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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Elogio al
portafogli di Giuseppe Costantino
Budetta, L'uovo
di Natalia Radice,
La spia di Lorenzo Spurio,
Ho insegnato che
lontano, al di là di quei monti, c'è Firenze
di Anna Maria Volpini
Poesia italiana
Recensioni
In questo numero:
- " Mai andare a Sighet" di LMS e CVX
- "Sempre ad Est" di Massimo Acciai,
recensione di Lorenzo Spurio
- "Le stanze del cielo" di Paolo Ruffilli,
nota di Enrico Pietrangeli
- "Luna di Lenni" di Berardi Emanuele
- "Antidoti umani"di Francesco Verso
- "Il diario di Ombrallegra" di Dimitry Rufolo,
nota di Massimo Acciai
Articoli
Letteratura per la Storia
Interviste
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Alla stazione mi resi conto di
come il mondo è pericoloso. Forse è per questo che i
miei, ogni volta che viaggio, mi dicono di stare
attento. Viaggiare è come vivere. Cosi come la vita
è piena di pericoli, tentazioni e zone d'ombra, così
è per il viaggio. Mi trovavo in una sala d'attesa
della stazione aspettando un treno che mi avrebbe
condotto verso la mia città. Siccome ero arrivato in
stazione con ritardo e per di più bagnato fradicio a
causa di un improvviso acquazzone, avevo perso il
regionale delle due e ventisette. Spesso mi capitava
di perdere il treno o perché non mi ricordavo bene
l'orario di partenza con precisione o perché
giungevo alla stazione con ritardo, cosi com'era
accaduto quel giorno. Dopo aver fatto il biglietto e
averlo obliterato nell'apposita macchinetta gialla
entrai nella saletta d'attesa dato che il prossimo
treno a me utile non sarebbe arrivato prima di
quaranta minuti. La sala d'attesa era un'ampia
stanza dall'alto soffitto bianco delimitato da un
ornamento in rilievo costituito da foglie
intrecciate e piccole ghirlande. I muri della stanza
erano completamente verdi, di un verde fresco e
vibrante. Mi parve di trovarmi in una foresta. Per
un paio di volte alzai gli occhi verso quelle foglie
pietrificate per vedere se per caso si muovessero
sferzate da un lieve venticello. Ogni volta mi
accorgevo che rimanevano fisse ma la mia sensazione
di trovarmi in una foresta permaneva. Mi ero seduto
su di una panca di legno che si rivelò subito
abbastanza scomoda. Sulla stessa panca era presente
a poca distanza una suora che leggeva una rivista di
cronaca rosa e sulla panca di fronte una ragazza dal
viso cereo che reggeva tra le mani un santino
portandolo alla bocca più volte per baciarlo. La
prima cosa che mi balzò alla mente fu che quelle due
donne si fossero scambiate reciprocamente gli
oggetti che in quel momento le tenevano occupate.
Sistemai le mie valige ai piedi della panca per
evitare di intralciare il passaggio e mentre feci
questo, vidi che un omino trasandato accucciato in
un angolo della stanza era tutto intento a sbucciare
delle arance e a gustarsele. L'uomo era molto
trasandato, aveva i pantaloni logori, le sue mani
erano molto sporche e la sua nerezza era
appariscente su quel fondo di muro color verde.
Pensai che potesse trattarsi di un senza tetto che
era riuscito a raccattare qualche arancia con
qualche espediente o forse solamente facendo pena a
qualche persona più agiata. La situazione in quella
stanzetta al mio arrivo era più o meno questa: la
suora, la ragazza col santino, l'anziano e le arance
e i muri verdi.
Decisi di ammazzare il tempo leggendo un libro che
mi ero premurato di portare con me durante il
viaggio. Tuttavia mi fu molto difficile concentrarmi
forse a causa dell'andirivieni di persone che
attraversavano la saletta per raggiungere
direttamente i binari. A un certo punto decisi di
chiudere il libro e cominciai a osservare, in
maniera non vista, un gruppo di persone eterogenee
che stavano parlando e ridendo ad alta voce un po'
in un italiano stentato, un po' in altre lingue.
Cercai di definire nella mia mente la situazione e
di darne una possibile configurazione dei
personaggi, dei loro rapporti e delle loro azioni ma
mi risultò alquanto difficile. Per un attimo
m'immedesimai nella parte dello spettatore teatrale
e osservai quella recita che più che essere una
rappresentazione scenica era una misera e degradante
immagine di vita. Due uomini probabilmente dell'est
europeo tracannavano lunghe sorsate di birra e
progressivamente il loro viso acquisiva prima una
colorazione rossa per poi diventare violacea.
