|
|
Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Elogio al
portafogli di Giuseppe Costantino
Budetta, L'uovo
di Natalia Radice,
La spia di Lorenzo Spurio,
Ho insegnato che
lontano, al di là di quei monti, c'è Firenze
di Anna Maria Volpini
Poesia italiana
Recensioni
In questo numero:
- " Mai andare a Sighet" di LMS e CVX
- "Sempre ad Est" di Massimo Acciai,
recensione di Lorenzo Spurio
- "Le stanze del cielo" di Paolo Ruffilli,
nota di Enrico Pietrangeli
- "Luna di Lenni" di Berardi Emanuele
- "Antidoti umani"di Francesco Verso
- "Il diario di Ombrallegra" di Dimitry Rufolo,
nota di Massimo Acciai
Articoli
Letteratura per la Storia
Interviste
|
|
In questo numero segnaliamo...
Esce
"Antidoti umani"di Francesco Verso nei canali web
E-book
Antidoti umani, romanzo di Francesco Verso,
vincitore del Premio Urania 2008, è disponibile in
versione eBook sul sito Kipple e sui maggiori
portali di eBook.
Ne parla Pino Cottogni:
"L'azione si svolge nel 2080 e il racconto ricorda
un poco la tematica dei romanzi di Philip K. Dick
con il suo Blade Runner per quanto riguarda
l'atmosfera cupa che si incontra all'inizio del
romanzo e qualcosa del film Nirvana di Gabriele
Salvatores, per quanto riguarda l'uso di tecnologie
avanzatissime."
E Sandro Battisti:
"Stiamo leggendo un romanzo di Science fiction con
un retroterra culturale che sa di Gibson, di
Sterling e di qualsiasi altro ammennicolo
tecnologico caro al Cyberpunk, come protesi craniali
e olodisk da inserire nel flusso cerebrale."
Antidoti Umani è risultato finalista al Premio
Urania nel 2008 ed è uscito originariamente per la
Giovane Holden Edizioni. Questa edizione Kipple,
nella collana eAvatar è rivista e migliorata.
http://www.kipple.it/
* * *
"Mai
andare a Sighet!"
LMS e CVX
Edizioni Segreti di Pulcinella, 2011
Questo libro è composto da 31 pezzi diversissimi: è
disordinato come pochi. Portate pazienza.
È stato scritto da 28 persone di tutta Italia e di
tutte le risme che non si sono sentite prima, è
pieno di racconti, riflessioni, poesie, abbecedari,
saggi, memorie, rimpianti, arrabbiature; è una
testimonianza, un ricordo, un sogno, un modo di
vivere diverso.
Racconta quel che fanno quelli della Lega
Missionaria Studenti che pagano per andare a
lavorare.
È un punto fermo di 12 anni di lavoro matto e
disperatissimo.
È un esempio di cooperazione profonda con una
sperduta cittadina rumena (Sighet).
È un modello di sviluppo economico che perfino
talvolta funziona.
È un investimento in termini di esperienza
(rilassante come le vacanze al mare).
È rivolto a chi è in cerca e non gli basta la vita
così come viene.
È adatto ai giovani e ancor più a chi giovane non è:
smettono di dire banalità.
È un momento di discussione, di incontro, di scontro
con chi sa già tutto.
In definitiva, questo libro è pericoloso perché fa
pensare. Dopo, si rischia di vedere le cose in modo
diverso e certe cose di prima non piacciono più.
Interrompete la lettura del libro quanto più spesso.
Se vi appassiona nascondetelo e pensate ad altro. E,
se vi riesce, non andate mai a Sighet. Dio ci scampi
dalla Lega Missionaria Studenti!
* * *
Un viaggio verso Oriente
Recensione al romanzo Sempre ad Est di
Massimo Acciai, di prossima uscita presso Faligi
Editore (www.faligi.eu)
Che cos'è un surypanta? E' la prima domanda che il
lettore del nuovo romanzo di Acciai si fa
immergendosi nella lettura. Non ci sono
particolareggiate descrizioni di questo tipo di
animale, sappiamo che è di piccole dimensioni, che
miagola e che trova particolare piacere nell'essere
accarezzato sulla testa. Non è un gatto. E' inutile
indagare a quale animale possa avvicinarsi perché
stiamo parlando di un romanzo fantastico, quindi in
ciascun modo vi figurate questo animale, non avrete
sbagliato.
