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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Figli col
turbo e figli in pattumiera di
Giuseppe Costantino Budetta,
L'anello di
Giuseppe Costantino Buretta,
Mario di
Antonio Carollo, Il
viaggio di Antonio Caterina,
Anche i cani hanno
un'anima di Antoine Fratini,
Intervista scoop
di Marcellino Lombardi,
L'America di
Misha, America
di Paolo Ragni, New
York! di Paolo Ragni
Poesia italiana
Poesia in lingua
Recensioni
In questo numero:
- "I passi dell'anima" di Dulcinea, nota di
MassimoAcciai
- "Ma io ti vedo" di Marinella Ioime
- "Nora Daren: Il corpo, il suo supplizio" di
Maria Rosaria Cofano, nota di Enrico
Pietrangeli
- "Cronache di attori di un teatro distratto"
di Francesco Ferrante, recensione di Emanuela
Ferrari
- "Tante notti a camminare" di Enzo Di Ganci,
recensione di Emanuela Ferrari
- "Cocktail Poesie e Pensieri" di Gaetano Toni
Grieco, recensione di Emanuela Ferrari
- "Oltre il cielo dei giusti" di Simone Sutra,
recensione di Paolo D'Arpini
- "L'uomo dei piccioni " di Salvatore Scalisi
- "La ragazza della tempesta" di Fabrizio
Valenza
- "Nel buio delle tubature" di Alessio
Pollutri
- "Alvar Mayor (Maestri del Fumetto #38)" di
Carlos Trillo e Enrique Breccia
Interviste
Dulcinea
intervista a cura di Massimo Acciai
Riccardo Burgazzi
intervista a cura di Alessandro Rizzo
Incontri nel giardino
autunnale
Saggi
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Hai un'età molto giovane e già
possiamo definirti scrittore con una certa
esperienza. Che cosa spinge un giovane a scrivere
poesie, un genere che vede una bassa rispondenza da
parte del pubblico di massa, un genere poco
sostenuto dai media e dalla scuola?
Non mi risulta nessuno che abbia cominciato a
scrivere poesie da vecchio. De Andrè, citando Croce,
ha detto: "fino a 18 anni si scrivono poesie poi
continuano a farlo due tipi di persone: i cretini e
i poeti, io per precauzione mi definisco un
cantautore". Non deve stupire il fatto che un
giovane scriva poesie. Resta, invece, la domanda su
che cosa spinga a farlo. La risposta, forse, è nella
tradizionale ispirazione, che io chiamo il "bisogno
di avere le parole giuste".
In una tua lettera, rintracciabile sul web, hai
parlato di "morte della poesia", poi precisato
l'affermazione dicendo che la poesia nel senso
generale e universale non è in crisi: che cosa
significa questo principio?
Constatato "sul campo"che le letture poetiche
difficilmente riescono a lasciare qualcosa agli
astanti, ho cercato alcune cause "sociologiche" che
facciano pensare che questo genere sia su un binario
morto. Innanzi tutto esiste un certo pregiudizio
verso la poesia. Spesso si avverte come difficile o
incomprensibile, oppure, al contrario, come banale,
irritante. E' molto più semplice, per chi va in
cerca "di parole giuste", rivolgersi alla canzone:
la puoi ascoltare ovunque e senza fatica.
Anni fa un professore universitario fece un
esperimento: chiese di alzare la mano a tutti coloro
che conoscessero 15 cantanti contemporanei. Lo
fecero tutti. Poi chiese di alzarla a coloro che
avrebbero saputo nominare 5 poeti contemporanei. Si
levarono solo due o tre mani.
La poesia chiede al lettore di fermarsi e pensare in
silenzio. Oggi tutto scorre in fretta. Oggi non c'è
tempo per il silenzio.
Se questi possono essere i segnali della crisi, dico
che da un punto di vista "ontologico" (cioè
dell'esistenza) la poesia non può morire, perché è
insita nell'uomo: è il principio con cui diamo i
nomi alle cose; finché ci saranno un parlatore e un
uditore, ci sarà poesia.
La parola e il linguaggio acquistano un posto
rilevante nelle tue composizioni: si può parlare di
gioco tra significato e significante?
Poco probabile che qualcuno riesca a fare a meno di
questo nesso: significherebbe rinunciare alle
metafore. Certo, talvolta in prima stesura nomino
una cosa, per la quale poi preferisco trovare altre
parole; c'è il rischio di perdere il senso originale
e disorientare il lettore, ma è proprio questa
tecnica che consente di aprire il ventaglio delle
interpretazioni, facendole tendere all'infinito.
Diciamo che si tratta di "sintetizzare parole con
immagini o immagini con parole"; dove "sintetizzare
parole con immagini" significa "metaforizzare" (dire
"scorre sabbia nella clessidra" anziché "passa il
tempo") e "sintetizzare immagini con parole"
significa "descrivere sguardi" (quindi, viceversa,
dire "rosso" anziché "sangue").
