copertina SDP numero 6
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Fiere

Segreti di Pulcinella alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna...
di Franco Ferracani

Narrativa

Macchine pensanti... di Massimo Acciai
Il reflusso gastrico... di Davide Riccio
Voglio essere una nuvola... di Andrea Masi
L’uomo e il tramonto... di Francesco Felici

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Maria Chiara ,
Davide Riccio, Marco Saya

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici, in una lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie in lingua pisana,
napoletana, ungherese, tedesca

Recensioni

Questo nostro incontro è dedicato a tre brevi brani di Massimo Acciai. Ne siamo lieti, perché è bello ed interessante poter viaggiare non solo attraverso i versi di una poesia, ma anche dentro le suggestioni nate dalla prosa.
di Monia Balsamello

 

SDP numero 5

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Tre racconti di Massimo Acciai

di Monia Balsamello


Questo nostro incontro è dedicato a tre brevi brani di Massimo Acciai. Ne siamo lieti, perché è bello ed interessante poter viaggiare non solo attraverso i versi di una poesia, ma anche dentro le suggestioni nate dalla prosa. Il gusto di leggere un racconto è dato a mio avviso da fattori diversi rispetto a quelli suscitati da una lirica. Infatti, l’architettura del testo e la sua armonia danno piacevolezza non tanto per la loro sonorità, quanto per l’equilibrio generale delle frasi, la struttura dei periodi, l’abilità di avvincere con stile di sintesi e chiarezza. Un buon lettore, come mi è capitato di scrivere qui in altre occasioni, diventa praticamente un artista a sua volta. Deve infatti elaborare, aggiungere le proprie suggestioni ad un testo che così si moltiplicherà nei suoi significati all’infinito. Certo, esisterà sempre una verità di fondo, ma è quella dello scrittore, personale e solo sua, nata da come vede il mondo. La bellezza risiede nel verificare, poi, quanto ogni lettore si accosta a quella verità ampliandola con la propria. Per questo siamo nel relativo. Possiamo commentare, parafrasare, individuare le parole chiave e questo ci fornirà una scheda tecnica utile, una specie di cartina che però alla fine non obbliga a seguire nessun percorso prestabilito.

Personalmente, amo gli artisti che (scrittori, musicisti, attori e così via, qualunque sia la forma d’arte prescelta per comunicare) spingono i destinatari di ciò che creano a compiere uno sforzo, a stare scomodi, come dico spesso. Perché non è l’artista che deve violentare la propria arte affinché piaccia a più persone possibili: questa può e deve essere semmai una conseguenza. Perché il godimento dev’essere genuino e non… ruffiano e studiato a tavolino. Quindi non ha meno valore ciò che piace a pochi destinatari: ha semplicemente il suo valore, tutto qua. Ed al contrario, ciò che riscuote subito un immediato successo è qualcosa che ha sposato canali riconoscibili e quindi rassicuranti, noti e comuni, tanto da essersi diffuso ad una velocità sorprendente in quel momento. E va bene così.

Leggendo Massimo Acciai, ho ripensato a J. L. Borges, un autore che adoro, ed a quando affermava che “si legge ciò che ci piace leggere, ma si scrive ciò che si è capaci di scrivere”. Ed è proprio questa la chiave, il punto in cui ci differenziamo. “Capaci” è aggettivo rivelatore. Ci rappresenta, ci descrive, è quanto via via saremo abili a fare. Così lo stile potrà affinarsi e scegliere altre soluzioni perché la nostra “capacità” sarà diversa, arricchita dall’esperienza, da nuove letture, dai fulmini a ciel sereno delle nostre ispirazioni. Il racconto che segue è datato dicembre 2002, ed il fatto che Massimo abbia sentito il bisogno di specificarlo, dovrebbe indicare il suo desiderio di fotografare il preciso momento della sua voglia di scrivere, più che del fatto in sé, che diventa spesso accessorio. Mi spiego: secondo me non conta tanto il fatto che al “Bar Marina” in una mattina d’inverno il protagonista del brano abbia pensato quanto Massimo poco sotto ci dirà. Conta di più che Massimo abbia indissolubilmente legato a quella data la sua voglia di narrare un certo momento.

