|
|
Poesia italiana
Poesia in lingua
Recensioni
In questo numero:
- "Esagramma 41" di Massimo Acciai, prefazione
di Mariella Bettarini
- "La nevicata e altri racconti" di Massimo
Acciai, recensione di Monica Fantaci
- "Sempre ad est" di Massimo Acciai,
recensioni di Liliana Ugolini e Monica Fantaci
- "Un fiorentino a Sappada" di Massimo Acciai,
nota di Sandra Carresi
- "Un fiorentino a Sappada" di Massimo Acciai,
nota di Stefano Gecchele
- "La metafora del giardino in letteratura" di
Lorenzo Spurio e Massimo Acciai, recensione di
Anna Maria Balzano
- "La cucina arancione" di Lorenzo Spurio,
nota di Massimo Acciai
- "Se mi lasci, ti uccido" di Norma Stramucci
- "Dypticha" a cura di Emanuele Marcuccio,
nota di Massimo Acciai
- "Bionda e con gli occhiali" di Luigi
tredici, nota di Massimo Acciai
- "Stati d'amnesia" di Lella De Marchi,
recensione di Lorenzo Spurio
- "Schegge di vita" di AA.VV., recensione di
Lorenzo Spurio
Interviste
Articoli
|
|
Sempre ad est ...
nota al romanzo di Massimo Acciai
(Faligi, 2011)
Sono affezionata a questo
romanzo. Perchè? Perchè questo libro accompagnava in
treno il mio amico Massimo la prima volta che l'ho
conosciuto quando da Firenze è venuto a trovarmi a
Castiglione del lago.
Era Ferragosto di quest'anno e ci siamo seduti ai
tavolini del Bar Castello
sotto una cornice di ulivi centenari con il lago
Trasimeno a farci da specchio. Abbiamo parlato di
noi, dell'avventura dello scrivere, dei nostri
progetti e della nostra vita, è stato naturale il
nostro incontro e ci siamo trovati nello stesso
interesse per la fantascienza, genere purtroppo poco
valorizzato in Italia. Quando Massimo ha tirato
fuori il suo romanzo, che mi disse aver scritto
parecchio tempo prima, mi chiese un giudizio
spassionato.
Qui però non vi dirò nulla o quasi di ciò che ho poi
scritto al mio amico Massimo dopo la lettura tutta
d'un fiato del suo romanzo, perché è un "segreto
professionale". Scherzi a parte lessi il libro in
poche ore, rubate centellinando piccoli momenti ai
giorni pieni di impegni, ma la storia incalzava per
arrivare al finale (a sorpresa!) ed era scorrevole
planare con la fantasia su queste pagine...Avrei
potuto leggerlo tutto in una notte come una fiaba
delle Mille e una notte se non avessi atteso
volutamente per prolungare il piacere della lettura.
In queste pagine ho ritrovato elementi
autobiografici nascosti a chi non conosce
personalmente l'autore che invece a me sono stati
chiari grazie alle nostre conversazioni e scambi
avuti in mail o al telefono ed è stato bello
ritrovare i pensieri di un amico dentro una
piacevole lettura.
La prima cosa che mi ha subito incuriosito è stato
il titolo: Sempre ad est.
L'Oriente, l'Est, è la direzione del Sole nascente,
quindi simbolicamente dell'alba, del risveglio, dei
nuovi inizi. È il luogo dal quale il Sole ci
accoglie ogni mattina, donandoci luce e calore.
Questa direzione nel suo significato simbolico porta
con sé la chiarezza, la possibilità di vedere, forse
anche la preveggenza e esorta la luce interiore a
nascere in noi... La copertina del libro fa proprio
pensare al terzo occhio e alla preveggenza e quindi
ai segnali che dovremmo cogliere per vivere la
nostra vita con la nostra personale Essenza.