Non è detto che il lettore colga lo stesso senso che
volevo dare io al testo; non per questo sbaglia! Per
esempio, durante l'ultima presentazione del cerchio,
qualcuno mi ha fatto notare che era possibile
interpretare il discorso che ho proposto come un
percorso di formazione, dal bambino all'anziano.
Osservazione senz'altro possibile e valida alla
quale non avevo minimamente pensato quando ho scelto
che poesie esporre.
Qualcuno ti ha definito poeta "postmoderno". E'
giusta questa definizione, oppure deve essere
corretta?
Dunque, se "postmodernismo" (in letteratura)
significa tessere un gioco di richiami, citazioni e
rielaborazioni da altri autori (insomma l'idea che
tutto sia già stato detto e ogni libro racconta una
storia già raccontata), esso è sicuramente presente
nella raccolta, giacché viene spesso instaurato un
dialogo con numerosi scrittori del passato (non
necessariamente poeti) o, perché no, vengono
sfruttati detti e proverbi, restando quindi su un
piano più quotidiano e facendone fonte altrettanto
degna di riflessione. Naturalmente il discorso non è
valido per ogni singolo testo, ma è un'osservazione
assolutamente fondata.
Nella tua ultima raccolta edita da Fara Editore,
Un cerchio di pietre, in un componimento specifico,
Nomina nuda, fai riferimento alle parole come
"fossili di ere perdute": anche i termini più
desueti un tempo avevano la loro capacità espressiva
e liricità. Che cosa vuoi significare con questo
concetto profondo?
E' un'idea già presente in Emerson (Nature, cap.IV,
sul linguaggio): "I poeti fecero tutte le parole e
pertanto il linguaggio è l'archivio della storia
(…). Però, sebbene l'origine della maggior parte
delle parole sia dimenticata, ogni parola fu in
principio un lampo di genio e fu divulgata perché in
quel momento essa simbolizzava il mondo al primo
parlatore e al primo uditore. L'etimologo scopre che
la più morta parola è stata una volta una brillante
pittura. Il linguaggio è poesia fossile. Come la
calce del continente consiste di infinite masse di
conchiglie di piccolissimi animali, così il
linguaggio è fatto di immagini, di tropi, che ora
per il loro uso secondario hanno da lungo tempo
cessato di ricordarci la loro origine poetica.
Il problema è proprio che non c'è stato un "primo"
uomo, ma tanti "primi uomini", che in posti diversi
davano nomi differenti alle stesse cose. C'era già
confusione! Qualcuno ha provato a confrontare le
radici di parole tratte da ceppi lontani, per
dimostrare un'origine comune. Per esempio la "m" di
mamma riprende la "m" di mammella e può essere
comune a più popoli proprio per la naturalezza del
concetto. Non abbiamo, però, un archivio
sufficientemente ampio di esempi simili: in molti
casi l'assenza di testi è un limite nella ricerca.
Senza contare che l'etimologo si muove
principalmente nel campo delle ipotesi, per quanto
sensate.
Perché il titolo: "Un cerchio di pietre"?
L'ambientazione della raccolta avviene sulla cima di
un colle, dove un uomo trova un cerchio di pietre e,
portatosi al centro di quest'ultimo, ruota su se
stesso fissando lo sguardo su ogni sasso. Ogni
pietra rappresenta una poesia e corrisponde quindi a
un rapimento estatico di questo "io", che viene
proiettato, con la mente, su paesaggi o in
situazioni sempre diverse.
Forse l'idea deve molto a una poesia: "Rocca sul
mare". In essa è descritta una situazione simile a
quella appena esposta: dalla cima di una rupe un
uomo si pone domande guardando il mare e i
particolari del paesaggio che lo circondano.
Vincenzo d'Alessio, nella sua recensione alla
raccolta, ha confrontato il "cerchio" con Stonehenge:
anche questo è possibile; del resto il titolo è "un
cerchio", come a dire: "uno tra i tanti possibili".
Hai altri programmi poetici per il futuro, stai
già lavorando a un'altra raccolta?
Ho qualche idea. Sicuramente qualcosa con meno echi
letterari. Vorrei tentare la via dell'ironia e della
quotidianità. Ho quasi finito un trittico di poesie
sull'Africa, basata su esperienze di viaggio in
Kenya.
Nelle tue presentazioni riesci a coinvolgere uno
strumento musicale, l'arpa, e voci di lettori,
spesso attori teatrali, accompagnate dalla
proiezione di immagini dal significato intenso e
descrittivo della realtà. Da queste performance
interessanti e innovative può nascere un progetto di
rappresentazione teatrale?
Questo esperimento è stato possibile grazie alla
collaborazione di alcuni amici: Antonio Santu ha
scritto delle bellissime musiche ispirate ai testi,
che ne richiamano quindi ritmi e colori, che Sonia
Caputo, valente arpista, interpreta molto bene. Non
si esclude quindi l'idea di preparare una
scenografia e studiare dei personaggi che possano
rendere il viaggio narrato dalla raccolta in teatro.
Ora, però, dobbiamo prima pensare a una
pubblicazione che dia spazio sia ai testi che agli
spartiti.
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