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Narrativa

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi narrativi inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
Mezzanotte sul Nilo di Simonetta Biserni, Il giorno era innocente e fresco il vento di Maria Lenti, Il peso della spesa di Ivan Pozzoni, Il quinto dei quattro ponti di Pietro Rainero

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai e Matteo Nicodemo, Giovanna Casapollo, Rossana D'Angelo, Alessandra Ferrari, Erika Gherardotti, Roberto Mosi, Ivan Pozzoni, Flavio Scaloni

Recensioni

In questo numero:
- "A seconda di come volgo lo sguardo" di Massimo Acciai e Matteo Nicodemo
- "La nevicata e altri racconti" di Massimo Acciai, postfazione di Valentina Meloni
- "Apologia del perduto" di Massimo Acciai e Lorenzo Spurio
- "Poetikanten", poesie dei Poetikanten
- "Il giocoliere di parole" di Alberto Diamanti
- "La ballata delle sette pietre", di Antonio Messina
- "La vita, gli amori e l'omicidio di Giulio Falchi", di Mick Corso
- "Aurora" di Stefano Pasini

Interviste

Intervista a Stefania Piu
A cura di Massimo Acciai
Intervista a Stefano Pasini
A cura di Massimo Acciai

In questo numero segnaliamo...
 

 


Titolo: La nevicata e altri racconti
Autore: Massimo Acciai
Postfazione: Valentina Meloni
Casa editrice: PoetiKanten Edizioni
Collana: Narrativa - Orsa Maggiore
Genere: Racconti
ISBN: 9788899325039
Anno: 2015
Pagine: 142
Prezzo: 10 €

Il filo conduttore che unisce i cinque racconti della presente raccolta è il mondo della scuola. Uno sguardo inedito ai ricordi scolastici, sognando un’altra istruzione che ancora non esiste e che forse non esisterà mai. Ma sono anche memorie di viaggio, piccole avventure vissute lontano da casa, in altri luoghi, e il viaggio è soprattutto metaforico, nei ricordi, nei sogni, nelle speranze. Il primo lungo racconto, da cui prende il titolo la raccolta, racconta di un viaggio in Calabria, in un immaginario paesino assediato dalla neve, dove si riuniscono personaggi legati in qualche modo al mondo della scuola e della letteratura, riuniti per celebrare la morte di un poeta: è lo spunto per una confessione del protagonista, che esprime liberamente le sue idee sulla pagina: quasi un racconto-saggio. Il secondo testo, “Numeri”, riprende il personaggio del primo e ne racconta l’esame di maturità. Gli altri tre testi sono brevi frammenti collegati in qualche modo ai primi due racconti. Si tratta di una rara incursione nella narrativa non-fantastica da parte di un autore che ha abituato il suo pubblico ad una narrativa che si muove tra la fantascienza, il fantasy e l’horror.


"Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome,
e per citarle bisognava indicarle col dito".

(Cent'anni di solitudine, Gabriel Garcia Màrquez, 1967)


Emanuele, protagonista di due dei cinque racconti di questa raccolta che Massimo Acciai mi ha invitato a leggere, è la voce narrante da cui prende vita la narrazione; personaggio di ispirazione autobiografica caratterizzato dall'autore fiorentino attraverso la lente dell'introspezione in rapidissimi tratti:

"Emanuele odiava la scuola. L'aveva sempre odiata, fin dal primo giorno alle elementari. L'aveva poi detestata alle medie, l'aveva maledetta alle superiori e perfino l'università aveva aborrito pur frequentandola e riuscendo a laurearsi in lettere entro i termini stabiliti. Era sempre stato uno studente mediocre, attento a non essere bocciato o rimandato in nessuna materia solo per non prolungare ulteriormente quel tormento. Faceva solo quanto era sufficiente, e non di più. Mirare ad un voto superiore al sei lo riteneva una sciocca perdita di tempo. Le materie non lo interessavano, ciò che lo interessava lo trovava tutto al di fuori della scuola, nelle sue letture private. Aveva attraversato gli anni di scuola come chi passa, un giorno di pioggia, per una strada che conosce bene, con gli occhi bassi, nascosti nell'ombra e il cuore rivolto ad un giorno lontano: quello della libertà."

