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Narrativa
Poesia italiana
Poesia in lingua
Recensioni
In questo numero:
- "Sempre ad est" di Massimo Acciai,
recensione di Lorenzo Spurio
- "La metafora del giardino in letteratura" di
Lorenzo Spurio e Massimo Acciai, recensione di
Sandra Carresi
- "Diario di un Atto d'Amore" di Danilo
Bughetti
-
"Linea 429 " di Salvatore Scalisi
- "La Vita in sintesi. Aforismi" di Fiorella
Carcereri
- "Un bacio da... 10 anni" di Raffaele
Leggerini, Recensione di Sara Rota
- "Niente e' come sembra" di Tommaso Carbone
- "Le verità donate" di Annalisa Margarino
- "Labyrinthi" di autori vari
- "Attimi. Il Puzzle della vita" di Antonella
Ronzulli, recensione a cura di Lorenzo Spurio
- "Ritorno ad Ancona e altre storie" di
Lorenzo Spurio e Sandra Carresi, Recensione di
Enrica Meloni
- I Concorso Letterario Internazionale
Bilingue "Camminanti, gitani e nomadi: la
cultura itinerante"
- "Atto d'amore" di Dario Schiavoni
- "Favole crudeli" di Cristina Canovi,
recensione di Lorenzo Spurio
- "Mostri. Poveri diavoli, chimere e altre
storie" di Ivan Pozzoni, recensione di Lorenzo
Spurio
- "Sangue, sapone e camicie di forza" di
Cristina Canovi, recensione di Lorenzo Spurio
- "Le rose di Atacama", Luis Sepùlveda,
recensione di Emanuela Ferrari
- "Io e i tuoi valori" di Maria Marano
- "Borgo Propizio" di Loredana Limone, nota di
Massimo Acciai
- "Labyrinthi" a cura di Ivan Pozzoni
- "Versi introversi" di Ivan Pozzoni
- "Pensieri Minimi e massime" di Marcuccio
Emanuele
-
"The rave" di Mattia Zadra
Articoli
Interviste
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"Dottore, sono io... mi vedo;
sono Flavio De Pasquale e credo che la particella
davanti al nome abbia la sua importanza. Certo,
debbo dire che sono confuso, nauseato da mille
ricordi, più simili ad echi; da interferenze di un
vissuto lontano. Comunque mi vedo, sono io. Sono il
Commendator De Pasquale, proprietario di una azienda
alimentare con più di un migliaio di operai, padre
di famiglia di due figli, un maschio, Giovanni, e
una femmina, Noemi; residente in Brianza in una
villa a due piani con piscina e veranda, il prato
all'inglese, una villa nascosta da siepi di
oleandri, ben curata. La mia casa è bianca e la vedo
stagliarsi contro un cielo confuso di nubi, in una
giornata in cui il sole trapela filtrato da un vasto
velo grigio".
"Vede altro? Voglio dire se ricorda altre
particolarità, altri aspetti. Allo scopo
dell'indagine sarebbero importanti".
"Sì. Mi affiorano alla mente i miei operai nei
momenti di lotta, di ribellione sindacale. La mia
opposizione ferrea, irremovibile sui salari e le ore
di straordinario. Certo, credo che loro protestino
allo scopo di avere un ritocco al rialzo dei loro
salari. Ma vede, dottore, il problema non credo sia
il salario, le ore di lavoro e quelle di riposo.
Nella mia confusione di intenti, di ragionamenti e
di espressione diplomatica, se vogliamo dirla tutta,
credo che il problema reale che loro non riescono ad
esprimere nei miei confronti, sia l'esclusione dalla
storia; da quella civica intendo, collettiva. Loro
detestano a livello inconscio il loro ruolo di
subordinati al commendatore e ai suoi voleri, al
punto di capire ma non poter esprimere il dato
portante che loro sono esclusi dalla storia per una
questione di ruoli, di potere. Il potere d'altronde
determina il gioco delle parti e l'offesa più grossa
che si possa fare ad un uomo e depredarlo della
storia civile, lasciandolo nudo; in balia della
storia biografica, individuale. Infatti, credo che
frequentino i circoli ad uno scopo preciso- non
vorrei mai passare le domeniche come loro- nel fine
di combinare una unione di progetti che li renda
parte della storia. Ma ripeto; sono solo delle
pedine, dei subordinati, degli esistenti
biologicamente ma
senza coscienza. La loro coscienza è da me
sviluppata, controllata, affidata alla meccanicità
del lavoro quotidiano. Sono io che gestisco il loro
tempo, la loro storia personale. Addirittura i loro
amori apparentemente dettati dal contesto della
fabbrica".
