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Intervista a Enrica Zunic

Ci sono tanti modi per raccontare l’irraccontabile, per raccontare la tortura. Enrica Zunic ha cercato di farlo... a cura di Massimo Acciai

...che tu sia per me il coltello (Kafka e le avventure del pensiero)

Intervista a Mario Ajazzi Mancini... a cura di Monica Pintucci e Massimo Acciai

Narrativa

Schizocosmia... di Francesco Felici
Il paesaggio... di Andrea Cantucci
Fiore senza petali... di Miklós Rödzsjer
Lettera sommossa dell’amato consumato... di Monica Pintucci

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Daniela Adamo, Maria Chiara, Andrea Cantucci, Lorenzo Carpentiero, Francesco Felici, Altèro Lupo, Marco Saya

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici, in una lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie in lingua esperanto, volapük, ungherese, napoletano

Aforismi

Massime... a cura di Lorenzo Carpentiero

Narrativa

Alla MaGia sfumata in letame.
Alle persone normali.
Alle vie traverse.
A chi si chiama fuori.
A chi ci tiene ma non può.


Lettera sommossa dell’amato consumato

(I’m sorry. Fuck you very much.)
di Monica Pintucci

Ai senescenti genitori della Pazza Carnefice. Dall’Amato Consunto ma viaggiante.


Parigi, 24 agosto 2003
Mi spiace disturbare e entrare nella vostra vita in questo modo, ma la situazione è davvero seria. Non so cosa sappiate della vita di Ana, di ciò che le sta succedendo e che le è accaduto in passato. Io non molto, negli ultimi tempi, e solo in modo indiretto, ma credo sia giusto che siate almeno a conoscenza di alcune cose.

Ana sta male, da tempo, purtroppo, e non è un segreto. Da prima di conoscermi, da molto prima… Quando l’ho conosciuta, più di tre anni fa, nel luglio del 2000, c’era un tipo di Torino – un certo Massimo, mi pare – che la ossessionava, non la lasciava in pace. Lui era sposato e la trattava male – questo almeno mi diceva Ana. Si erano lasciati, o qualcosa del genere. Ana era già stata in ospedale, e non una sola volta. Credo si fosse intossicata con dei farmaci. Quando l’ho conosciuta, a luglio, era in ripresa e mi sembrava avesse tanta voglia di vivere e stare bene. Ci siamo messi insieme, ma lei era molto incerta, insicura, forse per la storia precedente, forse per le temute reazioni della madre… chissà? Da subito le ho voluto molto bene, lo si capiva chiaramente, ve ne sarete accorti anche voi! Però c’era qualcosa in Ana che non andava, un certo “male oscuro” che continuava a imporle di inghiottire contemporaneamente tante tante medicine, pasticche. Spesso la trovavo addormentata. Spesso l’ho dovuta togliere dagli impicci in situazioni difficili che non avrebbe saputo gestire da sola. Situazioni difficili, credetemi, in cui veniva a trovarsi per la sua natura eccessivamente mansueta, per la sua incapacità di dire no. L’ho aiutata a uscirne, e voi non immaginate quanto sia stato difficile, ma purtroppo continuava a stare male con sé stessa, ad avere sfiducia, a mancare di autostima. Ana si è sentita sempre trascurata in famiglia a causa del fratello, che – sembra – fosse più bisognoso di cure, di attenzioni. O così mi diceva mentendo o fantasticando, per chissà quale motivo… Certo sentiva il vostro affetto. Ma lei era comunque quella che doveva “cavarsela da sola”. Ana ha un cervello notevole. Ce l’ha fatta, nonostante tutto, è andata avanti. Si è laureata brillantemente! Ma sempre con una sotterranea depressione… Durante l’anno in cui le sono stato accanto, più volte l’ho trovata priva di sensi per le pasticche che assumeva sempre in quantità eccessiva. Sono stato malissimo. E corse dal medico e al pronto soccorso e in farmacia (il carbone attivo!)… Di questo problema siete ormai ben consapevoli, purtroppo. Mi sono sentito inadeguato, pur stando con me la sua dipendenza dai farmaci persisteva. Ho pensato che non ero abbastanza, che non mi amasse e via di seguito. L’ho anche più volte accompagnata da psichiatri e psicologi differenti, ma i miglioramenti sono sempre stati minimi. Alla fine non ce l’ho fatta più a vederla ridotta in quello stato. O forse, semplicemente, come accade, quello che era il mio innamoramento è finito. Le ho detto la cosa in tutta sincerità e onestà. Le ho detto che sarebbe stato meglio chiudere un rapporto di quel tipo, mantenendo al limite, per il momento, un legame di amicizia. Ma Ana non ha mai accettato la cosa. Ci è rimasta molto male e ha iniziato a riversare – così credo – tutti i suoi problemi su questa frattura e così è iniziata la sua ossessione. Era il settembre del 2001. Io non l’ho abbandonata a sé stessa. Se ben ricordate, cercavo di aiutarla, di darle fiducia – o almeno, questo credevo di fare. Le ho comprato anche il computer portatile per scrivere la tesi, tanto le volevo bene! E potendo avrei fatto altro ancora. Ma il punto è che non potevo, non potevo darle quello che mi chiedeva allora: tornare insieme. Ho cercato di sparire per non farla soffrire, ma ha continuato a cercarmi, a farmi sentire quanto stava male. Una volta addirittura mi ha promesso che avrebbe smesso di fumare pur di riavermi. Diceva che dovevo darle un’altra possibilità, che non mi sarei pentito. Mi viene da piangere a pensarci, alla sua dolcezza, alla sua “ingenuità”… Ma come potevo fare una cosa che non sentivo, al momento? Potevo ingannarla? Dovevo? Le ho consigliato di accettare i lavori in Inghilterra che le venivano proposti, ma non voleva saperne. Telefonava spesso a casa mia, anche a ore “impossibili”. Voleva sapere della mia vita, del mio lavoro, se avevo un’altra donna… Quando poi ho effettivamente iniziato una nuova relazione, Ana ha perso definitivamente il controllo. Ma cosa potevo fare, io? Ho gioito quando mi ha detto che stava per iniziare una convivenza. Non mi sembrava però così felice. Mi sembrava quasi lo facesse un po’ per ripicca nei miei confronti, e un po’ per andarsene di casa, dove non poteva e riusciva più a vivere. Bene, anche in questa nuova situazione l’ossessione non si è estinta, tutt’altro, è peggiorata. E non so cosa abbia detto a questa persona con cui viveva, ad ogni modo anche lui ha iniziato a minacciarmi. Dopo aver volontariamente creato un bel casino con persone che non c’entravano niente (amici comuni), aver reso tutto più difficile per tutti, Ana ha ripreso a cercarmi. Ho dovuto cambiare la scheda del cellulare e andare a vivere altrove, perché anche in casa la situazione era divenuta insostenibile, con i miei genitori svegliati alle ore più assurde nel cuore della notte. Nessuno però le ha mai detto una parola cattiva o l’ha minacciata. Io, e anche i miei genitori, vogliamo bene a Ana: nessuno si sognerebbe di farle del male in risposta al suo malessere. Adesso però la situazione, nonostante la mia assenza totale, è – se possibile – ancora peggiorata.

