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Il giorno era innocente e fresco
il vento
(Tratto da Giardini d'aria, 2011)
Maria Lenti
Non ti muovere
Lascia parlare il vento
Questo è Paradiso…
(Ezra Pound)
Là dura un vento che ricordo acceso
sulle criniere dei cavalli obliqui…
(Salvatore Quasimodo)
E il vento, non so se dal tempo e dallo
[spazio, che frusta il sangue…
(Mario Luzi)
Ma 'l vento ne portava le parola…
(Francesco Petrarca)
Che ne sarà del vento in Paradiso,
il vento che riporta la memoria,
che ne sarà, del vento, in Paradiso?...
(Carlo Betocchi)
Mi scrolla amore,
come vento nell'alpe su roveri piomba.
(Saffo)
Il giorno era innocente e fresco il vento. (Marina
I. Cvetaeva)
1975
Il silenzio impudico, con cui ho sorretto ieri sera
la percussione delle mie amiche su suor Cecilia e
suor Nemezia, ha deambulato nella mia notte? Al
risveglio, mi trovo vogliosa di rivedere la mia
prigione.
E Ugo? S. è a 75 chilometri sugli Appennini. Lì
troveremo - rispetto al luglio qui afoso - un po' di
fresco. Mi dilungo sul perché lì sia fresco:
correnti, incontro dei quattro venti principali.
Stiracchiandomi, annuncio: "Ci sarà il vento." Ma la
parola vento fa turbinare, succede - mi succede -,
brandelli e finisco, mezza spiritata, per declamare
versi, estrapolati in qua e in là, mentre sto per
scendere dal letto. Ugo, che ha riso delle
osservazioni climatologiche mentre diceva che, sì,
la cosa gli andava, scatta:
"Magì, la pianti?"
"Lo sai come mi fa… Fanno tutto da sole, le poesie.
Non ti piacciono?" Di traverso il commento:
"Spero proprio che ci sia 'sto vento."
Almeno ogni estate io sono tornata a S.,
sull'avvertimento di un assillo non connotato, un
tumulto albale sorto dalla notte, il segnale di un
to go back dovuto al mio voler star bene: vagolare
nelle vie del tragitto verso la scuola e degli
itinerari festivi, ripestare gli impiantiti delle
chiese come nel giovedì santo (dei Sepolcri) e la
scalinata del municipio con la befana, riportarmi
(quasi un pellegrinaggio) sulla tomba di Teresa
dell'Olmo… (La madre sdraiata sulla bara, noi
ragazzine lì attorno alla cassa aperta… E sono
svenuta. "Ma no, quale dolore? Non è mica una
parente! E' la divisa, troppo stretta. Francesca le
ha dato la divisa vecchia. Un numero di meno… E'
cresciuta… Ha i piedi gonfi. Toglile le scarpe.
…Levatevi di torno, bambine. Non è niente.
Portiamola dove non c'è gente …" La prontezza di
Suor Cecilia, schiaffi sulle guance, brusìi…).
In certe mattine smaniose, come questa, ecco …la
posta da casa consegnata alle calende greche perché
si imparassero "rinuncia al godimento o
contenzione"; il cibo, scarso e di improbabile
acquolina, per sottrarci all'ingordigia; quaderni
senza macchie e senza orecchie ai bordi; grembiule e
capelli in ordine, orecchie e collo puliti - sapone
in risparmio e asciugamano striminzito -, unghie
corte e nette; rapidità in tutto, in tutto
obbedienza e rispetto; luce accesa solo per vestirci
o spogliarci in "men che non si dica"… Sacrifici,
questi ed altri, imposti "per la croce di Gesù": ma
perché?
Sulle suore mi si è appiccicato addosso un
rimprovero, un grumo sordo come la loro
insensibilità, che a noi risultava contrastare con i
loro voti, i loro doveri, la messa e le comunioni
mai "saltate", con i momenti di preghiera. Quei loro
peccati quotidiani dove andavano a finire, visto che
si confessavano solo una volta alla settimana?
Non le ho mai ricercate. Ho spinto il portone,
aperto dalle 8 alle 19 perché il collegio è da più
di un decennio un ospizio, e ho sfidato il destino
nel cortile, nella chiesa, nel salone di ricevimento
dei parenti, il nostro refettorio di allora…
Autocensura, carcere pericoloso per me più che per
le suore, certo dimentiche di ciascun anno e di
ciascuna di noi. Delle piccole, fuor di dubbio.
