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Narrativa

La stanza di Massimo Acciai, Tecnostorie di Massimiliano Chiamenti, Il tempo sospeso di Maddalena Lonati, Camera 730 di Maddalena Lonati, Un altro giorno, un'altra mosca, per caso... di Enrico Pietrangeli, Sette racconti al futuro di Paolo Ragni, Il Piano di Daniele Profeti

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Elvira Balestracci, Caterina Bigazzi, Daniel Bosco, Miriam Cividalli Canarutto, Andrea Cantucci, Sonia Cincinelli, Rossana D'Angelo, Elisabetta Giancontieri, Renato Lonza, Manuela Palchetti, Anna Maria Volpini

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici, in una lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie in lingua napoletana, esperanto ed inglese

Recensioni

Di amore e morte di Enrico Pietrangeli - recensione di Lidia Gargiulo
Seduti dalla parte del torto di Devil Buio - recensione di Simonetta De Bartolo
Tutta colpa della poesia di Dario De Lucia - recensione di Massimo Acciai

Interviste

Il ruolo del consulente letterario: Intervista a Marco Bazzato
di Massimo Acciai

La stanza
 

di Massimo Acciai


I. Il diario

4 agosto 1985. Penso sempre più spesso che questa stanza avrebbe bisogno di una pulizia a fondo, ma chi ne ha la forza? Sono così stanco, soprattutto in questo periodo, sarà anche l’afa che mi toglie le forze…
Ormai non esco più. Da quanto tempo? Non ricordo. Settimane, forse mesi. Sembrano secoli. Ma sono sereno qui, circondato da cari oggetti che danno concretezza al mio mondo e sostegno al cuore.
Da molto tempo sono relegato qui dalla mia malattia, ma col tempo ho addobbato la mia prigione, l’ho resa comoda, l’ho rifatta casa mia. Qui mi sento al sicuro.
Le giornate sono lunghe. Ho deciso di tenere un diario, da oggi. È tanto che non scrivo, devo riprendere la mano. Prima scrivevo molto, molto di più. L’imbarazzo passerà scrivendo.

5 agosto 1985 (sera). Il tempo non passa mai, mi devo ingegnare a trovare qualcosa. I diario è già una cosa, ma non basta. Passo troppo tempo ad osservare le pareti di questa stanza e lo spicchio di cielo incorniciato dal lucernaio; l’unico accesso per la luce esterna. Oblò sull’azzurro, sullo stellato o su nubi inquiete; non mi annoia il tuo spettacolo… Mi alzo spesso dal letto, leggo, passeggio, scrivo, misuro le gocce di medicina, sto seduto, guardo il cielo.
Oggi ho provato a scrivere una poesia. Dopo tanto tempo. Non è venuta.
Adesso sono stanco di scrivere, un po’ per volta riprenderò la mano.

7 agosto 1985 (tarda mattina). Ieri non ho scritto. Stavo troppo male. Un nuovo attacco, molto forte, credevo di impazzire. Per fortuna è passato presto. Adesso sto abbastanza bene. Abbastanza per rimettermi a scrivere.
Mentre me ne stavo disteso sul letto, sudato e immobile, cercavo di fuggire il dolore seguendo con lo sguardo una mosca che, nel tentativo di uscir fuori, continuava a sbattere contro il vetro. Ho pensato in seguito che poteva esserci un’amara metafora.
Mi guardo intorno e ritorna il pensiero che qualcuno dovrebbe pulire a fondo questa stanza. Troppa polvere, troppo disordine. Sembra tutto così vecchio. Anche i miei vestiti sembrano vecchi, molto vecchi. Cadono a pezzi. Devo muovermi con delicatezza, è tutto così fragile. Ieri per esempio, quando sono andato a letto, ho sentito preoccupanti scricchiolii legnosi, come se le strutture del letto stessero cedendo sotto il mio peso.
Tra poco verrà la Signora a portarmi da mangiare. La sento già armeggiare in cucina tra pentole e confezioni di pasta. Non ho molta fame ultimamente, ma devo sforzarmi di ingurgitare qualcosa: primo perché altrimenti non recupererò mai le forze, secondo perché la Signora potrebbe offendersi e non farsi più viva. Non mi alletta molto l’idea di morire di fame. La sento bussare.

7 agosto 1985 (sera, prima di andare a dormire). Mi capita sempre più spesso di trastullarmi con l’idea di uscire. Sembra quasi che questa stanza stia iniziando a diventare stretta per me. Mi riprendo poi da questo pensiero, mi sembra quasi ingrato verso il mio prezioso rifugio, il mio piccolo mondo.
Altre volte penso che potrei uscire almeno dalla stanza, dare un’occhiata al resto della casa, almeno a questo piano. Giusto per vedere se è tutto in ordine. Per vedere se esiste ancora il resto della casa! So che esiste ancora, naturalmente, non sono pazzo, ma se le cose non si vedono con i propri occhi ogni tanto si possono trasformare in un’astrazione mentale, perdono parte della loro concretezza. Questo vale anche per un ambiente o per una nazione. Gli occhi e il pensiero seguono vie diverse.
So che nelle mie condizioni, non sarebbe prudente uscire dal caldo di questa stanza, ma c’è dell’altro?

