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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Figli col
turbo e figli in pattumiera di
Giuseppe Costantino Budetta,
L'anello di
Giuseppe Costantino Buretta,
Mario di
Antonio Carollo, Il
viaggio di Antonio Caterina,
Anche i cani hanno
un'anima di Antoine Fratini,
Intervista scoop
di Marcellino Lombardi,
L'America di
Misha, America
di Paolo Ragni, New
York! di Paolo Ragni
Poesia italiana
Poesia in lingua
Recensioni
In questo numero:
- "I passi dell'anima" di Dulcinea, nota di
MassimoAcciai
- "Ma io ti vedo" di Marinella Ioime
- "Nora Daren: Il corpo, il suo supplizio" di
Maria Rosaria Cofano, nota di Enrico
Pietrangeli
- "Cronache di attori di un teatro distratto"
di Francesco Ferrante, recensione di Emanuela
Ferrari
- "Tante notti a camminare" di Enzo Di Ganci,
recensione di Emanuela Ferrari
- "Cocktail Poesie e Pensieri" di Gaetano Toni
Grieco, recensione di Emanuela Ferrari
- "Oltre il cielo dei giusti" di Simone Sutra,
recensione di Paolo D'Arpini
- "L'uomo dei piccioni " di Salvatore Scalisi
- "La ragazza della tempesta" di Fabrizio
Valenza
- "Nel buio delle tubature" di Alessio
Pollutri
- "Alvar Mayor (Maestri del Fumetto #38)" di
Carlos Trillo e Enrique Breccia
Interviste
Dulcinea
intervista a cura di Massimo Acciai
Riccardo Burgazzi
intervista a cura di Alessandro Rizzo
Incontri nel giardino
autunnale
Saggi
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L'America
Di Misha
L'America aveva bisogno d'una
guerra vera, grande, costosa, piena di morti e
bombardamenti, una guerra di tragedie, paure,
massacri. Serviva una guerra che facesse sentire al
popolo americano d'essere in guerra perche' un
grande pericolo ci sovrasta, una guerra che
permettesse ricordare quotidianamente che i nostri
ragazzi sono li' al fronte e che quindi tutti
dobbiamo metterci in fila, all'aeroporto perche' un
subnormale ci rubi l'Eau d'Issey per ragioni di
sicurezza nazionale, e dietro al leader maximo per
fare come egli, il grande condottiero, vuole che
facciamo ad ogni elezione in cui ci troviamo a
votare.
La desideravano la guerra, una guerra che facesse
provare il tremolio della vendetta, del redde
rationem con coloro che (assomigliano fisicamente a
ed hanno la stessa religione di quelli che) li
avevano cosi' brutalmente colpiti l'11 Settembre
2001; una guerra che mantenesse ad libitum il senso
di paura, di pericolo imminente, che giustifica
l'occhio per occhio e la strana eccitazione che
pervade quello strano paese da sempre. La vendetta
brutale e la paura diffusa ma eccitante per il
pericolo invisibile: gli ingredienti essenziali del
70% d'immondizia visivo-sonora che Hollywood - la
grande Hollywood intellettuale e di sinistra -
propina regolarmente al popolo americano e che lo
trasforma in un gregge credulone ed obbediente, ma
soddisfatto.
Questo e' lo sporco segreto che, da quelle parti,
tutti tengono nascosto sotto il tappeto, che non si
racconta mai, non in televisione ma neanche a cena
fra pochi e fidati intellettuali d'ampie vedute. Per
questo sporco segreto molti di loro hanno votato per
lo status quo ancora una volta, perdendo, questa
volta, per fortuna: perche' l'ipocrisia che regge la
self-righteousness e' piu' forte della vergogna
liberatoria che una nuova confessione pubblica
d'errore implicherebbe. Perche', nel patto
mefistofelico che avevano stretto con il loro
presidente, la vendetta che hanno avuto tra marzo e
maggio del 2003 invadendo l'Irak si paga con
l'autorizzazione a mantenere tutto il popolo
americano in stato di guerra e paura a tempo
indefinito. Perche' sappiamo che l'Irak non e' un
altro Vietnam, e' peggio: e' il nostro Afghanistan,
ed infatti stanno arrivando anche li' i terribili
Talebani, queste creature ambivalenti e pericolose
prodotte dal sonno della nostra ragione, e dai
nostri soldi.
Per tutto questo gli americani provano
quotidianamente una colpa che non sanno sopportare,
pero' l' ipocrisia e' piu' forte: hanno votato per
lo status quo e poi giù al cinema per il fix
quotidiano di paura e vendetta. A vedere Flags of
our Fathers mangiando popcorns.
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