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Narrativa

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi in prosa inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
Elogio al portafogli di Giuseppe Costantino Budetta, L'uovo di Natalia Radice, La spia di Lorenzo Spurio, Ho insegnato che lontano, al di là di quei monti, c'è Firenze di Anna Maria Volpini

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Luca Baratta, Giuseppe Costantino Budetta, Giovanna Casapollo, Genoveva Dinu, Dulcinea, Alessandra Ferrari, Emanuela Ferrari, Maria Lenti, Iuri Lombardi, Francesca Lombardo Di Rosa, Roberto Mosi, Gilbert Paraschiva, Pavlina Pavlova, Paolo Ragni

Recensioni

In questo numero:
- " Mai andare a Sighet" di LMS e CVX
- "Sempre ad Est" di Massimo Acciai, recensione di Lorenzo Spurio
- "Le stanze del cielo" di Paolo Ruffilli, nota di Enrico Pietrangeli
- "Luna di Lenni" di Berardi Emanuele
- "Antidoti umani"di Francesco Verso
- "Il diario di Ombrallegra" di Dimitry Rufolo, nota di Massimo Acciai

Articoli

La poesia itinerante va in bicicletta tra storia e wi-fi con diario multimediale
di Enrico Pietrangeli
Argo: una rivista di esploratori del testo transgender
di Alessandro Rizzo
In occasione del compleanno del nostro Paese
di Misha
Napoli piange la morte di Gino Maringola, ultimo grande rappresentante di una grande scuola di teatro
di Alessandro Pellino

Letteratura per la Storia

Corride e letteratura - Llanto por Ignacio Sanchéz Mejias
di Lorenzo Spurio

Interviste

Intervista a Iuri Lombardi
A cura di Massimo Acciai
Quando poesia e filosofia intercorrono: Italo Testa
A cura di Alessandro Rizzo

In questo numero segnaliamo...
 


Esce "Antidoti umani"di Francesco Verso nei canali web E-book

Antidoti umani, romanzo di Francesco Verso, vincitore del Premio Urania 2008, è disponibile in versione eBook sul sito Kipple e sui maggiori portali di eBook.
Ne parla Pino Cottogni:
"L'azione si svolge nel 2080 e il racconto ricorda un poco la tematica dei romanzi di Philip K. Dick con il suo Blade Runner per quanto riguarda l'atmosfera cupa che si incontra all'inizio del romanzo e qualcosa del film Nirvana di Gabriele Salvatores, per quanto riguarda l'uso di tecnologie avanzatissime."
E Sandro Battisti:
"Stiamo leggendo un romanzo di Science fiction con un retroterra culturale che sa di Gibson, di Sterling e di qualsiasi altro ammennicolo tecnologico caro al Cyberpunk, come protesi craniali e olodisk da inserire nel flusso cerebrale."
Antidoti Umani è risultato finalista al Premio Urania nel 2008 ed è uscito originariamente per la Giovane Holden Edizioni. Questa edizione Kipple, nella collana eAvatar è rivista e migliorata.

http://www.kipple.it/

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"Mai andare a Sighet!"
LMS e CVX
Edizioni Segreti di Pulcinella, 2011

Questo libro è composto da 31 pezzi diversissimi: è disordinato come pochi. Portate pazienza.
È stato scritto da 28 persone di tutta Italia e di tutte le risme che non si sono sentite prima, è pieno di racconti, riflessioni, poesie, abbecedari, saggi, memorie, rimpianti, arrabbiature; è una testimonianza, un ricordo, un sogno, un modo di vivere diverso.
Racconta quel che fanno quelli della Lega Missionaria Studenti che pagano per andare a lavorare.
È un punto fermo di 12 anni di lavoro matto e disperatissimo.
È un esempio di cooperazione profonda con una sperduta cittadina rumena (Sighet).
È un modello di sviluppo economico che perfino talvolta funziona.
È un investimento in termini di esperienza (rilassante come le vacanze al mare).
È rivolto a chi è in cerca e non gli basta la vita così come viene.
È adatto ai giovani e ancor più a chi giovane non è: smettono di dire banalità.
È un momento di discussione, di incontro, di scontro con chi sa già tutto.

