copertina SDP numero 6
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Fiere

Segreti di Pulcinella alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna...
di Franco Ferracani

Narrativa

Macchine pensanti... di Massimo Acciai
Il reflusso gastrico... di Davide Riccio
Voglio essere una nuvola... di Andrea Masi
L’uomo e il tramonto... di Francesco Felici

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Maria Chiara ,
Davide Riccio, Marco Saya

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici, in una lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie in lingua pisana,
napoletana
, ungherese, tedesca

Recensioni

Questo nostro incontro è dedicato a tre brevi brani di Massimo Acciai. Ne siamo lieti, perché è bello ed interessante poter viaggiare non solo attraverso i versi di una poesia, ma anche dentro le suggestioni nate dalla prosa.
di Monia Balsamello

 

SDP numero 5

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Voglio essere una nuvola

di Andrea Masi


I raggi solari filtrarono dalla finestra e delicatamente accarezzarono il mio volto. Mi svegliai schiudendo le palpebre come se fossero state dei petali di fiore. Dalla finestra scorsi un quadretto di cielo. Era azzurro e su di esso alcune nuvolette bianche vi galleggiavano, sospese a mezz’aria. Erano delicate e mi davano l’impressione che se le avessi toccate con la mano il mio calore le avrebbe sciolte come se fossero fatte di neve. “Buon giorno Luca”, disse Fred la parete che mi stava di fronte. “Hai dormito bene?” “Meravigliosamente”. “Uuuaaahh”. Sbadigliò la bianca parete su cui era posta la finestra. “Che sonno! Quasi quasi dormirei un’altra oretta”. “Sara ricordati che chi dorme non prende pesci!”. Sentenziò Henry, la parete in cui era appoggiata la testata del letto. “Che cosa hai sognato?”. Chiese Lara, la parete dove era posta la porta. Mi sforzai di ricordare ciò che avevo sognato ma tutti i miei sforzi risultarono vani. Guardai di nuovo fuori della finestra per vedere se il paesaggio mi avrebbe sbloccato la mente e osservando i batuffoli di nuvole sospesi nel cielo sorrisi. “Ho sognato di essere una nuvola e di spostarmi liberamente nelle vastità del cielo, senza indugio e senza ostacoli. Dall’alto ammiravo il paesaggio che stava sotto di me. Era così piccolo. Poi, all’improvviso un leggero vento mi spinse verso l’infinito e allora vidi verdi colline che rendevano la campagna ondeggiante, come il mare. E infine sfiorai la cima di una montagna e la sua punta innevata mi fece il solletico sulla pancia”. “Hai fatto un sogno molto bello. Magari ne facessi uno così bello anch’io”. “Hai ragione. Noi quattro facciamo sogni così tristi e statici che anche un muro di cartongesso si vergognerebbe di essere una parete”. Dissi. “Voi avete mai visto casa c’è al di fuori di questa grande casa?” “No. Da quando siamo nati, non ci siamo mai spostati da qua”. “Perché non potete?”. “La nostra presenza serve a sorreggere una grande responsabilità”, sospirò Fred. “Se ce ne andiamo questo peso cadrà su di te”. Lo guardai con un’espressione interrogativa. “Lui è sempre enigmatico”, fece Lara. “Fred vuol dire che se noi ce ne andiamo il solaio non avrà più appoggi e cadrà su di te”. Sorrisisi mestamente. “Sapete amici. Io è da tanto che non vedo cosa c’è fuori di questa casa. Avrei voglia di uscire. Avrei voglia di essere una nuvola e di volare lontano da qui; lontano d questa casa e dai suoi uomini in bianco”. “Mi dispiace che soffri per questo” disse Fred. Una lacrima scese sul mio volto, scavalcò il labbro e si insinuò nella ma cavità orale. Sentii l’amaro del dolore. “Ho preso una decisione. Oggi stesso diventerò una nuvola”. “Lo spero” disse Fred. “Ma non credo che sia possibile”. “Lo è”. “Fra tutti i matti che ho sentito parlare questo è il discorso più assurdo che ho mai udito” inveì Henry. Bussarono alla porta. Era Piero – un uomo in bianco. “Luca preparati. Fra cinque minuti serviranno la colazione”.

