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In questo numero segnaliamo...
Titolo:
La nevicata e altri racconti
Autore: Massimo Acciai
Postfazione: Valentina Meloni
Casa editrice: PoetiKanten Edizioni
Collana: Narrativa - Orsa Maggiore
Genere: Racconti
ISBN: 9788899325039
Anno: 2015
Pagine: 142
Prezzo: 10 €
Il filo conduttore che unisce i cinque racconti
della presente raccolta è il mondo della scuola. Uno
sguardo inedito ai ricordi scolastici, sognando
un’altra istruzione che ancora non esiste e che
forse non esisterà mai. Ma sono anche memorie di
viaggio, piccole avventure vissute lontano da casa,
in altri luoghi, e il viaggio è soprattutto
metaforico, nei ricordi, nei sogni, nelle speranze.
Il primo lungo racconto, da cui prende il titolo la
raccolta, racconta di un viaggio in Calabria, in un
immaginario paesino assediato dalla neve, dove si
riuniscono personaggi legati in qualche modo al
mondo della scuola e della letteratura, riuniti per
celebrare la morte di un poeta: è lo spunto per una
confessione del protagonista, che esprime
liberamente le sue idee sulla pagina: quasi un
racconto-saggio. Il secondo testo, “Numeri”,
riprende il personaggio del primo e ne racconta
l’esame di maturità. Gli altri tre testi sono brevi
frammenti collegati in qualche modo ai primi due
racconti. Si tratta di una rara incursione nella
narrativa non-fantastica da parte di un autore che
ha abituato il suo pubblico ad una narrativa che si
muove tra la fantascienza, il fantasy e l’horror.
"Il mondo era così recente, che molte cose erano
prive di nome,
e per citarle bisognava indicarle col dito".
(Cent'anni di solitudine, Gabriel Garcia Màrquez,
1967)
Emanuele, protagonista di due dei cinque racconti di
questa raccolta che Massimo Acciai mi ha invitato a
leggere, è la voce narrante da cui prende vita la
narrazione; personaggio di ispirazione
autobiografica caratterizzato dall'autore fiorentino
attraverso la lente dell'introspezione in
rapidissimi tratti:
"Emanuele odiava la scuola. L'aveva sempre odiata,
fin dal primo giorno alle elementari. L'aveva poi
detestata alle medie, l'aveva maledetta alle
superiori e perfino l'università aveva aborrito pur
frequentandola e riuscendo a laurearsi in lettere
entro i termini stabiliti. Era sempre stato uno
studente mediocre, attento a non essere bocciato o
rimandato in nessuna materia solo per non prolungare
ulteriormente quel tormento. Faceva solo quanto era
sufficiente, e non di più. Mirare ad un voto
superiore al sei lo riteneva una sciocca perdita di
tempo. Le materie non lo interessavano, ciò che lo
interessava lo trovava tutto al di fuori della
scuola, nelle sue letture private. Aveva
attraversato gli anni di scuola come chi passa, un
giorno di pioggia, per una strada che conosce bene,
con gli occhi bassi, nascosti nell'ombra e il cuore
rivolto ad un giorno lontano: quello della libertà."
Cinque racconti i cui fili si snodano attraverso i
temi fondanti della critica e dell'utopia:
protagonista una generazione lontana temporalmente
da quella attuale ma non troppo lontana dalle
tematiche trattate; attuali e importanti, invece, le
riflessioni che possono scaturire da questa lettura,
nell'ottica di costruzione di un sistema critico che
sappia passare al vaglio il presente in un
confronto, aperto e diretto, con passato e futuro.
La critica coinvolge in primissima battuta il
sistema scolastico ancorato a rigidi programmi
ministeriali, alla sistematicità degli insegnamenti,
alla logica dei numeri intesa come qualifica
all'apprendimento, alla vita, attraverso il voto: un
giudizio "sommario" che può pregiudicare o avviare
la messa in moto del proprio cammino.
