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Narrativa

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi in prosa inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
Posti fissi in amministrazione pubblica di Giuseppe C. Budetta, Stralcio da "Quella Notte" di Luisa Bolleri, Bugia d'amore di Fiorella Carcereri, Coraggio e viltà di Fiorella Carcereri, Donna Pinocchio di Fiorella Carcereri, Reminiscenze latenti di Iuri Lombardi, La bocca del trapasso. Storie di gallerie di Nicolò Maccapan, L'assenza del mazzo di Lorenzo Spurio

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Andrea Cantucci, Monica Fantaci, Alessandra Ferrari, Emanuela Ferrari, Iuri Lombardi, Simona Marchini, Luca Mori, Gilbert Paraschiva, Nazario Pardini, Ivan Pozzoni, Dunia Sardi, Francesco Vico, Michela Zanarella

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Pierangela Castagnetta, Aurelian Sorin Dumitrescu, Codruta Dragotescu, Marius Viorel Girada, Manuela Léa Orita, Ioana Livia Stefan

Recensioni

In questo numero:
- "Sempre ad est" di Massimo Acciai, recensione di Lorenzo Spurio
- "La metafora del giardino in letteratura" di Lorenzo Spurio e Massimo Acciai, recensione di Sandra Carresi
- "Diario di un Atto d'Amore" di Danilo Bughetti
- "Linea 429 " di Salvatore Scalisi
- "La Vita in sintesi. Aforismi" di Fiorella Carcereri
- "Un bacio da... 10 anni" di Raffaele Leggerini, Recensione di Sara Rota
- "Niente e' come sembra" di Tommaso Carbone
- "Le verità donate" di Annalisa Margarino
- "Labyrinthi" di autori vari
- "Attimi. Il Puzzle della vita" di Antonella Ronzulli, recensione a cura di Lorenzo Spurio
- "Ritorno ad Ancona e altre storie" di Lorenzo Spurio e Sandra Carresi, Recensione di Enrica Meloni
- I Concorso Letterario Internazionale Bilingue "Camminanti, gitani e nomadi: la cultura itinerante"
- "Atto d'amore" di Dario Schiavoni
- "Favole crudeli" di Cristina Canovi, recensione di Lorenzo Spurio
- "Mostri. Poveri diavoli, chimere e altre storie" di Ivan Pozzoni, recensione di Lorenzo Spurio
- "Sangue, sapone e camicie di forza" di Cristina Canovi, recensione di Lorenzo Spurio
- "Le rose di Atacama", Luis Sepùlveda, recensione di Emanuela Ferrari
- "Io e i tuoi valori" di Maria Marano
- "Borgo Propizio" di Loredana Limone, nota di Massimo Acciai
- "Labyrinthi" a cura di Ivan Pozzoni
- "Versi introversi" di Ivan Pozzoni
- "Pensieri Minimi e massime" di Marcuccio Emanuele
- "The rave" di Mattia Zadra 

Articoli

Lewis Carroll: crisi di un artista o doppia realtà allo specchio?
di Flavia Pacini
Che cos'è oggi la letteratura?
di Iuri Lombardi

Interviste

Intervista ad Antropoetico, Autore di Asimmetrico
a cura di Lorenzo Spurio
Intervista A Mario Di Nicola, Autore Di 310307
A cura di Lorenzo Spurio
Intervista a Danilo Bughetti, autore del Romanzo breve "Diario di un atto d'amore"
A cura di Antonella Pedicelli
La poesia come passione e come gioco: intervista a Simona Marchini
A cura di Alessandro Rizzo
Intervista a Loredana Limone, autrice di "Borgo Propizio"
A cura di Massimo Acciai