"E quindi? Cosa vuole affermare? Si spieghi meglio".
"Voglio dire che io sono il capocomico, il loro
capocomico, e che di conseguenza la vita di ciascuno
viene elargita secondo il mio potere".
"Si rilassi. E cerchi di essere il più chiaro
possibile, altrimenti non possiamo giungere alla
conclusione dei fatti. Noi dobbiamo riuscire a
comprendere il suo malessere, le sue vertigini; la
causa del tormento che la opprime da tempo. Causa,
probabilmente, di altra natura, lontana dalle mura
aziendali...."
"Lontana e non, dottore. Perché vede il sesso, e
credo sia la cosa principale di queste trame
occulte, il protagonista del mio dramma, è
strettamente in simbiosi con il potere, con il ruolo
che io ho sia nei loro confronti, sia in quelli
della mia famiglia e della società. Sono un semideo,
se vogliamo dircela tutta, e nello scavare il tempo
(simbolicamente, di questo ne sono consapevole)
trovo che abbia istintivamente, per incoscienza,
abusato delle mie facoltà diplomatiche a scopi
egoistici. D'altronde le segretarie me le sono
scopate tutte, dico nel tempo; ogni volta che le
chiamavo ora per un ordine, ora per una semplice
firma. Le costringevo minacciandole a parole di
farmi pompini,
sotto la mia scrivania ingombra di pensieri e carte.
Anzi, a dire il vero, per piacere ai loro occhi, per
non avvertire quel senso di repulsione nel momento
dell'atto, vestivo con l'abito migliore,
generalmente blue o grigio fumo, con tanto di
gemelli ai polsi della camicia e di panciotto ben
abbottonato. Il gioco era da ragazzi: era
sufficiente che loro mi sbottonassero la cerniera e
mi cercassero tra le mie gambe. Il sopruso era
fatto. In quegli istanti non solo provavo piacere,
non solo esercitavo un abuso di potere, ma davo
sfogo al narcisismo più estremo, al punto, finito
l'atto, di abbandonarmi a fumare una sigaretta di
marca popolare. D'altronde allora avevo poco più di
quarant'anni, ero nel vigore della propria vita. E
credo, se non erro, anche se resta un problema
iconografico, anzi ne sono convinto, che anche Gesù
Cristo fosse un fumatore accanito come me. Un
fumatore a cui piaceva darsi al vizio dopo il coito
con una bella signora".
"Ma scusi se la interrompo: Cristo cosa centra in
tutto questo? Non faccio il blasfemo non ce n'è
bisogno".
"E invece sì. Vede cristo è uomo ma maestro di vita.
Quindi, ergo abbia esercitato del potere sulla
massa, sui discepoli stessi, in misura più
circoscritta sugli apostoli, i quattro maschietti,
che su di lui hanno scritto. Ed essendo un leader,
un capocomico (mi sono molto divertito in vita mia,
al punto di credere che la vita sia un sogno, una
commedia, indi per cui l'uso implicito di certi
termini), inevitabilmente era l'incarnazione di un
imprenditore italiano del nostro tempo. Una
incarnazione simbolica, in parte latente, ma una
incarnazione. Figura, indi per cui, dedita al
sopruso di
potere, a qualche bicchiere di troppo, al vizio del
sesso e del fumo. Ma ricordo altro. Quindi Cristo a
parte (detesto le iconografie più antiche, le
rappresentazioni del pischello tutto dire), credo
che la storia del mio tormento venga da lontano. Sia
più escatologica (mi perdoni se uso un certo
vocabolario in base al colore delle parole).
Gli anni del campeggio libero, i giorni della
partenza per le ferie estive, la chiusura della
fabbrica, mi rammentano un esplodere di vigore, un
sopruso di ormoni che cercavo di placare non con mia
moglie, ma con un'altra presenza femminile, che
potrebbe essere stata mia figlia Noemi. E non me ne
stupirei.
