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Fiere

Segreti di Pulcinella alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna...
di Franco Ferracani

Narrativa

Macchine pensanti... di Massimo Acciai
Il reflusso gastrico... di Davide Riccio
Voglio essere una nuvola... di Andrea Masi
L’uomo e il tramonto... di Francesco Felici

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Maria Chiara ,
Davide Riccio, Marco Saya

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici, in una lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie in lingua pisana,
napoletana
, ungherese, tedesca

Recensioni

Questo nostro incontro è dedicato a tre brevi brani di Massimo Acciai. Ne siamo lieti, perché è bello ed interessante poter viaggiare non solo attraverso i versi di una poesia, ma anche dentro le suggestioni nate dalla prosa.
di Monia Balsamello

 

SDP numero 5

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Macchine pensanti

di Massimo Acciai


Mi irritava quando faceva il misterioso, perciò gli chiesi bruscamente cosa diavolo stavamo cercando.

- Una macchina pensante – rispose nella Lingua Universale, voltandosi improvvisamente verso di me – Un androide che si spaccia per un uomo.

La risposta mi fece sorgere altre mille domande. Era la prima volta che mi trovavo ad affrontare un caso del genere, sebbene pare non sia un caso raro su questo assurdo pianeta ad alta tecnologia. Ero stato trasferito al comando di polizia di Migoban solo da pochi giorni e non mi ero mai trovato prima di allora in una situazione del genere; non mi aspettavo niente di più straordinario di appioppare qualche multa per sosta vietata o eccesso di velocità. La faccenda mi appariva d’un tratto eccitante e misteriosa.

- Una macchina pensante – mi ripetei, poi, rivolgendomi al mio collega – non dovrebbe essere difficile individuarla con le nostre strumentazioni…

- Ti sbagli – ribatté con un certo divertimento – qui su Migoban le macchine non si smascherano con altre macchine. Le macchine pensanti riescono, in qualche modo che ancora non comprendiamo, a controllare le macchine più semplici; sono loro “complici” se così si può dire. Gli strumenti che conosci non ci serviranno.

Ero stupito. Certo, avevo sentito parlare di macchine pensanti del tutto simili ad uomini in carne ed ossa, persino sanguinanti se si ferivano; carne viva fusa con uno scheletro metallico di acciaio e complicati microchip nel cranio di argento e titanio. Le avevo viste, in immagini olografiche, queste stupende e terribili imitazioni umane, capaci di parlare con estrema naturalezza ed esprimere in modo eccellente la loro avanzatissima intelligenza artificiale, e ne ero rimasto profondamente colpito, ma bastava un semplice metal detector o al limite una radiografia per distruggere l’illusione di aver a che fare con persone vive.

- Le nostre macchine pensanti – mi spiegò il mio collega – sono arrivate ad un grado evolutivo tale che possono ordinare, senza aprire bocca, ad un metal detector di star zitto o ad una macchina per le radiografie di creare un’immagine falsata. Colpa nostra che le abbiamo fatte così perfette, e adesso ne paghiamo le conseguenze.

Non mi piaceva la piega che stava prendendo il discorso. Se non potevamo distinguere le macchine dai pacifici abitanti umani di Migoban, come diavolo ce la saremo cavata?

Il mio compagno sembrò leggermi nel pensiero

- Non preoccuparti, si tradirà – disse col tono esperto di chi ha trascorso dieci anni in servizio sul pianeta più tecnologico della Galassia – si tradiscono sempre.

Era assolutamente tranquillo e misterioso; ciò anziché tranquillizzarmi mi faceva imbestialire. Sì, non lo sopportavo proprio quando faceva il misterioso.

Il pomeriggio era soleggiato e piacevole, senza nuvole. L’astroporto era gremito di gente come di consueto; persone che arrivavano su grandi astronavi, cariche di speranza verso un nuovo pianeta su cui ricominciare una vita, e persone che ripartivano verso altre mete, delusi forse da un mondo che avevano trovato ben diverso dalla pubblicità. Molti turisti, bagagli, bambini eccitati, gente che veniva a salutare amici e parenti, qualcuno era lì solo per vedere le astronavi in partenza, sognando di poter partire un giorno anche lui.

Molta gente tra cui nascondersi.

Scrutavo la folla con occhio attento. Un uomo anziano venne verso di noi con passo affrettato e sguardo nervoso. Istintivamente portai una mano alla pistola neuralizzante; il mio compagno mi fece segno di stare calmo, che non c’era pericolo. L’uomo ci chiese, nella lingua locale di Migoban, dove poteva trovare il volo per Alpha Centauri, quindi ci augurò buon lavoro e si affrettò verso l’astronave che stava per perdere.