In definitiva, questo libro è pericoloso perché fa pensare. Dopo, si rischia di vedere le cose in modo diverso e certe cose di prima non piacciono più.
Interrompete la lettura del libro quanto più spesso. Se vi appassiona nascondetelo e pensate ad altro. E, se vi riesce, non andate mai a Sighet. Dio ci scampi dalla Lega Missionaria Studenti!

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Un viaggio verso Oriente
Recensione al romanzo Sempre ad Est di Massimo Acciai, di prossima uscita presso Faligi Editore (www.faligi.eu)

Che cos'è un surypanta? E' la prima domanda che il lettore del nuovo romanzo di Acciai si fa immergendosi nella lettura. Non ci sono particolareggiate descrizioni di questo tipo di animale, sappiamo che è di piccole dimensioni, che miagola e che trova particolare piacere nell'essere accarezzato sulla testa. Non è un gatto. E' inutile indagare a quale animale possa avvicinarsi perché stiamo parlando di un romanzo fantastico, quindi in ciascun modo vi figurate questo animale, non avrete sbagliato.
Il romanzo non è altro che la storia della ricerca difficile e disperata dei surypanta che sono stati rubati da un potente mago. L'intera narrazione ci informa delle varie peripezie che l' "eroe" deve sopportare per riappropriarsi ciò che è suo e in questo andamento non è difficile scorgere il canonico schema proppiano della fiaba. Siamo in grado infatti di individuare almeno sei delle trentuno unità fondamentali dello schema compositivo proppiano : 1. la situazione iniziale ( [i] ), 2. l'allontanamento (e), 3. la partenza ( ), 4. la presenza del donatore o aiutante magico (D), 5. la lotta (L), 6. la vittoria (V). La conclusione del romanzo non è però affidata alle canoniche funzioni del ritorno dell'eroe nella sua terra ( ) o delle nozze finali (N), ma andiamo per gradi.
Il recente romanzo di Acciai, Sempre ad est, è una narrazione affascinante che ci fa viaggiare attraverso terre intricate ed oscure, ricche di mistero e sulle quali domina la magia nera di un potente mago noto come il Raccoglitore. Per sfidare questo potente wizard che con le sue doti oscure è riuscito a rubare tutti i surypanta della zona ci vengono narrate le gesta di Hynreck che, più che un valoroso guerriero, ci viene presentato come un viandante sfortunato, inetto e particolarmente istintivo, "una di quelle persone che si arrabbiano due volte la seconda per essersi arrabbiati" (53). Nella sua vorticosa ricerca del suo surypanta Saj, Hynreck è accompagnato dal cavallo Frumgar che, diversamente da quanto ci si aspetterebbe, non è un cavallo parlante.
L'impresa particolarmente ardua prenderà una piega diversa nel momento in cui Hynreck incontrerà Sara, una ragazza che è stata appena depredata del suo esemplare di surypanta. L'iniziale divinazione del mago buono Sering e la conoscenza degli oracoli da parte di Sara permetterà alla coppia fortuita di trovare la fortezza dove risiede il potente mago Raccoglitore. Così Hynreck, Sara e Linda, un'altra donna che Hynreck inizialmente credeva implicata nel furto dei surypanta, si imbarcano su una grande nave diretta al piccolo porto di Ladymirail, dall'altra parte dell'oceano vivendo momenti di panico per le condizioni sfavorevoli del mare. Ma la storia non è aliena a colpi di scena: nella tormentata rotta in mare infatti Hynreck crede che il capitano sia il padre del ragazzino che ha precedentemente ucciso per legittima difesa. Così, nella notte i tre fuggono su di una scialuppa approdando all'isola di Falbroth.