Cinque racconti i cui fili si snodano attraverso i temi fondanti della critica e dell'utopia: protagonista una generazione lontana temporalmente da quella attuale ma non troppo lontana dalle tematiche trattate; attuali e importanti, invece, le riflessioni che possono scaturire da questa lettura, nell'ottica di costruzione di un sistema critico che sappia passare al vaglio il presente in un confronto, aperto e diretto, con passato e futuro. La critica coinvolge in primissima battuta il sistema scolastico ancorato a rigidi programmi ministeriali, alla sistematicità degli insegnamenti, alla logica dei numeri intesa come qualifica all'apprendimento, alla vita, attraverso il voto: un giudizio "sommario" che può pregiudicare o avviare la messa in moto del proprio cammino.

Nella Nevicata e nei Numeri si esaminano, attraverso il prototipo del ragazzo come tanti, questi e altri temi. Il pretesto narrativo che costruisce il dialogo a più voci è la cronaca di un viaggio al sud durante una straordinaria nevicata, viaggio in cui si delinea ulteriormente il carattere di Emanuele: un ragazzo che a cospetto del cosmo si sente piccolissimo, insignificante, solo una particella di quel buio che compone la vera essenza del Tutto. Un ragazzo che non crede in dio, non crede in nulla, ma certe domande se le pone talvolta tenendo bene in mente l'immagine di "The Wall" in cui file di studenti s'incamminano verso un gigantesco tritacarne al ritmo di "We don't need no education, We don't need no thought control" dei Pink Floyd.

Una critica al "maestro imposto" che rivendica, in un estremismo esasperato e manicheo, il diritto a essere ignoranti, il diritto a un'educazione emancipata dalle imposizioni in cui è lo studente stesso a scegliere di imparare entro un sistema libero così strutturato: niente esami, niente classi, niente compiti, niente voti e nessun programma ministeriale. Solo un maestro e un allievo, in assoluta parità, che insegnano l'uno all'altro, a turno, ciò che sanno.
Attraverso Emanuele, Massimo Acciai delinea la sua utopia, che non si rifà ad un modello culturale arcaico, come quello, per esempio, della Grecia antica basato sul rapporto diretto tra maestro-discepolo, anche se si possono apprezzare alcune analogie; ad esempio questo approccio non prevedeva di dover preparare i giovani per un mestiere ed essendo, soprattutto, di tipo morale non aveva bisogno di strutture scolastiche, ma si poteva sviluppare all'interno di un quotidiano tipo di vita (nel caso della Grecia: sportivo, mondano, guerriero ecc..).

Non si rifà neppure, o solo in parte, al modello di Don Milani, ancora troppo avanti con i tempi, sebbene siano passati quattro decenni dalla sua morte, modello in cui studenti e maestri possono sì, imparare vicendevolmente, ma senza quell'anelito alla libertà che lo studente sembra ricercare con fermezza: lo stesso prete di Barbiana, infatti, "imponeva" i suoi ritmi e le sue materie, la sua autorità, ai bambini e ragazzi che istruiva nel suo paesello sperduto del Mugello.
L'utopia di Emanuele, tuttavia, non traspare mai con troppa convinzione, perché egli stesso durante il dibattito a tavola su questo medesimo tema, si trattiene dal parlare e dall'enunciare le sue idee per una sorta di rassegnazione allo stato delle cose o per incapacità di opporsi a un cambiamento a cui le coscienze non sono ancora evidentemente preparate.