 

Bar Marina


…ma già le navi stavano scomparendo all'orizzonte
e io rimasi qui, in questo nostro mondo
pieno di responsabilità e di fuochi fatui.
Italo Calvino, Il visconte dimezzato

Marina dietro il banco aveva occhi di gatto, enormi e sonnacchiosi. Da innumeri cicli karmici preparava caffè e cappuccini per i clienti del Bar durante mattine placide e burrascose. Versava carburante scuro per studenti e lavoratori in tazzine di plastica, distributore svogliato di liquidi motivazionali, tra l'odore delle paste calde e del tabacco. Sognava di andarsene, di portare altrove i suoi venticinque anni, ma restava.
Come me.
Quella mattina avevo la bocca amara e le dita gelate dentro i guanti. Avevo sognato troppo quella notte e l'aria di gennaio mi aveva rubato alle calde coperte per un lavoro che non amavo. Fuori c'era tempesta e quella luce irreale di certe giornate invernali che mette addosso un non so ché di fatale ed eroico.
Il futuro è dalla tua parte…
Una scritta nel cesso del fast food dove vado ad ingurgitare proteine e carboidrati nella pausa pranzo; perché mi sono svegliato con questo slogan in testa?
Spingo la porta a vetri del bar e m'immergo nel calore palpabile della caverna neolitica del ventunesimo secolo. Vorrei cancellare con il bianchetto quella gente grigia, spenta, stupida, che ripete gesti meccanici come un software in loop e avere Marina tutta per me. Ci sono giorni in cui il mondo assomiglia a una giostra abbandonata.
Quella mattina le maniche del golf mi andavano larghe e soffici. Nuvolette di vapore mi uscivano dalla bocca ad ogni respiro mentre ero fuori, ma ora al caldo le guance arrossiscono come per un improvviso imbarazzo. Gli occhi si inumidiscono come per inatteso intenerimento. Lei è sempre là, dietro al banco, affaccendata con i clienti.
Il futuro è dalla nostra parte… andiamocene!
Non è la prima volta che il pensiero mi combina strani scherzi, ma è pur bello baloccarsi con un progetto impossibile, rigirarselo tra le dita della mente come uno stecchino da denti. Mi capitò talvolta in serate estive, quando la giornata andava a chiudersi sotto cieli sereni al tramonto, e in pomeriggi primaverili, col profumo di cipressi in fiore dietro il solito odore di fritto e di anidride carbonica oltre la porta a vetri.
Là c'è il capufficio che lavora frenetico alla propria gastrite, e i telefoni che squillano, reclamano attenzioni gelose di fidanzati aziendali, il fax vomita notule e preventivi, il computer attende con pazienza la collega in bagno ad espletare un bisogno urgente di libertà, il rappresentante che domanda del titolare, i bicchieri sporchi e le lattine accartocciate nel cestino della carta. Là c'è l'irrequieto affaccendarsi verso la fine. Un giorno, molte mattine fa, un iguanodonte atterrava una preda azzannandola al collo coriaceo, spezzandone le scaglie e lacerandone i tessuti molli. Un giorno, tra molte mattine, un essere senza nome atterrerà una preda azzannandola al collo coriaceo, spezzandone le scaglie e lacerandone i tessuti molli.
Il futuro…
La porta si chiude alle mie spalle con un suono strisciante, ottuso. Se n'è andata un po' di gente e di calore soffocante, si comincia a respirare. Il fumo di sigaretta si dirada e appare il sorriso di lei. Quante volte ho visto quel sorriso, ma è come se non lo avessi mai visto. In effetti non l'ho mai visto. A volte ho la sconcertante impressione di non aver ancora vissuto una vita interamente mia; non ho un volto interessante, non ho una storia tormentata e romanzesca. Il mio dolore è silenzioso, non ha parole né gesti estremi, è un disagio sottile, non traspare sul mio volto ma si chiude in me stesso.
Io non ho mai pianto in vita mia, forse neanche da bambino.
A volte vorrei cancellare un passato inesistente.
Appoggio i gomiti sul banco di finto marmo e guardo Marina. Lei mi sorride in segno di stanco saluto. Il sibilo familiare del vapore nel bricco. Mi ricordo di un amore sognato, di lei che torna da me, dagli oceani stellari dove l'orizzonte del tempo rende possibile il Ritorno, di lei che mi sorride e mi getta le braccia al collo. Lei che si fa piccola ed io che la metto in un thermos e me la nascondo in una tasca segreta e calda del cappotto. Strane fantasie, eh, per un quasi trentenne vergine…
Lei è bella, me ne accorgo adesso. Ha un modo così carino di ridere, quelle poche volte che l'ho vista ridere ad una mia battuta: socchiude gli occhi, inclina un po' la testa all'indietro e la lingua fa capolino tra i denti piccoli e felini. Parla poco, non è mai volgare, arrossisce se qualcuno le fa una galanteria un po' rozza. Scommetto che è vergine anche lei, che non lo ostenta ma neppure se ne vergogna. Anche lei cerca una persona speciale, ma sento che tra noi non potrebbe esserci che una amichevole solidarietà.
… è dalla nostra parte…
Mi volto dall'altra parte, verso il manifesto dei cinema. Danno un film d'avventura all'Odeon, un vecchio classico color cioccolato, restaurato e rimasterizzato, ambientato in qualche luogo esotico mai esistito. Ci potremo mai andare insieme un giorno? Al cinema, intendo. No, persino andare all'Odeon è impensabile. Io ho il mio computer che mi attende di là in ufficio, lei la sua macchina per il caffè. Siamo entrambi schiavi delle macchine e dello stipendio; semplici risorse.
… andiamocene!
No, non si può, cara Marina, anche se mai come in questo momento sento chiaramente che lo vorresti anche tu. Dobbiamo rimanere qui a raccogliere il coraggio e combattere, non si può disertare dalla vita se non rinunciando alla vita stessa, e il prezzo sarebbe troppo alto.
Tu mi guardi e cominci a prepararmi il solito caffè macchiato. Dal tuo sguardo, in qualche modo diverso dalle altre mattine, sembra quasi che hai indovinato i miei pensieri.