Alle disperate richieste d’aiuto fattemi giungere, mentre ero in ferie, da una persona che conosce entrambi – si trattava per la precisione del messaggio “O mi chiami subito o mi uccido, tanto non ho niente da perdere e so come si fa…”, ovviamente non ho chiamato, e quando mi ha fatto telefonare dall’ospedale l’ho trattata, giustamente, malissimo – si sono aggiunte le minacce di morte da parte del convivente di Ana, persona che nemmeno conosco. Solo una volta ci ho parlato, aveva strappato il cellulare dalla mano di lei, e da quello che ha detto sinceramente non mi è sembrata una persona normale: completamente stravolto già in quell’occasione, minacciò me e la mia famiglia di “farci sparire”! Ho poi saputo, sempre per vie traverse, che la persona in questione è effettivamente violenta e, con buona probabilità, nemmeno tanto sana di mente. Mi risulta che più di una volta abbia picchiato Ana. E mi risulta che voi ne siate a conoscenza.

È venuto il momento che ognuno si assuma le proprie responsabilità. Voi dovete proteggere Ana. Aiutarla. E possibilmente toglierle di torno quella persona che la sta esasperando e le sta rendendo la vita ancor più difficile. Chiedetelo a lei se le cose stanno così. Mi è stato detto che anche il medico dell'ospedale le ha suggerito questa soluzione. Io non voglio male a nessuno, ma non posso tollerare di essere minacciato! Ho quindi intenzione di sporgere denuncia alla polizia per le ripetute minacce che, tra l’altro, non sono state indirizzate solo a me, ma anche ai miei cari, e alla persona che in questo periodo ha fatto da tramite tra me e Ana. La stessa persona che a luglio, l’ultima volta che Ana è stata in ospedale, le ha fatto visita ogni santo giorno, sempre con un regalino, sempre con un sorriso. Le vuole bene, questo è certo. Se poi hanno litigato, come accade tra amici, è un problema loro, non certo del convivente di Ana.

Credo però che stia a voi in primo luogo difendere Ana. Perché permettete che venga picchiata e non denunciate la cosa? Se le succede qualcosa, come pensate di agire, dopo? Credete che se questo pazzo si avventa su di me o su Ana o su di voi…, all’improvviso, e succede qualcosa di grave, non avremo tutti la vita rovinata per sempre?
Spero facciate uso cosciente di questa lettera. Io sono completamente fuori da tutto. Non vedo Ana da mesi. Quanti? Non saprei, una decina almeno, l’ultima volta ci siamo incontrati per caso a un concerto senza scambiarci una parola.

Io le ho detto che smetta di pensare a me. So che è ossessionata. Ma – sono parole sue – non è per mia colpa, né per mio merito. Semplicemente sta male. Molto male. Se i medici ritenessero necessario un mio aiuto – anche se credo di essere proprio l’unica persona che non può in nessun modo aiutare Ana -, potrei forse anche collaborare, perché a lei ci tengo. Ma solo a condizione di non avere questo fiato sul collo e di non ricevere messaggi e insulti.

Credo seriamente che dobbiate fare qualcosa, prima che sia troppo tardi. E non trascurate, oltre alla violenza del suo compagno, anche le minacce di suicidio di Ana!

Io ho fiducia che Ana, con la sua intelligenza, possa uscire da questa situazione. Ma ha bisogno di aiuto e conforto, non di violenza - né di indifferenza.

Vi prego, agite da genitori.

Sinceramente preoccupato,

G.

(Applauso.)

Ana fu in seguito ospitata – o, forse, garbatamente reclusa – in un luogo finto e senza internet. Discretamente appartato. Grottescamente popolato.
Implorò la pietosa, senescente madre di intercedere presso l’altrettanto attempata genitrice di lui per ottenere una – sola – telefonata. Lui – troppo sensibile e viaggiante, incapace di comprendere l’atrocità di quella forzata stasi fisica e emotiva – non la fece mai.

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