La bocca del trapasso. Storie di gallerie
 

Nicolò Maccapan
 

Ero un verginello smarrito che, andando alla scuola di musica, si era imbattuto in qualche cosa di troppo grande per lui. Camminavo aspettando.
La strada per il conservatorio era così lunga e noiosa. La serpe si congiungeva a qualche ponte, a qualche albero in fiore e niente più. Di questi tempi però di fiori ce n'erano pochi. L'autunno incombeva veloce e divorava la passione degli amanti, lasciando qualche avanzo qua e là, qualche tulipano ingiallito.
Dovevo andare dalla campagna alla periferia. Viaggiavo a piedi, solo.
Ero ancora macchiato di mattina, anche se, un'oretta prima, avevo provato a ripulirmi da quello strano crepuscolo viscido delle lenzuola. Ero già stanco. Una lunga giornata m'aspettava.
Il mio violino si faceva pesante allo stridere della tracolla che seghettava il mio colletto maldi-sposto.
Il profumo dei concimi stava scomparendo. I palazzi si facevano alti fino alle nubi, in un cielo abbastanza grigio da nascondere la cittadina che abitava sul colle poco più avanti. Qualche camino sbuffava di già, eiaculando come pipa d'un anziano con acciacchi, anche se c'era ancora quel caldo che fa sudare nelle passeggiate. Gli uccellini pigolavano il mio arrivo ormai da due ore passate, e iniziava, tutto ciò, ad infastidirmi.
Dovevo tenere l'esame oggi. Era pratico. Mi ero esercitato gran poco e pronto proprio non lo ero.
Calpestavo delle foglie marroni di tanto in tanto. La strada suonava il suo concerto con qualche camioncino, il rombo di cuore di macchina e i clacson, che mi dicevano di stare un poco più in là. Più mi spossavo più m'arrampicavo sul colle. Iniziavano ad esserci alberelli ai cigli e al centro, delimitando le carreggiate. Dovevo attraversare la strada. Quei lievi rumori iniziavano a farsi più vivi, sinceri. Le automobili mi facevano notare quello che pensavano di me, ignorandomi o schernendomi da lontano. Sono un verginello, ho pensato. Un verginello che deve tenere salda tra le mani la pratica e superare una strada e un esame. Non avevo ancora incontrato nessuno se non qualche ricco moro in giacca, e ora una sgualdrina che, a vederla, sentivo un disgusto nell'orrore che mi faceva eccitare e desiderare di possedere le sue carnose guance e le grasse cosce.
Le macchine brucavano l'asfalto. Avrei voluto fosse inverno. Gliel'avrebbe fatta pagare a questi sciocchi sciagurati. Il freddo che tormenta le sali sulle strade, e affanna i viaggiatori, ormai così egoisti. Il ciliegio del mio giardino, che ne soffre, della neve e dell'inverno. La possibilità di ascoltare il silenzio delle foglie cadute e scomparse, delle api e di noi, distesi su un marciapiede ghiacciato, con il respiro affannato, in quel lugubre passionale gioco d'avere un monte come capo. L'inverno...
Una possente voce: "Ci metteremo parecchio ad attraversare questa strada, tutto è più grande ora… che abbiamo vinto la guerra."
Quella donna mi stava parlando, io risposi stremato: "Già... c'è molto traffico, è l'unica strada, è ovvio che sia così."
Pensavo tra me e me, certo che tutto è più grande, basta guardarti per capire che questo posto non soffre più la fame. Quella sottospecie di informe creatura dialogava con me, puzzavo. Puzzavo iracondo all'odiare la sua fasulla pancia gravida, nel desiderare il suo affetto materno, passionale, delle carezze dolci, delle tozze e sporche dita tra i miei capelli. Mi svestivo di me, alla prova. Di tanto in tanto ponevo un piedino in avanti cercando sicurezza, ma avevo troppa paura d'essere travolto. Seguivo con la testa l'andare delle persone nelle loro auto, fiere per la loro leggenda personale. Anch'io ho da fare, cosa credete!