Bevevano e ridevano in maniera meccanica e
impressionante scambiando tra loro frasi in una
lingua a me sconosciuta e intervenendo raramente con
gli altri personaggi. Una signora, composta e
apparentemente normale, teneva sulle ginocchia un
cane di media taglia marrone e con delle macchie
bianche. Il cane era tranquillo, non si dimenava né
abbagliava ma aveva uno sguardo triste. Anche la
donna non mi parve italiana, pensai si trattasse di
una donna sudamericana perché aveva dei tratti
peculiari delle popolazione amerinde e una
carnagione color rame. Accanto a lei sedeva una
donna anch'essa sudamericana molto appariscente con
dei capelli neri molto lunghi, la bocca vistosamente
imbellettata con un rossetto lucente. Dalla distanza
nella quale mi trovavo non ero capace di cogliere al
meglio i dettagli del viso ma vedevo che era
truccata in una maniera eccessiva, esuberante e
finta. La donna sghignazzava e parlava in italiano
ma si capiva dall'accento che era sudamericana e per
di più il timbro della sua voce, duro e virile,
impressionava dinanzi alla sua bellezza venerea. La
donna aveva preso a parlare con i due uomini
dell'est. Non capivo bene cosa si dicessero dato che
a volte parlavano a bassa voce e per di più
nell'ampia sala si produceva una sorta di effetto di
rimbombo che non mi permetteva bene di udire. Poi
sghignazzate, urla e grida frenetiche, impazzite. I
due uomini offrirono alla donna la loro birra ma la
donna rispose con un Não mostrando di tenere nella
sua borsa una bottiglia di whisky o di rum, alla
quale si attaccò prendendone un sorso molto
vigoroso.
Mentre notavo che la signora con il cane non aveva
fatto praticamente una mossa da quando si era
seduta, un signore entrò nella sala d'attesa e si
sedette a poca distanza da me. Come me aveva
iniziato a leggere per trascorrere il tempo in modo
utile ma poco dopo gli schiamazzi, le urla, le
parolacce e le bestemmie di quel gruppo cominciarono
a minare la sua concentrazione. Chiuse il libro e
mostrandosi insofferente di fronte a quella
situazione mi disse che non era possibile che uno
spazio pubblico come la stazione ospitasse gente di
quel genere. Gli feci una sorta di cenno col capo
come per assentire alla sua dichiarazione, senza
aggiungere neppure una parola. Notai che poco dopo
riprovò a immergersi nella sua lettura ma nel giro
di una manciata di secondi fu interrotto nuovamente.
La donna, o quella che fino a quel momento avevo
ritenuto essere una donna, aveva urlato a quei due
uomini dell'est che si chiamava Tatiana e che era
una transessuale. Poi si erano sentiti altre urla e
risate, una bottiglia di birra vuota cadere per
terra, parolacce ed ingiurie contro gli italiani. A
quel punto vidi l'uomo vicino a me riporre il suo
libro nel suo zaino, alzarsi e andar via dalla
saletta.
Dopo appena due o tre minuti nella saletta entrarono
due agenti della polizia ferroviaria e due addetti
delle ferrovie e si diressero verso il gruppo
chiassoso e deviato. Notai che dietro di loro
seguiva l'uomo che prima mi era seduto vicino e
capii che era stato lui a chiamare la polizia. Era
stato una spia. Capii che la trama inscenata da quei
personaggi avrebbe virato verso una conclusione
anticipata e negativa a causa della spia. Pur
prendendo le distanze da quel mondo degradato e
sofferente mi ero coinvolto molto nei loro discorsi,
nelle loro mosse e li osservavo da fuori come se
stessero recitando. Tuttavia non avevo previsto che
anche l'uomo vicino a me, che leggeva sulla panca,
era un personaggio di quella recita. Era il
personaggio che inscenava la spia.
Poi vidi che gli agenti chiedevano i documenti a
quelle persone mentre uno dei due uomini dell'est,
forse ubriaco, urlava contro i poliziotti e la
transessuale che cercava di calmarlo. La signora col
cane rimaneva sempre nella postura iniziale. Mi
alzai e, con rammarico, lasciai la stanzetta perché
il treno era arrivato. In treno cercai di leggere ma
non mi riuscì. Riflettei ancora su quella scena.
Capii che nel momento in cui il signore a me vicino
mi aveva parlato rivelandomi la sua insofferenza
dinanzi a quel teatrino degradante, anche io ero
entrato nella recita a impersonificare un qualche
ruolo.
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