…le piccole, le prime ad essere svegliate e le prime
a doversi avviare a letto. Da allevare con ceffoni
violenti, inaspettati… E la pipì a letto di alcune
erano botte sul culo scoperto e battuto al centro di
un cerchio di bambine impaurite: sfinimento da
vergogna per la sfortunata e ammonimento per chi, a
turno, incorniciava quell'oscenità. Viola le
natiche, scanalati di lacrime i visi, continuavano a
pisciare - a detta delle suore - per cattiva
volontà, per pigrizia. (Gelmina tremava nel
raccontarci il panico che provava sul suo materasso
messo a terra in bilico sullo scalone buio, e nel
discolparsi: ché la pipì era intrattenibile. Oriana,
invece, opponeva l'orgoglio al dolore: serrava i
denti, alzava le spalle e non piangeva mai.) Al
risveglio, controllo e punizione. Ma in quale libro
per educande le suore avevano compulsato quelle
sevizie? O da quali bassifondi pulsavano quelle
malvagità?
Delle grandi - audaci perché impunite? - le suore
tolleravano alzate di scudi e zimbelli, di alcune
perfino godute obiezioni, di altre sollecitavano
suggerimenti e - taglio, cucito, ricamo, maglieria -
miglioramenti, dispiegando parole e sorrisi veri,
non quelli infidi calati su noi bambine. Con altre
si compiacevano dei parenti. Affastellavano i
consigli delle "intelligenti". Associavano altre
alle decisioni sulle recite, sulle tonalità musicali
polifoniche, i modelli delle divise, il "motivo" sui
maglioni, i colori del filo da ricamo (mouliné,
smeraldo o blu mare: cieli e voli alle mie
orecchie). Consigli, confidenze, predilezioni,
complimenti, affetti, riguardi che facevano stare
bene - credevo e credo -, come la concessione di
ristagni nel letto, nonostante Suor "Sveglia" avesse
a lungo scampanellato, o come il permesso di essere
assenti alle funzioni. (A rancore divento fungo
velenoso, abbiamo saputo in seguito dei dolori
mestruali che costringevano a letto alcune.)
Io le vedevo, le suore e le grandi, parlare fitto
fitto o ne udivo le parole, un po' altisonanti, e
l'invidia trascorreva dal capo ai piedi e usciva
dalla sclerotica…e Delfina mi ballonzolava attorno
declamando una terzina dantesca ("Fu il sangue mio
d'invidia sì riarso, / che se veduto avessi uom
farsi lieto, / visto m'avresti di livore sparso") e
suor Raffaella mi esortava a confessare quel peccato
capitale.
Rideva agra suor Raffaella. Ma il terrore della
morte spingeva, nel confessionale, fin dalla
schiena: "Provo invidia." "Verso chi e per che
cosa?", indagava padre Giuseppe. "Non so." Così,
mentre l'invidia mi incartava come una camicia
d'organza - non quella fina dei confetti o dei
nastri per capelli, ma quella incartapecorita e
inamidata delle sottogonne quaresimali,
ascensionali, pentecostali mai lavate -, bel bella
usciva una bugia. Confessata con tutte le altre.
Poter riparlare con le suore non era l'antidoto - ho
ritenuto, nei miei molti anni "altri" - alle
sofferenze e ai bavagli dei miei nuclei vitali. "Se
le rivedo, a S. …" …e subentravano, alla trance,
sibili nelle orecchie, sbieco di iridi, schiocco
secco delle mani sulla faccia, il volto meditativo
di alcune, la cupezza di altre, le risate
straordinarie - "è matta, è matta", dicevamo - di
suor Germana, che faceva con noi girotondi e
quadriglie e i saltelli sulla corda tenendo strette
alle gambe le pieghe della tonaca nera, la cuffia e
il soggolo candidi e la pettorina inamidata, la
parlata di suor Battista, il corpo lieve di suor
Cecilia e quello, svigorito ma isterico, di suor
Nemezia, astiosa e stizzita per lo più, ma luminosa,
viso di vita e di giovinezza, il venerdì del
confessionale o nel vedere che maglie e ricami erano
venuti "puliti" come lei ordinava e pretendeva
Sono tornata a S. ritendendomi su una me che o
correva o se ne stava rapita ad ascoltare. E non ho
mai cambiato strada o tragitto: per rimisurarli
palmo a palmo e in tutte le curve, come nel tempo
dei ritorni per le vacanze e dei rientri.
