|
|
Narrativa
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi poetici inediti,
in lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
poesie di Lucia
Dragotescu, Manuela
Leahu
Incontri nel giardino
autunnale
Recensioni
- "Parole
e paesaggi" di Roberto Mosi, nota di
Massimo Acciai
- "Itinera" di
Roberto Mosi, nota di Massimo Acciai
- "O lupo è addiventato
pecorella" di Dario De Lucia, nota di
Massimo Acciai
- "Le inquietudini
dell'esistenza" di Elena Gianolio Jung,
nota di Massimo Acciai
- "Pittori Piuttosto
Pittoreschi" di Massimo Zanicchi
- "Pensieri a banda larga"
di Dimitry Rufolo, nota di Massimo Acciai
- "Come perdere la testa
e a volte la vita" di Claudio Risé, nota
di Enrico Pietrangeli
- "Mille parole" di
Cesare Lorefice, nota di Anna Maria Volpini
- "Ci siamo" di Marco
Ciurli, recensione di Elena Fratini
- "Premiata Forneria
Marconi 1971-2006" di Donato Zoppo, nota
di Enrico Pietrangeli
- "Una ragionevole strage"
di Mireille Horsinga-Reno
- "Diary" di Chuck
Palahniuk, recensione di Simonetta De Bartolo
- "Approdi" di Monica
Osnato, recensione di Simonetta De Bartolo
- "Ogni angolo del cuore"
di Francesco Cecchi
- "Viaggiando verso
l'ovest" di Rossella Presicce
Saggi
Filosofia
La filosofia politica di
Platone come filosofia pratica
di Apostolos
Apostolou
|
|
In quella lontana estate del 1991
avevo qualcosa di speciale da festeggiare, qualcosa
che non mi era costata nessuna fatica, giacché ero
molto amico con Gigino Fracchesciasso, assessore del
Comune, e con Peppino Sciaraballo, usciere della
Regione. Proprio così, la mia prima promozione sul
lavoro meritava una festosa accoglienza, e già
fantasticavo scartabellando i dépliant dell'Agenzia
di Viaggi "Sogni colorati d'azzurro sotto un cielo
incontrovertibilmente giallognolo".
La Costa Brava.
La Costa Azzurra.
La Costa del Sol.
"La Costa Poco!", tuonò mia moglie quando le
accennai alla mia idea di un viaggio da favola. "Lo
sai che voglio portarmi anche mammina in vacanza con
noi, e la poverina è tanto malata e non può
affrontare viaggi lunghi."
La poverina in questione era in realtà un'arpia di
sessant'anni con una salute di ferro e una kazzimma
esagerata, che con la scusa di essere sorda da
un'occhio e mezza zoppa da un tentacolo si faceva
servire e riverire, riuscendo con la complicità
della compassionevole figlia a rendere la mia vita
un piccolo braccio della morte. Fui costretto, mio
malgrado, a rinunciare ancora una volta ai miei
progetti bellicosi e passammo le vacanze estive in
una piccola villetta in collina, dove il clima mite
avrebbe senz'altro giovato alle "fragili ossa di
mammina...".
Trenta giorni di sofferenza e di solitudine
esistenziale mi costarono l'equivalente di circa
quattro stipendi, ma l'importante era che mia moglie
e mia suocera fossero felici. La mia felicità
sarebbe arrivata quando una delle due fosse
schiattata.
Quello che ancora non vi ho raccontato è che davanti
alla villetta c'era un bel giardino con un prato
verde, un paio di alberi secolari e numerose piante
con dei fiori variopinti che sembravano diamanti
incastonati nella corona di un re. Un vero
spettacolo della natura, che mia suocera distrusse
in circa due settimane con la sua passione per il
giardinaggio. "Ho il pollice verde, io!" mi disse
una mattina, ed io pensai che forse si era confusa e
in realtà non voleva dire pollice bensì denti.
Tuttavia il caso strano fu che in mezzo alla
desolazione del giardino, dove tutte le piante erano
diventate sterpi, i fiori erano appassiti come
l'uvetta del panettone e gli alberi secolari si
erano abbattuti da soli per morire più
dignitosamente, sopravviveva miracolosamente un
cespuglio. Un roveto arido e puzzolente, tanto
brutto quanto inutile, che era diventato la casa di
insetti di vario genere, tra cui una nutrita colonia
di quegli esseri immondi che divennero il mio nemico
numero 2 (dopo mia suocera, ovviamente): le zanzare.