L'isola ha una lunga storia alle spalle e si trova praticamente divisa in due parti che rispondono a due diverse dominazioni, ha due città-capoluogo, due porti, due popoli e la cosa curiosa è che ha anche una dimensione sotterranea, un mondo sommerso altrettanto vitale e attivo. L'altra parte dell'isola invece, che risponde alla città di Perio, si è sviluppata in maniera completamente opposta: ci sono dei palazzi molto alti come dei grattacieli che si stagliano verso l'alto, pensati per sopperire alla limitata superficie di quella metà dell'isola. Acciai è un maestro nel generare una sorta di spaesamento che deriva dal cambio improvviso degli spazi (città, bosco, osteria, nave, città sotterranea) e questo contribuisce ad accrescere un senso di claustrofobia che incrementa quella suspense che nella storia è sempre mantenuta. Dopo alterne vicende lo sfortunato trio riesce ad arrivare alla fortezza di metallo nella quale vive il mago Raccoglitore dove seguono una serie di duelli a spada. Inizialmente la sorte è sfavorevole a Hynreck che pure rimane ferito ma poi i tre riescono ad uccidere il potente mago e a mettere in salvo centinaia di surypanta, tra cui quelli loro.
Nella storia ci sono le premesse anche per la nascita di un amore che invece non si svilupperà e nell'epilogo del romanzo, Acciai sembra voler dare una nuova grande svolta alla storia parlandoci di navicelle spaziali e di colonizzazione della galassia, temi che non possono non farci pensare all'ampia produzione fantascientica di Asimov.
Se da una parte alcuni nomi dei protagonisti ci richiamano personaggi anglosassoni leggendari (Hynreck, Hykrion, Hydorn fanno pensare a Hygelac e a Hydg, rispettivamente re e regina dei Geati nel poema epico Beowulf) i nomi delle donne, Linda e Sara, richiamano invece direttamente un'origine tutta mediterranea. Gran parte dei toponimi sono anglicizzati pensati forse per darci l'idea di trovarci in territori leggendari scandinavi o tipicamente tolkieniani. Il toponimo di Gaweeck, città d'origine di Hynreck, fa pensare per assonanza a Gatwick, piccolissima città del Surrey e il nome di un importante aeroporto londinese. Il nome del cavallo, Frumgar, è un chiaro riferimento ad uno dei personaggi di Tolkien, quarto Lord di Éothéod, nipote di Forthwini mentre il mago Sering fa molto pensare a un druido, al simpatico e sbadato Merlino e addirittura al celeberrimo Albus Silente della saga di Harry Potter. In ciascun caso è un mago buono che fornisce all'eroe gli strumenti necessari per vincere e per guarirsi nei momenti in cui viene ferito.
Acciai fonde sapientemente in questo romanzo gesta epiche, fantasiosi scenari folklorici nordici, ed elementi chiaramente favolistici che creano un'atmosfera affascinante e curiosa, così com'è nell'avventuroso e asfittico viaggio per mare di Hynreck, Linda e Sara. Sono molti e improvvisi i momenti epifanici che contribuiscono a sostenere l'intere gesta narrate e a rendere questo viaggio intricato e pericoloso un percorso surreale ma che vorremmo non finisse mai. Un percorso tutto indirizzato verso est.