Come avevo fatto all'andata in collegio, avendo
visto - le spalle verso la mia città che mi risultò,
e una lama mi aveva trafitta di spavento,
sull'orizzonte opposto - il sole che perlava i campi
di gennaio e addensava il freddo nelle ossa, seppure
fossi nella corriera e nel treno, un freddo soffiato
da colline che rotolavano su me come monti.
Rattrappita sullo schienale, il freddo sottraeva ad
ogni futuro quel che avevo lasciato. Ma, allora, non
sapevo che cosa stessi abbandonando, né sapevo da
che cosa mi stessi allontanando, né a che cosa
andassi incontro, né che cosa era quella mia poca
età e vita. Né - in quel mio primo lungo viaggio
verso una nebulosa - ho mai assecondato mio padre,
che mi mostrava, in qua e in là, case e paesaggi e
sparute persone ai bordi delle strade. Fui colpita
da un cane, che correva sul ciglio della strada, e
da un cartello giallo: Santuario della Madonna del
Soccorso (sec. XII), una chiesa a picco su un
frontone di roccia. A quella Madonna, come mi
avevano insegnato a fare quando avessi incrociato
luoghi sacri o cellette per strada o avessi sentito
bestemmie, io ho rivolto un saluto più diretto a me,
ora so, che a lei, o diretto a lei ma per un mio
bisogno, per il balzo sul nuovo…amiche, canti,
scuola… la cura delle suore. Starai bene… Bene: la
slealtà delle parole l'ho imparata in quell'istante.
Oggi sono con Ugo. Prezioso il suo sì. (Stamattina,
dissoltisi i versi del vento, io - mai prima
nell'avvio di espansioni - mi sono adagiata d'impeto
su di lui, l'ho accarezzato, baciato, tenendolo a
lungo in me e regalando a entrambi un abbandono
inusitato.) Mi appoggio alla sua spalla: i miei
soprassalti per il ritorno si stanno frantumando
vicino a lui. Sento di amarlo, molto. Il mio
racconto su S., concrezioni incastonate in me,
talvolta ha nauseato Ugo. Sopporta, tuttavia, con
una certa facilità e scarsa adesione, se attacco con
la mia preistoria. Una palla.
"Sono proprio curioso di vedere 'sto posto." E
calca: "Questo posto." E' felice che gli abbia
chiesto di essere con me, oggi. Non so se fargli da
guida o se lasciare che sia lui a pensarmi, se
vuole, come ero a S. Naturale è il silenzio tra di
noi, ma, facendo un primo giro di ricognizione, se
ne esce bel bello il mio essere insegnante per
vocazione e felice mestiere…
…laggiù il teatro… la cupola del "Salvatore" …i
viottoli del parco per "tana"… lo spazio per la
"campana"… il monte del diavolo e la casupola della
strega… sedute a due a due o in tre, le grandi,
piegate sui loro segreti, in cui mi intrufolavo,
ammessa o con prepotenza, per frugarvi: fatti di
cronaca, trame di libri proibiti (di chi?) e di
"Grand Hotel" nascosto nel crine del materasso.
…Marianna (sì, la Mary Ann che Ugo conosce) ripeteva
la storia con Elvira per la quale arabo e storia
erano un tutt'uno… Maria Rosaria incollata alla
sorella Giulia che si scalmanava in pianto fino a
che Suor Cecilia con un urlo o una risata… Il
sarcasmo bruciava la pelle.
