Animismo e modernità possono
coesistere?
L'esempio del shintoismo
In scritti precedenti ho spesso
fatto riferimento ad una rimanenza culturale dell'animismo
in certe bolle geografiche spazio-temporali molto
più vicine a noi di quanto si pensa, come per
esempio nei borghi montani più reconditi
dell'Appennino parmense. Ho anche cercato di
mostrare come l'animismo, basato fondamentalmente
sulla percezione dell'anima in tutte le cose e in
particolare modo nelle entità naturali, si ritrovi
in certi pensieri e comportamenti dei moderni, come
per esempio il ballo scatenato dei giovani su sfondo
di musica techno, la moda dei piercing e dei
tatuaggi e la cultura New Age che celebra la Natura,
l'energia cosmica e predica un ritorno ad un
politeismo pagano.
Nel primo caso, si tratta di realtà locali, piccoli
villaggi ormai quasi disabitati la cui cultura
tradizionale risale ad un paganesimo ampiamente
mescolato al cristianesimo, ma che non di meno
conserva intatte certe caratteristiche proprie dell'animismo
originario, come per esempio il ricorso ai guaritori
e alla magia, e la percezione di entità spirituali
selvatiche profondamente ancorate alla Natura.
Nel secondo caso si tratta di spunti che emergono
direttamente da quel che ho chiamato inconscio
animistico nei pensieri e nei comportamenti di
moderni sprovvisti di cultura in questo senso.
Esiste però una forma di animismo che sopravive come
cultura religiosa di tutto un popolo, di una intera
nazione moderna per altro all'avanguardia della
tecnologia. Questa forma è il shintoismo e quella
nazione è il Giappone. L'essenza della fede
shintoista è un grande amore e un forte sentimento
di riverenza nei confronti della Natura in tutte le
sue possibili manifestazioni. Il Shintoismo,
infatti, colloca la Natura in una luce particolare:
ogni cosa, ogni essere vivente, ogni roccia
nell'universo sono di per sé sacri. La natura è
considerata sacra in quanto manifestazione della
forza dei kami (spiriti) e dimora eterna di questi,
proprio come tutti i sistemi animisti distinguono,
senza scinderle, le forze materiali da quelle
spirituali. Nella visione shintoista valli,
montagne, animali, foreste, fiumi, elementi, persino
le città sono manifestazioni dell'essenza divina
dell'universo, in quanto la materia e gli stessi
atomi che la compongono hanno una essenza divina.
Insomma, tutto ha un anima, la quale può avere
influenza positiva o negativa e quindi, proprio per
questo, ogni cosa creata dall'uomo deve essere
considerata anche nel suo aspetto e nelle sue
implicazioni spirituali.
Questa importanza assoluta accordata alla Natura nel
shintoismo ha portato all'usanza di costruire templi
proprio nel cuore di boschi e in luoghi di silenzio
meditativo, lontani da ogni riferimento alla
civiltà. Un contesto religioso di questo genere
risulta incredibilmente adatto a compensare la
mentalità ipertecnologica dell'uomo moderno.
Infatti, mentre si tende sempre più a diffidare dai
dogmatismi delle fedi, cresce un tipo di sensibilità
verso l'anima delle cose e in particolare modo verso
le entità e i luoghi naturali. Anche in Italia, per
esempio, nascono gruppi di persone e associazioni
che periodicamente propongono delle sorti di
pellegrinaggio alla riscoperta delle tracce del
divino proprio in certi luoghi naturali
particolarmente suggestivi.
I kami del shintoismo, termine tradotto in genere
con "divinità", richiamano i spiritelli di cui
parlavano i nostri nonni contadini, o ancora i
genius loci degli antichi romani. Sono entità
spirituali che popolano l'intero universo, sono gli
spiriti della Natura in quanto si esprimono
prevalentemente attraverso di essa. Per il fedele
shintoista una cascata, una foresta, una montagna,
un astro celeste o più semplicemente una pietra,
sono considerati come espressione dei kami ed
elementi animici in grado (noi diremmo in virtù
della loro valenza simbolica archetipica) di porre
l'uomo in contatto con la sfera divina. Anche i
grandi cicli che regolano l'universo, come la
fertilità e la crescita, possono essere visti come
manifestazione delle impercettibili forze divine che
popolano la Natura e che fanno da complemento alle
leggi causali. I kami sono stati definiti anche con
il termine li, ovvero "intelligenze innate", oppure
"principi". Queste numerose definizioni stanno ad
indicare la complessità del concetto shintoista di
divinità, quella stessa complessità che ritroviamo
nei sistemi animisti. Presso i Pellerossa, per
esempio, la stessa parola wakan viene usata per
indicare qualcosa di sacro, di misterioso, di
pericoloso, di magico, di giusto… La parola
Shintoismo deriva dalle radici shin, "spirito",
"divinità" e to, "via", e quindi può essere tradotta
come "via degli spiriti" (o "delle divinità"). Il
shintoismo elegge la Natura quale dimora
privilegiata delle divinità, dei kami, e quindi la
considera sacra a tutti gli effetti, proprio come
nei sistemi animisti più antichi. I kami non sono
dunque divinità propriamente trascendenti,
afferrabili solo con l'intelletto. Sebbene essi
siano impalpabili, popolano lo stesso universo in
cui si trova l'uomo, ma si collocano ad un livello
superiore al quale si accede dopo la morte fisica o
durante certe esperienze mistiche, un livello che
pertanto appare del tutto paragonabile alla
dimensione animistica. Nei secoli i kami si sono
necessariamente cristallizzate in forme culturali,
antropomorfiche e circondate da miti. Il shintoismo
ha così finito per assumere il volto di una
religione ufficiale a sfondo fortemente animista di
uno dei popoli più avanzati del pianeta dal punto di
vista tecnologico. Come ho suggerito prima, la legge
di compensazione che vige tra coscienza e inconscio
può spiegare tale apparente paradosso. Tuttavia, a
mio avviso esso dimostra anche che lo spirito
moderno, nonostante secoli di cultura
razionalistica, non è affatto incompatibile con l'animismo.
Affermare il contrario significherebbe in qualche
modo sostenere che l'inconscio è incompatibile con
la coscienza e che, quindi, l'uomo debba vivere
senz'anima. Eppure molte persone, razionaliste,
pensano che l'uomo del futuro, l'uomo "evoluto"
dovrà scrollarsi di dosso il retaggio dell'animismo
per diventare finalmente razionale. Dal punto di
vista psicoanimistico invece, l'inconscio animistico
non si lascia eliminare, ma solo reprimere. La
differenza non è di poco conto in quanto ciò che
viene represso resta vivo a livello inconscio e
tende a manifestarsi negativamente prendendo vie
inadatte, riemergendo cioè sotto forma sintomatica.
Pertanto, per evitare catastrofi, è auspicabile che
l'uomo accetti i limiti della ragione e cerchi di
trarre insegnamenti da quei popoli, antichi o
attuali che siano, che sono riusciti a combinare
coscienza e inconscio in una unica cultura.
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