Il romanzo non è altro che la storia della ricerca
difficile e disperata dei surypanta che sono stati
rubati da un potente mago. L'intera narrazione ci
informa delle varie peripezie che l' "eroe" deve
sopportare per riappropriarsi ciò che è suo e in
questo andamento non è difficile scorgere il
canonico schema proppiano della fiaba. Siamo in
grado infatti di individuare almeno sei delle
trentuno unità fondamentali dello schema compositivo
proppiano : 1. la situazione iniziale ( [i] ), 2.
l'allontanamento (e), 3. la partenza ( ), 4. la
presenza del donatore o aiutante magico (D), 5. la
lotta (L), 6. la vittoria (V). La conclusione del
romanzo non è però affidata alle canoniche funzioni
del ritorno dell'eroe nella sua terra ( ) o delle
nozze finali (N), ma andiamo per gradi.
Il recente romanzo di Acciai, Sempre ad est, è una
narrazione affascinante che ci fa viaggiare
attraverso terre intricate ed oscure, ricche di
mistero e sulle quali domina la magia nera di un
potente mago noto come il Raccoglitore. Per sfidare
questo potente wizard che con le sue doti oscure è
riuscito a rubare tutti i surypanta della zona ci
vengono narrate le gesta di Hynreck che, più che un
valoroso guerriero, ci viene presentato come un
viandante sfortunato, inetto e particolarmente
istintivo, "una di quelle persone che si arrabbiano
due volte la seconda per essersi arrabbiati" (53).
Nella sua vorticosa ricerca del suo surypanta Saj,
Hynreck è accompagnato dal cavallo Frumgar che,
diversamente da quanto ci si aspetterebbe, non è un
cavallo parlante.
L'impresa particolarmente ardua prenderà una piega
diversa nel momento in cui Hynreck incontrerà Sara,
una ragazza che è stata appena depredata del suo
esemplare di surypanta. L'iniziale divinazione del
mago buono Sering e la conoscenza degli oracoli da
parte di Sara permetterà alla coppia fortuita di
trovare la fortezza dove risiede il potente mago
Raccoglitore. Così Hynreck, Sara e Linda, un'altra
donna che Hynreck inizialmente credeva implicata nel
furto dei surypanta, si imbarcano su una grande nave
diretta al piccolo porto di Ladymirail, dall'altra
parte dell'oceano vivendo momenti di panico per le
condizioni sfavorevoli del mare. Ma la storia non è
aliena a colpi di scena: nella tormentata rotta in
mare infatti Hynreck crede che il capitano sia il
padre del ragazzino che ha precedentemente ucciso
per legittima difesa. Così, nella notte i tre
fuggono su di una scialuppa approdando all'isola di
Falbroth.
L'isola ha una lunga storia alle spalle e si trova
praticamente divisa in due parti che rispondono a
due diverse dominazioni, ha due città-capoluogo, due
porti, due popoli e la cosa curiosa è che ha anche
una dimensione sotterranea, un mondo sommerso
altrettanto vitale e attivo. L'altra parte
dell'isola invece, che risponde alla città di Perio,
si è sviluppata in maniera completamente opposta: ci
sono dei palazzi molto alti come dei grattacieli che
si stagliano verso l'alto, pensati per sopperire
alla limitata superficie di quella metà dell'isola.
Acciai è un maestro nel generare una sorta di
spaesamento che deriva dal cambio improvviso degli
spazi (città, bosco, osteria, nave, città
sotterranea) e questo contribuisce ad accrescere un
senso di claustrofobia che incrementa quella
suspense che nella storia è sempre mantenuta. Dopo
alterne vicende lo sfortunato trio riesce ad
arrivare alla fortezza di metallo nella quale vive
il mago Raccoglitore dove seguono una serie di
duelli a spada. Inizialmente la sorte è sfavorevole
a Hynreck che pure rimane ferito ma poi i tre
riescono ad uccidere il potente mago e a mettere in
salvo centinaia di surypanta, tra cui quelli loro.