Nella Nevicata e nei Numeri si esaminano, attraverso
il prototipo del ragazzo come tanti, questi e altri
temi. Il pretesto narrativo che costruisce il
dialogo a più voci è la cronaca di un viaggio al sud
durante una straordinaria nevicata, viaggio in cui
si delinea ulteriormente il carattere di Emanuele:
un ragazzo che a cospetto del cosmo si sente
piccolissimo, insignificante, solo una particella di
quel buio che compone la vera essenza del Tutto. Un
ragazzo che non crede in dio, non crede in nulla, ma
certe domande se le pone talvolta tenendo bene in
mente l'immagine di "The Wall" in cui file di
studenti s'incamminano verso un gigantesco
tritacarne al ritmo di "We don't need no education,
We don't need no thought control" dei Pink Floyd.
Una critica al "maestro imposto" che rivendica, in
un estremismo esasperato e manicheo, il diritto a
essere ignoranti, il diritto a un'educazione
emancipata dalle imposizioni in cui è lo studente
stesso a scegliere di imparare entro un sistema
libero così strutturato: niente esami, niente
classi, niente compiti, niente voti e nessun
programma ministeriale. Solo un maestro e un
allievo, in assoluta parità, che insegnano l'uno
all'altro, a turno, ciò che sanno.
Attraverso Emanuele, Massimo Acciai delinea la sua
utopia, che non si rifà ad un modello culturale
arcaico, come quello, per esempio, della Grecia
antica basato sul rapporto diretto tra
maestro-discepolo, anche se si possono apprezzare
alcune analogie; ad esempio questo approccio non
prevedeva di dover preparare i giovani per un
mestiere ed essendo, soprattutto, di tipo morale non
aveva bisogno di strutture scolastiche, ma si poteva
sviluppare all'interno di un quotidiano tipo di vita
(nel caso della Grecia: sportivo, mondano, guerriero
ecc..).
Non si rifà neppure, o solo in parte, al modello di
Don Milani, ancora troppo avanti con i tempi,
sebbene siano passati quattro decenni dalla sua
morte, modello in cui studenti e maestri possono sì,
imparare vicendevolmente, ma senza quell'anelito
alla libertà che lo studente sembra ricercare con
fermezza: lo stesso prete di Barbiana, infatti,
"imponeva" i suoi ritmi e le sue materie, la sua
autorità, ai bambini e ragazzi che istruiva nel suo
paesello sperduto del Mugello.
L'utopia di Emanuele, tuttavia, non traspare mai con
troppa convinzione, perché egli stesso durante il
dibattito a tavola su questo medesimo tema, si
trattiene dal parlare e dall'enunciare le sue idee
per una sorta di rassegnazione allo stato delle cose
o per incapacità di opporsi a un cambiamento a cui
le coscienze non sono ancora evidentemente
preparate.
Non è neppure paragonabile a quella che Silvano
Agosti delinea in "Lettere dalla Kirghisia", mondo
onirico in cui prende vita una società basata
sull'amore e la cooperazione tra gli esseri umani,
nell'assoluto rifiuto di qualunque tipo di
conflitto. Una società entro la quale gli insegnanti
sono persone comuni e la scuola è un luogo a cielo
aperto, dove gli strumenti sono a disposizione di
tutti e i bambini stessi diventano insegnanti di
adulti, di anziani, in uno scambio consapevole e
reciproco di sapere e di risorse. Cosa, questa, che
sta già avvenendo per quanto riguarda, ad esempio, i
nativi digitali i quali, interagendo con le
generazioni precedenti alla loro, sono a tutti gli
effetti dei moderni "insegnanti" (quando hanno
pazienza); viceversa gli stessi cercano un dialogo
con i genitori e con le persone al di fuori della
scuola che è pressoché inesistente. Alla base dell'
utopia agostiniana sta l'amore, tema toccato solo di
sfuggita da Emanuele, ancora acerbo nella sua
consapevolezza di vita, ancorata rigidamente a degli
ideali mai davvero messi in atto, ideali che si
azzarda appena a delineare nel pensiero, nelle
letture da autodidatta, ma che non gli consentono di
opporsi al sistema vigente. Egli non è infatti un
combattente, è un ragazzo come tanti i cui desideri
si spengono entro le bollicine di un bicchiere:
Sogno di scrivere d'estate su una veranda, accanto
ad una bottiglia di Coca Cola e la quiete della
sera. - Precisò - Magari un buon romanzo di
fantascienza.