Più volte, nell'età della sua adolescenza, ho
cercato di masturbarmi in presenza di mio figlio,
immaginandomelo in un frangente di concupiscenza con
una ragazza contro un muro, in piedi. Mi masturbavo
per i colori dei suoi occhi, per i tratti somatici -
gentili come quelli degli adolescenti - e
pensavo al suo pene eretto ma sottile, molto più
piccolo del mio che sono il padre, l'imprenditore
cazzuto e prepotente. In lui, dottore, vedevo una
parte di me; il potenziale figlio a cui avrei un
domani lasciato l'impresa, la villa, il parco e
tutto il resto. Ma allora era solo mio figlio, e
dovevo piegarlo al mio dovere. E un giorno gli
chiesi apertamente se avesse avuto piacere a
masturbarsi con me. E si rifiutò. Queste cose mia
moglie non le ha mai sapute.
Mai le saprà. Comunque, la storia è ancora tutta da
svolgersi, e la rivivo, di momento in momento, come
fosse un nastro magnetico che la bobina riavvolge".
"Mi diceva di sua figlia, no? Allora continui, non
tema nessuna paura, nessun senso di colpa. Vada
avanti".
"I ricordi, le reminiscenze a questo punto si fanno
vaghe. Vaghe e si perdono in dissolvenze come in un
film, di colore verde chiaro. Il verde, sì il colore
dell'incerato del nostro carrello tenda in campeggio
al mare, forse in una vacanza con degli amici corsi.
Sta di fatto che io debbo averci provato con mia
figlia, da prima allungando la mano sulla coscia
nuda, accarezzandola
dolcemente da prima e sempre più violento sino ad
arrivare al pube. Nell'aria verde di un giorno
d'estate, supini come eravamo nell'ora più calda.
Carezze, che continuarono in apprezzamenti vari,
tutti di natura pornografica il cui eros si perdeva
tra le pieghe del tessuto del suo prendisole beige a
fiori rosa. Prendisole che feci indossare a Ioana,
la mia seconda ragioniera d'ufficio, un giorno che
la portai (con la promessa di alzarle lo stipendio
da impiegata) in un albergo ad ore della provincia
di Ascoli Piceno, durante un fine settimana. Ma con
mia figlia forse non c'è stato coito, non credo
almeno.
Ricordo che la costringevo a baciarle i seni, i
ginocchi, gli occhi, a morderle i diti dei piedi e
poi delle mani, ma non sono andato più in là; non mi
sono spinto altrove".
"Ne è sicuro. Ricordi, ricordi.... io temo che lei,
lei si nascondi, abbia voluto dimenticare qualcosa
allo scopo di non poter soffrire".
"Possibile? Certo, sarà. Io ricordo le sigarette
fumate, con il bocchino, di marca oro (quelle della
domenica), delle carezze, delle pomiciate, della
mano che violentemente le misi sulla bocca allo
scopo di non farla gridare. Ecco: era l'agosto
dell'ottantacinque. Adesso ricordo. Le cose in
fabbrica andavano bene, c'era lavoro, girava la
moneta, e spesso ero invitato ai festini che i
politici influenti di Roma facevano nelle ville dei
dintorni casa mia, oppure nella campagna laziale,
nella valle del Tevere (una delle valli più belle
d'Italia che conosca) o sulle rive dello Aniene.
Nelle loro ville lussuose, perse tra i fori romani,
tra l'erba alta dei prati incolti, in quelle
giornate di sole i cui raggi sembravano di miele.
Feste in cui si cenava con caviale, si ballava sui
parchi allestiti a giardino, si facevano incontri
sessuali.
Incontri che il più delle volte progettavo mediante
vacanze turistiche in certi paesi dell'est o del
Brasile allo scopo di alleggerire il peso dei miei
genitali. Lunghi periodi passavo all'estero in cerca
di troiette da strapazzo e forse qualcuna me la sono
portata in ufficio, in Italia, come segretaria, come
donna dei servizi. Anche se, a ricordare, e il fatto
sta nel voler ricordare, volevo aprire una azienda
anche in Brasile per puro scopo sessuale.
