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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Elogio al
portafogli di Giuseppe Costantino
Budetta, L'uovo
di Natalia Radice,
La spia di Lorenzo Spurio,
Ho insegnato che
lontano, al di là di quei monti, c'è Firenze
di Anna Maria Volpini
Poesia italiana
Recensioni
In questo numero:
- " Mai andare a Sighet" di LMS e CVX
- "Sempre ad Est" di Massimo Acciai,
recensione di Lorenzo Spurio
- "Le stanze del cielo" di Paolo Ruffilli,
nota di Enrico Pietrangeli
- "Luna di Lenni" di Berardi Emanuele
- "Antidoti umani"di Francesco Verso
- "Il diario di Ombrallegra" di Dimitry Rufolo,
nota di Massimo Acciai
Articoli
Letteratura per la Storia
Interviste
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Quando poesia e filosofia
intercorrono:
Italo Testa
Italo Testa è poeta, saggista
e traduttore. Ha pubblicato la sillogeLuce d'ailanto
(in Decimo quaderno di poesia italiana, Marcos y
Marcos, 2010), l'e-book Non ero io (gammm.org,
2010), il conceptcanti ostili (Lietocolle, 2007), la
raccolta Biometrie (Manni, 2005) e il poemetto Gli
aspri inganni (Lietocolle, 2004). Sue poesie sono
state tradotte in inglese, spagnolo e tedesco.
Autore di saggi sul pensiero contemporaneo, è
co-direttore della rivista di poesia, arti e
scritture "L'Ulisse".
Lo abbiamo intervistato. Presentiamo anche alcuni
suoi testi tratti dal suo ultimo volume di versi: La
divisione della gioia, Massa,Transeuropa Edizioni,
2010.
1. Perchè la "Divisione della Gioia", che rimanda
alla liricità dei Joy Division, e quale significato
attribuire a quel termine, divisione: condivisione,
suddivisione, divisione fisica, lacerazione
interiore?
Il titolo del libro funzioni un po' come quelle
figure, di cui parla Wittgenstein nelle Ricerche,
che a seconda della nostra configurazione percettiva
possiamo vedere alternativamente come anatra o
lepre. Qualcosa di intimamente polivoco, anche nel
suo sviluppo interno, dove appunto momenti di
lacerazione e condivisione si susseguono senza
soluzione di continuità. Anche la presenza dei Joy
Division è, per così dire, a scomparsa: se non si è
sensibili a questa Gestalt, il libro può essere
letto del tutto indipendentemente dal mood e dalla
storia della band di Manchester. Ma chi è stato
segnato dal suggello di Ian Curtis, credo che da
subito inizi a sentirne l'eco profonda, come
un'atmosfera che impregna tutti i momenti del testo.
2. A quale genere ascriveresti la tua raccolta, a
quale stile, scuola ti rifai, se possiamo definirla
tale, se c'è?
Non penso si tratti di una raccolta ascrivibile
a un genere definito di poesia. Per questo, credo,
anche nella quarta di copertina la domanda viene
lasciata aperta: dialogo teatrale o romanzo in
versi? Ma si potrebbe continuare: aria o poema a
quadri? E così via. Nessuna di queste categorie
penso possa definire precisamente l'appartenenza di
questo long poem. C'e la presenza di un noi a volte
corale, e a volte duale, ma senza un preciso setting
teatrale. C'è un cantabile, su cui intervengono però
forti sprezzature, fin quando la vocalità è
cristalizzata nel mutismo del figurale. Emerge una
linea narrativa, senza che però questa prenda la
forma di un romanzo nel senso classico della
definizione dei personaggi con continuità
biografica. Vi sono più io, ma sono funzioni mobili
- prive dell'unicità irripetibile del soggetto
lirico - che varianno e si spostano, e sono spesso
riassorbite dallo sfondo corale.
3. Si definisce la tua opera cinetica, ossia
scritta come se fotografasse il passaggio continuo e
incessante di panorami e paesaggi. A questo stile
sei già abituato, avendo tu pubblicato scritti e
opere sul tema del correre, del viaggiare
incessante. Che cosa maggiormente rappresenti con
questo?
Nella Divisione la macchina da presa non è
fissa, ma in movimento, spesso portata a mano.
L'elemento cinetico delle inquadrature non è solo un
effetto di montaggio, perché il testo è stato
scritto letteralmente in itinere: camminando, in
autobus, in treno, in macchina. Questo perché per
scrivere ho bisogno di non avere una stanza tutta
per me. Devo stare in mezzo alle cose, esposto ai
luoghi e alle voci, devo vedere quello che gli altri
vedono: in moto, il mondo non è un insieme fisso di
dati, ma una successione di tratti, di scorci, e noi
tra questi.
4. C'è molto eros, sessualità più che sensualità
nelle tue poesie: cosa vuoi trasmettere attraverso
questa componente?
Non c'è un messaggio da trasmettere in poesia.
