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Narrativa

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi in prosa inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
Figli col turbo e figli in pattumiera di Giuseppe Costantino Budetta, L'anello di Giuseppe Costantino Buretta, Mario di Antonio Carollo, Il viaggio di Antonio Caterina, Anche i cani hanno un'anima di Antoine Fratini, Intervista scoop di Marcellino Lombardi, L'America di Misha, America di Paolo Ragni, New York! di Paolo Ragni

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Giuseppe Costantino Budetta, Andrea Cantucci, Matteo D'Alessio, Dulcinea, Eleonora Falciani, Alessandra Ferrari, Emanuela Ferrari, Davide Morelli, Gilbert Paraschiva, Caterina Pomini, Natalia Radice, Luciano Somma, Anna Maria Volpini

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, in lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Rossana D'Angelo, Lucia Dragotescu, Dulcinea, Emanuela Ferrari, Paolo Filippi, Manuela Léa Orita, Iuri Lombardi

Recensioni

In questo numero:
- "I passi dell'anima" di Dulcinea, nota di MassimoAcciai
- "Ma io ti vedo" di Marinella Ioime
- "Nora Daren: Il corpo, il suo supplizio" di Maria Rosaria Cofano, nota di Enrico Pietrangeli
- "Cronache di attori di un teatro distratto" di Francesco Ferrante, recensione di Emanuela Ferrari
- "Tante notti a camminare" di Enzo Di Ganci, recensione di Emanuela Ferrari
- "Cocktail Poesie e Pensieri" di Gaetano Toni Grieco, recensione di Emanuela Ferrari
- "Oltre il cielo dei giusti" di Simone Sutra, recensione di Paolo D'Arpini
- "L'uomo dei piccioni " di Salvatore Scalisi
- "La ragazza della tempesta" di Fabrizio Valenza
- "Nel buio delle tubature" di Alessio Pollutri
- "Alvar Mayor (Maestri del Fumetto #38)" di Carlos Trillo e Enrique Breccia

Interviste

Dulcinea
intervista a cura di Massimo Acciai
Riccardo Burgazzi
intervista a cura di Alessandro Rizzo

Incontri nel giardino autunnale

Intervista a Paolo Pignattelli
A cura di Matteo Nicodemo

Saggi

L'idillio filosofico e letterario tra Italia e Grecia
di Apostolos Apostolou
La poesia postmoderna in Italia e in Grecia
di Apostolos Apostolou
Forme e impressioni della letteratura nordamericana degli anni cinquanta fino a oggi
di Apostolos Apostolou
Didone
di Davide Rota