Non è neppure paragonabile a quella che Silvano Agosti delinea in "Lettere dalla Kirghisia", mondo onirico in cui prende vita una società basata sull'amore e la cooperazione tra gli esseri umani, nell'assoluto rifiuto di qualunque tipo di conflitto. Una società entro la quale gli insegnanti sono persone comuni e la scuola è un luogo a cielo aperto, dove gli strumenti sono a disposizione di tutti e i bambini stessi diventano insegnanti di adulti, di anziani, in uno scambio consapevole e reciproco di sapere e di risorse. Cosa, questa, che sta già avvenendo per quanto riguarda, ad esempio, i nativi digitali i quali, interagendo con le generazioni precedenti alla loro, sono a tutti gli effetti dei moderni "insegnanti" (quando hanno pazienza); viceversa gli stessi cercano un dialogo con i genitori e con le persone al di fuori della scuola che è pressoché inesistente. Alla base dell' utopia agostiniana sta l'amore, tema toccato solo di sfuggita da Emanuele, ancora acerbo nella sua consapevolezza di vita, ancorata rigidamente a degli ideali mai davvero messi in atto, ideali che si azzarda appena a delineare nel pensiero, nelle letture da autodidatta, ma che non gli consentono di opporsi al sistema vigente. Egli non è infatti un combattente, è un ragazzo come tanti i cui desideri si spengono entro le bollicine di un bicchiere: Sogno di scrivere d'estate su una veranda, accanto ad una bottiglia di Coca Cola e la quiete della sera. - Precisò - Magari un buon romanzo di fantascienza.

Emanuele tratteggia l'utopia di un mondo "perfetto", e quindi assolutamente inattuabile, in cui vigono quattro regole che egli appunta sul suo taccuino:


1. Nessuno muore contro la sua volontà e la morte, quando c'è, è reversibile.
2. Ognuno si innamora soltanto di chi lo ricambia o non si innamora affatto.
3. Nessuno si ammala contro la sua volontà.
4. Ognuno è felice con ciò che possiede.
Il ragazzo come tanti, tuttavia, non sembra essere felice con ciò che possiede, non ha mai fatto qualcosa che non veda l'ora di riprendere, odia la scuola ma non ha mai provato amore neanche per i successivi lavori che ha trovato, tutti inesorabilmente precari, con cui è impossibile fare progetti o costruire un futuro. I suoi amici, che si trovano in situazioni più o meno drammatiche rispetto alla sua, sembrano comunque riuscire ad andare avanti, al contrario di lui che si scopre a vivere in un limbo in cui i mesi e gli anni passano inesorabili… Una vita da domenica pomeriggio.

Una critica alla scuola che diventa critica alla società, un confronto inscindibile che ci catapulta dagli anni novanta fino a noi. Cosa è cambiato? Come è cambiata la vita del ragazzo come tanti nel nuovo millennio?
Esiste ancora questo grande anelito alla libertà che Emanuele, che io, che tutti noi studenti della passata generazione possedevamo? Una risposta a questa necessità sembra esserci stata data dalle scuole steineriane (le quali, tuttavia, non sembrano discostarsi molto dal metodo Montessori) che educano alla libertà e all' educazione permanente, la quale non finisce entro le pareti della scuola ma continua per tutta la vita, scoprendo il piacere di imparare. In questa ottica il bambino non è considerato un substrato passivo sul quale imprimere nozioni, ma un essere ricco di potenziali latenti (talora di grande valore per l'umanità) da risvegliare attraverso un metodo privo di condizionamenti e distorsioni, quei condizionamenti contro i quali Emanuele si scaglia con determinazione.