Lorenzo Spurio
30-04-2011
lorenzo.spurio@alice.it
www.blogletteratura.wordpress.com 

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Paolo Ruffilli
Le stanze del cielo
Marsilio - 2008 - 12,00 Euro


Cantico dei drogati di De Andrè riconduce ad un Sessantotto poetico e altrettanto tragico, che già sbirciava negli anni a venire del decennio rivoluzionario e, non a caso, finisce invocando: "tu che m'ascolti/insegnami un alfabeto che sia/differente da quello/della mia vigliaccheria". Un coraggio orfano d'ideali, esperienza comunque condivisa passando attraverso una forte etica ribelle, talmente determinata che dell'impatto resta tuttora l'eco della moltitudine di sensibilità perdute lungo quella strada. "Perché non hanno fatto/delle grandi pattumiere/per i giorni già usati/per queste ed altre sere" è l'utopia nichilista per taluni evoluta in illusione assassina, ma che tuttavia spinse a pensare e a confrontarsi per un mondo migliore. Dall'emarginato visionario scoppiato di un tempo c'è l'evoluzione all'integrato imploso d'oggigiorno, la tossicodipendenza che si distingue e paradossalmente contrappone da quella di allora per un vuoto imposto a priori nel ripiegamento su se stessi, in un atteggiamento anaffettivo ed equivoco all'origine, a partire dall'assenza di riferimenti. Trovo questa premessa debita per attualizzare il lavoro di Ruffilli come pure per evidenziare una rispettiva collocazione anagrafica che, per forza di cose, non può non vederlo radicato nella sua generazione. Da questa possibile duplice lettura si percepisce meglio, a mio parere, il tentativo del poeta di condurci alla condizione di una degenerata sofferenza, quella dei drogati. Una condizione che, in primis, si espleta in un lungo excursus sulle prigioni, tra "grate e cancelli" dove "fortezze scure", un tempo "sedi del potere", "per uno scherzo del destino" accolgono "rifiuti dell'umanità". Ruffilli resta consapevole che un altro tossicomane in carcere produrrà, se non un'ulteriore morte precoce, un altro delinquente indotto: "La prima notte/qui in prigione,/insieme a ladri/e protettori". Senza indugi apre subito denunciando quella vecchia, consunta ipocrisia per cui "si fa il possibile/per questa gente", fintanto da non risparmiare più avanti l'ancor più odioso luogo comune per cui le "prigioni sono alberghi/in cui passare una vacanza". Rilevate alcune tinte poetiche prossime a Lee Masters nel suo versificare sincopato e prosastico, dove denuda il tossico per quel che è, coi suoi "occhi di vetro", "miscela incandescente/nella nostalgia", "mania di tutto/sublime e cupa all'infinito/di felicità da consumare" con "mani fredde","viscide di miele/senza miele" "della vita, ormai, disidratato". Si descrive anche l'astinenza: "convulso e ansante/membra muscoli/giunture labbra e fronte,/tutto tremante" e i fantasmi della mente nelle "notti insonni", parole che "cominciano a strisciare/più viscide dei vermi". Accattivante lo "scivolare/nel bicchiere/o dentro la mia tazza/sciolto nel sapore/del caffé", disilluso trasognare quel che non è stato con quanto più a portata di mano. "Sentimenti/in fuga contrastante" compaiono come "orrido male lancinante/di stare soli e nudi/con se stessi", apertura al vuoto più celato, anche da un presunto benessere omologato, poiché la vita necessita di un'emotività compiuta. L'impegno civile viene più direttamente esternato chiedendosi "che significa punire?/E' un patto: si arriva/a giudicare il fatto,/non la persona. Testimoniati anche "farmaci", "gocce" e tutt''altra "roba/che gira nel girone/della gabbia". Nella seconda parte che demarca il libro (La sete, il desiderio) c'è la anamnesi, memoria della presunta colpa anteposta al carcere. "Non fu curiosità/e non fu noia" "i passi ignoti/del mio precipitare", "odore di un odore/eterno/in piena fioritura/su cui di colpo/precipita l'inverno". Un'eroina che "si ficca dentro il corpo/mettendoci radici" e che è ben resa opportuna nella metafora di un'amante negativa, che "ti svuota/fino in fondo al sangue/nell'interiorità delle interiora". E visto che l'amore, di per sé, sviluppa endorfine e dipendenze, si comprende infine meglio la maledizione del vuoto di questi tempi.

Nota di Enrico Pietrangeli

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Titolo: Luna di Lenni
Autore: Berardi Emanuele
Editore: Round Robin Editrice
Collana: Parole in viaggio
Data di Pubblicazione: Febbraio 2011
ISBN: 8895731212
ISBN-13: 9788895731216
Pagine: 232
Reparto: Narrativa italiana