Nella storia ci sono le premesse anche per la
nascita di un amore che invece non si svilupperà e
nell'epilogo del romanzo, Acciai sembra voler dare
una nuova grande svolta alla storia parlandoci di
navicelle spaziali e di colonizzazione della
galassia, temi che non possono non farci pensare
all'ampia produzione fantascientica di Asimov.
Se da una parte alcuni nomi dei protagonisti ci
richiamano personaggi anglosassoni leggendari (Hynreck,
Hykrion, Hydorn fanno pensare a Hygelac e a Hydg,
rispettivamente re e regina dei Geati nel poema
epico Beowulf) i nomi delle donne, Linda e Sara,
richiamano invece direttamente un'origine tutta
mediterranea. Gran parte dei toponimi sono
anglicizzati pensati forse per darci l'idea di
trovarci in territori leggendari scandinavi o
tipicamente tolkieniani. Il toponimo di Gaweeck,
città d'origine di Hynreck, fa pensare per assonanza
a Gatwick, piccolissima città del Surrey e il nome
di un importante aeroporto londinese. Il nome del
cavallo, Frumgar, è un chiaro riferimento ad uno dei
personaggi di Tolkien, quarto Lord di Éothéod,
nipote di Forthwini mentre il mago Sering fa molto
pensare a un druido, al simpatico e sbadato Merlino
e addirittura al celeberrimo Albus Silente della
saga di Harry Potter. In ciascun caso è un mago
buono che fornisce all'eroe gli strumenti necessari
per vincere e per guarirsi nei momenti in cui viene
ferito.
Acciai fonde sapientemente in questo romanzo gesta
epiche, fantasiosi scenari folklorici nordici, ed
elementi chiaramente favolistici che creano
un'atmosfera affascinante e curiosa, così com'è
nell'avventuroso e asfittico viaggio per mare di
Hynreck, Linda e Sara. Sono molti e improvvisi i
momenti epifanici che contribuiscono a sostenere
l'intere gesta narrate e a rendere questo viaggio
intricato e pericoloso un percorso surreale ma che
vorremmo non finisse mai. Un percorso tutto
indirizzato verso est.
Lorenzo Spurio
30-04-2011
lorenzo.spurio@alice.it
www.blogletteratura.wordpress.com
* * *
Paolo
Ruffilli
Le stanze del cielo
Marsilio - 2008 - 12,00 Euro
Cantico dei drogati di De Andrè riconduce ad un
Sessantotto poetico e altrettanto tragico, che già
sbirciava negli anni a venire del decennio
rivoluzionario e, non a caso, finisce invocando: "tu
che m'ascolti/insegnami un alfabeto che
sia/differente da quello/della mia vigliaccheria".
Un coraggio orfano d'ideali, esperienza comunque
condivisa passando attraverso una forte etica
ribelle, talmente determinata che dell'impatto resta
tuttora l'eco della moltitudine di sensibilità
perdute lungo quella strada. "Perché non hanno
fatto/delle grandi pattumiere/per i giorni già
usati/per queste ed altre sere" è l'utopia
nichilista per taluni evoluta in illusione
assassina, ma che tuttavia spinse a pensare e a
confrontarsi per un mondo migliore. Dall'emarginato
visionario scoppiato di un tempo c'è l'evoluzione
all'integrato imploso d'oggigiorno, la
tossicodipendenza che si distingue e paradossalmente
contrappone da quella di allora per un vuoto imposto
a priori nel ripiegamento su se stessi, in un
atteggiamento anaffettivo ed equivoco all'origine, a
partire dall'assenza di riferimenti. Trovo questa
premessa debita per attualizzare il lavoro di
Ruffilli come pure per evidenziare una rispettiva
collocazione anagrafica che, per forza di cose, non
può non vederlo radicato nella sua generazione. Da
questa possibile duplice lettura si percepisce
meglio, a mio parere, il tentativo del poeta di
condurci alla condizione di una degenerata
sofferenza, quella dei drogati. Una condizione che,
in primis, si espleta in un lungo excursus sulle
prigioni, tra "grate e cancelli" dove "fortezze
scure", un tempo "sedi del potere", "per uno scherzo
del destino" accolgono "rifiuti dell'umanità".
