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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Figli col
turbo e figli in pattumiera di
Giuseppe Costantino Budetta,
L'anello di
Giuseppe Costantino Buretta,
Mario di
Antonio Carollo, Il
viaggio di Antonio Caterina,
Anche i cani hanno
un'anima di Antoine Fratini,
Intervista scoop
di Marcellino Lombardi,
L'America di
Misha, America
di Paolo Ragni, New
York! di Paolo Ragni
Poesia italiana
Poesia in lingua
Recensioni
In questo numero:
- "I passi dell'anima" di Dulcinea, nota di
MassimoAcciai
- "Ma io ti vedo" di Marinella Ioime
- "Nora Daren: Il corpo, il suo supplizio" di
Maria Rosaria Cofano, nota di Enrico
Pietrangeli
- "Cronache di attori di un teatro distratto"
di Francesco Ferrante, recensione di Emanuela
Ferrari
- "Tante notti a camminare" di Enzo Di Ganci,
recensione di Emanuela Ferrari
- "Cocktail Poesie e Pensieri" di Gaetano Toni
Grieco, recensione di Emanuela Ferrari
- "Oltre il cielo dei giusti" di Simone Sutra,
recensione di Paolo D'Arpini
- "L'uomo dei piccioni " di Salvatore Scalisi
- "La ragazza della tempesta" di Fabrizio
Valenza
- "Nel buio delle tubature" di Alessio
Pollutri
- "Alvar Mayor (Maestri del Fumetto #38)" di
Carlos Trillo e Enrique Breccia
Interviste
Dulcinea
intervista a cura di Massimo Acciai
Riccardo Burgazzi
intervista a cura di Alessandro Rizzo
Incontri nel giardino
autunnale
Saggi
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Aggrappato alle Grigne e adagiato
sulle coste del lago, Mandello al Lario si alimenta
dell'energia scaturita dai forti contrasti del suo
territorio e si esprime attraverso la solidità dei
suoi abitanti, forgiati dall'imprevedibilità del
vento.
Giuseppe Didone è legato visceralmente a Mandello,
alle sue montagne, al suo lago e al suo vento e le
omaggia con ciò che meglio sa fare: dipingere.
Il pittore raggiunge Mandello per sfuggire dalla
pioggia di bombe che imperversa a Milano durante la
Seconda Guerra Mondiale, nel 1943; lascia così la
città dove è nato per raggiungere la salvezza
nell'alcova dei monti lecchesi.
Sin da piccolo, in compagnia dei genitori, si reca a
Mandello e ne rimane profondamente affascinato: il
lago e i suoi riflessi, i boschi arroccati sulle
chine e le persone dalla calda umiltà segnano la
infanzia e vengono tradotti, con l'abilità di un
artista promettente, sulla tela.
Le prime opere, realizzate intorno ai sedici anni,
ritraggono donne indaffarate nelle occupazioni,
sospese nei loro pensieri. La facilità e la
spigliatezza della sua pennellata mostrano la virtù
pittorica e i docenti che lo seguono nei primi studi
non possono far altro che invitarlo a seguire la sua
propensione naturale iscrivendosi all'Accademia di
Belle Arti di Brera.
Sotto la guida di Luca Beltrami, Camillo Rapetti e
Ambrogio Alciati, Didone s'avvicina alla sensibilità
della Fin du Siècle e realizza opere in cui il
realismo dei soggetti e la partecipazione emotiva
vengono sublimate dalla dirompenza della luce;
un'energia leggera ma vigorosa che sfalda la materia
pittorica e la riduce a rapide pennellate e a grumi
di colore.
Sin dalle prime esposizioni, agli inizi degli anni
Venti, i soggetti preferiti dal giovane Didone son
legati a Mandello e al suo territorio: i paesaggi
prealpini e le vedute lacustri emergono così come
espedienti per evocare giornate passate nella
spensieratezza dell'infanzia con uno sguardo colmo
di stupore fanciullesco.
Nel 1926, a ventitré anni, si diploma e decide
d'ampliare i suoi orizzonti artistici dedicandosi
alla grafica e alla miniatura su avorio senza mai
abbandonare la pittura.
L'indagine che compie sul ritratto borghese lo porta
a raggiungere esiti molto alti e ad avvicinarsi
all'ambiente della Milano "che conta"; nel ritratto,
la pittura di Didone diventa analitica e
fotografica, non priva di riferimenti ai grandi
maestri olandesi di primo 1400, da Van Eyck a Van
der Weyden, e alla ritrattistica ottocentesca
inglese.