Firenze, 11-20 dicembre 2002

La vita, così come accade nella sua quotidianità. Il barlume dell'amore e della voglia d'andar via, che ci prende tutti ed in ogni istante ci rende inquieti, anche quelli che dicono di no, che stanno bene dove e come sono. Massimo Acciai sceglie di mostrarci questo, con uno stile essenziale e molto descrittivo, fatto di frasi brevi, come il tempo di una pausa che gli permette di pensare. La sua bravura è di essere credibile. Credibile per me vuol dire che riconosco le emozioni che vuole comunicare, non tanto perché le ho provate anch'io, ma perché le ritengo genuine. Al lettore non dovrebbe mai interessare se i fatti narrati sono davvero accaduti così come vengono descritti, (a patto che non stia leggendo un giornale o un libro di storia!!). Quello che dovrebbe contare è la credibilità delle sensazioni che arrivano dalle parole. La salvezza di Massimo-scrittore è di essere fattivo, ovvero di legarsi ai particolari che vede attorno, senza troppi voli pindarici, lasciando che l'interiore traspaia soltanto e si vesta di volti, macchine da caffè, computer, fax e muri di un gabinetto.
Anche nel secondo racconto, apparentemente più filosofico, in realtà troviamo sferzate di concretezza a tratti spiazzanti e martellanti. Il ritmo stavolta è più incisivo, veloce, quasi a seguire il rincorrersi di considerazioni fatte tra sé e sé ma in realtà dette ad alta voce, come se un interlocutore (i "professore") fosse davvero davanti al protagonista. O meglio: anche se ci fosse, in realtà il tuffo è dentro i pensieri del "watcher dei cieli", colui che osserva in alto, tra l'azzurro e le stelle, a cercare risposte che di solito ci abbracciano ma non riusciamo a vederle…


Amavo una donna che non esiste

 