Certe zanzare grosse come monete da 3 euro e voraci
come piranha, che ci invasero ogni angolo della
villetta. E' inutile che vi spieghi che mia moglie e
la madre rimasero illese e immacolate per tutto il
tempo, mentre io dopo una settimana ero
letteralmente ricoperto di bubboni pestilenziali
modello "Dagli all'untore!". Grazie alle sapienti e
purulenti punture delle zanzare, le mie palpebre si
erano gonfiate al punto da non poterle neanche
chiudere di notte per dormire. Mi moglie mi
sfotteva: "C'hai i palpebroni". Anche il labbro
inferiore, colpito nottetempo, diventò un labbrone,
come siliconato di fresco. Parimenti tutte le dita
delle mie mani erano diventate dei ditoni, le gambe
dei gamboni e le cosce dei coscioni. Un po' più su
delle cosce, dove un piccolo ingrossamento sarebbe
invece stato il benvenuto, soprattutto per fare una
gradita sorpresa alla mia segretaria bionda e
tettona, tutto taceva.
Mi vidi pertanto costretto a dichiarare guerra alle
zanzare e mi armai di tutto punto: luce per angoli
bui, pezza sporca di sangue, scopa per raggiungere
il soffitto, bisturi laser e lanciafiamme
professionale. Con la sagacia tattica di Will
Coyote, la circospezione di Gatto Silvestro e i
bubboni sui bicipiti e sui pettorali che mi facevano
sembrare un culturista degno di Conan e Rambo
insieme, cominciai ad aggirarmi per le stanze della
villetta. Il mio nemico era come una contraerea
giapponese di kamikaze telecomandati, ma ad ogni
malevolo velivolo che riuscivo ad avvistare e ad
abbattere mi prendeva uno strano orgasmo e gridavo
"Maledette zanzare!". In men che non si dica i muri
in gesso bianco della villetta si erano costellati
di piccole macchie rosse modello scarlattina, e mia
moglie, addetta alle pulizie, cominciò anch'essa a
gridare "Maledette zanzare!". A centinaia caddero
sotto i miei colpi, eppure sembravano moltiplicarsi
di ora in ora. Pensai bene, allora, di dar fuoco a
quel ricettacolo di zanzare che era rimasto in
giardino, cioè quell'unico cespuglio sfuggito alle
cure di mia suocera. Immediatamente mi beccai una
cazziata dall'arpia, perché nel cespuglio ci aveva
nascosto l'assegno della pensione per non farlo
trovare ai ladri e ai malintenzionati, o a me che,
diceva, era un po' la stessa cosa. Nonostante il
cespuglio fosse ormai distrutto, le zanzare
continuavano a imperversare ad ogni momento nella
villetta, impedendomi di riposare, di mangiare e di
andare in bagno. La notte giravo con la mia pezza in
mano in cerca di vittime ronzanti da sacrificare
alla mia rabbia, mentre mia moglie e la madre
dormivano beatamente. Io le guardavo e pensavo:
"Maledette zanzare!".
Ormai era diventata un'ossessione. Andavo in paese a
comprare il giornale, e invece di chiedere il
"Notiziario Sportivo" dicevo "Maledette zanzare!";
se uscivamo a cena ordinavo allo sbigottito
cameriere delle "Maledette zanzare!"; il vigile
urbano, l'unico che facesse quel mestiere in zona
perché era l'unico figlio della prostituta della
collina, mi comminò una inesistente multa perché,
secondo lui, nella mia macchina non potevo
trasportare più di quattro passeggeri, e invece
aveva già contato 212 zanzare nell'abitacolo e 13
nel portabagagli. "Maledette zanzare!"
Preso dalla disperazione pensai di andare a chiedere
consiglio al parroco, e magari vedere se aveva due
minuti per venire a esorcizzare la villetta. Mi
inginocchiai nel confessionale e gli dissi: "Padre,
ultimamente credo di aver peccato molto, soprattutto
di turpiloquio, perché mi accanisco con particolare
rabbia e violenza contro delle creature di Dio."
"Sii più chiaro, figliolo", mi rispose la voce
baritonale nel parroco.
"Vede padre, ho preso in affitto per il mese di
agosto una villetta qui in zona, per permettere a
mia suocera di farsi un po' di vacanza e..."
"Non aggiungere altro", mi ordinò il parroco con una
certa veemenza. "Ricordati che attraverso le
sofferenze Nostro Signore ci insegna la via verso il
Paradiso. Di sicuro ti guadagnerai la vita eterna se
riuscirai ad accudire con cristiana rassegnazione
quella povera donna di tua suocera. Anch'io faccio
così, ed ho insegnato la stessa cosa ai miei tre
figli. Dì tre Ave Maria e torna alle tue
sofferenze."