- Sei sicuro che non fosse la macchina che stiamo cercando? – domandai disorientato.

- Sicuro, era umano. Vedrai che passerà di qua e si tradirà, si tradiscono sempre.

- Come fai ad esserne così sicuro?

Prima che potesse rispondermi, gli suonò il cellulare e dovette rispondere, lasciandomi con le mie domande. Come riconoscere una macchina pensante, esteriormente simile ad un uomo, senza l’aiuto della tecnologia? Non avevo mai visto di persona macchine pensanti prima di allora; mi aspettavo però che ci fosse qualcosa di “meccanico” nel loro agire, una certa fredda precisione, un volto legnoso in cui solo la bocca si muove un po’ mentre parla… questo mi immaginavo. Un altro uomo venne poco dopo verso di noi, con passo calmo e sguardo spento, privo di quel naturale nervosismo che di solito procurano – seppure involontariamente – le nostre uniformi di polizia e le nostre armi. Strano, molto strano. Ancora una volta portai d’istinto la mano al cinturone, ma il mio compagno mi fermò di nuovo.

- E’ questo il volo per Altair? – domandò indicando l’astronave che giaceva sulla pista alle nostre spalle. Anche lui usò la lingua locale; non mi stupii, Migoban è noto nella galassia per la sua provincialità.

- Sì, è questa. Buona giornata. – Rispose il mio compagno.

- Grazie, buon lavoro.

Di nuovo quella sensazione destabilizzante, e l’odio verso il mio compagno. Pareva così sicuro del fatto suo; avevo la sgradevole sensazione che stesse prendendosi gioco di me. Ero nervoso. Guardavo le astronavi che tracciavano scie bianche nell’azzurro del cielo, chiedendomi quando sarei stato trasferito sul mio pianeta. Era ancora presto, dovevo fare un po’ di gavetta su Migoban, dovevo pazientare.

Un terzo uomo si avvicinò al nostro posto di controllo, l’unico accesso alla Pista 18, quella che dovevamo tenere sott’occhio. Non erano molti i passeggeri dei voli che partivano da lì – voli che arrivavano in posti remoti e decisamente poco piacevoli come Altair o Alpha Centauri. Poco piacevoli per passeggeri umani.

- Salve, è questa la Pista 18?

L’ometto ci guardò con aria indifferente. Sembrava un uomo d’affari, col suo abito grigio e la valigetta nera. Stavolta non mi domandai neppure se era davvero un uomo o una macchina. Annuì col capo e mi feci da parte per farlo passare. Il mio compagno fece altrettanto. Mentre ci passava accanto udii il mio compagno chiedere all’ometto, sempre nella lingua autoctona, se doveva prendere il volo per Altair.

- Sì, certo, vado bene di qua?

- Certo, sempre a diritto.

Vidi l’ometto incamminarsi senza fretta verso la gigantesca cosmonave, con la sua valigetta e la sua aria da uomo d’affari. Aveva percorso circa cinquanta metri quando vidi il mio compagno estrarre la pistola, prendere la mira con calma e premere il grilletto. Vidi con stupore la figurina minuta crollare di colpo sul pavimento di piastrelle. Accadde tutto in pochi secondi.

- Eccola là, la nostra macchina pensante – disse il mio compagno con un sorriso sinistro. Per un attimo pensai che fosse impazzito e che avesse sparato ad un povero diavolo umano. Non avevo notato nulla infatti che non fosse umano in quel tizio.

- Ma cosa…

- Che ti dicevo? Si tradiscono sempre nello stesso stupido modo. Per quanto pensanti, sono pur sempre delle macchine, fatte di algoritmi prevedibili.

Il mio volto doveva essere simile ad un gigantesco punto interrogativo, e questo lo divertiva moltissimo.

- Conosci la lingua corrente di Migoban – continuò – ma ancora non abbastanza da cogliere certe sottigliezze grammaticali, soprattutto riguardo ai pronomi.

Di colpo compresi, e mi misi a ridere in modo quasi isterico. Nella lingua locale, che avevo studiato poco e male prima del trasferimento, si contano tre serie ben distinte di pronomi usati rispettivamente da uomini, donne e… macchine pensanti. Una macchina pensante ha una parola tutta sua per dire “io”, e quell’ometto all’apparenza inoffensivo aveva usato proprio quella parola quando aveva risposto al mio compagno.

Un uomo non parlerebbe mai come una macchina, giusto?

Firenze, 31 marzo – 2 aprile 2004

Ringrazio Francesco Felici per l’idea

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