Da bambino le nuvole correvano giocando a nascondino tra le vette dei palazzi. Ve le ricordate le nuvole? Si sfilacciavano, dissolvevano e ricomponevano senza alcuna regola precisa. Erano brevi quei momenti, poi tutto finiva oltre lo spigolo del cornicione, delle antenne, dei comignoli e si tornava alla tangibilità delle cose ordinarie; un trenino, una bicicletta, un mattone posato sulla malta, assestato con un colpo di spatola.
Come sarebbe stato il resto di quel gioco, di quell'inseguimento, di quello spettacolo pirotecnico alla luce del sole (o di notte, quando a risplendere è la luna) se non ci fossero stati tanti palazzi? Se il cielo, insomma, fosse stato più grande?
Domande sorte in una località di campagna fuori Bologna. Un cielo immenso, un orizzonte difficile da abbracciare e un occhio impreparato ad uno spettacolo del genere. Lui è Lenni, il personaggio centrale romanzo, lo stesso che da ragazzino trascorreva intere giornale appiccicato ai vetri della finestra ad osservare il cemento crescere e dominare come un mostro l'intera città.
Roma in questo racconto non è poi diversa dalle migliaia di città sparse per il mondo; piena di gente, infestata da milioni di parassiti in simbiosi con quella creatura abominevole. Lenni è quel bimbetto che la sera andava a letto preoccupato per il disastro di Chernobyl. Un ragazzo, Lenni, che quando cresce lo fa insieme agli amici del quartiere. Poi l'università, l'impegno politico, la militanza, la voglia di spaccare tutto (teste di poliziotti comprese) perché stavolta non ci sono vuoti da colmare, visto che gli spazi sono già tutti pieni. Un cielo basso, un orizzonte corto. Voglia di evadere. Lenni si mette in testa che le strade sono le vene di quel mostro infetto, e che le auto, le persone e qualsiasi "manufatto" facciano concretamente parte dell'architettura di quel corpo. Incontra gente che la pensa come lui, scrivono queste ipotesi su un giornale autoprodotto. Non smette mai di confidarsi con la sua migliore amica, quella luna che da lassù continua a spiarlo. La storia è pregna di musica punk, tipi svitati, vecchi film di fantascienza e storie esilaranti. Ma non mancano paure angosce e visioni distorte. Siamo in tarda adolescenza (Lenni non userebbe mai il termine giovinezza, troppo fascista) e questa è la storia di un gruppo di amici che viaggiano insieme. Sembra una chiacchierata tra tipi mezzi brilli in un pub, un botta e risposta tra sfigati prima di un esame, pensieri assurdi con i polsi legati durante un fermo di polizia. Il romanzo s'intitola Luna di Lenni, c'è pure un cane, Cipo; un bastardino, pazzo, mezzo anarchico pure lui e inselvatichito, che si muove tra il cemento cittadino come un sopravvissuto di una civiltà ormai scomparsa.
L'autore invece si chiama Emanuele Berardi, ma nessuno ne sa niente, allora siamo stati costretti a copiare qualche informazione dal sito della casa editrice, la romana Round Robin.
"Emanuele Berardi è nato a Roma nel 1977. Laureato in Biologia vive e lavora come ricercatore in Belgio. Luna di Lenni è il suo primo romanzo".

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"Il diario di Ombrallegra" di Dimitry Rufolo
Editrice Zona, 2009

Dimitry Rufolo sembra inconsciamente sposare
quel Romanzo senza parole che Paul Verlaine suggeriva alla poesia per ritrovare il silenzio ineffabile, dopo ebbrezze e tristezze della vita.
Così anche l'autore chiude gli occhi e aspetta
la levitazione sensoriale:
Spengo la vista e l'udito/
e sono parte dell'orizzonte/
un fotogramma di altri pensieri.

Quello che si può dire ad un diario, avviene da quell'altra parte di noi stessi che continua a pronunciare quanto l'esistenza proponga sempre un senso alla nostra vita: "Existere" è un esercizio nudo e crudo, che si impara molto lontano dai versi e dalla poesia. Ciascuno di noi lo deve apprendere da solo, quando siamo tra "Il frigorifero ed il cielo". L'essere si sorveglia e bada alla sua sussistenza individuale ed intanto, tenta uno slancio comprensivo della sua essenza in cerca d'individuazione.

"Il diario di Ombrallegra" compie questo sforzo verso la coesione fra ego ed es, l'io e gli altri, in una consecuzione di quadri che sono tentativi di microsopravvivenze in progress, poiché l'autore è soggetto stesso che mostra la sua precarietà, per modularla e lavorarla con le parole e con versi prosodici trasudanti dalla sua umoralità. Nel frattempo, però non siamo più nei "pensieri a banda larga". Le "frequenze" ora sono minime, legate a singoli accadimenti, a situazioni
scottanti e quanto mai presenti. (Alberto Mori)


Il libro di Dimitry Rufolo cattura l'attenzione fin dal titolo. Un diario poetico, che parla di lune, gommisti, dilemmi, planetoidi. Poesie che passano dal lirismo all'ironia, dall'invenzione fantastica alla dedica amorosa. Un libretto (76 pagine) tutto da godersi in una sana e vivace lettura.

nota di Massimo Acciai

 
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