Il sole è simbolo di vita, di continua
trasformazione e rigenerazione, ci mostra la gioia e
la creatività del giallo e dell'oro, l'espansione e
l'energia del fuoco e della sua forza. Il sole è
elemento attivo di polarità maschile è il principio
positivo yang. Anche l'Est quindi è il regno
dell'energia maschile, della natura attiva,
conoscitiva, capace di inoltrarsi in aree di vita
non esplorate per ricavarne nuove idee e
metaforicamente per portare avanti sempre il viaggio
verso la nostra conoscenza interiore. Il potere
dell'Est è quello della luce, dell'illuminazione
mentale e spirituale, che rende consapevoli della
propria visione interiore e dà così il coraggio di
seguire il personale cammino.
Partendo da questo bellissimo titolo che non indica
solo una direzione da seguire ma una vera e propria
filosofia di vita che posso ricollegare certamente
al fatto che Massimo segue il cammino Buddista (non
è un caso che il Buddismo si sia sviluppato
massimamente in estremo Oriente) ci inoltriamo anche
nel viaggio sempre ad est di Hynreck , l'eroe di
questo romanzo che, a dirla tutta è un personaggio
un po' particolare che non ha le caratteristiche
proprie dell'eroe stereotipato che siamo abituati a
conoscere.
Incipit
"Agli occhi di un surypanta la vita di un uomo deve
essere certo un rapido sbatter di ciglia; questo
pensava Hynreck quando era in compagnia di Saj. Si
era domandato spesso come doveva apparire
miseramente breve la sua esistenza dal punto di
vista della fantastica creatura. Effimera come un
bel sogno di una notte invernale, e magari
altrettanto evanescente e irreale. Quale conoscenza
poteva, infatti, avere della realtà un essere
potenzialmente immortale?"
L'incipit è, come dice Traversetti, "l'esplosione
semantica che genera e avvia il cosmo romanzesco e
ci consente di individuarne i caratteri, di intuire
panorami e sviluppi futuri" e questo "avviene non
appena leggiamo le prime dieci o venti righe".
Vi ho riportato solo le prime otto righe, perchè
credo siano sufficienti ad individuare il seme
centrale da cui si dipana tutta la storia. Certo voi
(e anche io l'ho fatto) vi starete chiedendo ma
cos'è un surypanta?
Come giustamente scrive Lorenzo Spurio nella sua
accurata recensione del romanzo che trovate nel suo
Blog letteratura e cultura :
E' la prima domanda che il lettore del nuovo romanzo
di Acciai si fa immergendosi nella lettura. Non ci
sono particolareggiate descrizioni di questo tipo di
animale, sappiamo che è di piccole dimensioni, che
miagola e che trova particolare piacere nell'essere
accarezzato sulla testa. Non è un gatto. E' inutile
indagare a quale animale possa avvicinarsi perché
stiamo parlando di un romanzo fantastico, quindi in
ciascun modo vi figurate questo animale, non avrete
sbagliato.
Certo Massimo ci invita ad usare la nostra fantasia,
a figurarci il surypanta con la nostra visione
stimolata da pochi indizi... Per me il primo indizio
è stato il nome. E mi ha subito avvolto nel suo
mistero inziatico. Mi sono messa così a fare delle
ricerche e ho trovato qualcosa di molto
interessante...
Surya per esempio è il dio vedico del Sole
rappresentato nell'arte indiana secondo le
convenzioni figurative dell'Apollo greco,
sfolgorante su un cocchio tirato da veloci cavalli
(sette, gli Haritas, o da uno solo, a sette teste,
Etasha) guidati dall'auriga Aruna (il "rosso").
Eretto sul suo cocchio, Surya tiene nelle mani gli
attributi che ne precisano l'identità, cioè fiori di
loto e la conchiglia. Tra i suoi appellativi i più
comuni sono: Bhaskara, "donatore di luce", Lokacak?uh,
"occhio del mondo", e Savitri, "Stimolatore" della
manifestazione."
Ecco che il prefisso sury potremmo ricollegarlo alla
forza Yang del Sole.