"…sei davvero interessato? Non me lo fai sentire,
l'interesse…"
"Oh, non sono mica un tuo alunno! Sì, sono
interessato, ma me le hai dette un sacco di volte,
'ste storie. Le so tutte, tutte quante…"
Ugo va sui suoi interessi storico-artistici:
"Hai visto la facciata di Sant'Agostino? Un
romanico…della zona. Qui però con interventi
successivi… Medioevo e accenni rinascimentali nel
centro storico. I palazzi pregevoli… E quello
laggiù, a metà costa? Chiude il castello e apre sul
borgo… la mano del fascio: d'effetto allora, un
effettaccio oggi. La città romana, perfetta nella
sua razionalità. Il borgo, il castello. Città di
sosta oltre che di mercati… quattro conventi di
suore, due di frati, il seminario… Addirittura il
tribunale e il carcere in una cittadina di poche
migliaia di abitanti. Eh, la storia…" Spera forse
che, nella loro forma, i suoi interessi siano per
una volta miei? Lo seguo, ma l'"esteriore", in
effetti, è per me preistoria. Ugo lo sa. Azzarda un
recupero trasversale:
"Stavi proprio male, Magì?"
"… ma no. Stavo… Adesso so, non allora. Tu, da
ragazzino, eri con i tuoi, no? Be', è un'altra cosa.
Crescere è duro per tutto, però i tuoi…"
"Mah. A volte avrei preferito che non ci fossero…"
"…fuga da casa, lo so. Perché?"
"Fisime. Al ginnasio ero accanito di avventure… Tom
Sawyer… Gulliver… Stevenson… London… Ma cosa vai a
rivangare?" Trattandosi della sua adolescenza, Ugo
sorvola: "Altri tempi. Il cinquanta, o giù di lì,
per me, il cinquantacinque per te. Poco istruite le
suore, se non quasi analfabete. Allaccia le tue cose
del periodo alla storia e te ne farai una ragione.
Anzi, che tu ci stia tuttora su, dopo vent'anni, mi
sembra un po' masochista… O mi sbaglio?"
"…sempre a giudicare, tu!..."
Spingiamo il portone ed entriamo nel porticato. Mi
sporgo, dai finestroni aperti, sul cortile ora
gremito di aiuole. Mi ritraggo. Tra vasi e aiuole,
sulla ghiaia, cammina Suor Cecilia, diritta, cuffia
testa-orecchie senza soggolo né pettorina, velo più
corto (forse un fazzoletto di voile), vestito ai
polpacci, liscio, svasato senza civetteria.
Suor Cecilia, ieri sera…
- Non c'era, tra suor Cecilia e Suor Nemezia,
un'intesa? -, butta là, scaltra, Ivana.
- No, no -, è la reazione di Laurina che,
autoelettasi custode di ore e minuti di quel tempo,
ci inchioda al brio di suor Cecilia, alle mani di
fata di suor Nemezia e al nervo di Ivana. Suor
Nemezia era estasiata davanti a padre Virgilio.
Anzi, tutte e due avevano una simpatia - la si
notava! - per quel frate, giovane quanto loro. Suor
Nemezia aveva ricamato alcuni paramenti sacri per il
suo arrivo e un copritastiera bordò per il
pianoforte che lui suonava alle nostre recite. …
Suor Cecilia gli serviva dopo la messa la colazione
nel parlatorio riservato, portando tra le mani, come
un'offerta, il vassoio lungo il corridoio, il velo
nero sulle spalle mosso sul passo di farfalla…
- Scherzate? -, smorza Alfonsina. - La superiora non
era cieca: avrebbe sostituito suor Cecilia,
richiamato suor Nemezia!
- Erano terribili. Tutto poteva essere. Non giurerei
proprio su niente e su nessuna -, rimbecca Mafalda.
- Litigavano, si urtavano per un nonnulla. Suor
Nemezia: consumata dopo che suor Cecilia, a letto
per più di due mesi, è stata trasferita, per cure,
in un altro istituto. Piangeva come una fontana,
Suor Nemezia. Come suor Cecilia…
- Confondete… -, interrompe Carla. - Si era ammalata
suor Nemezia. Se n'era andato anche padre Virgilio?
Bel frate, molto istruito. Parlava di Africa, di
Brasile, dei deserti della Patagonia, delle
popolazioni andine… Così galoppavamo e sbagliavamo
le note. Sarà andato missionario… per il mondo.
Nessuna l'ha più visto.