Ruffilli resta consapevole che un altro tossicomane
in carcere produrrà, se non un'ulteriore morte
precoce, un altro delinquente indotto: "La prima
notte/qui in prigione,/insieme a ladri/e
protettori". Senza indugi apre subito denunciando
quella vecchia, consunta ipocrisia per cui "si fa il
possibile/per questa gente", fintanto da non
risparmiare più avanti l'ancor più odioso luogo
comune per cui le "prigioni sono alberghi/in cui
passare una vacanza". Rilevate alcune tinte poetiche
prossime a Lee Masters nel suo versificare sincopato
e prosastico, dove denuda il tossico per quel che è,
coi suoi "occhi di vetro", "miscela
incandescente/nella nostalgia", "mania di
tutto/sublime e cupa all'infinito/di felicità da
consumare" con "mani fredde","viscide di miele/senza
miele" "della vita, ormai, disidratato". Si descrive
anche l'astinenza: "convulso e ansante/membra
muscoli/giunture labbra e fronte,/tutto tremante" e
i fantasmi della mente nelle "notti insonni", parole
che "cominciano a strisciare/più viscide dei vermi".
Accattivante lo "scivolare/nel bicchiere/o dentro la
mia tazza/sciolto nel sapore/del caffé", disilluso
trasognare quel che non è stato con quanto più a
portata di mano. "Sentimenti/in fuga contrastante"
compaiono come "orrido male lancinante/di stare soli
e nudi/con se stessi", apertura al vuoto più celato,
anche da un presunto benessere omologato, poiché la
vita necessita di un'emotività compiuta. L'impegno
civile viene più direttamente esternato chiedendosi
"che significa punire?/E' un patto: si arriva/a
giudicare il fatto,/non la persona. Testimoniati
anche "farmaci", "gocce" e tutt''altra "roba/che
gira nel girone/della gabbia". Nella seconda parte
che demarca il libro (La sete, il desiderio) c'è la
anamnesi, memoria della presunta colpa anteposta al
carcere. "Non fu curiosità/e non fu noia" "i passi
ignoti/del mio precipitare", "odore di un
odore/eterno/in piena fioritura/su cui di
colpo/precipita l'inverno". Un'eroina che "si ficca
dentro il corpo/mettendoci radici" e che è ben resa
opportuna nella metafora di un'amante negativa, che
"ti svuota/fino in fondo al sangue/nell'interiorità
delle interiora". E visto che l'amore, di per sé,
sviluppa endorfine e dipendenze, si comprende infine
meglio la maledizione del vuoto di questi tempi.
Nota di
Enrico Pietrangeli
* * *
Titolo:
Luna di Lenni
Autore: Berardi Emanuele
Editore: Round Robin Editrice
Collana: Parole in viaggio
Data di Pubblicazione: Febbraio 2011
ISBN: 8895731212
ISBN-13: 9788895731216
Pagine: 232
Reparto: Narrativa italiana
Da bambino le nuvole correvano giocando a nascondino
tra le vette dei palazzi. Ve le ricordate le nuvole?
Si sfilacciavano, dissolvevano e ricomponevano senza
alcuna regola precisa. Erano brevi quei momenti, poi
tutto finiva oltre lo spigolo del cornicione, delle
antenne, dei comignoli e si tornava alla tangibilità
delle cose ordinarie; un trenino, una bicicletta, un
mattone posato sulla malta, assestato con un colpo
di spatola.
Come sarebbe stato il resto di quel gioco, di quell'inseguimento,
di quello spettacolo pirotecnico alla luce del sole
(o di notte, quando a risplendere è la luna) se non
ci fossero stati tanti palazzi? Se il cielo,
insomma, fosse stato più grande?
Domande sorte in una località di campagna fuori
Bologna. Un cielo immenso, un orizzonte difficile da
abbracciare e un occhio impreparato ad uno
spettacolo del genere. Lui è Lenni, il personaggio
centrale romanzo, lo stesso che da ragazzino
trascorreva intere giornale appiccicato ai vetri
della finestra ad osservare il cemento crescere e
dominare come un mostro l'intera città.