Come si può facilmente intuire i temi importanti sollevati da questi racconti sono quelli della libertà e dell'uguaglianza, la necessità di ideare e realizzare un sistema di valori che non intrappoli le giovani menti entro le mura di un cortile; reale o metaforico, questo ha poca importanza, si tratta comunque di un recinto che impedisce la scoperta del mondo e la propria crescita. Eppure il protagonista dell'ultimo racconto "Il cortile" sa che la libertà è una conquista per cui lottare giornalmente ma ci lascia anche intendere che, probabilmente, è una conquista illusoria, una sorta di caleidoscopio attraverso cui osservare il mondo:

"Il mio pensiero scavalca il muro e percorre il mondo esterno. Penso a quando sarò anch'io dall'altra parte e mi troverò magari a passare, per caso, davanti a questo muro - ma sull'altro lato - e davanti al portone pesante di questo edificio. Forse allora penserò a questi anni con un sorriso, in un'illusoria sensazione di libertà."

Una citazione interessante apre questo racconto: scritta da un anonimo pseudo latino in una lingua non-lingua in aperta polemica alla visione delle lingue antiche come artificiali, non vive. Il significato è un non senso che rende la citazione stessa lettera morta e che sottintende una ulteriore critica al vuoto culturale del sapere-non sapere, alle frasi citate a memoria senza conoscerne le origini e il significato, e quindi, per estensione, all'approssimazione culturale che si sta appropriando di spazi sempre più ampi, di fette sempre più grandi di popolazione, anche all'interno di una fascia sociale ad elevata scolarizzazione.

Protagonista dell'ultimo racconto "Il complotto" è, invece, l'idioma dell'Impero Mondiale, metafora di un imperialismo moderno che fa dell'unificazione linguistica uno strumento di potere. Facile comprendere di quale lingua si stia parlando. Una rivoluzione interna alla popolazione mondiale porterà ad un curioso risultato… Un'utopia anche questa, perché, a ben guardare, la cooperazione tra popoli, alla luce della moderna storia, pare assurda, anzi attualmente si sta accentuando sempre più una divisione, una scissione interna alla popolazione anche entro porzioni ristrette di territorio.

I vari racconti attraversano il mondo della scuola in anni molto lontani da ora, e pare difficile poter attuare un confronto per chi ormai è fuori da quel "cortile", eppure, tornare al proprio compagno di scuola, con cui si dividevano libri e paure, fa riemergere alla memoria lo spazio condiviso del banco e le relazioni, instaurate e/o perse, di quei lontani anni.
Massimo Acciai in "Compagno di scuola" ci racconta di Lucio, un Franti da libro Cuore, il cattivo ma non troppo, alla sua seconda bocciatura che si fa scivolare la scuola addosso attraverso continue assenze autogiustificate da un insospettato senso di humor: "Mancanza di voglia", "Colpo di stato", "Soggiorno ad Auschwitz", "Vincita alla roulette", "Che te frega" e così via. Lucio rappresenta la contestazione passiva di un sistema non accettato, ma anche la memoria di quelle amicizie condivise, a un tratto scomparse dalla scuola e dalla vita senza lasciare traccia.

Resta, invece, traccia indelebile in Emanuele il ricordo dell'esame di maturità che si palesa vivido davanti alla commissione esaminatrice del concorso per insegnante d'italiano, come nel colonnello Aureliano Buendía, in Cent'anni di solitudine riaffiora, di fronte al plotone di esecuzione, il pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Una metafora lampante questa citazione implicita del romanziere colombiano Gabriel Garcia Màrquez: ci si ritrova a giudizio e si viene valutati continuamente a scuola come nella vita.
Non siamo a Macondo, né in una città immaginaria, siamo a Firenze, ma ci muoviamo comunque all'interno di una solitudine, quella di chi ha scelto una strada sbagliata e non ha avuto il coraggio o la capacità di uscirne; Emanuele comprende una grande verità, ossia che la mente crea delle gabbie e di questo ci si rende conto solo nel momento in cui ne siamo fuori e vediamo la gabbia dall'esterno:

"Maggio intanto incedeva e s'intravedeva ormai la fine della scuola. La Fine. Non la semplice e dolce fine di un anno scolastico, ma la Fine di un intero periodo della vita. La Libertà."