Se nel libro c'è molta sessualità, questo non è
perché io voglia attribuirvi un significato
particolare. Come se quel che diciamo in poesia si
giustificasse solo in quanto ha un significato
speciale, o in quanto simbolo di qualcos'altro.
Qualcosa del genere succede proprio nella poesia
erotica, dove la selezione esclusiva di un tema
finisce in fondo per trasfigurarlo, per farne
qualcosa d'altro. Ribalterei invece la domanda. Mi
stupirebbe molto che la sessualità, che è un aspetto
della vita di tutti, non ci fosse.
5. Perché hai scelto ambientazioni post
industriali che rieccheggiano le scenografie di un
Antonioni? Quale messaggio deriva
dall'ambientazione?
Se apriamo bene gli occhi, credo non sia
difficile percepire che noi viviamo in un'epoca
post-industriale. Il nostro paesaggio, sia quello
urbano, sia quello rurale, è letteralmente plasmato
da questo fatto. E' un paesaggio di residui, che si
aprono magari in mezzo alla città, di incolti, zone
indecise, che sempre più si manifestano non tanto
come tracce del passato, ma come premonizioni del
futuro, come relitti di ciò che deve ancora venire.
Artisti come Antonioni, o Robert Smithson, hanno
colto con lucidità visionaria questo snodo. Quanto a
me, queste ambientazioni sono quelle in cui mi son
ritrovato a vivere e a lavorare, attraversandole
quotidianamente per anni.
6. Sei filosofo e poeta: che cosa si esprime
nell'opera delle due formazioni, quanto di filosofo
e quanto di poesia e liricità si trova nell'opera?
Tutto sommato non lo so. C'è un momento di
cecità a se stessi che credo sia necessario per
potersi esprimere. L'opacità è una condizione
dell'espressione, e nessun tentativo di scioglierla
riflessivamente andrà mai a segno. Questo non
significa che non possa essere utile, illuminante o
quant'altro. Solo che è un'altra cosa, una pratica
diversa. Per certi versi viene il sospetto che sia
un tentativo di depistaggio. - come del resto si
potrebbe sostenere anche a proposito di ogni
ricostruzione ex post: anche di tutto quello che ho
detto sino ad ora. Qualcosa del genere si lascia
dire circa il rapporto tra filosofia e poesia.
7. Hai altre opere in programma, sempre dello
stesso stile, con la stessa impostazione, oppure un
genere diverso?
Sto lavorando ad alcuni testi nuovi per molti
aspetti differenti dalla Divisione. Si tratta di
sequenze, serie, sfrangiamenti di voci, in genere di
forme lunghe. Peraltro in poesia c'è per me una
sorta di coesistenza tra piani differenti, e tutto,
ovunque, torna, anche se differente.
da: Cantieri (sezione I)
romea, mattina
qui ho appreso la luce sciolta sugli scafi al
mattino
il bordo incandescente e l'anima buia dei rami,
qui ho imparato a dissipare gli occhi, la bocca, il
fiato,
a calarmi all'alba dentro a un vestito di brina,
qui ho vegliato sui fossi le canne inanimate nel
bianco
la frontalità ignara di pioppi eretti come ceri,
qui ho imparato a distinguere nel manto uniforme del
giorno
l'intonaco di case insaponate nella nebbia,
qui ho perduto nell'acqua il tuo pegno raschiato dal
cuore
e in un pomeriggio ignaro ho confuso i corpi e i
volti,
qui ho consumato gli occhi sul volto lucente del
mondo,
qui sull'argine alto mi sono inumato nel freddo.
*
Da: La divisione della gioia (sezione II)
Un luogo qualunque
…o nella luce artificiale
di un neon credere che la notte
non sia notte, il verde non scintilli
immune da ogni nostro sguardo,
le merci esposte nel silenzio
di una vetrina siano lo sfondo
del nostro tranquillo sovrastare,
del dominio saldo della specie:
e quando nelle insegne luminose
che ritmano i grani dell'asfalto
hai visto il segno certo, il richiamo
ribattuto da ogni nostro passo,
o in una vetrina, controluce
hai scorto sul ripiano le pose,
le ossa spigolose del suo corpo
segnarti senza più un riparo,
come il giorno che stesa sul letto
ti sei girata, tranquilla, e hai visto
le grate che spartivano il vetro,
e alzandoti di scatto hai detto
che non sarebbe successo niente,
che tutto era ancora intatto
e mentre ti guardavo in silenzio
sei sparita nell'angolo cieco:
allora ho visto che nulla torna,
che la fragilità ci insidia
dall'interno, dentro le giunture,
s'insinua nelle vene, riveste
la piega opaca dei discorsi,
allora, chiamandoti in disparte
a fianco del letto avrei atteso,
la pelle a toccare il marmo freddo,
che tutto fosse tornato a posto,
il braccio nascosto tra le gambe,
la luce sulle mie cosce nude,
la mano a coprirti il pube"
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