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Lettera dall'assedio
Ivan Pozzoni
Anche se subisci rovesci
che sembrano intollerabili,
o se vivi difficoltà che sembrano invincibili
non smettere di lottare!
Benché ti senta schiacciato a terra
senza coraggio di rialzarti,
anche se sei sensibile od insicuro,
e se questa sensibilità e queste insicurezze
sono viste da chi ami come una debolezza senza
riscatto
non smettere di lottare!
Prendi cento bastonate,
insabbia nel cuore risate e moine di chi ha tutto,
non nascondere la faccia alle sberle di chi ti
rifiuta,
a chi ti considera con indifferenza.
La tua vita, sfortunata, vivila fino in fondo.
Perché se vivrai questa vita di merda fino in fondo,
andando a fondo, mille altre vite di merda
troveranno la forza di non arrendersi e
di continuare a vivere.
Non smettere di cercare, anche se
niente mai ti troverà.
Tic tac tic
Ivan Pozzoni
Tu, a correre, incerta,
nella sera, rumore della tua angoscia,
tic tac tic,
dietro i frantumi della mia schiena,
tic tac tic,
come correvi, tuo batticuore, mio batticuore.
Lontana, di cuore,
scostata, come cucciolo di cane maltrattato,
hai urlato, con titubanza, di fianco alla mia
freddezza
da cinico scadente, "Sei uno scemo!",
senza rimestare nelle sabbie mobili del mio dolore,
senza tenermi in mano come asso di cuori bastardi;
e, io, non voltandomi indietro,
continuando a camminare
continuando a disertare,
t'ho cantato, ruvida nenia d'addio, come noi,
baciati dalla malasorte, siamo soliti cantare alla
vita:
"Vaffanculo!".
Ma stanotte, mano sul cuore,
idee tirate in aria da un elastico,
continuo a sentire
tic tac tic, tic tac tic.
La fuga di Mitridate
Ivan Pozzoni
Questi momenti oscuri da instabile mondo terziario
ci inducono ad una sottile costante
mitridatizzazione,
versandoci in versatori versatili di veleni metrici
nelle arterie d'una società tossicomane,
in crisi d'astensione.
Fondo un mondo dove rari eroi eroinomani,
ed eroine, inoculino, alternando, dosi d'antidoto e
dosi di veleno
nelle loro stanche vene artistiche,
assicurando esiti incerti ai tests
d'immunodeficenza,
battendo soglie di tolleranza.
Mitridate, assuefatto a Roma,
indossò un'armatura di scaglie di vento,
e non fuggì.
Chat Noir
Ivan Pozzoni
Son tornato,
tornato dal tunnel che m'aveva ingoiato,
riducendomi a bonhomme, a ribelle sfollato,
latin lover in mezze maniche trite a turni da
impiegato.
Son tornato
messomi a scrivere,
adrenalinica mina intinta nell'arsenico,
decretum dissennato di diritto canonico,
mi sono liberato
librandomi dalle fauci
dell'accademico, e
del logistico.
Senza vergogna
d'avere rotto i denti ad Ares in una rissa,
d'aver rubato il cuore a una ragazza russa,
ricevo sms dalla mia amica Rotowàsh
facendo foto al fidanzato senza flash,
membro dei Viking's (riuscendoci senz'elmo),
incontro Hunziker
diffamo Ratzinger
m'invento Mazinger
avvelenando ogni mia dieta cenando ad hamburger,
mi fingo rapper finito in corner
insoddisfatto d'essere studioso in bunker.
Sono tornato
dal carcere dorato del sentirmi buon soldato
d'ostilità latenti in conflitti differenti
tanto edulcorati da far cariare i denti,
in cerca di una zuffa da miraggio randagio,
in arra della forza emanante dal disagio.
Son tornato
battendo ogni viale
al suono del conato dell'avvinazzato,
astinenza da drogato,
intingendo nel cesso le mie doti d'avvocato,
mi sento un San Bitter
da seminario in odor di diaconato.
Come un agente tossico
faccio il cacico nell'harem dell'amico,
rubando la fiducia a ogni bonifico,
di Croce me ne sbatto ho testa da coatto,
e mi rifiuto di non maltrattare il gatto,
scrivendo ti desidero,
fanciulla, senza pepli,
lasciandomi l'opzione
d'invii multipli sul cellulare
senza annegare,
né soffrire, se mi mandano a cagare.
Sono tornato,
braccio forte da sicario
e verso di bicarbonato,
ingordo d'inventare farmaci
adatti a svuotare i vostri stomaci.
Tomba d'ignoto
Ivan Pozzoni
Cadavere n.2,
l'ombra dell'onda riflessa nella mia retina destra,
mani serrate ad afferrar sabbie mediterranee
indossate sotto bermuda rossi da surf.
Cadavere n. 7,
tentativi di urla smorzati alla bocca dello stomaco
cartine da hashish di Marrakech nelle mie tasche,
scarsi, i dirham, seminati tra borsello e calzoni,
mi condussero in bocca all'abisso.
Cadavere n. 12,
"Eloì, Eloì, lemà sabactàni",
non ricordo chi l'urlava a chi
non essendo scritto nel Corano:
anch'io sono morto invocandolo invano.
Cadavere n. 18,
ritirata sulle strade tra le dune di Misurata,
in slalom assetato tra missili amici e nemici,
e morire d'acqua.
Cadavere n. 20,
benché i nomadi, come me, ondeggino
sulle navi del deserto, fluidità detonate,
mai s'abitueranno ad annegare.
Ogni tomba d'ignoto migrante
sussurra che è duro abbracciare
una morte che viene dal mare.
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