Nei Rigveda (Inni dei Veda" o "Inni della
Conoscenza"), la più antica raccolta degli inni
vedici ( raccolta in sanscrito vedico di testi sacri
dei popoli arii che invasero intorno al XX secolo
a.C. l'India settentrionale, ) l' Atman, il Sé, cioè
l'essenza, il soffio vitale, di ogni cosa è
identificabile nel Sole (Surya):
(SA)
" citra? devanam ud agad anika? cak?ur mitrasya varu?asyagne?
apra dyavap?thivi antarik?a? surya atma jagatas
tasthu?as ca "
(IT)
" Si è alzato il volto luminoso degli Dei, l'occhio
di Mitra, di Varu?a, di Agni, ha colmato il cielo la
terra e l'aria: il Sole (Surya) è il soffio vitale
di ciò che è animato e di ciò che non è animato "
(Rigveda I, 115,1)
Trovo meraviglioso poter rivendicare nel termine
surypanta questa descrizione anche se non appartiene
al Buddismo ma all'Induismo (mi perdonerà Massimo?).
Ma se pensiamo all'altro termine che compone il nome
surypanta forse ci entra anche il Panteismo. Panta è
il p??ta greco che significa Tutto? Io l'ho inteso
così.
E se Panta sta per il tutto, l'Induismo, che secondo
Francesco Sferra comprende, in realtà, un insieme
variegato di religioni e di visioni del mondo anche
contrastanti, ha al suo interno anche una radice
panteista. Noi stessi siamo spesso in contrasto con
il nostro spirito e Hynreck stesso che sembra essere
l'eroe buono e insieme abbastanza sempliciotto e
privo delle doti tipiche dell'eroe ha in sè la
spinta dell'ira e della rabbia che muove un motore
interno di azioni e reazioni che gli fanno
proseguire il viaggio.
da?µ??
Pantalaimon (il daimon di Lyra la protagonista del
libro di Pullman: La
Bussola d'oro)*
Il Surypanta può dunque essere tradotto con " ciò
che anima ogni cosa" secondo me e io lo ricollego
(ed è stata la prima cosa che mi è venuta in mente
leggendo del surypanta) al dàimon socratico. La
parola greca da?µ?? (leggi dáimon) oggi tradotta
comunemente con demone, non va confusa con l'idea di
essere demoniaco che si ha dall'avvento del
cristianesimo.
Di etimologia incerta, il termine da?µ?? è forse
legato al verbo ?a??µai (daiomai), che significa
"spartire", "distribuire", che vorrebbe intendere
che il demone è colui che "distribuisce, o assegna,
il destino". Si traduce e identifica quindi con
"spirito", "essere divino", e rappresenta una sorta
di angelo custode precristiano.
La più nota accezione di dàimon, è sicuramente
quella che ci è stata tramandata da Platone e
Apuleio, appartenente al padre della filosofia
occidentale: Socrate.
Socrate non era ateo, ma anzi affermava di credere
in una particolare divinità, figlia degli dei
tradizionali, che egli chiamava dàimon.
Socrate si diceva tormentato da questa voce
interiore che si faceva sentire non tanto per
indicargli come pensare e agire, ma piuttosto per
dissuaderlo dal compiere una certa azione. Socrate
stesso dice di esser continuamente spinto da questa
entità a discutere, confrontarsi, e ricercare la
verità morale :
"ch'ei m'avviene un che divino e demoniaco, come
disse nella querela anche Meleto, pigliandosene
gioco. Ed è una cotale voce, che, sino da fanciullo,
sento io dentro. E tutte le volte che io la sento,
mi svolge da quello che son per fare: sospingere,
non sospinge mai"
(Apologia XIX).
Questo spirito guida, secondo il filosofo, è in
realtà presente in tutti gli uomini, e accompagna
ciascuno nel corso della propria vita. Non solo:
infatti il dàimon è anche il compagno scelto nell'Ade
dall'uomo prima di cominciare la sua esistenza
terrena e che, dopo la morte, guida l'anima sino al
luogo in cui deve essere giudicata. Dunque, esso si
configura come uno spirito guida della coscienza, e
si identifica con le forze divine del male o del
bene e arriva durante il sonno a consigliare ed
illuminare.
