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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Elogio al
portafogli di Giuseppe Costantino
Budetta, L'uovo
di Natalia Radice,
La spia di Lorenzo Spurio,
Ho insegnato che
lontano, al di là di quei monti, c'è Firenze
di Anna Maria Volpini
Poesia italiana
Recensioni
In questo numero:
- " Mai andare a Sighet" di LMS e CVX
- "Sempre ad Est" di Massimo Acciai,
recensione di Lorenzo Spurio
- "Le stanze del cielo" di Paolo Ruffilli,
nota di Enrico Pietrangeli
- "Luna di Lenni" di Berardi Emanuele
- "Antidoti umani"di Francesco Verso
- "Il diario di Ombrallegra" di Dimitry Rufolo,
nota di Massimo Acciai
Articoli
Letteratura per la Storia
Interviste
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In occasione del compleanno del
nostro Paese
Misha
In occasione del compleanno del
nostro Paese, mi unisco alle parole di Alfonso
Gatto, che scrive: "Ci sono momenti della storia,
nei quali l'ordine morale degli uomini è così
sovvertito che la vita sembra ritrarsi da noi per
abitare altri spazi, altri luoghi. "Resistere"
significa contrastare una forza che agisce contro di
noi, che minaccia di superarci e che ci invita a
cedere. "Resistere" significa durare al limite della
nostra tenacia e della nostra pazienza fisica. È una
prova che scegliamo nell'atto di essere, un
convincimento interiore per una ragione ultima.
Bisogna resistere all'"empiria": e l'unico modo per
resistervi è lavorare perennemente per una
rivoluzione che abbia nell'uomo il suo centro, nella
conoscenza e nella riconoscenza che la storia,
ragione e dottrina, è stata portata avanti dalle
vittime: da millenni di vittime. La Resistenza cioè
non è un momento eccezionale dell'essere: essa è
all'opposto un tempo che dura, il farsi, nel tempo e
nella storia, di una coscienza comune. Mi richiamo,
a qualcosa che ancora ci sfugge e che è in noi,
riconosciamola, la coscienza di non aver pace. Ma
solo chi non ha pace può darla. La speranza ha
lunghe tenaci radici nella "resistenza" dell'uomo."
Un appello per un nuovo Risorgimento e una nuova
Liberazione contro il Regime. E' anche il discorso
tenuto a Torino il 21 aprile 2011 in occasione del
centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia
da Massimo Ottolenghi, ex partigiano classe 1915. Un
simbolo della resistenza civile che oggi, come
Stéphane Hessel in Francia, rilancia la sua
indignazione con un appassionato pamphlet,
"Ribellarsi è giusto", edito da Chiarelettere.
"Cari amici,
scusate la confidenza, ma il solo fatto che ci si
ritrovi in questa importante occasione, affollati in
questa nostra amata piazza, per ricordare insieme il
25 aprile e il centocinquantesimo anniversario
dell'Unità d'Italia, significa una comunanza di
sentire e di pensare che ci affratella in un grande
abbraccio.
Ringrazio le autorità convenute, in particolare il
nostro primo cittadino Sergio Chiamparino, per
essere qui con noi e soprattutto per aver saputo
dare un volto nuovo alla nostra città, per averle
restituito un sorriso di speranza in un periodo di
triste e penosa decadenza del nostro Paese.
Ringrazio per l'onore fattomi nel delegarmi a
parlare a voi tutti come testimone e resistente.
Spero che chi mi ha designato non abbia a pentirsi
d'aver scelto un vecchio testardo rimasto resistente
anche nell'oggi. Un democratico in servizio
permanente effettivo fino all'ultimo. Un democratico
che crede ancora nella libertà, nella giustizia,
nell'uguaglianza, nella continuità e
consequenzialità della storia; della storia che va
sempre rivisitata e tenuta presente, nella sua
perenne attualità, e che va rielaborata nella
profondità delle nostre coscienze per salvare un
futuro per i giovani.
Sento la responsabilità di parlarvi in un momento in
cui i cittadini del nostro Paese dovrebbero
riprendere in mano la situazione e per questo
occorre riandare al passato.
Il 25 aprile è il giorno che segna la fine del
furore, la fine del peggior incubo della nostra
storia.