- Mi sa che galoppa la nostra testolina! -, Alda
argina la marea che va e viene. Ma persino il
patetico "lasciamole in pace, poverine!" di Erminia,
timorosa di chiacchiere rese verità, si vanifica sul
sibilo di Piera: lei rammenta una frase biascicata
da qualcuna la mattina con l'asciugamano e la
saponetta nelle mani verso i lavandini: "Suor
Cecilia è andata nella tenda di suor Nemezia. Pace,
tra le due. Visti i sorrisi?"
Noo! Ma va'. Be'? Affari loro! Una balla, una
malvagità, una perfidia. Di Marta, che aveva il
letto a due metri dalla tenda di suor Nemezia e
inventiva da vendere? Di Ernesta, sempre pronta a
costruire castelli? O di Rina, la boccalona, che di
un anellino faceva un cerchio allargato senza
parsimonia? Forse Settimia e Bruna? Ricamatrici come
Terza e Veronica, a tu per tu con suor Nemezia,
potevano avere intercettato sospiri, mestizie, gaudi
insoliti?
Che vi frega?- scatta Lina -. Le cose possono non
essere andate come state masticando. Chi sa come
sono andate le cose e quale sia la verità. …
Inventate…fandonie, come allora… Con voi 'sto cavolo
di collegio non manca mai. E questa e quell'altra e
quell'altra. Mancava la storia di suor Cecilia e di
suor Nemezia… Una noia… Fate una noia… Ogni volta
rivoltate frittate. Addirittura, l'ultima volta,
tutta la cena a ridere sull'uva rubata nell'orto e
sul grembiule di suor Agostina… Se è intelligenza
questa -.
Alda, la seriosa del gruppo, ci zittisce.
Zittisce tutte, meno Lina: - Tra antifone e
prediche, mi sono rotta… !
Trasalimento… E' lei, suor Cecilia, ora, qui nel
cortile… Invecchiata? La pelle ha pochissime rughe,
le palpebre forse un po' scese. Ci interroga con il
sorriso. Ci avviciniamo. Le dico chi sono, che ci
faccio lì, che io ogni anno sono lì, quasi un
pellegrinaggio, che… Ma urge in me la zeppetta di
ieri sera: era andata via di qui perché malata? Ed è
tornata, quando?
"…chiuso il collegio, è stato istituito il ricovero.
Tu, quando sei stata qui? Chi c'era? Il signore… Tuo
marito?"
"Ugo, il mio compagno…"
"E perché non ti sposi? Un'unione non consacrata,
fuori del matrimonio, non va. I figli…"
Ugo si finge assorto. Io non raccolgo e nomino,
invece, alcune ragazze del mio periodo… Gliene
squaderno altre, delle predilette, le "ricapate" (i
primi mestoli di pasta dalla prima pentola, le
ciliegie più dure, l'insalata fresca d'aceto), i
nomi di quelle che risuonavano di meno, per biasimi
e richiami all'ordine, i nomi delle protagoniste
delle recite. Vado, irrefrenabile, su Valeria e
Marcella - gli angeli con le ali che si staccano sul
penultimo scalino dell'altare nel giorno
dell'Ascensione -, su Gemma, nessuna predisposizione
all'ago e ditale, obbligata a cucire e poi messa in
castigo nel fondo del corridoio per il proditorio
"distacco" dell'orlo a sottopunto. Vado sulle suore,
sulla sua malattia improvvisa…
"Che memoria. Ma come fai?!... Sono passati…sono
passati… Però non sono stata malata. No, a N. ho
sostituito una suora anziana nell'ospedale. …Eravate
tante. Facevate un gran chiasso, perfino nelle ore
del silentium e dei ritiri." Corruga la fronte:
"Qualcuna delle ragazze che hai nominato… Francesca,
che mi aiutava con le divise, viene a trovarmi
d'estate con i figli e il marito. Alcune erano
eccezionali a scuola, Delfina, Nunzia… Una aveva
vinto una borsa di studio… Mariuccia, molto svelta a
fare le maglie con i ferri, Caterina…"
Il ritorno a S. l'avevo pensato come la solita via
crucis per me, di molestia per Ugo. Che, invece, mi
spiazza ("Simpatica, la suora. Cosa m'hai
raccontato?"), mentre suor Cecilia va a prendere le
chiavi di un reparto. Poi è subito preso dagli
adattamenti tra i volumi di un complesso che ha la
sua dignità, se non fosse per quella calce grigia
troppo visibile tra i mattoni in cotto e le pietre
bianche delle cave appenniniche. "Si sarebbe dovuto
fare un restauro scuci e cuci. Peccato. Un peccato"
il suo commento.
