado oltre per non
appesantire "il benevolo lettore", come veniva
chiamato in età romantica il lettore.
Senz'altro, se l'autore / gli autori non ha "massimi
sistemi da opporre (…) ma solo un minimo di
intuizione" (Sentieri) è anche vero che la speranza
riesce sempre e comunque a farsi un varco: "una
luce, di natura imprecisata, / s'apre sempre il suo
spiraglio / nel tessuto più oscuro della notte" (Il
solito fascino).
Mi pare che, oltre alla vastità dei richiami
letterari (voglio qui citare forse non consci ma
evidenti richiami a Pascoli e, perché no?, a E.L.
Masters) sia da apprezzare in questa breve raccolta
la capacità di operare una sintesi di elementi
diversi secondo logiche di una coerenza quasi sempre
robusta, in cui sono tenute a freno sia cadute
malinconiche che riflessioni troppo grandi sul senso
della vita. Conviene fermarsi un attimo prima, come
dicono i due poeti nell'ultima poesia già citata,
altrimenti la retorica sarebbe a due passi. E per
affermare certezze con grande maturità bisogna,
prima di tutto, averle.
Paolo Ragni
Ventiquattro perle che compongono una collana
sontuosa, degna del decolté di una principessa ed
unite assieme dal filo d'oro dell'umano sentimento.
Scritte a due mani, queste poesie analizzano una
vasta gamma di sentimenti che sono propri
dell'animo, che a seconda del soggetto e del vissuto
quotidiano, può essere tormentato, sereno, ansioso,
gioioso, precipitato nel baratro del vuoto più
assoluto o colmo di fiducia appagante. 24, come le
ore di una giornata, è un numero che ricorda lo
scandire del tempo, ma forse più propriamente in
questa circostanza, possiamo asserire che è
strettamente legato all'evoluzione del pensiero dei
due autori, i quali intraprendono un viaggio
spazio/tempo principiando con il toccare le vette
altissime di concetti astratti ("…massimi sistemi da
opporre…"), per poi gradualmente scalare verso la
concretezza delle cose semplici, quasi a voler
riprendere fiato o, forse, perché ormai svuotati e
spossati dalla fatica di cercare risposte a
interrogativi sì impegnativi. Emblematica è la
poesia che chiude il libro sia nel titolo, Finale,
sia nell'enunciato espresso nelle strofe conclusive,
il cui significato è inequivocabile: "Il tempo ha
fatto il suo corso / inesorabile mi ha sfinito / e
mi ha lasciato stanco / anche per pormi le domande
di rito". Stanchezza quindi, legittimata però, dallo
sforzo estenuante di un percorso interiore
costellato da nobili ed erranti pensieri. Nulla è
stato lasciato al caso, non troviamo versi insoavi,
tutto è armonia.
La poesia è l'arte di esprimere in forme ritmiche
idee, sentimenti, sensazioni, emozioni, o
semplicemente la realtà secondo la propria visione
del mondo. In buona sostanza, la poesia deve
riuscire a trasmettere ogni moto soggettivo
dell'animo in maniera evocativa e scatenante,
inducendo il lettore alla riflessione dosando l'uso
del suono e del ritmo che le parole imprimono al
verso. La poesia è sempre empirica!
Possiamo trovare nella poesia alcune peculiarità
della musica? Azzarderei una risposta positiva; la
buona poesia è come la buona musica: non è
indispensabile un orecchio particolarmente allenato
per saperne cogliere l'essenza. Occorre saper solo
ascoltare con predisposizione d'animo per farsi
rapire dalle note/versi e viaggiare per l'etere
assieme ad esse.