Partendo dall'intuizione che un surypanta sia lo
spirito che anima la nostra vita possiamo dedurre
quindi che il surypanta di nome Saj sia il demone,
lo spirito, (l'anima?) del nostro eroe Hynreck. E'
interessante notare che in greco la parola
eudaimonìa si traduce con felicità, ossia un buon
demone, uno spirito buono. Avere in sorte uno
spirito buono ci permetterà quindi essere felici.
Passo tratto da : La felicità. Saggio di teoria
degli affetti di Salvatore Natoli
I greci non erano i soli ad essere a conoscenza dei
dàimon: gli egizi ad esempio credevano in uno
spirito, una forza vitale che ci accompagna nella
vita, il Ka; i nativi dell'isola di pasqua credevano
negli Aku-Aku, spiriti appartenenti ad ognuno, che
era possibile vedere e con cui, in casi fortunati,
era possibile parlare. Inoltre, i popoli nordici
credevano nei Dal'fek, spiriti propri di ogni
guerriero, che avevano una forma di animale che
meglio esprimeva la loro personalità. I nativi
americani invece credevano negli animali totem,
animali che condividevano la loro conoscenza e il
loro contatto con la natura e con il tutto, con chi
fosse riuscito a stabilire un contatto con loro.
Nell'Induismo, per esempio, è noto col nome di Atman,
l'aspetto individuale di Brahman, o Sé universale.
Saj
Prendiamo ora in esame il nome del nostra suripanta
(è femmina!). Partiamo come sempre dal nome. Saj.
Benedetto google che ci fa trovare l'impensabile!
Tralasciando il ?aj (arabo: ???, ?aj, pron. "sag")
che designa il nome libanese usato per indicare un
tipo di pane di forma piatta, particolarmente
diffuso nella cucina di vari Paesi arabi.
Prendiamo invece in esame Saj '(in arabo: ???) una
forma di prosa rimata in letteratura araba. È così
chiamato a causa della sua uniformità o monotonia, o
da una immaginaria somiglianza tra il suo ritmo e il
tubare di una colomba. Si tratta di uno stile
altamente artificiale di prosa, caratterizzato da un
tipo di ritmo e rima. Saj è usato nella letteratura
sacra, comprese le parti del Corano, e nella
letteratura secolare, come ad esempio: le Mille e
una notte.
Che cosa c'entra direte voi? E no invece c'entra
eccome vi dico io, per due motivi.
Primo i nostri surypanta sono dotati di una qualità
unica che gli permette di emettere un canto quasi
paradisiaco. Il narratore ce lo descrive così:
"Lei(Saj) ricambiava le coccole con sguardi
eloquenti e con il suo canto dalla tonalità
altissima, ma mai stridula o sgradevole.Era un canto
misterioso, ipnotizzante, senza tempo. il tempo
stesso pareva annullarsi quando Saj iniziava il suo
canto. Talvolta Hynreck si chiedeva se era un
semplice modo per attirare l'attenzione oppure era
un canto vero e proprio, con un preciso intento
artistico. La domanda era di quelle destinate a
rimanere senza risposta".(pag.12)
"Stavolta la porta si aprì, silenziosa come una sera
di dicembre sulle rive di un lago. Dall'interno
giunse un canto meraviglioso, il più bello che mai
avesse udito in vita sua. Era un canto che sembrava
provenire da notti infinitamente lontane, quando la
terra era ancora giovane, oppure da un futuro
inimmaginabile, quando la terra fosse giunta al suo
ultimo giro. Era un coro senza tempo e senza spazio.