Roma in questo racconto non è poi diversa dalle
migliaia di città sparse per il mondo; piena di
gente, infestata da milioni di parassiti in simbiosi
con quella creatura abominevole. Lenni è quel
bimbetto che la sera andava a letto preoccupato per
il disastro di Chernobyl. Un ragazzo, Lenni, che
quando cresce lo fa insieme agli amici del
quartiere. Poi l'università, l'impegno politico, la
militanza, la voglia di spaccare tutto (teste di
poliziotti comprese) perché stavolta non ci sono
vuoti da colmare, visto che gli spazi sono già tutti
pieni. Un cielo basso, un orizzonte corto. Voglia di
evadere. Lenni si mette in testa che le strade sono
le vene di quel mostro infetto, e che le auto, le
persone e qualsiasi "manufatto" facciano
concretamente parte dell'architettura di quel corpo.
Incontra gente che la pensa come lui, scrivono
queste ipotesi su un giornale autoprodotto. Non
smette mai di confidarsi con la sua migliore amica,
quella luna che da lassù continua a spiarlo. La
storia è pregna di musica punk, tipi svitati, vecchi
film di fantascienza e storie esilaranti. Ma non
mancano paure angosce e visioni distorte. Siamo in
tarda adolescenza (Lenni non userebbe mai il termine
giovinezza, troppo fascista) e questa è la storia di
un gruppo di amici che viaggiano insieme. Sembra una
chiacchierata tra tipi mezzi brilli in un pub, un
botta e risposta tra sfigati prima di un esame,
pensieri assurdi con i polsi legati durante un fermo
di polizia. Il romanzo s'intitola Luna di Lenni, c'è
pure un cane, Cipo; un bastardino, pazzo, mezzo
anarchico pure lui e inselvatichito, che si muove
tra il cemento cittadino come un sopravvissuto di
una civiltà ormai scomparsa.
L'autore invece si chiama Emanuele Berardi, ma
nessuno ne sa niente, allora siamo stati costretti a
copiare qualche informazione dal sito della casa
editrice, la romana Round Robin.
"Emanuele Berardi è nato a Roma nel 1977. Laureato
in Biologia vive e lavora come ricercatore in
Belgio. Luna di Lenni è il suo primo romanzo".
* * *
"Il diario di Ombrallegra" di Dimitry Rufolo
Editrice Zona, 2009
Dimitry Rufolo sembra inconsciamente sposare
quel Romanzo senza parole che Paul Verlaine
suggeriva alla poesia per ritrovare il silenzio
ineffabile, dopo ebbrezze e tristezze della vita.
Così anche l'autore chiude gli occhi e aspetta
la levitazione sensoriale:
Spengo la vista e l'udito/
e sono parte dell'orizzonte/
un fotogramma di altri pensieri.
Quello che si può dire ad un diario, avviene da
quell'altra parte di noi stessi che continua a
pronunciare quanto l'esistenza proponga sempre un
senso alla nostra vita: "Existere" è un esercizio
nudo e crudo, che si impara molto lontano dai versi
e dalla poesia. Ciascuno di noi lo deve apprendere
da solo, quando siamo tra "Il frigorifero ed il
cielo". L'essere si sorveglia e bada alla sua
sussistenza individuale ed intanto, tenta uno
slancio comprensivo della sua essenza in cerca
d'individuazione.
"Il diario di Ombrallegra" compie questo sforzo
verso la coesione fra ego ed es, l'io e gli altri,
in una consecuzione di quadri che sono tentativi di
microsopravvivenze in progress, poiché l'autore è
soggetto stesso che mostra la sua precarietà, per
modularla e lavorarla con le parole e con versi
prosodici trasudanti dalla sua umoralità. Nel
frattempo, però non siamo più nei "pensieri a banda
larga". Le "frequenze" ora sono minime, legate a
singoli accadimenti, a situazioni
scottanti e quanto mai presenti. (Alberto Mori)
Il libro di Dimitry Rufolo cattura l'attenzione fin
dal titolo. Un diario poetico, che parla di lune,
gommisti, dilemmi, planetoidi. Poesie che passano
dal lirismo all'ironia, dall'invenzione fantastica
alla dedica amorosa. Un libretto (76 pagine) tutto
da godersi in una sana e vivace lettura.
nota di Massimo Acciai
|
|
|