Suor Cecilia ci conduce a visitare l'ala più
recente, costruita dove allora l'orto aveva un muro
tirato su in quattro e quattr'otto dalle suore
stesse: a pochi passi i ragazzi del quartiere, in
calzoncini, giocavano a pallone! Vediamo le stanze
riservate alle suore. (Le stanze dei nostri
occhieggiamenti: e giù a riferire scoperte e
invereconde falsità sulle suore in sottoveste.)
Niente più tenda nelle camerine: per suor Cecilia,
ora, una stanza anche con un armadio, un comò e un
lavandino. "Il lavandino… per necessità ordinarie",
spiega suor Cecilia. "Il bagno è lì, nel
corridoietto. Anzi sono due. Una conquista. Il
comune ha ristrutturato il complesso. Ma la Madre
Generale aveva dei dubbi… Non è mica facile capire
che il sacrificio non è… dove stia insomma il
sacrificio. Ce n'è voluto…"
Finita la perlustrazione e sedute nel tinello,
mentre Ugo è andato a esplorare il campanile - un
parallelepipedo slanciato, con due monofore nelle
facciate, quasi a pelo di grondaia -, beviamo il
caffè filtrato dalla caffettiera elettrica.
"La modernità, eh, suor Cecilia!"
"Un regalo di un primario dell'ospedale che ha avuto
il padre qui, nell'ospizio. Fa risparmiare tempo.
Abbiamo la lavatrice, il ferro a vapore, la cucina a
gas con una piastra elettrica rapida. Per noi. Per
gli ospiti della casa i pasti li fornisce la mensa
scolastica comunale, che è dove erano le lavanderie
ed ha un sottopassaggio a destra verso di noi e a
sinistra verso l'edificio della scuola elementare e
media…"
"Ma c'è un'altra novità: i termosifoni!", esclamo un
po' corrosiva. Allora c'erano le stufe di terracotta
ma non in tutti i locali e i bracieri solo la
mattina… Un freddo nelle camerate…"
"Molte di voi avevano i geloni, purtroppo."
"Sì, Silvia, Emerenziana… Ma… Suor Cecilia, come è,
come va con gli ammalati, con i vecchi?"
"Non sono molti e noi pure siamo poche. Facciamo
assistenza, li mettiamo a letto e li alziamo,
…persone in là d'età… Gestiamo l'andamento
complessivo. La loro pulizia, le rette, i contatti
con le autorità, le cure normali. Quelle specifiche
sono delle infermiere della Mutua. Io le aiuto. I
turni di notte. Una fatica. Ma la offro, oggi come
ieri, al Signore."
…i giovani da istruire - penso - e i vecchi da
accudire. Un lato da costruire, un lato da arginare.
Sì, la ruota è girata. Per entrambe.
Mentre parliamo del nostro oggi, io ho però solo le
increspature delle ore condivise…nell'altro ieri. In
lei, in questo momento, ho uno specchio di una me
internata, delle mie realtà non sopite con le
sovrapposizioni, che dovrebbero comprimere gli spazi
della memoria, perché umiliazioni e soperchierie
bruciavano e non sono state soppiantate dalle altre
che il vivere dispensa né cauto né spilorcio. E' lì
questo tutto, da lì spinge quando non dovrebbe e mi
impastoia quando dovrei essere ferma di
ragionamento.
Riprendo la fiumana sulle suore di allora: le note e
le corse di lei, di suor Cecilia, le letture per
suor Battista, le stonature di suor Luciana, le
botte di suor Calvaria, la confisca di giocattoli,
la taglienza di suor Gabriella, i turni di pulizia
della chiesa, le processioni, il salterio e la
dulìa, i cesti di ginestre, fiori di lupino,
papaveri, sonori medaglioni del papa - per le
scritte a terra del Corpus Domini -, la compostezza
di suor Paola e il suo "albo d'onore" stracciato da
Caterina mai in corsa (atti di bontà,
mortificazioni) verso l'aureola… Caterina punizione
di rigore in camera per 24 ore, solo acqua e pane…
"Eravamo severe, lo so. Erano i tempi… nelle
famiglie i genitori menavano, nelle elementari i
maestri usavano la bacchetta, i castighi con i ceci…
In tutte le comunità vi erano regolamenti e norme.