Nel realizzare i suoi ritratti, Didone è sempre
spinto dal desiderio di mostrare la disposizione
psichico-emotiva del soggetto attraverso la precisa
rappresentazione fisiognomica; tale desiderio di
scrutare i recessi delle anime per portarne in
superficie i tratti salienti, è dovuto all'influenza
di Vespasiano Bignami, noto ritrattista milanese
legato agli ambienti della curia e alle istituzioni
pubbliche della città.
Grazie alla vicinanza di Bignami, Didone riesce a
venire in contatto con quelli che saranno i
committenti dei suoi ritratti più celebri: realizza
il ritratto della ballerina classica Carolina
Barbara Invernizzi, immortala il Cardinal Andrea
Carlo Ferreri e Padre Agostino Gemelli e collabora
vivacemente con la famiglia Toscanini per la quale
realizza numerose miniature in avorio.
Nel 1943, col trasferimento a Mandello al Lario, il
pittore s'avvicina all'ambiente pragmatico della
borghesia industriale della zona; lavora per Carlo
Guzzi, celebre per la sua industria di motociclette,
e per la famiglia Carcano, nota per la produzione
d'acciaio e laminati.
Didone trova in Venezia un altro soggetto in grado
di stimolarlo all'indagine continua, totale e
particolareggiata; vi si reca più volte e vi
realizza numerose vedute. Una ricchezza tale di
acquerelli, disegni, tele ed incisioni è dovuta al
tentativo di Didone di fissare, attraverso la
creazione artistica, l'instabilità della città
lagunare, gioiello di monumentalità in equilibrio
instabile sul mare.
Un fascino, quello di Venezia, che ha colpito, negli
stessi anni, anche il celebre pittore Filippo De
Pisis e che avvolge Didone in una atmosfera
trasognata, volutamente espressiva.
A differenza di molti suoi contemporanei, Didone
sceglie di non seguire la strada di gruppi e
schieramenti in cui l'arte strizza l'occhio alla
politica scendendo a compromessi con la propria
missione di rappresentazione fedele della realtà.
Nonostante questo, non rimane indifferente alla
formazione di una nuova sensibilità artistica,
influenzata, da una parte, dal recupero del
classicismo voluto dal gruppo del Novecento Italiano
e, dall'altra, dal fervore antiaccademico del gruppo
Corrente.
Un forte ascendente su di lui pare averlo il gruppo
dei Chiaristi e, in particolare, Umberto Lilloni,
suo compagno all'Accademia di Brera; Lilloni,
celebre per le sue vedute della Valtellina e della
Valchiavenna, si serve di tonalità chiare ed
atmosfere sospese in un soffice lirismo; espedienti
formali e sensoriali che si ritrovano nelle vedute
del Lago di Como di Didone.
Dal 1943 la vita e l'attività di Didone si
stabilizzano a Mandello.
Accanto alle vedute lacustri, ritrae gli scorci
della realtà del paese: le vecchie case del borgo,
le campagne e le montagne, immortalate in stagioni,
ore e momenti differenti in modo da indagarne le
metamorfosi spazio-temporali, in un gioco analitico
di scoperta reciproca.
Didone crea dialogo con la natura che lo circonda e
la sua pittura è il canale di questa intima
conversazione; ciò che rappresenta, oltre ad essere
una riproduzione fedele della realtà naturale, è
manifestazione della disposizione di un quotidiano
osservatore che, ad ogni veduta, scopre nuove
emozioni.
Al termine della guerra, insieme alla moglie,
ritorna a Milano e tenta di recuperare i contatti
con la committenza prebellica.
In questa fase matura, si occupa principalmente di
miniatura su avorio, attività la cui minuzia per il
particolare si riflette anche nella pratica
pittorica: i suoi ritratti si fanno ancor più
fotografici e mimetici ma non per questo sterili di
sentimento.
Mandello al Lario rimane meta di soggiorni estivi,
di riposo e di tranquillità; con la famiglia è uso
recarsi ad Oliveto Lario per godere del panorama ed
immortalarlo sulla tela.
Le tinte forti della cultura di fine Ottocento, in
romantico contrasto tra realismo naturalista e
sfaccettata scapigliatura, trovano una sintetica
soluzione nelle vedute di Mandello e nella loro
umile semplicità.
Quadri che rimarranno sempre fedeli a quei frammenti
di realtà: atmosfere fatte di materia pittorica in
cui la partecipazione emotiva è della stessa materia
del calore di un ricordo lontano ma mai lasciato,
velato dalla polvere del tempo, un velo trasparente
di emozioni sussurrate.
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