Era il saluto di surypanta felici di vivere e di
essere amati dagli umani"(pag.136)
Questo canto evocativo è in grado di attirare
l'attenzione di chiunque lo senta e non può passare
inosservato, come un richiamo d'anima che provenga
da ere lontane, il richiamo delle sirene d'Ulisse,
un canto ipnotico che catalizza l'attenzione.
Anche Massimo, come si legge a pag.12 instilla un
dubbio in Hynreck che quel canto possa avere un
preciso intento artistico e risponde che non lo
sapremo mai (come tante altre risposte alle
innumerevoli domande che ci si pone durante la
lettura della storia). Rimasta insoddisfatta per
l'ennesima volta la nostra curiosità non resta che
trovare noi le risposte attraverso la nostra
fantasia.
Magari quel canto avrà un preciso intento, magari è
la loro lingua o il loro
testo sacro che si tramandano nelle ere della loro
eternità di esseri immortali.
Il secondo motivo per cui riconduco il nome Saj ad
una forma letteraria ritmata o ad un canto di un
testo sacro è che nella storia ha molta rilevanza Il
libro delle formule magiche, un libro particolare
che permette ai protagonisti di proseguire il
viaggio e che ha tutta l'aria di essere un testo
sacro da decifrare, scritto da un saggio di un paese
lontanissimo molti scoli prima e che contiene le
risposte a qualsiasi domanda ... Ed è attraverso la
decifrazione di questo libro che è possibile
ritrovare Saj e che permetterà ai vari personaggi di
condurre a termine quest'avventura.
Massimo cita direttamente nelle note che questo
libro si riferisce a I Ching**, il libro cinese
degli oracoli ma se dovessimo leggere la storia con
la nostra ottica ed esperienza allora forse potremmo
metterci dentro pure i nostri libri sacri iniziatici
come la Bibbia, Il Corano , Gli inni dei Veda
che ho citato più sopra ecc..
Secondo me però questa sorta di cantilena/ninna
nanna insita nel nome Saj designa la personalità del
dàimon/surypanta della storia. La figura di questo
stesso animale che a tratti somiglia ad un gattino è
fin troppo tranquilla e monotona, non sembra neppure
reale ma più che una figura mitologica sembra essere
un prolungamento della mente umana una sorta di
"cassetto della memoria" di "cassaforte del tempo"
mascherato da " peluche". Saj rappresenta l'elemento
Yin della narrazione, il lato oscuro, il principio
femminile, la notte, il lato dormiente ... ed in
effetti scoprirete nel corso del romanzo che è
proprio così!
"Non svegliare il surypanta che dorme!"
La teoria della ghianda
Questo spirito che anima ogni cosa mi fa venire in
mente anche la teoria della ghianda di James Hillman
.
La teoria della ghianda dice che io e voi e chiunque
altro siamo venuti al mondo con un'immagine che ci
definisce. E questa forma, questa idea, questa
immagine non tollerano eccessive divagazioni. La
teoria della ghianda sostiene che ciascuna persona
sia portatrice di un'unicità che chiede di essere
vissuta e che è già presente prima di potere essere
vissuta. Noi nasciamo con un carattere; che è dato;
che è un dono, come nelle fiabe dalle fate madrine
al momento della nascita.
Se sei una ghianda non potrai che diventare una
quercia, un giorno. Per quanto tu tenti di deviare
il corso degli eventi o di forzare la tua natura, il
tuo destino è di diventare una quercia. Niente altro
che una quercia. E' il tuo dàimon.
Ciascuno di noi è unico, ciascuno di noi ha un
talento, scoprirlo e nutrirlo con l'applicazione è
ciò che dà un senso al nostro essere qui e ciò da
cui dipende la nostra felicità e il nostro
equilibrio.
La teoria della ghianda e il concetto del dàimon
dello psicanalista e filosofo americano James
Hillman racchiudono l'accettazione di un mistero, di
qualcosa di innato che chiede solo di poter uscire
allo scoperto rispettandone tempi e modalità,
diverse per ognuno di noi.