Pensavamo che le bambine si dovessero educare…" Una
pausa, quindi con timidezza o con l'inflessione di
chi sa di essere in torto, ma rimediato,
giustificato nella sua coscienza, Suor Cecilia
accenna un sorriso riparatore o che chiede
riparazione:
"Eravamo molto cattive?"
Si aspetta una consonanza sui metodi, una negazione,
uno sconto se non una smentita?
Resto muta. Non riesco ad essere generosa ma nemmeno
scartoccio malanimo. E' sparito il progetto - covato
lungamente - di dirle in faccia e di spanderle
addosso le migliaia di cose introiettate e custodite
per occasioni che - corsi e ricorsi da filosofia
risarcitoria - sarebbero giunte. Ho solo
un'inarrestabile smania di spigolare nelle
insenature e costellazioni antiche perché,
ostensorio sconsacrato, si materializzino qui tra
noi. La smania si scioglie in flussi, flutti di
parole.
Pochi e smozzicati gli interventi di suor Cecilia. A
tratti è rapita, forse costernata.
Sbatacchio episodi, sciorino eventi. Sommergo suor
Cecilia, la inondo. La soffoco di versi di canti e
di preghiere, di musiche di padre Virgilio e del suo
pianoforte, di padre Damiano e delle comiche di
Charlot, di primi venerdì del mese e sabati del
Sacratissimo Cuore di Gesù, di ore di adorazione, di
cori, orari inamovibili, studi, recite che
richiamavano la città nel nostro teatrino per più
sere e di cui Ceri. Be'. - Cerioni Bernardo, maestro
in pensione e cronista di S. - scriveva mirabilie.
Aveva esultato per lo spettacolo di quel Natale
straordinario e aveva sparso elogi. Le spiattello il
pezzo registrato anch'esso nelle mie cavità
craniche:
"Le reverende suore del "San Giuseppe", con la
supervisione alla regia e l'arrangiamento al
pianoforte di padre Virgilio, hanno adattato un
testo anonimo tratto dalle Sacre Scritture, studiato
le scenografie, cucito i costumi, diretto gli attori
- pardon, le attrici -, e, insomma, realizzato una
Nascita di Gesù che ha dei momenti divertenti prima
che prendano il palco quelli drammatici o quelli
commoventi. Il pubblico è convenuto numeroso e
generoso: una ricompensa, ma non è sufficiente.
Già avrebbe meritato maggiore pubblico la Danza
degli alberi di aprile: quel balletto delle bambine
intorno ai tronchi ancora vortica, persiste la sua
scenografia singolare con i rami che ondeggiavano
grazie ad un ingegnoso congegno fuori palco.
Ora la nascita di Gesù ha tutti i numeri per uscire
dal collegio e dalla nostra S. Si adopererà il
sindaco perché sulla recita per il Santo Natale del
"San Giuseppe" si alzi il sipario nei paesi
limitrofi, meglio nel capoluogo della regione?
Meritano un premio, le suore e le orfanelle.
Meritano, da noi più fortunati, la restituzione del
dono della sacra rappresentazione che ci hanno
fatto."
Sempre sulla "Gazzetta Tre Monti", proseguo, un
corsivo di Ceri. Bè. per il suo trasferimento, di
suor Cecilia, da S.: il vuoto che la dinamica suora
lasciava nelle comunità religiose e civili di S.,
nelle ragazze del collegio, nelle sue consorelle.
Quindi, da premurosa accumulatrice di cianfrusaglie
e impilatrice di inconsistenze quale sono, le chiedo
se lo ha conservato, se lo conserva, il ritaglio: il
cronista aveva…
"Gina le aveva spedito il ritaglio", le rammento.
"Ho un sacco di cose di quei miei anni. Ho le pagine
sulle recite,… Sul, giornale, suor Cecilia! Pensi!