Didone
 

Di Davide Rota


Aggrappato alle Grigne e adagiato sulle coste del lago, Mandello al Lario si alimenta dell'energia scaturita dai forti contrasti del suo territorio e si esprime attraverso la solidità dei suoi abitanti, forgiati dall'imprevedibilità del vento.
Giuseppe Didone è legato visceralmente a Mandello, alle sue montagne, al suo lago e al suo vento e le omaggia con ciò che meglio sa fare: dipingere.
Il pittore raggiunge Mandello per sfuggire dalla pioggia di bombe che imperversa a Milano durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1943; lascia così la città dove è nato per raggiungere la salvezza nell'alcova dei monti lecchesi.
Sin da piccolo, in compagnia dei genitori, si reca a Mandello e ne rimane profondamente affascinato: il lago e i suoi riflessi, i boschi arroccati sulle chine e le persone dalla calda umiltà segnano la infanzia e vengono tradotti, con l'abilità di un artista promettente, sulla tela.
Le prime opere, realizzate intorno ai sedici anni, ritraggono donne indaffarate nelle occupazioni, sospese nei loro pensieri. La facilità e la spigliatezza della sua pennellata mostrano la virtù pittorica e i docenti che lo seguono nei primi studi non possono far altro che invitarlo a seguire la sua propensione naturale iscrivendosi all'Accademia di Belle Arti di Brera.
Sotto la guida di Luca Beltrami, Camillo Rapetti e Ambrogio Alciati, Didone s'avvicina alla sensibilità della Fin du Siècle e realizza opere in cui il realismo dei soggetti e la partecipazione emotiva vengono sublimate dalla dirompenza della luce; un'energia leggera ma vigorosa che sfalda la materia pittorica e la riduce a rapide pennellate e a grumi di colore.
Sin dalle prime esposizioni, agli inizi degli anni Venti, i soggetti preferiti dal giovane Didone son legati a Mandello e al suo territorio: i paesaggi prealpini e le vedute lacustri emergono così come espedienti per evocare giornate passate nella spensieratezza dell'infanzia con uno sguardo colmo di stupore fanciullesco.
Nel 1926, a ventitré anni, si diploma e decide d'ampliare i suoi orizzonti artistici dedicandosi alla grafica e alla miniatura su avorio senza mai abbandonare la pittura.
L'indagine che compie sul ritratto borghese lo porta a raggiungere esiti molto alti e ad avvicinarsi all'ambiente della Milano "che conta"; nel ritratto, la pittura di Didone diventa analitica e fotografica, non priva di riferimenti ai grandi maestri olandesi di primo 1400, da Van Eyck a Van der Weyden, e alla ritrattistica ottocentesca inglese.
Nel realizzare i suoi ritratti, Didone è sempre spinto dal desiderio di mostrare la disposizione psichico-emotiva del soggetto attraverso la precisa rappresentazione fisiognomica; tale desiderio di scrutare i recessi delle anime per portarne in superficie i tratti salienti, è dovuto all'influenza di Vespasiano Bignami, noto ritrattista milanese legato agli ambienti della curia e alle istituzioni pubbliche della città.
Grazie alla vicinanza di Bignami, Didone riesce a venire in contatto con quelli che saranno i committenti dei suoi ritratti più celebri: realizza il ritratto della ballerina classica Carolina Barbara Invernizzi, immortala il Cardinal Andrea Carlo Ferreri e Padre Agostino Gemelli e collabora vivacemente con la famiglia Toscanini per la quale realizza numerose miniature in avorio.
Nel 1943, col trasferimento a Mandello al Lario, il pittore s'avvicina all'ambiente pragmatico della borghesia industriale della zona; lavora per Carlo Guzzi, celebre per la sua industria di motociclette, e per la famiglia Carcano, nota per la produzione d'acciaio e laminati.
Didone trova in Venezia un altro soggetto in grado di stimolarlo all'indagine continua, totale e particolareggiata; vi si reca più volte e vi realizza numerose vedute. Una ricchezza tale di acquerelli, disegni, tele ed incisioni è dovuta al tentativo di Didone di fissare, attraverso la creazione artistica, l'instabilità della città lagunare, gioiello di monumentalità in equilibrio instabile sul mare.
Un fascino, quello di Venezia, che ha colpito, negli stessi anni, anche il celebre pittore Filippo De Pisis e che avvolge Didone in una atmosfera trasognata, volutamente espressiva.
A differenza di molti suoi contemporanei, Didone sceglie di non seguire la strada di gruppi e schieramenti in cui l'arte strizza l'occhio alla politica scendendo a compromessi con la propria missione di rappresentazione fedele della realtà.
Nonostante questo, non rimane indifferente alla formazione di una nuova sensibilità artistica, influenzata, da una parte, dal recupero del classicismo voluto dal gruppo del Novecento Italiano e, dall'altra, dal fervore antiaccademico del gruppo Corrente.
Un forte ascendente su di lui pare averlo il gruppo dei Chiaristi e, in particolare, Umberto Lilloni, suo compagno all'Accademia di Brera; Lilloni, celebre per le sue vedute della Valtellina e della Valchiavenna, si serve di tonalità chiare ed atmosfere sospese in un soffice lirismo; espedienti formali e sensoriali che si ritrovano nelle vedute del Lago di Como di Didone.
Dal 1943 la vita e l'attività di Didone si stabilizzano a Mandello.
Accanto alle vedute lacustri, ritrae gli scorci della realtà del paese: le vecchie case del borgo, le campagne e le montagne, immortalate in stagioni, ore e momenti differenti in modo da indagarne le metamorfosi spazio-temporali, in un gioco analitico di scoperta reciproca.
Didone crea dialogo con la natura che lo circonda e la sua pittura è il canale di questa intima conversazione; ciò che rappresenta, oltre ad essere una riproduzione fedele della realtà naturale, è manifestazione della disposizione di un quotidiano osservatore che, ad ogni veduta, scopre nuove emozioni.
Al termine della guerra, insieme alla moglie, ritorna a Milano e tenta di recuperare i contatti con la committenza prebellica.
In questa fase matura, si occupa principalmente di miniatura su avorio, attività la cui minuzia per il particolare si riflette anche nella pratica pittorica: i suoi ritratti si fanno ancor più fotografici e mimetici ma non per questo sterili di sentimento.
Mandello al Lario rimane meta di soggiorni estivi, di riposo e di tranquillità; con la famiglia è uso recarsi ad Oliveto Lario per godere del panorama ed immortalarlo sulla tela.
Le tinte forti della cultura di fine Ottocento, in romantico contrasto tra realismo naturalista e sfaccettata scapigliatura, trovano una sintetica soluzione nelle vedute di Mandello e nella loro umile semplicità.
Quadri che rimarranno sempre fedeli a quei frammenti di realtà: atmosfere fatte di materia pittorica in cui la partecipazione emotiva è della stessa materia del calore di un ricordo lontano ma mai lasciato, velato dalla polvere del tempo, un velo trasparente di emozioni sussurrate.

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