Emanuele tratteggia l'utopia di un mondo "perfetto",
e quindi assolutamente inattuabile, in cui vigono
quattro regole che egli appunta sul suo taccuino:
1. Nessuno muore contro la sua volontà e la morte,
quando c'è, è reversibile.
2. Ognuno si innamora soltanto di chi lo ricambia o
non si innamora affatto.
3. Nessuno si ammala contro la sua volontà.
4. Ognuno è felice con ciò che possiede.
Il ragazzo come tanti, tuttavia, non sembra essere
felice con ciò che possiede, non ha mai fatto
qualcosa che non veda l'ora di riprendere, odia la
scuola ma non ha mai provato amore neanche per i
successivi lavori che ha trovato, tutti
inesorabilmente precari, con cui è impossibile fare
progetti o costruire un futuro. I suoi amici, che si
trovano in situazioni più o meno drammatiche
rispetto alla sua, sembrano comunque riuscire ad
andare avanti, al contrario di lui che si scopre a
vivere in un limbo in cui i mesi e gli anni passano
inesorabili… Una vita da domenica pomeriggio.
Una critica alla scuola che diventa critica alla
società, un confronto inscindibile che ci catapulta
dagli anni novanta fino a noi. Cosa è cambiato? Come
è cambiata la vita del ragazzo come tanti nel nuovo
millennio?
Esiste ancora questo grande anelito alla libertà che
Emanuele, che io, che tutti noi studenti della
passata generazione possedevamo? Una risposta a
questa necessità sembra esserci stata data dalle
scuole steineriane (le quali, tuttavia, non sembrano
discostarsi molto dal metodo Montessori) che educano
alla libertà e all' educazione permanente, la quale
non finisce entro le pareti della scuola ma continua
per tutta la vita, scoprendo il piacere di imparare.
In questa ottica il bambino non è considerato un
substrato passivo sul quale imprimere nozioni, ma un
essere ricco di potenziali latenti (talora di grande
valore per l'umanità) da risvegliare attraverso un
metodo privo di condizionamenti e distorsioni, quei
condizionamenti contro i quali Emanuele si scaglia
con determinazione.
Come si può facilmente intuire i temi importanti
sollevati da questi racconti sono quelli della
libertà e dell'uguaglianza, la necessità di ideare e
realizzare un sistema di valori che non intrappoli
le giovani menti entro le mura di un cortile; reale
o metaforico, questo ha poca importanza, si tratta
comunque di un recinto che impedisce la scoperta del
mondo e la propria crescita. Eppure il protagonista
dell'ultimo racconto "Il cortile" sa che la libertà
è una conquista per cui lottare giornalmente ma ci
lascia anche intendere che, probabilmente, è una
conquista illusoria, una sorta di caleidoscopio
attraverso cui osservare il mondo:
"Il mio pensiero scavalca il muro e percorre il
mondo esterno. Penso a quando sarò anch'io
dall'altra parte e mi troverò magari a passare, per
caso, davanti a questo muro - ma sull'altro lato - e
davanti al portone pesante di questo edificio. Forse
allora penserò a questi anni con un sorriso, in
un'illusoria sensazione di libertà."