Alla fine dell'anno scolastico e degli esami di maturità Emanuele alle 14.15 di un infuocato primo pomeriggio, andò a vedere quale numero gli avevano assegnato, e non ci è dato sapere il voto, il numero assegnatogli, perché questo, sembra volerci suggerire l'autore, non è importante. Può un numero, qualunque esso sia, valere cinque anni della propria libertà, cinque anni di estrema solitudine vissuti senza convinzione nell'accettazione passiva di regole e di nozioni che non si è riusciti a fare proprie?

Eppure Isaac Asimov, nel lontano 1951, scrivendo The Fun They Had aveva ipotizzato la scuola del 2155, molto vicina a quella verso la quale ci stiamo muovendo attualmente (pensiamo all'e-learning e alle università on line), in cui i bambini sono istruiti da un insegnante elettronico, non hanno scuole e neppure insegnanti umani. Una moderna solitudine, quella ipotizzata da Asimov, che si palesa nell'esclamazione finale di un nostalgico pensiero per la scuola del XX secolo: Chissà come si divertivano!

Valentina Meloni
Castiglione del Lago, 10 marzo 2015

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Titolo: A seconda di come volgo lo sguardo
Autore: Massimo Acciai e Matteo Nicodemo
Prefazione: Paolo Ragni
Postfazione: Ballecca
Casa editrice: PoetiKanten Edizioni
Collana: L'appello
Genere: poesia
ISBN: 9788899325084
Anno: 2015
Pagine: 74
Prezzo: 10 €

La silloge di Massimo Acciai e Matteo Nicodemo, scritta tutta rigorosamente a quattro mani, spesso via mail, si compone di due parti: “A seconda di come volgo lo sguardo” (che dà il titolo al libro) e “Frattaglie”. Entrambe le sezioni si compongono di 24 poesie, per un totale di 48. Ai versi “rivolti verso il cielo” (non in senso religioso) di Acciai si contrappongono quelli più “terreni” di Nicodemo, in un dialogo tra terra e cielo che prosegue per tutta la prima sezione. La seconda sezione raccoglie invece testi non a tema. Le prime poesie risalgono al 2008, le ultime al 2015: sette anni di lavoro paziente seguendo un progetto ambizioso

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Apologia del perduto
Massimo Acciai e Lorenzo Spurio
Arpeggio Libero, Lodi, 2014