I sogni sono principalmente incubi. Un mondo riservato è l'unico santuario, l'unico ospedale, l'unico sole e l'unica energia pulita. Questo mondo riservato non ha contorni, istituzioni, cittadini… accade perché lo sognate!
Il watcher dei cieli è un cosmo a parte, non c'è nessun mondo oltre il suo; per lui la vita non può più avere sorprese. Egli solleva i suoi occhi come sconosciuti corpi celesti. Creature ha modellato il terreno di questo pianeta; la vita ancora ha distrutto la vita. Gioca altrove, dio bambino, sotto la tettoia della lucertola con la relativa coda: questa è l'estremità dell'unione atavica dell'uomo con terra. Quando il vecchio sole grasso nel cielo sta cadendo, gli uccelli di sera d'estate danno nomi al Tempo dolce e mordace; allora il suono di musica in vecchi orecchi mi dice che la mia vita sta per ricominciare da zero. Mi dica, professore, quando il soldato si riposerà e spargerà attorno la sua bontà e il suo meritato amore. Mi spieghi, ora, in questo mondo ugly, se è tempo di distrugge-re questa malvagità mediorientale. Quando mai la parola "libertà" sarà pronta a com-battere per la vostra libertà?
Orbene, che sia un hero a promettermi tutto dei vostri sogni violenti e che illumini il vostro corpo con rabbia! Ora, ora - alzati e combatti! La nuova erba falciata sente l'odo-re di sangue, così dolce e glorioso che il nemico non conosce. Dal fiume, che tiene tra le mani il suono d'argento da un momento così sconosciuto e nuovo, canto un canto di pa-ce e sole.
Il watcher dei cieli è un universo a parte, non c'è nessun mondo oltre il suo; gli uccelli di sera d'estate stanno ridendo con i bambini mentre l'ultima luce solare sparisce nell'oscuro ovest, inghiottita dai rinoceronti della notte. Un uomo grasso e piccolo ci chiede di andare a farci trucidare ed ci domanda l'affitto per il cielo di piombo. Non so perché tutto ciò sembra così divertente! Il winkler ha denominato ancora, è venuto qui questa mattina, con quattrocento libbre e una fotografia del posto che ha trovato. Un ca-seggiato con il riscaldamento centrale. Eh sì, i sogni sono principalmente incubi.
Se vi sedete e vi toccate i piedi nudi sulla terra, se ascoltate il rumore che fa il mondo ruotando attorno al suo astro, se prendete la mano della vostra donna - del vostro io bambino - e la stringete delicatamente, se le dite "ti amo" con dolcezza in un momento sconosciuto e poetico, se ascoltate la risacca del vostro cuore in una notte calda e aperta, allora la musica sarà la lingua di questo mondo oltre penombra. Gli alberi si leveranno in piedi, rigidi come note a piè di pagina, le acque si incresperanno e ruggiranno; gli uc-celli di sera d'estate sfideranno orchestre al gioco del silenzio. Da un paese sconosciuto vicino al bordo del mondo, dove i colori sono luminosi e niente è programmabile, la re-lativa gente di buon cuore ha buoni argomenti per amare e sa tenere le mani a posto.
Il watcher dei cieli è un innocente a parte, non c'è nessun mondo oltre il suo; le acque della mia materia d'infanzia hanno santuari riservati ai fantasmi e alle riflessioni onani-stiche di chi è solo. Ma sì, prendiamo piacere dal nostro corpo, c'è tutto ciò che serve! Torna l'uomo con la sua stanchezza infinita, torna al suo fazzoletto e alla fantasia oscu-ra. E' un posto in cui le riflessioni possono essere randomizzate e le facce guidano nei flussi nascosti. Oh, questo non posso credere di lei; che eravamo conformi al permesso di prenderci per mano e saltare nell'ignoto stellare.
Il vecchio barman era un'anima allegra, così ha richiesto il suo tubo ed ha richiesto la sua ciotola ed ha richiesto i suoi fiddlers. Ma l'orologio fa tic tac, tic tac, tic tac, tic tac, TRONK, oh diammine si è rotto. Il tempo è quella signora, che spazzola indietro i vostri capelli e familiarizza con la vostra faccia. Il tempo è una signora sposata e con prole. Sto aspettando qui, nella sede del mare, il tempo che striscia sul lato cieco, shinning sulla parete rubante con l'oscurità della notte che si arrampica attraverso una finestra, facente un passo al pavimento controllante il raccolto a sinistra e giusto sulle parti, mettente lei via qualcosa non ritiene abbastanza di destra da aiutarlo qualcuno lo ha la-sciato da qui allora dall'oscurità era benvenuto improvvisamente sentito alla sede dal mare che viene verso l'esterno la lavorazione del legno, attraverso il portello aperto che spinge da suddetto e sotto le ombre senza sostanza, nella figura degli uomini rotondi e giù ed obliquamente vanno alla deriva senza senso, occhi quello stretta disperazione al-lora come… ma che diammine sto dicendo?!
Il watcher dei cieli è un oceano a parte, non c'è nessun mondo oltre il suo; egli è H2O, è CO2, è cellulosa microcristallina, è magnesio stearato, è polietilenglicone e sodio car-bossimetilcellulosa. E' vita e aminoacidi, leggere attentamente le istruzioni. E' oceano e fiume, illuminato dalla fiamma e dalla luna. E' montagna, è pace e vento. E' storia e fo-glia marcia che galleggia sull'acqua placida. E' il mio nome di 356.894 anni fa. Non si chiude su se stesso, è una canzone lunga 200 miliardi di miliardi di minuti e 51 secondi. E' la materia della genesi e della musica, è il gioco del dio che ha creato dio. Una nota risuona nel cielo stellato, nella galassia, nel cuore della creazione. Credo fosse un si bemolle un po' stonato.

Firenze, 16 novembre 2002

 

Molti i termini moderni usati, tra cui parole inglesi o italianizzate, per meglio contestualizzare e pure definizioni specifiche di certi campi (chimica). Così l'attenzione del lettore è solleticata, spinta nel concreto, benché poi lo sguardo venga subito catapultato in alto, trascinato dallo watcher (colui che guarda) assetato d'universo.
Come saluto, ringraziando ancora Massimo, vi lascio un terzo breve racconto, figlio dell'oggetto che ben conosciamo e che ormai è il nostro tramite col mondo, almeno in certi momenti. Stavolta il punto di vista è quello femminile… perché uno scrittore deve sempre sperimentare ogni animo.