Una citazione interessante apre questo racconto:
scritta da un anonimo pseudo latino in una lingua
non-lingua in aperta polemica alla visione delle
lingue antiche come artificiali, non vive. Il
significato è un non senso che rende la citazione
stessa lettera morta e che sottintende una ulteriore
critica al vuoto culturale del sapere-non sapere,
alle frasi citate a memoria senza conoscerne le
origini e il significato, e quindi, per estensione,
all'approssimazione culturale che si sta
appropriando di spazi sempre più ampi, di fette
sempre più grandi di popolazione, anche all'interno
di una fascia sociale ad elevata scolarizzazione.
Protagonista dell'ultimo racconto "Il complotto" è,
invece, l'idioma dell'Impero Mondiale, metafora di
un imperialismo moderno che fa dell'unificazione
linguistica uno strumento di potere. Facile
comprendere di quale lingua si stia parlando. Una
rivoluzione interna alla popolazione mondiale
porterà ad un curioso risultato… Un'utopia anche
questa, perché, a ben guardare, la cooperazione tra
popoli, alla luce della moderna storia, pare
assurda, anzi attualmente si sta accentuando sempre
più una divisione, una scissione interna alla
popolazione anche entro porzioni ristrette di
territorio.
I vari racconti attraversano il mondo della scuola
in anni molto lontani da ora, e pare difficile poter
attuare un confronto per chi ormai è fuori da quel
"cortile", eppure, tornare al proprio compagno di
scuola, con cui si dividevano libri e paure, fa
riemergere alla memoria lo spazio condiviso del
banco e le relazioni, instaurate e/o perse, di quei
lontani anni.
Massimo Acciai in "Compagno di scuola" ci racconta
di Lucio, un Franti da libro Cuore, il cattivo ma
non troppo, alla sua seconda bocciatura che si fa
scivolare la scuola addosso attraverso continue
assenze autogiustificate da un insospettato senso di
humor: "Mancanza di voglia", "Colpo di stato",
"Soggiorno ad Auschwitz", "Vincita alla roulette",
"Che te frega" e così via. Lucio rappresenta la
contestazione passiva di un sistema non accettato,
ma anche la memoria di quelle amicizie condivise, a
un tratto scomparse dalla scuola e dalla vita senza
lasciare traccia.
Resta, invece, traccia indelebile in Emanuele il
ricordo dell'esame di maturità che si palesa vivido
davanti alla commissione esaminatrice del concorso
per insegnante d'italiano, come nel colonnello
Aureliano Buendía, in Cent'anni di solitudine
riaffiora, di fronte al plotone di esecuzione, il
pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a
conoscere il ghiaccio. Una metafora lampante questa
citazione implicita del romanziere colombiano
Gabriel Garcia Màrquez: ci si ritrova a giudizio e
si viene valutati continuamente a scuola come nella
vita.
Non siamo a Macondo, né in una città immaginaria,
siamo a Firenze, ma ci muoviamo comunque all'interno
di una solitudine, quella di chi ha scelto una
strada sbagliata e non ha avuto il coraggio o la
capacità di uscirne; Emanuele comprende una grande
verità, ossia che la mente crea delle gabbie e di
questo ci si rende conto solo nel momento in cui ne
siamo fuori e vediamo la gabbia dall'esterno:
"Maggio intanto incedeva e s'intravedeva ormai la
fine della scuola. La Fine. Non la semplice e dolce
fine di un anno scolastico, ma la Fine di un intero
periodo della vita. La Libertà."
Alla fine dell'anno scolastico e degli esami di
maturità Emanuele alle 14.15 di un infuocato primo
pomeriggio, andò a vedere quale numero gli avevano
assegnato, e non ci è dato sapere il voto, il numero
assegnatogli, perché questo, sembra volerci
suggerire l'autore, non è importante. Può un numero,
qualunque esso sia, valere cinque anni della propria
libertà, cinque anni di estrema solitudine vissuti
senza convinzione nell'accettazione passiva di
regole e di nozioni che non si è riusciti a fare
proprie?