Massimo e Matteo (in rigoroso ordine alfabetico)
hanno fornito ampia prova della loro capacità
tecnica calibrando sapientemente in ciascuna di
queste piccole gemme la forza provocatrice della
loro intuizione, sprigionando di tanto in tanto
chicche di autentica genialità. Pensiamo al
viaggiatore con i capelli bianchi "…che solo lascia
allo sguardo il minimo e cammino"; alla commovente
supplica in Incontri: "guardami! parlami! ascoltami!
imperativi / guardami! parlami! ascoltami! ti prego
/ non lasciare al treno solo il tempo di portarti";
che appellativi poi trovare per i sublimi versetti
del Il grafologo, un gioiello dalle forti tinte, che
offrono l'immagine perentoria del poeta - guerriero
che "…impugno la penna come una spada / che ferisce
se stessa di sangue nero", lo stesso poeta che
infine, gettata l'armatura ed indossata la maschera
del brav'uomo, candidamente ammette che "…non
accetto che a stento, ed è un limite il mio mondo".
Avventurandoci insieme ai due autori in questo
viaggio ci imbattiamo in personaggi di diversa
estrazione culturale, forse anche sociale;
tratteggiati lievemente con maestria e senza orpelli
superflui sono accumunati dalla capacità di
osservazione del mondo circostante rivelandoci
l'immensa complessità dell'uomo. Il viaggiatore
discreto tutto chiuso dentro i suoi abiti invernali
a cui non sfugge però il fruscio di un giornale
sull'asfalto. Il pendolare, sia esso studente o
lavoratore, che ogni mattina prende lo stesso treno
alla medesima ora incontrando gli stessi compagni di
viaggio, volti anonimi, ma ormai familiari. A chi
non è capitato almeno una volta di sentire il
bisogno di imporre un nome a quelle fisionomie che
quotidianamente si incontra, di "attaccare bottone"
con una semplice scusa?
E non può essere uno di noi quell'uomo davanti ad un
distributore automatico di caffè, che bevendo il
nerastro miscuglio con meccanica routine si accorge
improvvisamente che "…mi osservo vivere con
curiosità e occhi assonati"? Mi si consenta
l'espressione: che musica, maestro!
Invece, quell'utilizzatore o utente che dir si
voglia di un mezzo pubblico, chi sarà mai?
Dirigente, impiegato, portaborse, operaio,
universitario? N'importe pas. E' nel messaggio che
ci trasmette, l'essenziale: Cieli urbani pochi
versi, ma di un'intensità travolgente.
Colta ma umile Le città vicino ai monti, mestierante
della poesia "…innamorato che non si vergogna";
aristocratica Sentieri in cui gli artisti veleggiano
al di sopra delle nubi disquisendo su tematiche
superiori adoprando similitudini eccelse. Anima
tormentata incontriamo nella malinconica Il vento,
anima che si scruta intimamente riconoscendo che il
buio interiore è frutto anche della sua chiusura, ed
il tutto "…passeggiando in riva al fiume / percorso
dalle nutrie indifferenti". Altro colpo da maestro
questo finale crudo ma intriso di schietto realismo.
Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a
giocare: in Equicronie gli artisti raggiungono cime
innevate rivelando il loro talento poetico la cui
potenzialità è ancora tutta da scoprire. Il
linguaggio è forbito, le parole sono sassi lanciati
in uno stagno, l'insieme è sinfonia. Azzardando una
similitudine culinaria, questa poesia è come la
fogliolina di basilico che il grande chef pone a
decorazione su un piatto che già di suo è un
capolavoro.
Spazio adesso al vissuto personale che si fa
palpabile in un coinvolgente trittico, alludo a Il
cielo da San Miniato, L'andante, Giardino notturno,
in cui fanno capolino ancora solitudine, tristezza
("…solubile in un po' di poesia…"), silenzi,
illusioni, ma anche speranza e serenità di chi
"…alla poesia, dona la sua prima vita". E' lecito
chiamarlo amore? Oso affermare che chiamarla
semplicemente passione per la poesia sarebbe
riduttivo. Calliope può annoverare tra i suoi
spasimanti più tenaci anche Acciai e Nicodemus.
Andrea Bocelli dedica una bellissima canzone alla
musica dal titolo eloquente: Vivo per lei.
Sostituendo gli artisti e l'arte, il risultato non
cambia.