La vita...

 

Non ricordo di averlo offeso in alcun modo. Se l’ho fatto, non me ne sono resa conto. Perché mi ha detto quelle cose? Perché mi ha riattaccato il telefono in faccia dopo quelle parole così dure? … non mi cercare, per te non esisto più! Perché, Cristo santo? L’ho cercato poi, quando il mio orgoglio me l’ha permesso – dopo tutto era lui che, do-po sette anni di amicizia e intimità, ha troncato tutto senza nemmeno darmi una spiega-zione – e non l’ho trovato. Ho telefonato a casa sua. - M. è in casa? - Ha sbagliato numero (voce odiosa e ostile di una perfetta sconosciuta). Riprovai. - M. è in casa? - Ha sbagliato di nuovo, ma che numero ha fatto? - Non è questo il 457763? - Sì, è questo, ma non c’è nessun M. Al terzo tentativo mi arresi, piuttosto perplessa. Provai sul cellulare. … il numero chiamato è inesistente… Voce elettronica derisoria e amara. Cominciai a preoccuparmi, ma dovevo andare all’università e non avevo tempo per richiamarlo. Gli mandai la e-mail che avevo prepa-rato in questo caso, scritta la sera prima, con la speranza di non doverla mai usare. Pensavo a lui durante la lezione, chiodo fisso di un lunedì mattina. La sera aprii la posta elettronica. Il messaggio mi era tornato indietro. Errore, indirizzo sconosciuto. Riprovai al telefono di casa e al cellulare. Niente. La situazione cominciava a diventare inquie-tante e irreale. Telefonai a S., comune amico. - Sai che fine a fatto M.? Mi aspettavo ben altra risposta, o domanda (“perché?”) da quella che già presagivo nelle mie ipotesi assurde e fantastiche, quelle con cui si balocca la mente in stato di ten-sione. - Chi? - Come chi, M.! - Mi stai prendendo in giro? Gli risposi di sì e riattaccai, sconvolta. Stavo diventando matta? Di certo mi avrebbero preso per matta se avessi insistito, e di pazzia io non voglio neanche sentir parlare. So-prattutto se la matta devo essere io. Telefonai a F. Stesso risultato. Sembrava che, assurdamente, nessuno conoscesse M., neppure i suoi amici più intimi. Feci un’ultima prova con S. prima di uscire. Guidai come una pazza fino a casa sua. M. viveva solo, in un appartamento del centro. Sul campanello c’era suo cognome – respiro di sollievo – ma non c’era nessuno in casa. Sarei tornata più tardi, pensai, ma intanto mi sembrava di impazzire. Perché il mio migliore amico sembrava scomparso dalla faccia della terra? Tutto questo accadeva una settimana fa. Non ne ho più saputo nulla. Devo andare avanti, devo tacere, sarei considerata pazza. Nessuno può sapere quanto mi costi tacere. … il numero chiamato è inesistente…

 

... è sogno?

 

Mi sono svegliato urlando nel cuore della notte. Un incubo senza dubbio, anche se non ne ricordo bene i particolari. Mi asciugo il sudore sulle lenzuola. Guardo la sveglia: le 2.04. A quest’ora l’organismo ha la sua bassa marea, il sangue scorre più lento, si è più vicini alla morte. Invece il mio sangue batte furioso nelle tempie e il sudore, che sa di dolciastro, mi appiccica il pigiama al corpo. Sono sveglio ora, ma ho paura. Non è come gli altri incubi, talora davvero spaventosi, da cui si emerge terrorizzati ma dura un atti-mo. E’ un sogno, siamo al sicuro. Tutto sfuma rapidamente, come fumo di sigaretta spazzato via dal ventilatore. Cosa ho sognato? Non ricordo… un’impressione… Anche stavolta è un’impressione, ma ben diversa dalle altre suggestioni oniriche. Ho sognato qualcosa a proposito di C., la mia amica C. Perché mi costa così tanto dire “amica” in questo momento? Mi ha aggredito, fisicamente e verbalmente, mi ha annientato, mi ha umiliato e mi ha stordito. E’ solo un sogno, eppure la odio. La odio con tutto il cuore. Il solo pensare a lei mi disgusta. Eppure è – era – la mia migliore amica. Quanti ricordi! Insopportabili adesso! Non la voglio più vedere, voglio dimenticarmi di lei.

… il numero chiamato è inesistente…

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