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Intervista a Enrica Zunic

Ci sono tanti modi per raccontare l’irraccontabile, per raccontare la tortura. Enrica Zunic ha cercato di farlo... a cura di Massimo Acciai

...che tu sia per me il coltello (Kafka e le avventure del pensiero)

Intervista a Mario Ajazzi Mancini... a cura di Monica Pintucci e Massimo Acciai

Narrativa

Schizocosmia... di Francesco Felici
Il paesaggio... di Andrea Cantucci
Fiore senza petali... di Miklós Rödzsjer
Lettera sommossa dell’amato consumato... di Monica Pintucci

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Daniela Adamo, Maria Chiara, Andrea Cantucci, Lorenzo Carpentiero, Francesco Felici, Altèro Lupo, Marco Saya

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici, in una lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie in lingua esperanto, volapük, ungherese, napoletano

Aforismi

Massime... a cura di Lorenzo Carpentiero

 

 

 

 

Narrativa


Il paesaggio

di Andrea Cantucci

Entro nella mia stanza da bagno. La stanchezza che mi sento addosso mi impedisce di osservare con il minimo interesse le cose che mi circondano. Sento solo il bisogno di lasciarmi alle spalle tutta la fatica, lo stress e i pensieri della giornata. Con un gesto meccanico, mi chino sulla vasca e apro il rubinetto. Metto la mano sotto il getto d’acqua per provarne la temperatura. Regolo il rubinetto finché l’acqua che ne esce non è tiepida al punto giusto. Fisso l’acqua che riempie lentamente la vasca e intanto comincio a togliermi gli abiti di dosso, sforzandomi di non pensare più a nulla. Le mie mani si muovono senza nessuna intenzione particolare, come quelle di uno zombie, mentre spogliano il mio corpo dai vestiti che lo ricoprono, uno per uno, e li lasciano cadere sul pavimento senza curarsene più.

Quando il mio corpo è completamente nudo, resto in piedi davanti alla vasca e guardo l’acqua che continua a salire, guardo le onde provocate dal getto del rubinetto sulla sua superficie, guardo il bordo dell’acqua che si solleva lentamente lungo le pareti lisce della vasca. Come in risposta ad una abituale consuetudine, decido che il livello è salito abbastanza ed alzo la mano per chiudere il rubinetto. Anche la semplice azione di chiudere l’acqua mi costa fatica e mi sembra che duri moltissimo tempo. Tutto ciò a cui penso è il getto d’acqua davanti a me, che si riduce pian piano mentre chiudo il rubinetto, finché ne restano solo poche gocce che cadono e poi più nulla. Le onde prodotte dalle ultime gocce sulla superficie dell’acqua scompaiono di fronte a me e nello stesso tempo anche la mia mente si acquieta completamente, rimanendo vuota, tersa e limpida, come l’acqua immobile della vasca. Percepisco il suo calore attraverso le lente nuvole di vapore che si sollevano dalla sua superficie, venendo verso di me, e mi sembra di sentire al mio interno un calore altrettanto forte che scorre nella direzione opposta. Il mio corpo, senza che la mia mente gli abbia ordinato nulla, si dirige verso l’acqua, come attratto con dolcezza da una forza irresistibile. Scavalco il bordo della vasca e mi lascio scivolare lentamente al suo interno. Mentre sento il mio corpo che si immerge sempre di più nell’acqua calda, ho la sensazione che diventi una cosa sola con essa, come se la mia parte materiale si stesse sciogliendo, dissolvendosi gradualmente nella realtà indistinta del liquido in cui mi trovo. Chiudo gli occhi e mi sembra di non percepire più niente attorno a me, tutto è buio, tutto è silenzio, anche i bordi della vasca che sono a contatto con il mio corpo sembrano farsi sempre più lontani da me, come se il volume dell’acqua si stesse espandendo e il mio io fosse semplicemente sospeso nell’infinito. Non so più dire se una parte di me è ancora al di sopra dell’acqua, o se tutto il mio corpo è immerso nel liquido che mi circonda, perché non so più distinguere dove finisco io e dove comincia il resto del mondo. Il mio calore e il calore dell’acqua sono una cosa sola e sento solo un respiro che si espande e si contrae ritmicamente, come un’onda che scorre sia dentro che fuori di me.