Introduzione di Massimo Acciai

Caro lettore,
il libro che hai tra le mani raccoglie i racconti scritti finora in collaborazione da me e Lorenzo Spurio, con le sole eccezioni de "La settimana bianca" , "La casa al mare" e "La ricerca incompiuta" (quest'ultimo inedito).
Né io né Lorenzo siamo nuovi a collaborazioni artistiche; in precedenza ho scritto racconti a quattro mani con altri (tra cui lo scrittore laziale Andrea Mucciolo, fondatore del portale Galassiarte e dell'omonima casa editrice) mentre Lorenzo ha pubblicato una raccolta con la scrittrice e poetessa fiorentina Sandra Carresi dal titolo Ritorno ad Ancona e altre storie (Lettere Animate, 2012). Inoltre, io e Lorenzo abbiamo collaborato ad un altro libro, il saggio La metafora del giardino in letteratura (Faligi, 2011), quindi questo è il nostro secondo libro firmato insieme.
La tecnica di scrittura dei racconti è stata la stessa, l'unica possibile tra persone separate da una tale distanza geografica (io a Firenze, lui a Jesi o addirittura in Spagna): uno inviava un incipit all'altro, questi continuava la storia e rinviava il file e così via. Contrariamente ai nostri timori, gli stili si sono amalgamati bene (io e Lorenzo abbiamo stili abbastanza lontani quando scriviamo separatamente: più rapido il mio, più analitico e particolareggiato il suo), il che è piuttosto stupefacente per come la vedo io.
I sette racconti che compongono questa raccolta sono stati scritti tra il 2010 e il 2013: è stato Lorenzo il primo a proporre questa collaborazione artistica. Già ci conoscevamo da qualche tempo: eravamo entrati in contatto nel 2010 tramite la rivista letteraria online di cui sono direttore, Segreti di Pulcinella dove Lorenzo aveva appunto proposto qualche suo scritto. Solo a posteriori, rileggendo i nostri racconti, mi sono reso conto di una cosa curiosa, assolutamente non pianificata: tutti - anche quelli non inclusi in questa raccolta - trattano di persone emarginate, borderline, gente "con dei problemi".
"Appuntamento nella Capitale" narra di un incontro su un pullman diretto verso Roma, mentre "Il cantiere" fa della follia il suo tema fondante con chiari riferimenti allo scottante problema dei malati mentali all'indomani della legge Basaglia (del '78).
I più recenti in ordine di scrittura sono "La vicina rumena", "I cruciverba di Valérie" e "Vera". Il primo mette in scena due personaggi piuttosto singolari: una giovane badante sfortunata e un ragazzo con una personalità disturbata. È un racconto che rientra a pieno titolo nella letteratura erotica, ma è anche un'indagine nella psiche e nella ricerca di riscatto sociale che spinge molte ragazze dell'est Europa a cercare fortuna nel "ricco" Occidente.
"I cruciverba di Valérie" affronta il delicato tema della malattia e della morte, la Grande Smascheratrice, in giovane età, ma anche il tema dell'amore, quello romantico e fragile che può nascere tra le mura di un ospedale. Infine "Vera" parla di un argomento di attualità sul web: la truffa degli "scammer".
Completano la raccolta due ulteriori racconti, scritti stavolta separatamente: "Il cacciatore" e "Una casa fredda", rispettivamente mio e di Lorenzo. Il mio è un racconto provocatorio che certo dispiacerà agli animalisti: ma d'altronde la vera letteratura non mira a piacere a tutti ma a far riflettere anche su tematiche scomode, e comunque non bisogna confondere l'autore con i propri personaggi.
Quanto c'è d'autobiografico in queste storie? Molto, ma trasfigurato dalla fantasia dei due autori. Ogni riferimento a persone ed eventi reali è puramente casuale. Non mi resta a questo punto che augurarti buona lettura, caro lettore, e chissà che magari uno di questi personaggi non ti ricordi qualcuno che conosci…

Firenze, 8 febbraio 2014

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"La ballata delle sette pietre", di Antonio Messina
Copertina flessibile: 175 pagine
Editore: Ass. Culturale Il Foglio (31 marzo 2015)
Collana: I tascabili
ISBN-10: 8876065377
ISBN-13: 978-8876065378
Euro 10,00

Ramon è un uomo solo, vittima di una dolore misterioso, profondo come gli universi che attraversa. Universi sfuggenti bloccati in un tempo indefinito. Diversi sono i personaggi che gli ruotano attorno: entità reali o solo fantasmi prodotti dalla fantasia di una mente malata? Cosa gli è successo di tanto grave? Troppo tardi per tirarsi indietro: il vortice ha inghiottito anche noi lettori, che pensavamo d’aver capito.

In quali coordinate spazio-temporali si muove il protagonista? Percepiamo il suo dolore e quello dei personaggi che popolano la sua storia, ma senza riuscire a determinare davvero cosa stia succedendo. Il susseguirsi delle pagine non fa che alimentare questa nostra incertezza. C'è una verità più grande e profonda da scoprire. Così si rimane sospesi nel vuoto, in trepidante attesa, fino a che il segreto finalmente si svela, trascinando anche noi lettori nell’emozione e nel silenzio; presente, passato e futuro si allungano e si uniscono nel sogno, in una pragmatica danza dell’esistenza… e la settima pietra dunque disvela la verità, mettendo fine ai nostri turbamenti.