8 agosto 1985. Oggi ho parlato alla Signora del mio desiderio di uscire. Non parliamo molto io e la Signora, lo stretto indispensabile. Quando le parlo sembra molto a disagio, così mi imbarazzo anch’io. Non abbiamo molto da dirci d’altronde. Le parole sono spesso per me fastidiosi insetti che ronzano nelle orecchie, spesso ascoltarle non vale il fastidio. Per questo non ho né una radio né una televisione: mi basta il mio giradischi con cui ascoltare i pezzi per pianoforte di Chopin o il rock melodico dei Genesis.
La Signora mi ha ascoltato con lo sguardo più inquieto del solito. Mi ha detto soltanto che non sarebbe una buona idea, che potrei affaticarmi troppo. C’era però perplessità nella sua voce, come una paura che si sforzasse di nascondere. Io non ho replicato. L’ho ringraziata del brodino che mi ha preparato e appoggiato sul tavolo e ho ributtato la testa sul cuscino.
Più tardi ho ripensato a quella strana espressione sul suo volto.

8 agosto 1985 (notte). Ho deciso, domani esco.

9 agosto 1985 (notte). Giornata infame. L’idea di alzarmi e scendere le scale è stata pessima.
Stamani mi sono alzato con una strana sensazione. Ho fatto colazione a letto, mi sono lavato con più cura del solito, non so bene perché, ed ho indossato i vestiti puliti – eppure sempre più lisi.
Arrivato alla porta mi sono bloccato.
Congelato in quella posizione, con la mano sulla maniglia, cercavo di convincere il mio sangue a non circolare così forte e il mio cuore a rallentare i battiti. Sudavo, non solo per il caldo. Respirai a fondo e insieme all’aria espirata cercai di buttar fuori anche la paura. La maniglia non oppose resistenza. La porta non produsse il cigolio sinistro che mi aspettavo.
La Signora era già andata via, ero solo in casa. Doveva essere davvero molto tempo che non uscivo; il corridoio aveva un aspetto estraneo e tetro. C’era polvere ovunque, e molto buio. Nello scendere le scale provai una contrattura dolorosa allo stomaco. Mi aggrappai con disperazione al corrimano di legno. Questo scricchiolò davvero in modo sinistro.
Ad ogni passo le scale mandavano gemiti come di persone. Tutto quel legno aveva qualcosa di marcio, sembrava star su per miracolo. Riuscii ad arrivare al piano terra con la sensazione di aver corso un rischio, non saprei dire con certezza il motivo. Nella penombra riconobbi a poco a poco oggetti familiari, ma al tempo stesso lontani e alieni, come se li rivedessi dopo un tempo lunghissimo. Forse non esco dalla mia stanza da più tempo di quanto pensassi.
Riconobbi l’ingresso del salotto – intravedevo dalla porta la forma del mio sofà preferito sotto il telo bianco che lo ricopriva – l’ingresso della sala da pranzo e, proprio di fronte a me, il portone: pesante e severo. C’era odore di chiuso. Tutto era in ordine, ma la polvere copriva ogni cosa: uno strato molto spesso, tanto che ogni cosa aveva lo stesso colore grigio smorto.
Ero in uno stato d’agitazione che rinuncio a descrivere, ma forse sarei andato anche oltre, avrei aperto il portone. Qualcosa mi bloccò. Provai il desiderio irresistibile di voltarmi, risalire le scale e tornare nella stanza. Ero convinto che se non mi fossi fermato in tempo, se non fossi tornato indietro, sarebbe accaduto qualcosa di terribile.
Seguii l’istinto. Rimasi sdraiato, sotto le coperte, fino a sera, cullando i miei pensieri inquieti per acquietarli. Non dissi nulla alla Signora quando venne a portarmi su il pranzo e la cena, né lei parve accorgersi di nulla, o non lo diede a vedere.
Giornata infame.

10 agosto 1985. Sono molto più calmo. Dopo una buona dormita, alla luce del sole che entra generosa nella mansarda, mi sono reso conto di essermi comportato da stupido. Adesso è tutto così chiaro! Cosa avevo da temere? Nulla. Mi sono solo abituato troppo a questa stanza che, per quanto disordinata e decadente, è diventata col tempo il mio porto sicuro, il mio solo rifugio.
Ma là fuori non c’è niente di strano. Le persone e le automobili continuano a percorrere la via, affaccendate nelle loro cose quotidiane. Ogni tanto qualche aereo traccia la sua scia nell’azzurro – lo vedo da qui, disteso sul letto – e tutto procede con la routine di sempre. Il mondo va avanti anche sei io sono bloccato a letto, nonostante tutto, nonostante la tristezza, nonostante la polvere e l’odore di chiuso, nonostante il dolore al petto che sento sempre più spesso. Nonostante che il tempo sembri non passare mai.
La tapparella non si chiude bene: domattina mi arriverà il sole negli occhi e mi sveglierà. Devo ricordarmi di parlarne alla Signora, quando viene.


II – Conversazione (tradotta)

- Abbiamo saputo…
- Eh, era malato da tempo… lo sapete, anni…
- Ha smesso di soffrire…
- Eppure non soffriva molto, anzi era sereno negli ultimi giorni. Non si può spiegare.
- Il dolore lo aveva fatto… sì insomma…
- …impazzire, sì. Meglio così. Era sereno. Quella strana mania…
- stranissima…
- Tutto quel lavoro, quel denaro, quelle attenzioni…
- Avevo paura ad entrare in quella casa, in quella stanza. Voi non potete capire.
- Chissà come gli è venuta quella strana idea, come si è convinto…
- voleva fuggire, ma non poteva uscire, viaggiare come ha sempre fatto, così… l’unica direzione in cui poteva fuggire…
- chissà perché proprio… quell’epoca!
- Già.
- Che anno…?
- Mah, non ricordo bene. Mi pare cento anni fa, più o meno.
- Già.
- Condoglianze, signora. Condoglianze.





Firenze, 3-11 aprile 2006

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