Eppure Isaac Asimov, nel lontano 1951, scrivendo The
Fun They Had aveva ipotizzato la scuola del 2155,
molto vicina a quella verso la quale ci stiamo
muovendo attualmente (pensiamo all'e-learning e alle
università on line), in cui i bambini sono istruiti
da un insegnante elettronico, non hanno scuole e
neppure insegnanti umani. Una moderna solitudine,
quella ipotizzata da Asimov, che si palesa
nell'esclamazione finale di un nostalgico pensiero
per la scuola del XX secolo: Chissà come si
divertivano!
Valentina Meloni
Castiglione del Lago, 10 marzo 2015
* * *
Titolo:
A seconda di come volgo lo sguardo
Autore: Massimo Acciai e Matteo Nicodemo
Prefazione: Paolo Ragni
Postfazione: Ballecca
Casa editrice: PoetiKanten Edizioni
Collana: L'appello
Genere: poesia
ISBN: 9788899325084
Anno: 2015
Pagine: 74
Prezzo: 10 €
La silloge di Massimo Acciai e Matteo Nicodemo,
scritta tutta rigorosamente a quattro mani, spesso
via mail, si compone di due parti: “A seconda di
come volgo lo sguardo” (che dà il titolo al libro) e
“Frattaglie”. Entrambe le sezioni si compongono di
24 poesie, per un totale di 48. Ai versi “rivolti
verso il cielo” (non in senso religioso) di Acciai
si contrappongono quelli più “terreni” di Nicodemo,
in un dialogo tra terra e cielo che prosegue per
tutta la prima sezione. La seconda sezione raccoglie
invece testi non a tema. Le prime poesie risalgono
al 2008, le ultime al 2015: sette anni di lavoro
paziente seguendo un progetto ambizioso
* * *
Apologia del perduto
Massimo Acciai e Lorenzo Spurio
Arpeggio Libero, Lodi, 2014
Introduzione di Massimo Acciai
Caro
lettore,
il libro che hai tra le mani raccoglie i racconti
scritti finora in collaborazione da me e Lorenzo
Spurio, con le sole eccezioni de "La settimana
bianca" , "La casa al mare" e "La ricerca
incompiuta" (quest'ultimo inedito).
Né io né Lorenzo siamo nuovi a collaborazioni
artistiche; in precedenza ho scritto racconti a
quattro mani con altri (tra cui lo scrittore laziale
Andrea Mucciolo, fondatore del portale Galassiarte e
dell'omonima casa editrice) mentre Lorenzo ha
pubblicato una raccolta con la scrittrice e poetessa
fiorentina Sandra Carresi dal titolo Ritorno ad
Ancona e altre storie (Lettere Animate, 2012).
Inoltre, io e Lorenzo abbiamo collaborato ad un
altro libro, il saggio La metafora del giardino in
letteratura (Faligi, 2011), quindi questo è il
nostro secondo libro firmato insieme.
La tecnica di scrittura dei racconti è stata la
stessa, l'unica possibile tra persone separate da
una tale distanza geografica (io a Firenze, lui a
Jesi o addirittura in Spagna): uno inviava un
incipit all'altro, questi continuava la storia e
rinviava il file e così via. Contrariamente ai
nostri timori, gli stili si sono amalgamati bene (io
e Lorenzo abbiamo stili abbastanza lontani quando
scriviamo separatamente: più rapido il mio, più
analitico e particolareggiato il suo), il che è
piuttosto stupefacente per come la vedo io.
I sette racconti che compongono questa raccolta sono
stati scritti tra il 2010 e il 2013: è stato Lorenzo
il primo a proporre questa collaborazione artistica.
