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Intervista a Enrica Zunic
Ci sono tanti modi per raccontare l’irraccontabile,
per raccontare la tortura. Enrica Zunic ha cercato di farlo...
a cura di Massimo Acciai
...che tu sia per me il coltello (Kafka e le avventure del pensiero)
Narrativa
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici, in una lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza... poesie in lingua esperanto, volapük, ungherese, napoletano
Aforismi
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Narrativa
Alla MaGia
sfumata in letame.
Alle persone normali.
Alle vie traverse.
A chi si chiama fuori.
A chi ci tiene ma non può.
Lettera sommossa dell’amato
consumato
(I’m sorry.
Fuck you very much.)
di Monica Pintucci
Ai senescenti genitori della Pazza Carnefice.
Dall’Amato Consunto ma viaggiante.
Parigi, 24 agosto 2003
Mi spiace disturbare e entrare nella vostra vita in questo
modo, ma la situazione è davvero seria. Non so cosa
sappiate della vita di Ana, di ciò che le sta succedendo
e che le è accaduto in passato. Io non molto, negli
ultimi tempi, e solo in modo indiretto, ma credo sia giusto
che siate almeno a conoscenza di alcune cose.
Ana sta male, da tempo, purtroppo, e non
è un segreto. Da prima di conoscermi, da molto prima…
Quando l’ho conosciuta, più di tre anni fa, nel
luglio del 2000, c’era un tipo di Torino – un
certo Massimo, mi pare – che la ossessionava, non la
lasciava in pace. Lui era sposato e la trattava male –
questo almeno mi diceva Ana. Si erano lasciati, o qualcosa
del genere. Ana era già stata in ospedale, e non una
sola volta. Credo si fosse intossicata con dei farmaci. Quando
l’ho conosciuta, a luglio, era in ripresa e mi sembrava
avesse tanta voglia di vivere e stare bene. Ci siamo messi
insieme, ma lei era molto incerta, insicura, forse per la
storia precedente, forse per le temute reazioni della madre…
chissà? Da subito le ho voluto molto bene, lo si capiva
chiaramente, ve ne sarete accorti anche voi! Però c’era
qualcosa in Ana che non andava, un certo “male oscuro”
che continuava a imporle di inghiottire contemporaneamente
tante tante medicine, pasticche. Spesso la trovavo addormentata.
Spesso l’ho dovuta togliere dagli impicci in situazioni
difficili che non avrebbe saputo gestire da sola. Situazioni
difficili, credetemi, in cui veniva a trovarsi per la sua
natura eccessivamente mansueta, per la sua incapacità
di dire no. L’ho aiutata a uscirne, e voi non immaginate
quanto sia stato difficile, ma purtroppo continuava a stare
male con sé stessa, ad avere sfiducia, a mancare di
autostima. Ana si è sentita sempre trascurata in famiglia
a causa del fratello, che – sembra – fosse più
bisognoso di cure, di attenzioni. O così mi diceva
mentendo o fantasticando, per chissà quale motivo…
Certo sentiva il vostro affetto. Ma lei era comunque quella
che doveva “cavarsela da sola”. Ana ha un cervello
notevole. Ce l’ha fatta, nonostante tutto, è
andata avanti. Si è laureata brillantemente! Ma sempre
con una sotterranea depressione… Durante l’anno
in cui le sono stato accanto, più volte l’ho
trovata priva di sensi per le pasticche che assumeva sempre
in quantità eccessiva. Sono stato malissimo. E corse
dal medico e al pronto soccorso e in farmacia (il carbone
attivo!)… Di questo problema siete ormai ben consapevoli,
purtroppo. Mi sono sentito inadeguato, pur stando con me la
sua dipendenza dai farmaci persisteva. Ho pensato che non
ero abbastanza, che non mi amasse e via di seguito. L’ho
anche più volte accompagnata da psichiatri e psicologi
differenti, ma i miglioramenti sono sempre stati minimi. Alla
fine non ce l’ho fatta più a vederla ridotta
in quello stato. O forse, semplicemente, come accade, quello
che era il mio innamoramento è finito. Le ho detto
la cosa in tutta sincerità e onestà. Le ho detto
che sarebbe stato meglio chiudere un rapporto di quel tipo,
mantenendo al limite, per il momento, un legame di amicizia.
Ma Ana non ha mai accettato la cosa. Ci è rimasta molto
male e ha iniziato a riversare – così credo –
tutti i suoi problemi su questa frattura e così è
iniziata la sua ossessione. Era il settembre del 2001. Io
non l’ho abbandonata a sé stessa. Se ben ricordate,
cercavo di aiutarla, di darle fiducia – o almeno, questo
credevo di fare. Le ho comprato anche il computer portatile
per scrivere la tesi, tanto le volevo bene! E potendo avrei
fatto altro ancora. Ma il punto è che non potevo, non
potevo darle quello che mi chiedeva allora: tornare insieme.
Ho cercato di sparire per non farla soffrire, ma ha continuato
a cercarmi, a farmi sentire quanto stava male. Una volta addirittura
mi ha promesso che avrebbe smesso di fumare pur di riavermi.
Diceva che dovevo darle un’altra possibilità,
che non mi sarei pentito. Mi viene da piangere a pensarci,
alla sua dolcezza, alla sua “ingenuità”…
Ma come potevo fare una cosa che non sentivo, al momento?
Potevo ingannarla? Dovevo? Le ho consigliato di accettare
i lavori in Inghilterra che le venivano proposti, ma non voleva
saperne. Telefonava spesso a casa mia, anche a ore “impossibili”.