E' un arco temporale travagliato per i due poeti e
ne abbiamo riscontro nel ritrovare in Piccole
abitudini, Dimmi che è difficile e Solitudini, toni
mesti e versi che esprimono afflizione con maggior
tendenza al materiale che allo spirituale. C'è forse
anche una nota di incertezza e di rimpianto nel
finale di Dimmi che è difficile: " …ho bisogno del
mio bar per pensare / se piagnucolar di malinconie o
/ se cicalare di un passato giovane"? Ai lettori la
risposta, se avranno la voglia e la pazienza di
cercarla. L'animo si rinchiude ermeticamente ancor
di più in Solitudini erigendo muri di silenzio,
ricercando una pace fors'anche effimera restando ai
margini. Il tempo galantuomo si sa cura tutte le
ferite, ma le cicatrici rimangono e ogni tanto
tornano a dolere. Umanissimo, n'est pas?
Originale l'esordio in Terabyte: "Il mio parlarti è
un lunfardo dire…" con l'utilizzo di questa
espressione dialettale che tanto si addice, per la
musicabilità del suo suono, all'intero contesto del
libro.
E si ritorna a volteggiare lassù nel cielo con
ponderato ottimismo, librandosi nella "gioia della
possibilità" che nasce nei cuori dei discendenti di
Adamo ed Eva che sin da allora s'interrogano sul
senso dell'esistenza. Positiva anche se tagliente
come una lama in acciaio di Toledo, Nelle molteplici
risposte esplode nuovamente la verve dirompente del
ingegno retorico (nell'accezione latina: arte del
parlare e dello scrivere) di Massimo e Matteo.
Riprendiamo fiato e sostiamo anche noi qualche
istante in luoghi "…dove semplicemente vorresti aver
vissuto…" respirando la fragranza delle arti e degli
antichi mestieri e provando a fior di pelle una
sensazione particolare, "un sogno bizzarro", una
sorta di deja vù. Breve sosta alle Giubbe Rosse è un
giusto omaggio a uno storico locale fiorentino a cui
i due autori sono molto legati affettivamente, ma al
quale la cultura in genere deve qualcosa. Certo,
forse non la cultura d'élite, quella dei simposi
televisivi o dei grandi convegni ma non per questo
meno autentica; qui dentro "Ne son passati di versi
/ su questi tavolini quadrati, / tra il rosso che
s'intona con il sangue di Firenze…". Leggetevi
questa cari opinionisti, egregi tuttologhi (cosa
vuol dire? Che uno sa tutto di tutto?), divulgatori
scientifici, frequentatori di salotti televisivi, ma
vi prego, in silenzio, questa volta non sono
richiesti commenti.
Incappiamo naturalmente anche nell'universo
femminile così misterioso e affascinante, ragazze
della porta accanto e donne fatali, donne nei cui
occhi "…leggo vite anguste…" e dove "…scorrono nubi
e misteri / dove i capillari incontrano il mondo…".
Cantano i due poeti, inevitabilmente, dell'amor mai
corrisposto, del dolore che consuma i giorni ma
anche della saggezza che fa conservare il nobile
sentimento, seppur nefasto, nell'animo perché
"…niente va sprecato / tutto serve / tutto ha un
senso o niente lo ha…". Nelle piogge di pratile è un
inno celestiale al saper amare a prescindere.
Chapeaux!
Generalmente di un buon libro si dice che è da
leggersi tutto di un fiato. Qui non ci troviamo
dinnanzi a un thriller dalla trama avvincete, non
v'è la curiosità di scoprire se l'assassino è il
maggiordomo oppure se occorre chercher la femme, qui
necessita soffermarsi e meditare su ogni singola
poesia, assaporarla gustandola, anzi degustandola
come si fa con un vino d'annata, verso dopo verso.
Ho avuto il privilegio e l'onore di leggere le
poesie una alla volta man mano che esse erano
compiute: ebbene, non avendo tutto il libro davanti
ho avuto la possibilità di soffermarmi più giorni
sulla singola opera senza farmi prendere dalla
curiosità di leggere la successiva e questo mi
spinge a consigliare ai lettori di fare altrettanto.