Già ci conoscevamo da qualche tempo: eravamo entrati
in contatto nel 2010 tramite la rivista letteraria
online di cui sono direttore, Segreti di Pulcinella
dove Lorenzo aveva appunto proposto qualche suo
scritto. Solo a posteriori, rileggendo i nostri
racconti, mi sono reso conto di una cosa curiosa,
assolutamente non pianificata: tutti - anche quelli
non inclusi in questa raccolta - trattano di persone
emarginate, borderline, gente "con dei problemi".
"Appuntamento nella Capitale" narra di un incontro
su un pullman diretto verso Roma, mentre "Il
cantiere" fa della follia il suo tema fondante con
chiari riferimenti allo scottante problema dei
malati mentali all'indomani della legge Basaglia
(del '78).
I più recenti in ordine di scrittura sono "La vicina
rumena", "I cruciverba di Valérie" e "Vera". Il
primo mette in scena due personaggi piuttosto
singolari: una giovane badante sfortunata e un
ragazzo con una personalità disturbata. È un
racconto che rientra a pieno titolo nella
letteratura erotica, ma è anche un'indagine nella
psiche e nella ricerca di riscatto sociale che
spinge molte ragazze dell'est Europa a cercare
fortuna nel "ricco" Occidente.
"I cruciverba di Valérie" affronta il delicato tema
della malattia e della morte, la Grande
Smascheratrice, in giovane età, ma anche il tema
dell'amore, quello romantico e fragile che può
nascere tra le mura di un ospedale. Infine "Vera"
parla di un argomento di attualità sul web: la
truffa degli "scammer".
Completano la raccolta due ulteriori racconti,
scritti stavolta separatamente: "Il cacciatore" e
"Una casa fredda", rispettivamente mio e di Lorenzo.
Il mio è un racconto provocatorio che certo
dispiacerà agli animalisti: ma d'altronde la vera
letteratura non mira a piacere a tutti ma a far
riflettere anche su tematiche scomode, e comunque
non bisogna confondere l'autore con i propri
personaggi.
Quanto c'è d'autobiografico in queste storie? Molto,
ma trasfigurato dalla fantasia dei due autori. Ogni
riferimento a persone ed eventi reali è puramente
casuale. Non mi resta a questo punto che augurarti
buona lettura, caro lettore, e chissà che magari uno
di questi personaggi non ti ricordi qualcuno che
conosci…
Firenze, 8 febbraio 2014
* * *
"La
ballata delle sette pietre", di Antonio Messina
Copertina flessibile: 175 pagine
Editore: Ass. Culturale Il Foglio (31 marzo 2015)
Collana: I tascabili
ISBN-10: 8876065377
ISBN-13: 978-8876065378
Euro 10,00
Ramon è un uomo solo, vittima di una dolore
misterioso, profondo come gli universi che
attraversa. Universi sfuggenti bloccati in un tempo
indefinito. Diversi sono i personaggi che gli
ruotano attorno: entità reali o solo fantasmi
prodotti dalla fantasia di una mente malata? Cosa
gli è successo di tanto grave? Troppo tardi per
tirarsi indietro: il vortice ha inghiottito anche
noi lettori, che pensavamo d’aver capito.
In quali coordinate spazio-temporali si muove il
protagonista? Percepiamo il suo dolore e quello dei
personaggi che popolano la sua storia, ma senza
riuscire a determinare davvero cosa stia succedendo.
Il susseguirsi delle pagine non fa che alimentare
questa nostra incertezza. C'è una verità più grande
e profonda da scoprire. Così si rimane sospesi nel
vuoto, in trepidante attesa, fino a che il segreto
finalmente si svela, trascinando anche noi lettori
nell’emozione e nel silenzio; presente, passato e
futuro si allungano e si uniscono nel sogno, in una
pragmatica danza dell’esistenza… e la settima pietra
dunque disvela la verità, mettendo fine ai nostri
turbamenti.