"Ma no, padre, veramente" balbettai sbigottito, "mi
ha frainteso. Non sono venuto da lei per mia
suocera, bensì per colpa di una nidiata di
fastidiosissime zanzare che mi ha invaso la villetta
e mi sta togliendo il sonno. Pensi che non faccio
altro che ripetere "Maledette zanzare", e non vorrei
che Nostro Signore si offendesse perché provo rabbia
e risentimento verso delle Sue creature, ecco", mi
affrettai a spiegare.
"Ah, se è così ", disse infine il parroco, "non dar
retta alle cazzate che ti ho detto prima,
figliolo..." e aprì la finestrella del confessionale
per mostrarmi il suo bonario e rubicondo sorriso.
Non potei fare a meno di notare che ai due lati
della fronte aveva due grossi bitorzoli a forma di
corna. "Maledette zanzare!", lo sentii bofonchiare
mentre mi allontanavo dalla chiesa.
Tornai alla villetta un po' triste e sconsolato. Le
avevo provate tutte, ma alla fine le zanzare avevano
vinto la guerra. L'unica consolazione era che ormai
le ferie erano finite e qualche giorno dopo sarei
tornato a casa e alla vita di tutti i giorni. Nel
giro di due o tre mesi i miei bubboni si sarebbero
riassorbiti, magari senza evolvere in fastidiose
dermatiti, e le zanzare sarebbero state solo un
pruriginoso ricordo.
La sera prima della partenza, tuttavia, feci uno
strano sogno. Mi apparve Dio in persona nascosto
sotto le mentite spoglie di Diego Armando Maradona,
perché nessuno può vedere come è fatto realmente
Dio. Io lo riconoscevo subito, e gli dicevo:
"Signore, ti stavo aspettando. Ho una domanda da
farti." E lui, con un forte accento di Posillipo
alta, mi rispondeva: "Sono venuto da te apposta,
figlio mio. Cos'è che vuoi sapere? Domanda e non
temere."
"Signore mio", gli chiesi tutto tremante, "perdona
l'insolenza e l'ardire di questo tuo indegno figlio,
ma fra tante meraviglie senza pari che hai creato,
perché ci hai messo pure le zanzare?"
E l'Altissimo mi rispose: "Voglio raccontarti una
storia. Hai presente quello che c'è scritto nella
Bibbia, al capitolo della Genesi? Tutte sciocchezze.
La verità è ben diversa. All'epoca io frequentavo il
terzo anno della Facoltà per Dei, e per l'esame
semestrale di Tecnologia dei Miracoli ci avevano
assegnato un compito molto difficile: creare
qualcosa di meraviglioso. E si fa presto a dire
"meraviglioso". Ma che potevo inventare? Il calcio?
Il computer? La musica? No, tutte cose buone e
giuste, ma non abbastanza meravigliose.
L'automobile? No, inquina troppo, e poi mi trovavo
bene con la metropolitana: c'avevo pure
l'abbonamento... La sera stessa andai al pub con i
miei colleghi Ptah l'egiziano e Buddha, quello
grosso e grasso che faceva sempre l'indiano. Bevemmo
un paio di birre a testa, ascoltammo del buon blues,
e alla fine della piacevole serata, mentre facevamo
un po' di strada insieme per tornarcene ognuno a
casa propria, io chiesi loro: Guagliù, ma avete già
pensato a qualcosa di meraviglioso da creare? Loro
due, mezzi ubriachi, mi guardarono male, come a
dirmi: nè Signò, ma proprio adesso che stavamo
allegri ci dovevi ricordare i compiti per
l'università? E mi abbandonarono andandosene
vagamente incazzati, uno a destra e l'altro a
sinistra.
Io mi ritrovai da solo in mezzo alla piazza. Erano
le tre di notte, ma non avevo voglia di andare a
dormire. E allora mi sedetti sulla panchina di ferro
vicino alla fontanella dell'acqua fresca, e mi misi
a ragionare: cosa può essere meraviglioso? Dev'essere
qualcosa di diverso da quello che è stato già
creato. Dev'essere bello, piacevole allo sguardo e
al tatto, ma anche sensibile e delicato. Dev'essere
anche misterioso, e poi sensuale, profumato,
un'amore di creatura, insomma. A poca distanza da me
c'erano un paio di tavole di pietra ben levigate. Le
presi e, con la forza del mio dito divino, vi
scrissi sopra un bel progettino. Eccola la creatura
meravigliosa! Avrei preso di sicuro 30 e lode a
quell'esame!