Non so quanto tempo è passato, quando percepisco una luce che filtra attraverso le mie palpebre e pian piano ricordo di possedere un corpo. Muovendo piano le braccia e le gambe sento lo sciabordio dell’acqua tutt’attorno a me, ma ora il mio corpo è sospeso sull’acqua e non riesco a toccare nulla di solido per quanto provi ad allargare le braccia. Apro gli occhi e vedo il sole sopra di me, che si affaccia dietro ad una nuvola, e sono costretto a strizzare gli occhi. Momentaneamente accecato, non riesco a vedere dove mi trovo. Poi giro la testa di lato e riapro gli occhi. Mentre il riverbero del sole scompare lentamente di fronte a me, vedo apparire degli alberi, le cui fronde ondeggiano piano, spinte da una brezza leggera. Cerco di alzarmi dall’acqua e i miei piedi incontrano un fondo solido sotto di me. Mi sollevo in piedi gocciolando e mi ritrovo immerso in un tratto d’acqua limpida, non troppo profonda. Vedo la riva di fronte a me a pochi metri di distanza e scorgo una rigogliosa vegetazione, con fitti cespugli che circondano la base degli alberi o che spuntano qua e là tra le rocce. Per quanto mi sforzi di guardarmi attorno non vedo anima viva. Dietro di me si estende il mare aperto, davanti a me c’è un’oasi naturale incontaminata, dove non si vede nessun segno di civiltà, né di vita animale. Ci sono solo piante mosse dal vento, rocce immobili e nubi leggere che si inseguono nel cielo. Le onde si infrangono piano sulla riva dopo aver superato il mio corpo, come sospingendomi verso il paesaggio che mi si apre davanti e di fronte al quale mi sento invadere da una sensazione di pace e di serenità.

Camminando nell’acqua, mi dirigo verso la riva e mentre il livello del fondo sale, sento il livello dell'acqua che scorre sempre più in basso, lasciando la mia pelle bagnata a contatto coi raggi del sole. Alla fine mi ritrovo a calpestare il terreno asciutto, ma non avverto nessun senso di vergogna per il fatto di essere senza vestiti, anche perché non c’è nessuno che possa vedermi. Di fronte a me, noto un gruppo di alberi che si muovono ritmicamente, come se le loro foglie seguissero il respiro del vento. Mi avvicino a loro e mi perdo ad osservare il modo in cui i rami si dividono, man mano che salgono verso l’alto, per poi andarsi a nascondere sotto le foglie che ne ricoprono la parte superiore.

Avvicinandomi ancora di più, noto le venature del legno, il modo in cui seguono il senso dei tronchi e girano attorno alle basi dei rami. Poi guardo in alto e vedo le foglie ondeggiare. Mi soffermo ad ammirare la forma di una quelle più basse e confrontandola con le altre mi rendo conto che in tutto quell’albero, e in tutti gli alberi circostanti, e in tutti gli alberi del mondo, non ne è mai esistita e non ne esisterà mai un’altra uguale.

Faccio qualche passo indietro e osservo le chiome degli alberi, vedendo come tutte quelle infinite singole foglie diverse si fondono e si amalgamano insieme all’interno di una serie di masse più ampie, in cui le loro singole forme scompaiono, ma concorrono tutte in uguale misura a definire la forma generale, che è fatta di contorni irregolari, di ombre spezzate, di segmenti frammentari che si allontanano e si sovrappongono secondo schemi apparentemente casuali.