«…E allora penserò che niente ha avuto senso
A parte questo averti amata, amato in così poco
tempo;
e che il mondo non vale un tuo sorriso, e nessuna
canzone è più grande di un tuo giorno,
e si tenga il resto, me compreso, la viola
d’inverno.»
(R. Vecchioni, La viola d’inverno)
Si può rinunciare ai sogni? Può un’esistenza
privarsi di questa dimensione? E cosa comporta
farlo? Credo sia questo il fondamentale enigma che
si nasconde dietro La Ballata delle Sette Pietre: il
tentativo di comprendere se sia possibile
sacrificare il mondo della creatività, della
speranza, del sogno, alla concretezza, alla
esattezza di un mondo che preferisce le geometrie,
l’assenza di indugi, di esitazioni.
C’è un uomo, il protagonista, che non riesce a
riconoscersi in una vita priva di sogni: un
imprecisato male attraversa il suo animo e lo
divora, rendendolo sempre più straniero al contesto
in cui vive, alle abitudini che dovrebbe condividere
con gli altri personaggi. Il protagonista è vittima
di un disagio, molto contemporaneo, di una
solitudine consapevole, conseguenza ad uno
straniamento che appare inevitabile ma, allo stesso
tempo, quasi avvolgente nella certezza che
tristemente lo anima: quella cioè di non poterlo
superare, di non potersi privare della sofferenza
che ne deriva perché quella sofferenza rappresenta
una sorta di catarsi. La purificazione dal tormento
del disagio, della perdita, sia essa di qualcuno
appartenuto al passato o dell’energia presente per
seguire il cammino, è una progressiva descensio ad
inferos: nel cammino verso l’assunzione di
consapevolezza avviene la purificazione, la
liberazione dal legame con il corpo e con la sua
prigionia.
Romanzo molto metaforico, ambientato in un
‘apparente’ futuro, che mantiene i tratti fantasy
caratteristici della prosa di Antonio Messina ma,
rispetto al genere, tratteggia personaggi con una
psicologia definita, indagata, sfaccettata. Vale
ancora la pena di difendere i sogni, di preservarsi
dal considerare l’esistenza come una sorta di banale
consuetudine? Davanti a questi interrogativi Messina
delinea figure femminili affascinanti che trainano
le fila della vicenda: forti, determinate e
determinanti, quasi in aperta conflittualità con
uomini tormentati, soli, vulnerabili.
Al centro, concettualmente e a rappresentare una
sorta di crocevia, l’amore: perduto, desiderato,
vissuto –soprattutto-, forse perfino sublimato,
tanto da esserne divorati, perfino in absentia.
Ogni Pietra rappresenta un periodo temporale, una
decina d’anni circa, e l’idea di Ballata altro non è
se non l’astrazione della danza dell’esistenza: il
valzer dei giorni, delle stagioni, in un luogo
sconosciuto perché prospetticamente lontano, ma
talmente ‘noto’ in ciò che racconta da sembrare
attualissimo.
L’inverno del protagonista è la conseguenza della
mancanza di passione: passione alla vita, alle sue
ragioni, alla ricerca di nuovi stimoli, di
un’evoluzione; e dove la passione si abbandona alla
sofferenza si fa strada il ricordo, il passato, che
uccide il presente e impedisce la primavera.
Quasi in sottofondo, come una musica appena
accennata, come un bozzetto a matita, c’è una scelta
difficile e inevitabile insieme: la soluzione, lo
scioglimento, il Destino che si compie o, forse
semplicemente, la presa di coraggio. Perché il
coraggio somiglia ad un sacco colmo di oggetti che
portiamo in luoghi diversi, sentendo di volerlo fare
ma non sapendo mai bene cosa questo possa
rappresentare da quel giorno in poi.
L’arte di Messina è questa: costringerti, con
naturalezza, a prendere il tuo sacco e a percorrere
un tratto di strada con la curiosità di scoprire
quante cose ancora esso possa contenere e
raccontarti.
Ilaria Dazzi
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