Scopo che non ebbi motivo di realizzare. Ma con mia
figlia Noemi, non c'è stato niente. Forse solo una
pomiciata. Però, a ricordare, a sforzarmi, seguendo
una logica metafisica, astratta, se vogliamo
leggerla tramite la lente sociologica, una solo
volta l'ho penetrata, ed è rimasta in cinta. Sì, una
sola
volta. Volevo provare piacere non tanto nel coito
(il sesso è un incontro, solo un incontro tra
parti), quanto nel farle provare l'esclusione dalla
storia civile, farle provare la violenza
dell'umiliazione, metterla definitivamente al
cospetto della sua sola identità biografica. E ci
riuscii, dissimulando con gli amici, con mia moglie,
campeggiando per giorni in quel carrello tenda che
trainai dalla Brianza sino al mare con la mia
Mercedes berlina, dai vetri oscurati. Giorni in cui
feci finta di niente, sì insomma cercai di non dare
a vedere niente di quello che successe tra me e lei,
nel vano della camera dentro la tenda".
"Rimase in cinta allora. Ecco, vede che siamo
arrivati alla causa. Lei questo lo ha cercato di
dimenticare per via dei sensi di colpa. Ma non è
tutto qui. Il bambino, il feto che fine ha fatto?"
"Abortito in Svizzera. In una clinica di alto
livello dove portai Noemi dicendo a mia moglie
Antonia che partivamo per qualche giorno di relax.
Nell'occasione affittai una villa in un paesino del
cantone francese, vicino alla clinica e in tre
giorni tutto finì. L'aborto, per fortuna, non ebbe
complicazioni di sorta e Noemi lo superò senza cenni
di turbamento. D'altronde è una ragazza forte e si
sa il sangue è sangue. Volendo o non volendo è
figlia di un imprenditore, di un uomo di potere;
l'erede donna di un impero.
Adesso comunque tutto è chiaro. Ricordo con
distanza, lontano dal patos iniziale, da quel
tremore febbricitante che mi impediva di ricordare,
il tutto.
Le feste in casa di politici influenti nella
campagna romana, nelle notti di novilunio, di luna
piena in cui la bellezza di quelle valli trapelava
da ogni dove, dai prati infiniti, da dietro i seni
molli dei poggi coltivati a vite ed olivi. Ricordo
tutto, le domeniche a casa, i momenti in giardino,
il ritrovo
con i suoceri contenti della mia escalation al
potere e alla ricchezza.
Reminescenze che mi vedono innamorato di me stesso
al punto di farmi i miei figli, le mie dipendenti in
quanto riflesso di ciò che sono. E' come, alla fine
dei conti, mi guardassi allo specchio. E' la fine.
Dottore, credo che adesso sappia la verità, e sono e
mi sento leggero come una farfalla che vola lieta
nei prati lambita da un sole mite. Mi sento un
altro, non più in preda a certe
febbri del demone che crebbe in me. Sento di essere
un altro uomo, senza più potere, senza la coscienza
della storia civile (fatta sempre dai vincitori e
mai dai vinti) , un uomo solo un uomo consapevole
della propria biografia.
Adesso, solo adesso, che lei mi ha dato opportunità
di guarire, di fuoriuscire da l'ottica dell'odio e
del potere, capisco cosa si prova ad essere
emarginato, vinto, abbattuto; subordinato ad una
forza ignota e imperdonabile, se non addirittura
criminale per il semplice fatto di inscenare un
ruolo di potere".
"Quindi adesso si sente libero da ogni peso?"
"Certo. E per dimostrarlo a me stesso, ai miei
figli, devo rimettere alla loro coscienza, alla loro
intelligenza, la stima che hanno o potrebbero avere
nei miei confronti. Insomma, debbo rivedere un po'
di cose, rimettermi in discussione. E non solo con
loro, con mia moglie, ma con i miei dipendenti, i
miei operai. Adesso che so, solo adesso posso
prendere coscienza del mondo,
della vita. Vivere il mio ruolo il più serenamente
possibile, senza tanti preamboli di sorta, senza
l'ausilio di interrogativi strategici o di mercato.
Quasi quasi, avendo rivissuto il sogno perverso,
l'incubo di tanti anni, posso ridimensionare il mio
ruolo di commendatore, di uomo di stra-potere, di
apogeo e di fortunato. Posso tornare ad essere un
uomo senza alibi e senza moventi. In piena libertà,
in quella libertà che non ho mai conosciuto e che
credevo (fortemente convinto qual ero) si
concentrasse nel vigore e nella potenza.
Adesso posso fumare, senza tanti problemi, senza
preconcetti (il pregiudizio è sempre è solo una
azione mancata), senza fingermi un Cristo per
esercitare il mio ruolo nei vari contesti della mia
vita. Adesso, dimenticandomi, o meglio accettando
senza rassegnazione alcuna il criminale che ero.
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