Nel corridoio incrociai Sandrino. Eravamo arrivati alla casa lo stesso mese e avevamo la stessa età ma in tutto questo tempo non c’eravamo mai scambiati una sola parola. Lui non era un tipo loquace. Era anche molto strano: aveva l’abitudine di camminare seguendo la diagonale delle mattonelle. Lo sorpassai facendo attenzione a non ostacolare il suo cammino a zig-zag. Arrivai alla mensa e mi sedetti ad un tavolo. Lì, si era già seduto il mio migliore amico – ovviamente dopo Fred. “Ciao Lama”. “Ciao Luca”. Pensai che strano nome fosse Lama, non gli si addiceva affatto al suo fisico, lui era basso, tozzo e pelato. Aveva anche gli occhi storti e quando rideva mostrava i denti cariati. Lama non andava bene, decisamente no, quel nome era meglio per una persona agile, scattante come un coltello a serramanico Per lui sarebbe stato più appropriato un nome tipo: Tarcagnone o Rutto, ma mai Lama. Accanto a noi si sedette Taddeo, un vecchio mistico sulla cui persona aleggiavano strane leggende, gli altri inquilini della casa credevano che aveva più di mille anni e che aveva sempre abitato in questa zona e dicevano che la casa (che ospita tutti noi) gli era stata costruita attorno per poterlo riparare dalle intemperie. Taddeo era di una lentezza flemmatica e riposò adagio le sue vecchie natiche sulla panca. Ci guardò entrambi e sorrise. “Luca ho fame”, disse Lama. “Perché non ci portano da mangiare? Il mio stomaco borbotta”. “Possibile che pensi solo a mangiare. Pensa ad altro. Per esempio pensa a cosa c’è fuori della casa”. Lama alzò lo sguardo verso il soffitto. Il suo viso assunse una buffa smorfia. Abbassò lo sguardo e disse. “Fuori c’è soltanto una lunga strada; nel mezzo ha un'immensa striscia bianca. Ai lati ci sono solo dei cartelli pubblicitari che sponsorizzano i dentifrici che fanno diventare i denti bianchi. Come i miei”. Digrignò i denti cariati. Poi, aggiunse guardando i piatti vuoti. “Ma quand’è che ci portano da mangiare. Io ho fame? Tu non hai fame?” “Sei limitato. Fuori c’è molto di più di una semplice strada. Sei mai stato una nuvola?” “No. Perché lo dovrei essere stato? E tu? Non hai fame?” Scossi il capo. “Ho sognato molte volte di esserlo”. Poi, sorridente aggiunsi. “Oggi lo diventerò”. Piero, Gino e Claudia – i tre uomini in bianco che erano nella sala, iniziarono a servire la colazione. Lama mi osservò. “Interessante. Che bello si mangia!” Fu Claudia a servirci la colazione che consisteva in una tazza di latte e una decina di biscotti per uno. Lama si abbuffò. Taddeo invece inzuppò uno ad uno i biscotti nel latte e con il cucchiaio iniziò a schiacciarli. A lui piaceva fare la zuppetta. Io non avevo fame. Mi girai verso la finestra che come tutte le altre finestre della casa anch'essa era chiusa con un lucchetto e osservai le nuvole che navigavano nel cielo. Erano libere. Sentì un rumore gutturale. “Uwrrrhhh!” Mi voltai e vidi Lama smuovere la bocca a destra e a sinistra. Istintivamente spostai la mia tazza dalla sua portata. Lama scaracchiò nella tazza di Taddeo. Lui non se ne accorse e con il cucchiaio tirò su lo sputo. Lentamente se lo portò alla bocca e se lo mangiò con gusto. Poi sorrise. “È buona la zuppetta!” Claudia che aveva osservato la scena arrivò di corsa, tolse la tazza a Taddeo e rimproverò Lama. Lama le sputò addosso. In oltre Taddeo che amava la zappetta afferrò il braccio di Claudia e la trattenne con tutte le sue forze. “È mia la zuppetta. È mia la zuppetta”. “Stai buono. Te ne porto un’altra”. E rivolgendosi a Lama disse. “Cattivo non si sputa alle persone”. Lama si sentì offeso e incominciò sputare. Taddeo divenne più violento e spinse Claudia. La tazza cascò per terra e s’infranse e la zuppetta si espanse lentamente sul pavimento. Gino corse in aiuto della sua collega, scivolò sulla zuppetta e cadde di schiena. Dalla tasca gli uscirono delle chiavi che strisciarono fino alla parete. “Luca che aspetti a prendere le chiavi?” Disse Jack la parete. “Fred mi ha detto di non ascoltarti perché sei maligno”. “No io non sono maligno, è Fred che invidioso”. “Perché Fred dovrebbe essere invidioso di te?” “Fred non è invidioso di me, ma di te. Lui ti odia perché te, te ne puoi andare da questa casa e lui non può. Io ti do dei buoni consigli: prendi la chiave, apri la finestra e vola in cielo”. Feci come disse Jack. Mi alzai presi la chiave e andai alla finestra. Aprii il lucchetto e gli infissi. Salii sul davanzale. Mi voltai verso la sala: nessuno si era accorto di me. Tutti erano presi a calmare Taddeo e Lama. Osservai le nuvole che viaggiavano in cielo nella direzione della libertà. “Hey, tu scendi di lì!” Urlò Piero. “Che aspetti. Vola in cielo” gridò Jack. “Diventa Libero!”. Mi lasciai cadere verso il vuoto. Il mio corpo cadde per tre piani. Sbattei la testa sul marciapiede e sentii un gran dolore. Poi, più niente. Il mondo si era fatto buio come se fosse avvenuto un black-out ma in un attimo la luce ritornò. Io mi sentivo leggero. Il mio corpo era fatto di tante piccole particelle bianche, e saliva in cielo. Andava a raggiungersi con le nuvole. Mi soffermai un attimo a guardare all’interno della finestra e vidi gli uomini in bianco affacciati al davanzale che osservavano verso il basso. Sul selciato c’era il mio corpo con la testa fracassata. Ma io gli stavo davanti e loro non mi vedevano. Lama alzò la mano come per saluto e sputò verso di me. “Luca sei una nuvola?” “Si”, poi, salì di un piano. Vidi la mia camera e i miei quattro amici che mi avevano fatto compagnia per tutti questi anni. Furono entusiasti di vedermi. “Ci sei riuscito. Sei una nuvola!”, dissero all’unisono. Mi sollevai ancora. Ero molto in alto, ma non a sufficienza per essere una nuvola. Guardai verso il basso e vidi rimpicciolirsi sempre più l’ospedale psichiatrico che mi aveva ospitato. Poi, mon vidi più niente: ero sopra le nuvole…

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