Mi sembra di intuire che nelle forme casuali degli alberi e delle foglie sia nascosto comunque un qualche tipo di ordine, il cui significato mi sfugge, ma che ha il potere di farmi sentire in pace con il mio io e con il mondo. Riprendo ad aggirarmi lungo la riva e passando accanto ad un cespuglio ne sfioro le foglie con una mano. Ho la sensazione che il vento che le muove risponda in qualche modo al mio gesto. Chinandomi, faccio scorrere le dita lungo le sue foglie e noto il modo in cui sono collegate l’una all’altra, come se tutte nascessero da un unico punto per poi allontanarsene, andando ognuna in una direzione diversa. Mi rialzo in piedi e continuo per un po’ a fissare il cespuglio, con la sensazione che i più reconditi segreti del mondo, che filosofi e intellettuali cercano in ardite elucubrazioni, siano tutti lì, esposti in bella mostra tra le fronde della vegetazione, senza che nessuno riesca a vederli. Continuando la mia pacifica esplorazione, mi guardo intorno alla ricerca di altre forme e mi soffermo su un gruppo di rocce. Ne osservo i profili e i volumi, che sembrano essere allo stesso tempo uno e molti, come se fossero composte da blocchi o strati diversi fusi insieme nel corso di ere immemorabili. Mi dirigo verso le rocce, esplorando con lo sguardo le venature e le crepe che si aprono sulla loro superficie e quando sono giunto abbastanza vicino, comincio a percorrere con le dita le forme rigide e lisce, spigolose e ondulate che si alternano come strade, colline e vallate, sul ripido pendio di una di loro.

Mi sembra che tutto il mondo si sia improvvisamente cristallizzato in una serie di forme statiche e inamovibili, ma al tempo stesso percepisco che anche quelle forme apparentemente immobili possiedono una loro vita, anche se si svolge ad un ritmo lentissimo, misurabile in ere e non in minuti. Per un breve istante, mentre tocco la pietra, mi sembra che anche il mio corpo partecipi di quella lentissima trasformazione che modella i terreni e le montagne, come se il pianeta su cui mi trovo crescesse con me e dentro di me. Cerco di scuotermi dalle sensazioni che mi comunicano le rocce, per la paura irrazionale di non riuscire più a muovermi da dove mi trovo. Allora mi allontano e mi metto a correre e saltare in mezzo alle piante che mi circondano, giro intorno agli alberi, salto in mezzo ai cespugli, monto sopra le rocce per poi ridiscenderne con un balzo, come se stessi improvvisando una danza, al ritmo del vento e delle onde che si infrangono sul bagnasciuga. Le cose che mi appaiono davanti e che mi passano accanto mentre mi muovo mi sembrano ora delle forme sfuggenti che si muovono e si spostano armoniosamente l’una vicino all’altra, come se tutte fossero partecipi di un’unità più ampia in cui nulla è separato o isolato dal resto. Infine lascio andare il mio corpo ormai stremato e mi sdraio sulla spiaggia ansimando. Sento ora un tipo di fatica completamente diverso da quella di prima, che mi fa provare piacere anziché stress, come se stessi partecipando alla vita della realtà che mi circonda, in un modo naturale e spontaneo. Guardando in alto vedo delle nuvole che si muovono e si trasformano pian piano. Mi sembra che si muovano solo ora che sto fermo, mentre prima, muovendomi, mi sembravano immobili e avevo la sensazione che si muovesse tutto il resto. Seguo con lo sguardo un gruppo di nubi particolare, ne osservo i contorni che si sfaldano e si ricompongono, separandosi in frammenti lungo i bordi per poi riunirsi in masse più ampie. Ne noto le curve dei contorni in alcuni punti e la linearità delle forme in altri, le sfumature un po’ più scure nella direzione opposta al sole e l’estremo candore nella parte più illuminata.