Iniziava ogni tanto un forte vento che mi spingeva e trascinava, al passare di grossi mezzi che mi scompigliavano i capelli, mi spettinavano per il mio esame. Stringevo forte le mani in pugni venosi e spaventati. L'altro lato della strada era più tranquillo, vi passavano meno auto. Forse è il destino che vuole farmi arrivare in ritardo o forse sono io che devo cercare di farmi forza e cambiare il corso della strada, quel fiume che mi possiede nella deriva di non saper nuotare. Osare tanto, non l'avevo mai fatto. Dovevo sperare che qualcuno nel vedermi balzare sull'asfalto mi facesse posto, porgendomi un po' di sé, magari frenando un poco. In fondo qualcuno poteva anche farlo, ero un musicista e a tutti piace la musica. Sì, sempre che riescano a sentirla.
Disperso e impaurito mi depredavo del mio coraggio, intonando a me stesso, ogni tanto, delle strane parole sotto gemiti acuti. Quel vociferare dei pazzi che tanto hanno da perdere quanto io nell'attraversare una strada e far vedere a tutti quanto poco sono bravo con il mio violino.
Socchiusi gli occhi. Pensavo ai miei dolori e ai miei problemi, al non accettarmi in questo mondo.
Per un attimo il grigio del cielo rischiarì d'un arcobaleno bianco, sublime, in una nebbia di stelle smarrite senza dimora. E se mi comprassi una macchina? Forse per il traffico ci metterei di più ad arrivare al conservatorio ma almeno non mi sentirei un verme schiacciato ad ogni affanno dei copertoni. Chissà perché a me piace camminare. Forse non ho fatto l'amore perché non mi sono ancora mescolato al brodo dei guidatori.
Non vedevo niente. Mi sentivo più sicuro con gli occhi chiusi nel buio dei miei ricordi e tristi rancori. Mi piaceva parecchio quella ragazza… Sofia, anzi Sophie. Ci baciavamo ogni primavera. La accarezzavo sul volto. Danzavamo tra i fiori degli alberi dei campi che, rosa e bianchi, si univano al soffiare veloce del nostro correrci contro, con le mani spalancate e le braccia al cielo, toccando delicati i bulbi, che cadevano su di noi come applausi, e riso, nell'unione verso Dio. L'emozione che mi donavi... quanto mi sentivo amato in questo mondo crudele. Poi siamo diventati grandi, poi… Forse un po' troppo presto. Ti desideravo. Ti desideravo anche nel più profondo e gelido inverno ma… mi accorsi dopo che le coperte sotto le quali ti invitavo erano viscide e meschine e che l'uomo in me aveva preso sopravvento sul gioco, sul bambino, che non correva più. Camminava, pensando alla bellezza della musica passata. E fu lì che tu mi dicesti di non volermi più, di non amarmi, e che l'amore non era una cosa con la quale scherzare. Ricordo ancora quando veloce sei sgattaiolata via, senza parole, con il viso inciso di me ormai solo ricordato. Ti ho inseguito quella volta, dai campi alle strade. Ne ho attraversate tante di quei tempi, senza neanche accorgermene, con gli occhi pieni di te e di lacrime talmente tristi e talmente calde che quasi bollivano e friggevano la neve e il fango dei marciapiedi. Ti sei fermata una volta, come la mia passione per te. Mi sei corsa incontro come un tempo, tra la brina assassina della luce dei lampioni, tra la foschia puntigliosa che ci bagnava immobili nel nostro riunirci, in segreto, sulla cima del nostro monte innevato nascosto dalla nebbia. Ed è li che rimane il mio amore per te. Troppo alto. Abbandonato.
Ferito riaprii gli occhi. Quella donna, quella donna strana era dall'altra parte della strada. Faceva dei cenni, si rivolgeva a me. Segnalava come inserirmi tra quelle macchine rabbiose ed avere la meglio su tutti, su di lei. Anch'io potevo avere dei suggerimenti. Sicuramente sarà stata una donnaccia, dai vestiti. Chissà perché allora non l'ho consigliata, non le ho detto cosa pensavo.
Ero anch'io un automobilista.
A Maria Zamboni con affetto. Tanti anni come tante strade che si intrecciano e crescono in chi sa perdonare.

 
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