Ceri. Be'. aveva scritto che lei aveva bisogno di
cure speciali che l'ospedale di qui non poteva
offrire. Che alla sua partenza la commozione era
stata generale…"
Un lieve pallore, una tenerezza luminosa, sottile la
voce che mi toglie la parola ma non sul giornale:
"…suor Nemezia… Te la ricordi?"
Soffio fievole, modulato più sul nome che sul verbo:
non riesco a rispondere. L'esilità della voce,
pausata su quel nome, s'intrama in me all'istante
come senso di colpa e finisce in spasmo, in
vertigini. Porto le mani alle tempie per cavarne una
risposta.
Ma suor Cecilia non aspetta risposta. Distante dal
ritorno intriso di logorrea, di code e controcode,
di riprese e dello stillicidio di personaggi i più
strambi; lontana - in una sua dimensione a me ignota
- dalle vicissitudini ricreate con pignoleria e con
immagini tutte interne ai miei spettri e alle mie
certezze incattivite, si alza, mette le tazzine e la
zuccheriera nel vassoio e resta in piedi, pronta per
congedarmi e congedarsi.
Abbacchiata saluto suor Cecilia e vado a riprendere
Ugo.
Non aver mai nominato suor Nemezia è stata, da parte
mia, una crudeltà, una punizione inflitta con una
lista, aperta da decenni, esibita, seppure
inconsapevolmente, per espellere ghirigori in nero,
sbrindellati, contro quelle suore forse non
coscienti della loro non sempre visibile crudeltà in
anni crudeli e in adolescenze comunque sia delicate
e spinose, burrascose e malinconiche, turbolente e
spietate. Con la mia vendetta a sangue freddo ha
pagato lei, per le suore, per chi mi ha spinto in
collegio e per il fondiglio che ne è seguito -
macigno intorcinato nelle viscere -, un conto ben
salato, stagionato.
Tacere di suor Nemezia, nominando tutte le altre una
per una e in diverse situazioni, ha rovesciato molto
e ben altro: il sordo tramestìo, non detto e non
rimesso, di attaccamenti e affettività, di trasporti
e gelosie, di invidie, di frustrazioni e di un
corollario di sentimenti allora ignoti a me nella
loro forte striatura, subdoli, addensatisi nella mia
parte in ombra a farvi ruotare rabbie ire superbie
invidie accidie lussurie - improvvise -, davvero
peccati capitali, di morte contro la mia vita e
quella di chi è convissuto con me fino ad oggi.
Mi scuso con suor Cecilia per l'intrusione nelle sue
abitudini domenicali, per averle rubato il riposo o
la cura del giardino nel cortile. L'abbraccio con un
trasporto che è autentico, ma che ha pure un
risvolto piegato alla sopravvivenza della mia anima:
il silenzio ha solidificato, sull'avarizia di un
rifiuto, di un nome negato alla traccia della
memoria, il peso di oggi sul peso di ieri. Due pesi
uguali sui piatti della bilancia si elidono: ma i
miei due, entrambi sullo stesso piatto?
Nel fondo del mio cuore è pertanto il perdono che
chiedo a suor Cecilia, un dono generoso, se può, che
spenga la scintilla della vendetta - si può mentire
a se stessi? -, quella di averla voluta scovare nei
contrasti tra parole e azioni, tra preghiere e
pentimenti, tra il proponimento di non più peccare,
i voti, e le ricadute: incoerenza bella e buona per
me, per noi, inanellate in concettosità dottrinarie
e nei giudizi - secchi, pretenziosi - sputati a
denti coperti.
Convinzioni di cui ieri sera, pur in forma di
statuetta al banco delle chiacchiere, mi sono
rinutrita. E di questa mattina, oscurando suor
Nemezia per sottrarre a suor Cecilia il passato,
quello intimo non quello degli eccessi, delle botte,
delle ignoranze, per verificarlo al lume delle mie e
sue rifrangenze, su un contropiede, lo so, non
innocente.
Verificare… che cosa?
Il coraggio del sussurro di suor Cecilia, qualunque
ne sia la verità, che sua è stata, che è sua, sua
soltanto - che sua resta, solo sua -, mi rimanda il
coraggio e la forza di questa donna nella sua vita
di oggi e di ieri. Nella mia è giunto il momento che
su un setaccio fino io separi, di quella mia
preistoria, crusca e farina.
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