Stando immobile a terra, osservando le nuvole, ho la sensazione di disperdermi anch’io nell’aria, vagando senza una forma precisa, allora tocco il mio viso, per assicurarmi di avere ancora un corpo e mi guardo le mani, contro l’azzurro del cielo. Sento che ormai il mio respiro è tornato normale e che ha lo stesso ritmo delle onde. Mi alzo a sedere e guardo il mare, le onde che scorrono lente verso di me per poi ritrarsi, come invitandomi a seguirle. Osservo il modo in cui la spuma del mare si forma sulle creste delle onde, il modo in cui le onde danzano prima di raggiungere la spiaggia, i riflessi del sole e delle nubi che brillano e si confondono sulla superficie delle acque, seguendo l’andamento del mare, come un fluido iridescente composto da forme in costante movimento che a tratti si separano e si riuniscono, in un gioco di contrasti che si alternano e si sostituiscono l’uno all’altro. Mi rammento della sensazione di pace e di calore che avevo provato stando in acqua e, senza sapere come, mi ritrovo in piedi, che cammino verso il mare. Appena giungo abbastanza vicino, un’onda mi lambisce i piedi e, nonostante il sole che continua risplendere, mi stupisco che l’acqua sia così calda. Continuo a camminare e, mentre mi immergo tra le onde, posso vedere più da vicino i loro riflessi e i loro giochi di luce, le "ombre" e le "luci" che le compongono, i toni di colore che cambiano dalle diverse angolazioni, il loro ingrandirsi mentre mi vengono incontro, il modo in cui infittiscono in lontananza.

Una volta che l’acqua mi arriva alla vita, mi volto e do’ un ultimo sguardo al paesaggio che ho appena lasciato. Ora vedo di nuovo tutte le parti che lo compongono, gli alberi, i cespugli, le rocce, le nubi, le onde, come un unico insieme in cui ogni cosa concorre a creare l’armonia del tutto. Dopo averle osservate da vicino, riesco a comprendere quale contributo di varietà e diversità ogni parte riesce a portare all’insieme, grazie alle particolarità della sua natura. Resto a guardare il paesaggio complessivo per qualche secondo, cercando di assaporarlo e fissarlo nella memoria. Poi mi sdraio di nuovo a galleggiare sulla superficie del mare e di nuovo i raggi del sole mi costringono a chiudere gli occhi. Resto lì a respirare al ritmo delle onde, con il mio corpo che ondeggia al ritmo del mio respiro e il mio respiro che si confonde con quello del mare. Rilasso di nuovo ogni parte del mio corpo e ben presto mi dimentico di possederlo. Mi sembra di essere solo un respiro che non so più a chi appartiene. Non so più se sono una persona o qualcosa di più vasto, se sono dentro il mondo o se il mondo è dentro me. Pian piano le onde che mi cullano si fanno sempre più lente e anche il mio respiro si fa più lento, ampio e profondo. Ho la sensazione di attraversare un misterioso stato dell’esistenza in cui non esistono pensieri, forme o limitazioni.

Improvvisamente mi accorgo che le onde del mare non ci sono più. Non c’è più il vento. Non c’è più il calore del sole sulla pelle. Sento solo il mio respiro, che aumenta di nuovo. Sento lo spazio attorno a me che in qualche modo si comprime, qualcosa di solido che mi circonda, la sensazione di avere ancora un peso. Sento che ho un corpo e che il mio corpo affonda. Sento la schiena che sfiora il fondo liscio di qualcosa. Muovo le braccia e sento il bordo della vasca attorno a me. Mi aggrappo ai bordi, mi tiro su e apro gli occhi. Sono di nuovo nel mio bagno. Vedo gli oggetti che ho intorno come se fossero davvero lì e mi sento cosciente della forma, della sostanza e dello spazio che occupa ognuno di loro, di come il loro volume interagisce con il mio all’interno della stanza. Sento l’acqua che danza attorno al mio corpo mentre mi muovo. Mi alzo in piedi ed esco dalla vasca. Poi, senza curarmi di sgocciolare dappertutto, senza pensare a rivestirmi, corro alla finestra e sbircio fuori. Con lo sguardo cerco degli alberi, dei monti in lontananza, il bianco delle nubi contro il cielo, e guardando fuori, appena intorno a casa mia, mi accorgo di vedere delle cose che non avevo mai veduto prima

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