Voleva sapere della mia vita, del mio lavoro, se avevo un’altra
donna… Quando poi ho effettivamente iniziato una nuova
relazione, Ana ha perso definitivamente il controllo. Ma cosa
potevo fare, io? Ho gioito quando mi ha detto che stava per
iniziare una convivenza. Non mi sembrava però così
felice. Mi sembrava quasi lo facesse un po’ per ripicca
nei miei confronti, e un po’ per andarsene di casa,
dove non poteva e riusciva più a vivere. Bene, anche
in questa nuova situazione l’ossessione non si è
estinta, tutt’altro, è peggiorata. E non so cosa
abbia detto a questa persona con cui viveva, ad ogni modo
anche lui ha iniziato a minacciarmi. Dopo aver volontariamente
creato un bel casino con persone che non c’entravano
niente (amici comuni), aver reso tutto più difficile
per tutti, Ana ha ripreso a cercarmi. Ho dovuto cambiare la
scheda del cellulare e andare a vivere altrove, perché
anche in casa la situazione era divenuta insostenibile, con
i miei genitori svegliati alle ore più assurde nel
cuore della notte. Nessuno però le ha mai detto una
parola cattiva o l’ha minacciata. Io, e anche i miei
genitori, vogliamo bene a Ana: nessuno si sognerebbe di farle
del male in risposta al suo malessere. Adesso però
la situazione, nonostante la mia assenza totale, è
– se possibile – ancora peggiorata.
Alle disperate richieste d’aiuto fattemi
giungere, mentre ero in ferie, da una persona che conosce
entrambi – si trattava per la precisione del messaggio
“O mi chiami subito o mi uccido, tanto non ho niente
da perdere e so come si fa…”, ovviamente non ho
chiamato, e quando mi ha fatto telefonare dall’ospedale
l’ho trattata, giustamente, malissimo – si sono
aggiunte le minacce di morte da parte del convivente di Ana,
persona che nemmeno conosco. Solo una volta ci ho parlato,
aveva strappato il cellulare dalla mano di lei, e da quello
che ha detto sinceramente non mi è sembrata una persona
normale: completamente stravolto già in quell’occasione,
minacciò me e la mia famiglia di “farci sparire”!
Ho poi saputo, sempre per vie traverse, che la persona in
questione è effettivamente violenta e, con buona probabilità,
nemmeno tanto sana di mente. Mi risulta che più di
una volta abbia picchiato Ana. E mi risulta che voi ne siate
a conoscenza.
È venuto il momento che ognuno si
assuma le proprie responsabilità. Voi dovete proteggere
Ana. Aiutarla. E possibilmente toglierle di torno quella persona
che la sta esasperando e le sta rendendo la vita ancor più
difficile. Chiedetelo a lei se le cose stanno così.
Mi è stato detto che anche il medico dell'ospedale
le ha suggerito questa soluzione. Io non voglio male a nessuno,
ma non posso tollerare di essere minacciato! Ho quindi intenzione
di sporgere denuncia alla polizia per le ripetute minacce
che, tra l’altro, non sono state indirizzate solo a
me, ma anche ai miei cari, e alla persona che in questo periodo
ha fatto da tramite tra me e Ana. La stessa persona che a
luglio, l’ultima volta che Ana è stata in ospedale,
le ha fatto visita ogni santo giorno, sempre con un regalino,
sempre con un sorriso. Le vuole bene, questo è certo.
Se poi hanno litigato, come accade tra amici, è un
problema loro, non certo del convivente di Ana.
Credo però che stia a voi in primo
luogo difendere Ana. Perché permettete che venga picchiata
e non denunciate la cosa? Se le succede qualcosa, come pensate
di agire, dopo? Credete che se questo pazzo si avventa su
di me o su Ana o su di voi…, all’improvviso, e
succede qualcosa di grave, non avremo tutti la vita rovinata
per sempre?
Spero facciate uso cosciente di questa lettera. Io sono completamente
fuori da tutto. Non vedo Ana da mesi. Quanti? Non saprei,
una decina almeno, l’ultima volta ci siamo incontrati
per caso a un concerto senza scambiarci una parola.
Io le ho detto che smetta di pensare a me.
So che è ossessionata. Ma – sono parole sue –
non è per mia colpa, né per mio merito. Semplicemente
sta male. Molto male. Se i medici ritenessero necessario un
mio aiuto – anche se credo di essere proprio l’unica
persona che non può in nessun modo aiutare Ana -, potrei
forse anche collaborare, perché a lei ci tengo. Ma
solo a condizione di non avere questo fiato sul collo e di
non ricevere messaggi e insulti.
Credo seriamente che dobbiate fare qualcosa,
prima che sia troppo tardi. E non trascurate, oltre alla violenza
del suo compagno, anche le minacce di suicidio di Ana!
Io ho fiducia che Ana, con la sua intelligenza,
possa uscire da questa situazione. Ma ha bisogno di aiuto
e conforto, non di violenza - né di indifferenza.
Vi prego, agite da genitori.
Sinceramente preoccupato,
G.
(Applauso.)
Ana fu in seguito ospitata – o,
forse, garbatamente reclusa – in un luogo finto e senza
internet. Discretamente appartato. Grottescamente popolato.
Implorò la pietosa, senescente madre di intercedere
presso l’altrettanto attempata genitrice di lui per
ottenere una – sola – telefonata. Lui –
troppo sensibile e viaggiante, incapace di comprendere l’atrocità
di quella forzata stasi fisica e emotiva – non la fece
mai.
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