Leggetene una al giorno e carpitene il messaggio,
viaggerete così per un mesetto sulle ali del
pensiero, scoprendo sensazioni ed emozioni comuni a
noi tutti, ma troppo spesso segregate negli antri
più nascosti del nostro io. Immaginiamola come una
sorta di vacanza dell'intelletto e dell'anima perché
anche loro hanno bisogno ogni tanto di ritemprarsi.
A seconda di come volgo lo sguardo è un libro da
portarsi dietro, fedele compagno a cui chiedere
dieci minuti di evasione dal mondo esterno per
immergersi, attraverso la riflessione, dentro il
proprio mondo interiore osservando come un testimone
silenzioso ciò che avviene nel proprio cuore
sollecitato dalle scintille emotive che ci regala.
Ballecca.
* * *
Gioco d'ombre sul sipario (ut fabula poesis)
di Liliana Ugolini
Cierre Grafica, 2010
Liliana Ugolini torna a parlare di teatro e di
personaggi che si muovono sulla scena dietro al
sipario del titolo (il mimo, il re, il bambino…)
insieme a scenari assunti anch'essi al ruolo di
protagonisti (il bosco, il mare, il circo…), ma
anche la musica ha il suo ruolo (riferimenti a
Schubert, ad Haendel a Grieg e alla musica lirica di
Elda Zupo, soprano) così come la pittura (una lirica
è dedicata a Chagall); insomma, un'opera
multimediale nel miglior stile dell'autrice. La
"favola della poesia" che ci avvolge nelle sue forme
eterne. Un libro di prosa e poesia corredato da una
bella nota finale di Gio Ferri, da leggere con
attenzione.
Massimo Acciai
* * *
Come pubblicare un libro
di Andrea Mucciolo
Eremon Edizioni, 2010
http://www.comepubblicareunlibro.com/
Già ho avuto il piacere e l'onore di parlare su
queste pagine di un precedente libro di Andrea
Mucciolo, anch'esso dedicato alla scrittura e al
mondo dell'editoria (Come
diventare scrittori oggi, edito anch'esso da
Eremon nel 2009); questo libro costituisce un
complemento a quello, un approfondimento si può
dire. Le tematiche affrontate in effetti non si
possono esaurire in un solo libro, e forse neanche
in un'intera biblioteca: quando si parla di libri e
di scrittori le cose da dire sono un'infinità.
Andrea riesce tuttavia a condensare la materia e a
darci un manuale agile e ben strutturato, scritto in
uno stile piano ed chiaro, per nulla noioso o
pedante, riuscendo al tempo stesso a dare moltissime
informazioni preziose a chi si vuol dedicare a
questa meravigliosa attività, e soprattutto a chi
vuol diffondere la propria opera. Uno dei punti di
forza a mio giudizio del libro è l'apertura
dell'autore anche ad idee diverse dalle proprie, il
voler sentire anche l' "altra campana": così ad
esempio ad un capitolo in cui si mettono in evidenza
i difetti del "print on demand", segue una
testimonianza a favore dello stesso. Il libro
infatti contiene anche molte interviste ad autori,
editori, distributori e ad altri personaggi che si
muovono attorno alla pubblicazione di un libro,
oltre a molti link utilissimi per ciascun tema
affrontato.
Andrea considera un arricchimento ogni voce che si
aggiunge, anche quelle che vanno contro la tesi che
vuol dimostrare (personalmente ad esempio non
condivido la sua definizione di "scrittore" e di
"aspirante scrittore": per me gli aspiranti
scrittori non esistono, o uno scrive o non scrive, e
uno scrittore è tale anche se non fa leggere a
nessuno ciò che scrive). Il quadro che vien fuori
non è proprio di quelli più consolanti, si sa; chi
decide di pubblicare un romanzo o una raccolta di
poesie va sicuramente incontro a frustrazioni e
delusioni di ogni sorta (e spesso anche a truffe
vere e proprie), ma Andrea lancia un invito a non
demordere, che non è poi impossibile pubblicare;
difficile sì, sicuramente, ma non impossibile: oltre
ad una buona dose di fortuna, occorre perseveranza e
occhi aperti.
Massimo Acciai
|
|
|