«…E allora penserò che niente ha avuto senso
A parte questo averti amata, amato in così poco tempo;
e che il mondo non vale un tuo sorriso, e nessuna canzone è più grande di un tuo giorno,
e si tenga il resto, me compreso, la viola d’inverno.»

(R. Vecchioni, La viola d’inverno)


Si può rinunciare ai sogni? Può un’esistenza privarsi di questa dimensione? E cosa comporta farlo? Credo sia questo il fondamentale enigma che si nasconde dietro La Ballata delle Sette Pietre: il tentativo di comprendere se sia possibile sacrificare il mondo della creatività, della speranza, del sogno, alla concretezza, alla esattezza di un mondo che preferisce le geometrie, l’assenza di indugi, di esitazioni.
C’è un uomo, il protagonista, che non riesce a riconoscersi in una vita priva di sogni: un imprecisato male attraversa il suo animo e lo divora, rendendolo sempre più straniero al contesto in cui vive, alle abitudini che dovrebbe condividere con gli altri personaggi. Il protagonista è vittima di un disagio, molto contemporaneo, di una solitudine consapevole, conseguenza ad uno straniamento che appare inevitabile ma, allo stesso tempo, quasi avvolgente nella certezza che tristemente lo anima: quella cioè di non poterlo superare, di non potersi privare della sofferenza che ne deriva perché quella sofferenza rappresenta una sorta di catarsi. La purificazione dal tormento del disagio, della perdita, sia essa di qualcuno appartenuto al passato o dell’energia presente per seguire il cammino, è una progressiva descensio ad inferos: nel cammino verso l’assunzione di consapevolezza avviene la purificazione, la liberazione dal legame con il corpo e con la sua prigionia.
Romanzo molto metaforico, ambientato in un ‘apparente’ futuro, che mantiene i tratti fantasy caratteristici della prosa di Antonio Messina ma, rispetto al genere, tratteggia personaggi con una psicologia definita, indagata, sfaccettata. Vale ancora la pena di difendere i sogni, di preservarsi dal considerare l’esistenza come una sorta di banale consuetudine? Davanti a questi interrogativi Messina delinea figure femminili affascinanti che trainano le fila della vicenda: forti, determinate e determinanti, quasi in aperta conflittualità con uomini tormentati, soli, vulnerabili.
Al centro, concettualmente e a rappresentare una sorta di crocevia, l’amore: perduto, desiderato, vissuto –soprattutto-, forse perfino sublimato, tanto da esserne divorati, perfino in absentia.
Ogni Pietra rappresenta un periodo temporale, una decina d’anni circa, e l’idea di Ballata altro non è se non l’astrazione della danza dell’esistenza: il valzer dei giorni, delle stagioni, in un luogo sconosciuto perché prospetticamente lontano, ma talmente ‘noto’ in ciò che racconta da sembrare attualissimo.
L’inverno del protagonista è la conseguenza della mancanza di passione: passione alla vita, alle sue ragioni, alla ricerca di nuovi stimoli, di un’evoluzione; e dove la passione si abbandona alla sofferenza si fa strada il ricordo, il passato, che uccide il presente e impedisce la primavera.
Quasi in sottofondo, come una musica appena accennata, come un bozzetto a matita, c’è una scelta difficile e inevitabile insieme: la soluzione, lo scioglimento, il Destino che si compie o, forse semplicemente, la presa di coraggio. Perché il coraggio somiglia ad un sacco colmo di oggetti che portiamo in luoghi diversi, sentendo di volerlo fare ma non sapendo mai bene cosa questo possa rappresentare da quel giorno in poi.
L’arte di Messina è questa: costringerti, con naturalezza, a prendere il tuo sacco e a percorrere un tratto di strada con la curiosità di scoprire quante cose ancora esso possa contenere e raccontarti.

Ilaria Dazzi

 
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