È il giorno della resurrezione. Avrebbe dovuto
essere il momento della "Democratizzazione! e
Defascistizzazione!", secondo la parola d'ordine,
per operai e partigiani insorti, scritta nei primi
manifestini diffusi quel giorno per la città.
Pur nello svanire dei ricordi, le immagini di quei
giorni in me sono vive. Anche se non hanno più la
stessa forza delle emozioni, del lezzo di morte, del
profumo della vita ritrovata a un tempo, che si
respirava allora, dovunque tra le macerie di questa
città sofferta.
Ricordi indimenticabili:
- l'urlo che si alza alto, incontrollato, improvviso
nella notte, alle 24 del 24 aprile;
- quelle parole "Aldo dice 24x1", pronunciate dalla
voce stenta e gracchiata di un vecchio apparecchio
radio di fortuna. Il messaggio tanto atteso, in
codice, dell'insurrezione generale.
Ora toccava a noi. Poi quei brevi flash in punti
diversi della nostra città, sullo sfondo di macerie
bruciate o di bagliori sinistri nelle ore notturne:
- due panzer tedeschi sparavano d'infilata,
sferragliando per i viali della Crocetta,
distaccandosi dal quadrilatero formato intorno ai
Grandi comandi per cercare di forare l'assedio delle
fabbriche, ormai saldamente in mano agli operai,
alla periferia della città;
- un automezzo militare tedesco, sotto un palo
divelto e un groviglio di fili dell'Azienda
tramviaria con quattro corpi riversi di SS tedesche,
in fiamme all'angolo di piazza Solferino con via
Santa Teresa; spari di cecchini appiattiti tra le
macerie del Teatro Alfieri e sul tetto della casa
d'angolo di via Cernaia;
- i volti dapprima terrorizzati e poi sbalorditi e
timorosi di due militari tedeschi, da noi catturati,
ancora intenti a far bottino nella casa di un mio
familiare prima di fuggire in automobile;
- una motocicletta a fari spenti nella notte, fra
gli spari di cecchini, con Giovanni Trovati, futuro
vicedirettore de "La Stampa", alla guida per
raggiungere la tipografia in via Roma.
Soltanto il 28 mattina, dopo aspri combattimenti al
Ponte della Gran Madre e in zona Crimea, fu
possibile, alla Brigata Superga "Bruno Balbis" del
gruppo Giustizia e Libertà, proveniente da Pino,
irrompere in profondità, sino a giungere in questa
piazza, occupare il palazzo della Prefettura e
infiltrarsi in via Roma.
Sotto la Galleria San Federico un grande abbraccio:
giovani esultanti, sconvolti e stremati della
Brigata mobile di Carlo Mussa. Alla sede del
giornale Mario Andreis, Sandro Galante Garrone,
Pierdomenico Cosmo, Ettore Sisto e un tumulto di
volti amici e sconosciuti. Poi l'odore caldo del
piombo liquido delle linotype.
Fra le urla e la calca si stampava il messaggio per
la città che doveva uscire subito, il n.1 di "GL",
il nostro futuro giornale.
Solo il n. 2, di domenica 29 aprile, sarebbe stato
un vero giornale, se pur ridotto a un solo foglio,
con una grande GL al centro e due facciate fitte di
notizie di portata storica. Un giornale finalmente
libero e di tutti.
Da ogni parte correva la gente strappandosi quel
foglio dalle mani. Non occorreva una distribuzione.
In prima pagina di spalla il titolo dell'articolo di
fondo: "Rivoluzione democratica". Mentre fuori si
sparava ancora, quel foglio avrebbe portato a tutti
parole di speranza.
* * *
Da quel momento tutti tornavamo a essere liberi,
uguali, senza angosce, senza padroni. Tutti
cittadini, anziché sudditi, titolari di diritti
oltre che di doveri. Per molti poi quella
Liberazione significava la vita, il diritto a
esistere, da cose e da subumani destinati allo
sterminio, ridiventare persone, soggetti.
Per i trentamila ebrei sopravvissuti significava
recuperare vita, affetti, la propria identità, la
luce del giorno, una patria. Significava ritrovare
un letto sicuro la sera senza il terrore di essere
sorpresi nel sonno per venire umiliati, spogliati,
stuprati, eliminati o avviati ai campi di Fossoli,
di Bolzano, della Riviera di Saba, in attesa dei
forni della morte pianificata.