Dàimon in greco come abbiamo visto lo traduciamo con
demone. Andando oltre la sua comune accezione, il
termine rende l'idea perchè dàimon è ciò che pervade
tutto il nostro essere. Si rifà al mito di Er di
Platone e Hillman descrive il dàimon come la
creatura divina che ci guida nel compimento di quel
disegno che la nostra anima si è scelta prima di
nascere e di cui ci dimentichiamo al momento in cui
veniamo al mondo. Ma la vocazione, la chiamata,
resta. E è proprio il dàimon che ci spinge a
realizzarla.
Per riconoscere il seme che ci guida bisogna
prestare attenzione ai segnali dell'infanzia. A
volte sono improvvisi, a volte perfino
contraddittori, ma solo in apparenza. A volte il
dàimon si rivela all' improvviso, a volte ti
protegge affinchè tu raggiunga l'età in cui sarai in
grado di guardare in faccia il tuo destino.
Il modo in cui siamo stati cresciuti, i
condizionamenti esterni, gli schemi mentali che ci
costruiamo, le necessità del vivere ci soffocano e
ci confondono, ma il nostro dàimon è lì per
ricordarci che dobbiamo compiere il nostro destino
ed è lì a creare le condizioni stesse affinché
accada. Facendoci incontrare le persone che dobbiamo
incontrare, frapponendo nella nostra vita anche gli
ostacoli da superare perché necessari alla nostra
evoluzione.
Se realizziamo che esiste la spinta del nostro
dàimon, allora si spiegano molte cose...
Hillman sostiene che:
"Ci sono più cose nella vita di ogni uomo di quante
ne ammettano le nostre teorie su di essa. Tutti,
presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che
qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada.
Il paradigma oggi dominante per interpretare le vite
umane individuali, e cioè il gioco reciproco tra
genetica e ambiente, omette una cosa essenziale:
quella particolarità che dentro di noi chiamiamo
"me". Se accetto l'idea di essere l'effetto di un
impercettibile palleggio tra forze ereditarie e
forze sociali, io mi riduco a mero risultato".
Il nostro "compagno", il nostro dàimon ci ricorda il
contenuto della nostra
immagine, è il portatore del nostro destino. Per
approfondire questi concetti vi suggerisco la
lettura del libro di James Hillmann "Il codice
dell'Anima ".
Di seguito ve ne lascio un passo ...
Dal racconto platonico del mito di Er , dall'ultimo
capitolo della "Repubblica":
"Le anime , che provengono da vite precedenti e
soggiornano in una sorta di aldilà , hanno ciascuna
un destino da compiere , una parte assegnata (Moira)
che corrisponde in un certo senso al carattere di
quell'anima . Per esempio l'anima di Aiace Telamonio
, il valoroso e irruente guerriero ,scelse la vita
di un leone , mentre quella di Atalanta , la vergine
famosa per la velocità nella corsa , scelse il
destino di un atleta e un'altra anima quello di un
abile artigiano. L'anima di Ulisse , memore delle
prove e dei travagli patiti e "guarita di ogni
ambizione ", andò a lungo in giro alla ricerca di
una vita di uomo solitario senza occupazione , e la
trovò a stento , gettata in un canto e negletta
dagli altri ...
Quando tutte le anime si erano scelte la vita ,
secondo che era loro toccato , si presentavano
davanti a Lachesi [ lachos , parte , porzione di
destino ] . A ciascuno ella dava come compagno il
genio [ dàimon] che quella si era assunto , perchè
le facesse da guardiano durante la vita e adempisse
il destino da lei scelto . Il daimon conduce l'anima
dalla seconda delle personificazioni del destino ,
Cloto [ klotho , filare , volgere il fuso ]. Sotto
la sua mano e il volgere del suo fuso , il destino [
moira] prescelto è ratificato . ( Gli viene impresso
il suo particolare effetto ? ). Quindi il genio [dàimon]
conduceva l'anima alla filatura di Atropo [atropos,
che non si può volgere all'indietro , irreversibile
]per rendere irreversibile la trama del suo destino
.
