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Narrativa
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi poetici inediti,
in lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
poesie di Lucia
Dragotescu, Manuela
Leahu
Incontri nel giardino
autunnale
Recensioni
- "Parole
e paesaggi" di Roberto Mosi, nota di
Massimo Acciai
- "Itinera" di
Roberto Mosi, nota di Massimo Acciai
- "O lupo è addiventato
pecorella" di Dario De Lucia, nota di
Massimo Acciai
- "Le inquietudini
dell'esistenza" di Elena Gianolio Jung,
nota di Massimo Acciai
- "Pittori Piuttosto
Pittoreschi" di Massimo Zanicchi
- "Pensieri a banda larga"
di Dimitry Rufolo, nota di Massimo Acciai
- "Come perdere la testa
e a volte la vita" di Claudio Risé, nota
di Enrico Pietrangeli
- "Mille parole" di
Cesare Lorefice, nota di Anna Maria Volpini
- "Ci siamo" di Marco
Ciurli, recensione di Elena Fratini
- "Premiata Forneria
Marconi 1971-2006" di Donato Zoppo, nota
di Enrico Pietrangeli
- "Una ragionevole strage"
di Mireille Horsinga-Reno
- "Diary" di Chuck
Palahniuk, recensione di Simonetta De Bartolo
- "Approdi" di Monica
Osnato, recensione di Simonetta De Bartolo
- "Ogni angolo del cuore"
di Francesco Cecchi
- "Viaggiando verso
l'ovest" di Rossella Presicce
Saggi
Filosofia
La filosofia politica di
Platone come filosofia pratica
di Apostolos
Apostolou
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Tutto cominciò per caso, una
mattina di tredici anni fa. Tu eri appisolato nella
tua cuccia e facevi finta di dormire, mentre io mi
apprestavo ad andare a lavoro. Quel giorno non avevo
molta voglia, per la verità, di partire da solo e
così dissi " dai, dormiglione, vieni con me!".
Saltasti in macchina e via, verso la stazione di
Montale a prendere il treno. Da quel giorno, tutte
le mattine, o al pomeriggio, o alla sera, a seconda
dei turni, appena aprivo il garage, tu mi saltavi
addosso per darmi il buongiorno e ti apprestavi a
seguirmi. Finchè una tiepida mattina autunnale ti ho
trovato morente e silenzioso nella tua cuccia.
Mentre con la macchina correvamo all'impazzata verso
la clinica, il cuore mi batteva forte per la paura
di perderti. In sala d'attesa appoggiasti il tuo
muso sulle mie ginocchia e mi guardavi, mentre io ti
accarezzavo la testa, con quella tenerezza come solo
tu sapevi fare. Non un lamento, appena un guaito.
Poi la tremenda diagnosi del dottore, si trattava di
un male incurabile. "E' finita" dissi con gli occhi
gonfi di lacrime e nella gola una sola invocazione :
"Roby!". Mentre ti riportavo a casa, mentre tu
morivi, il cielo sembrava oscurarsi. Lunghe nubi
attraversavano la mia mente. Adesso, come in un
film, rivedo quei tredici anni della tua, della
nostra vita, vissuta in simbiosi, con condivisione,
il tuo sguardo dolce che a volte sembrava
consapevole delle mie incertezze, dei miei problemi.
Rivedo tu ed io mentre scendevamo dal treno nella
piccola stazione di Castello, e oltrepassavamo la
porta a vetri. Io me ne stavo seduto al banco a
svolgere le mie mansioni di capostazione e tu te ne
stavi a due passi da me, con una grossa ciotola
davanti al muso, e rizzavi le orecchie a ogni minimo
rumore. Gli altri colleghi ti volevano bene. Eri uno
di noi. A fine turno ripartivamo insieme verso casa.
Pomeriggio, mattina, notte, in un susseguirsi
continuo di stagioni. Poi, finalmente, arrivò per
tutti e due la sospirata pensione, che voleva dire
più tempo per stare insieme e per fare lunghe
passeggiate. L'unica cosa che mi rimprovero è di
averti lasciato solo per un breve periodo, non
potevo portarti con me, capisci, avevo da sbrigare
alcuni affari laggiù, al paesello. Al mio ritorno ho
saputo che eri andato nei soliti posti dove noi
andavamo, al bar a prendere il caffè, dal solito
giornalaio, e, non vedendomi, sei stato anche alla
stazione dove fino a venti giorni fa mi
accompagnavi. Aspettavi il mio ritorno per morire
sulle mie ginocchia? Così ti ho trovato, morente
nella tua cuccia, quella tiepida mattina autunnale.
Se ti avessi portato con me, se non fossi partito,
chissà, forse tu saresti ancora vivo. Forse avrei
potuto curarti in tempo. Ma con i se non si
costruisce niente. So che un giorno ci rivedremo,
caro Roby. La nostra vita è un treno che va
lentamente, inesorabilmente verso l'ultima stazione,
quella della morte nella quale tu sei già arrivato.
Una tiepida mattina autunnale, in un cielo sgombro
di nubi, vedrai aprirsi le porte di una carrozza e
mi vedrai scendere, caro collega. Mi perdonerai e mi
getterai le zampe al collo per un lungo, tenero
abbraccio.
Da "Desiderio di Volare"
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