Per loro la vita clandestina, la ricerca di gente
amica, di un rifugio, di documenti falsi, di
salvacondotti era incominciata fin dal 1938,
dall'emanazione delle 27 Leggi razziali e delle
centinaia di ordinanze e circolari repressive;
cinque anni prima del fatidico 8 settembre, quando
la guerra si sarebbe estesa a tutti contro tutti.
Allora proprio quella rete di rifugi, di persone
amiche, di anime belle avrebbe costituito negli
ultimi lembi di patria, nelle valli, nelle campagne
e nei conventi, la prima struttura pronta ad
accogliere ricercati, prigionieri, dispersi,
sbandati in fuga dalle carceri politiche e da un
esercito in rotta abbandonato e tradito dai capi.
Fu la prima trama su cui iniziò la tessitura della
Resistenza. Uomini di tutte le provenienze, del Nord
e del Sud, diversi per estrazioni sociali,
orientamenti, formazione culturale e ideologica, se
pur spesso con dolorosi travagli, si sarebbero uniti
nell'azione contro un unico nemico.
La miglior gioventù d'Italia, come nel Risorgimento,
per amore della libertà e della giustizia avrebbe
costituito il nuovo esercito di liberazione.
E grazie ancora alla convergenza di consensi dagli
estremi opposti, dal cattolicesimo al comunismo,
uomini eccezionali di partiti diversi sarebbero poi
giunti a varare e a realizzare il grande dono della
Costituzione, le tavole istituzionali della nuova
ricostruzione. Da un fortunato coagulo di forze in
"concorde discordia", come l'ha definito Norberto
Bobbio, nacque dialetticamente il patto della nuova
convivenza civile.
Tutti finalmente sarebbero stati legittimi abitanti
di una sola casa comune le cui dimensioni sociali e
giuridiche, nazionali e internazionali, finalmente
sarebbero state ben definite con una struttura e
confini ben precisi, con un volto degno e luminoso
per un solo popolo.
Gli italiani però, seppur con questo grande dono,
non hanno saputo realizzare in concreto quello che
alla Liberazione era stato all'ordine del giorno di
operai e partigiani: la "Democratizzazione! e
Defascistizzazione!" del Paese.
La prima fu attuata solo formalmente. Molti, per
interesse e assuefazione alla illegalità, troppi per
comodo o semplice inerzia e indifferenza hanno
infatti progressivamente abdicato alla funzione di
cittadino, delegando i propri diritti, lasciando
spazio al potere di gruppi e persone tanto da
tollerare nuove disuguaglianze e limitazioni, con
lesione e ingiuria alla giustizia e alla libertà.
La seconda, la defascistizzazione, si è limitata
alla cancellazione dei vecchi simboli ma non fu
attuata, con adeguata epurazione, nei gangli del
potere. Mancò soprattutto quella revisione delle
coscienze, che ha invece radicalmente innovato la
Germania, tanto che alcuni nuovi partiti si sono
progressivamente fascistizzati al punto da aspirare
a divenire partito unico e padrone del potere, a
trasformare il Parlamento in una Camera delle
corporazioni costituita da delegati al servizio di
capi anziché degli elettori.
Della democrazia è mancata la pratica, gli strumenti
per ora ci sono ancora, ma restano inutilizzati e
quelli di controllo vengono intanto delegittimati,
sfiduciati e attaccati in guerra aperta.
Della defascistizzazione non vi è più traccia perché
ogni relitto fascista è stato recuperato per
rafforzare il potere del governo contro la giustizia
e lo Stato, a servizio di un potere padronale.
Amici e amiche, cittadini, se volete rispettare i
nostri martiri e i nostri caduti, guardatevi dal
ritorno di un regime che viene spacciato come
decisionismo, che presuppone comunque un padrone e
ovviamente la disuguaglianza e la prepotenza.
Occorre salvare lo Stato, le istituzioni e la
Costituzione.
Forse questo oggi è rivoluzionario ma occorre un
nuovo risorgimento, una nuova liberazione.
Siate anche voi partigiani!"
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