Di lì senza voltarsi , l'anima passava ai piedi del
trono di Necessità (Ananke ) o , come traducono
alcuni , del grembo di Necessità . "Trama Tornando a
noi ...sempre Lorenzo Spurio nella sua recensione ci
descrive la trama:
Il romanzo non è altro che la storia della ricerca
difficile e disperata dei surypanta che sono stati
rubati da un potente mago. L'intera narrazione ci
informa delle varie peripezie che l' "eroe" deve
sopportare per riappropriarsi ciò che è suo. [...]
Il recente romanzo di Acciai, Sempre ad est, è una
narrazione affascinante che ci fa viaggiare
attraverso terre intricate ed oscure, ricche di
mistero e sulle quali domina la magia nera di un
potente mago noto come il Raccoglitore. Per sfidare
questo potente wizard che con le sue doti oscure è
riuscito a rubare tutti i surypanta della zona ci
vengono narrate le gesta di Hynreck che, più che un
valoroso guerriero, ci viene presentato come un
viandante sfortunato, inetto e particolarmente
istintivo, "una di quelle persone che si arrabbiano
due volte la seconda per essersi arrabbiati". Nella
sua vorticosa ricerca del suo surypanta Saj, Hynreck
è accompagnato dal cavallo Frumgar che, diversamente
da quanto ci si aspetterebbe, non è un cavallo
parlante.
E qui devo ancora fare una piccola digressione
perchè (sarà un caso?) Tornando al dio vedico Surya,
sappiamo che sua moglie Sanjana, in seguito assunse
il nome di Asvin (giumenta), poiché secondo il mito
ella sfuggì al marito prendendo l'aspetto di una
cavalla. Surya nondimeno scoperse l'inganno e
assumendo le fattezze di uno stallone inseguì la
moglie con la quale si accoppiò dando vita ai
gemelli Asvin. In questo suo aspetto equino, Surya
dettò al saggio Yajnavalkya lo Yajurveda bianco (il
terzo veda).
Frumgar (nome di tolkieniana memoria il cui
significato è " comandante ", era il capitano della
migrazione verso nord degli Éothéod dalle Valli
dell'Anduin, ) come capirete leggendo il libro non è
un semplice cavallo ma un compagno e io direi
addirittura una parte di personalità del nostro eroe
"sfigato" (come lo chiamo ironicamente) che riemerge
nella storia in situazione particolari.
Continuamo con la storia ...
L'impresa particolarmente ardua prenderà una piega
diversa nel momento in cui Hynreck incontrerà Sara,
una ragazza che è stata appena depredata del suo
esemplare di surypanta. L'iniziale divinazione del
mago buono Sering e la conoscenza degli oracoli da
parte di Sara permetterà alla coppia fortuita di
trovare la fortezza dove risiede il potente mago
Raccoglitore. Così Hynreck, Sara e Linda, un'altra
donna che Hynreck inizialmente credeva implicata nel
furto dei surypanta, si imbarcano su una grande nave
diretta al piccolo porto di Ladymirail, dall'altra
parte dell'oceano vivendo momenti di panico per le
condizioni sfavorevoli del mare. Ma la storia non è
aliena a colpi di scena: nella tormentata rotta in
mare infatti Hynreck crede che il capitano sia il
padre del ragazzino che ha precedentemente ucciso
per legittima difesa. Così,
nella notte i tre fuggono su di una scialuppa
approdando all'isola di Falbroth.
Dopo alterne vicende lo sfortunato trio riesce ad
arrivare alla fortezza di metallo nella quale vive
il mago Raccoglitore dove seguono una serie di
duelli a spada. Inizialmente la sorte è sfavorevole
a Hynreck che pure rimane ferito ma poi i tre
riescono ad uccidere il potente mago e a mettere in
salvo centinaia di surypanta, tra cui quelli loro.