La mattina dopo andai in farmacia e presi tutte le
sostanze di cui avevo bisogno per formare la mia
creatura. Tornai nel mio piccolo laboratorio
trafelato ma felice. Stavo per realizzare il mio
capolavoro! Impastai tutti gli ingredienti con
attenzione, e ne ottenni una poltiglia colorata con
la quale riempii lo stampo in argilla secca che
avevo precedentemente preparato. E sai cosa ne venne
fuori?"
Il Pibe de Oro, alias Il Signore, mi guardava tutto
circondato da una luce paradisiaca di beatitudine e
mi invitava con un gesto della mano a rispondere. Ma
io non avevo proprio idea di cosa fosse quella
creatura meravigliosa. "La televisione?", tirai a
indovinare senza troppa convinzione. "Ma no, figlio
mio, ma no. La creatura meravigliosa che venne fuori
dallo stampo fu la donna! L'essere meraviglioso!"
"Ah", risposi io cercando di mascherare un po' di
delusione. "E quando prendesti all'esame, Signore?"
"Ventuno. Ma il professore era tirato di manica,
infatti lo chiamavamo 'O Tirchione", rispose Lui
leggermente in imbarazzo.
"Vabbè", provai a sdrammatizzare io, "adesso il
guaio è fatto ed è difficile porvi rimedio. Ma cosa
c'entrava tutto questo con le zanzare?"
"E ci stavo arrivando", disse riprendendo di colpo
la Sua autorità. "Mentre raccoglievo la poltiglia
colorata per versarla nello stampo, senza
accorgermene feci cadere alcune gocce su un
preparato che avevo utilizzato qualche tempo prima
per una ricerca sulla creazione della Kazzimma. Là
per là continuai a non farci caso, tutto intento a
creare la donna. Solo dopo mi resi conto che
dall'unione del preparato per Kazzimma istantanea
con le gocce di elemento femminile erano venuti
fuori dei fastidiosissimi quanto inutili insetti.
Esattamente quelli che tu chiami zanzare".
"Quindi quelle maledette zanzare sono solo frutto di
un errore, Signore mio?"
"Esattamente. Quindi ammazzane più che puoi e non
preoccuparti, che io non mi offenderò." E il Pibe de
oro fece per andarsene, ma tutto a un tratto tornò
indietro e mi disse: "Visto che mi trovo qui tanto
vale approfittare per darti un'altra notizia: tra
quindici anni tua moglie morirà, ma non devi
preoccuparti perché non resterai solo", e si
allontanò sghignazzando. Io mi svegliai tutto
ansimante con ancora quella preoccupante risata
nelle orecchie. Non dissi niente a mia moglie del
mio allucinato e allucinante sogno, che doveva
essere senz'altro frutto dell'indigestione da pizza
con le cozze unita all'odore penetrante e nocivo
dello zampirone e tenevo sempre acceso vicino al mio
comodino per cercare un minimo di difesa dagli
attacchi inveterati e vituperabili delle zanzare.
Il problema è che dopo circa quindici anni da quel
sogno mia moglie morì davvero, investita da un'auto
che viaggiava a velocità folle contromano in un
vicolo. La guidava un pregiudicato pluriomicida, che
stava andando al santuario della Madonna per donarLe
un exvoto che riportava la seguente dicitura:
"Indulto 2006. P.G.R."
E proprio come il mio sogno profetizzava, non sono
rimasto solo. Infatti mia suocera, nonostante un
polmone artificiale, il catarro cronico, il diabete
galoppante e il morbo di Alzheimer che le ha quasi
consumato del tutto il cervello, è ancora viva e ho
deciso di prendermene cura. Ufficialmente perché le
voglio bene, in realtà perché me la intendo di
nascosto con quella gran fica della sua infermiera
polacca.
"E le zanzare", vi chiederete, "che fine hanno
fatto?"
Quando mi capita di vederne una mi ricordo
improvvisamente di mia moglie, della nostra vacanza
nella villetta in collina, e dello strano sogno che
avevo fatto, in cui Dio era venuto a spiegarmi come
aveva creato le zanzare per errore, e mi prende una
sorta di strana e dolce malinconia. E allora mi
avvicino delicatamente al muro dove si è posata la
zanzara, fino quasi a poterla sfiorare con le dita,
la guardo con le lacrime agli occhi, sospiro
profondamente, e poi mi levo rapidamente la ciabatta
e schiaccio la zanzara con tutta la forza che ho.
Maledette zanzare!
|
|
|