Ecco dove emerge la figura dell'eroe. Hynreck
infatti mette in salvo non solo il suo surypanta ma
tutti quelli catturati dal mago e facendo questo si
identifica in una sorta di salvatore delle anime,
del soffio vitale che anima l'universo.
Il romanzo di Massimo Acciai si intreccia in un
gioco di fusione in vari generi passando da gesta
epiche, a fantasiosi scenari folklorici nordici, ed
elementi chiaramente favolistici come scrive Lorenzo
Spurio. Ma l'elemento che emerge nel finale è di
chiaro stampo fantascientifico e in questo elemento
non si può non ritrovare l'anima demonica del
lettore- scrittore Massimo Acciai così come io la
conosco, un' anima dàimon che fa viaggiare se stessa
attraverso Massimo e i suoi personaggi (a tratti
quasi autobiografici) nel multiverso, lungo Il
Viaggio infinito verso est, che è la direzione della
conoscenza di sè ed è quindi un viaggio intrepido
verso Queste Oscure Materie del proprio essere (per
voler citare la trilogia di Philip Pullman a cui il
nostro autore sembra essersi ispirato per questo
romanzo) che popolano la nostra mente di domande.
Il finale (di cui non tradirò la sorpresa) spiazza
un poco nella lettura perché quasi all'epilogo ci
siamo abituati a quel rozzo boscaiolo dell'incipit
di Hynreck che io ho erroneamente interpretato come
personaggio principale di tutta la vicenda. Un eroe
atipico si legge nella quarta di copertina,e anche
io continuavo a pensare a questo eroe un po'troppo
rozzo, a tratti sfigato: fin troppo umano e sempre
troppo poco eroe per me, cresciuta a pane e
Superman!.
Il finale comunque fa pensare ad una prosecuzione
anche del viaggio di Hynreck (forse in un futuro
nuovo romanzo?) e allora attendiamo che il suo e il
nostro viaggio prenda forma... E intanto noi, alla
fine di questa avventura, forse saremo in grado,
attraverso il nostro viaggio iniziatico vissuto per
mano dell'eroe acciaiano, di individuare che forma
abbia anche il nostro surypanta, il nostro dàimon.
Quello che penso è che il romanzo è stato suggerito
a Massimo dal suo surypanta segreto incarnatosi in
qualche animale incrociato nella sua vita
come si
chiamerà questo famigerato animale? Anche questo non
lo sapremo mai... In realtà il vero personaggio
principale del romanzo è Saj la quale a dirla tutta
però se la dorme beatamente per tutto "il tempo del
romanzo" e si sveglia solo grazie ad un astuto
trucco letterario "Non svegliare il surypanta che
dorme". Non avete capito niente? Bene era proprio la
mia intenzione, per saperne di più leggetevi il
libro!
Note
*La Bussola d'oro Nel mondo di Lyra ognuno ha il
suo daimon, che è un essere autonomo e insieme una
parte di sé. Per noi, non è che una voce che ogni
tanto si fa sentire nella nostra mente; nel mondo di
Lyra è un compagno visibile e tangibile,
generalmente di sesso opposto al proprio, in forma
di animale, che rivela molto della persona di cui fa
parte. I daimon dei bambini non hanno ancora una
forma fissa, e possono mutare a piacere; più tardi,
con la pubertà, quando la personalità comincia a
stabilizzarsi, assumono una propria forma, e non
cambiano più. Essere umani significa avere un daimon,
e un essere umano senza daimon è un orrore quasi
inconcepibile; come un uomo senz'anima.
** L' I Ching (secondo un'altra grafia I King) o
"Libro dei Mutamenti" è un testo considerato sacro
in Cina, utilizzato da più di 4.500 anni per
ottenere un consiglio prima di prendere una
decisione.
Nella sua forma originaria, l'I Ching è stato
inventato da Fu Shi che per primo utilizzà le linee
intere e spezzate per rappresentare le forze polari
dell'universo: positiva (YANG) e negativa (YIN).
|
|
|