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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi narrativi inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Io confesso di Pietro
Rainero, La befana vien di
notte di Pietro Rainero,
Oltre la sbarra di
Giuseppe Budetta
Poesia in lingua inventata
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Eugenetica, omofobia e stupro
mediatico: ovvero, era meglio morire da feti
Cosa fareste voi aspiranti
genitori se un medico, esami alla mano, vi dicesse
che il figlio che state aspettando ha una buona
probabilità di essere omosessuale?
Il romanzo di Marco Bazzato, "Aborto d'amore", parte
da questa premessa che ad alcuni potrà apparire
inquietante ma pone una questione ancora più vasta,
già a lungo dibattuta, che continua a fomentare
aspre diatribe tra sostenitori e oppositori: la
liceità dell'aborto. È giusto che un figlio nasca
contro la volontà dei genitori? È giusto per i
genitori? Per il bambino? Per la società?
La storia che Bazzato narra, con un linguaggio crudo
e violento che ben si adatta alla vicenda ambientata
in Veneto ai giorni nostri, è una di quelle storie
che non possono lasciare indifferenti, che non
possono non far riflettere. Non è certo un romanzo
rilassante, anzi direi che è come un pugno nello
stomaco, e non è neanche un libro per tutti ma solo
per coloro che non temono di confrontarsi con
tematiche difficili quanto attuali. Sconsigliata
dunque la lettura alle persone che si turbano
facilmente e non sanno gestire l'inquietudine,
l'indignazione che inevitabilmente farà sorgere
questa lettura, sia che ci si schieri con coniugi
Rampin - a cui è stata profetizzata la nascita di un
figlio gay - sia che ci si schieri con i sostenitori
dei diritti degli omosessuali o in generale con gli
antiabortisti.
Che esista veramente il gene responsabile
dell'omosessualità è tema dibattuto in ambito
scientifico e mai provato, ma il fulcro del suo
romanzo è altro: ci si interroga se i genitori hanno
diritto a scegliere della vita e della morte di un
feto che sta crescendo ignaro nel ventre di Arianna
Rampin, tipica madre veneta con un bambino e due
aborti naturali alle spalle. Un' altra interruzione
di gravidanza comporta dei pericoli medici, così la
decisione è ancora più sofferta. La privatissima
questione familiare balza ad un certo punto alla
ribalta della cronaca e finisce sotto i riflettori
dei giornalisti che, come avvoltoi, calano per
sbattere la questione in prima serata e fare
audience. Tra questioni religiose, etiche e
giudiziarie si dipana la vicenda fino al suo epilogo
che ovviamente non spoilerò.
Il romanzo è ben scritto ed avvincente, costruito
con perizia da un grande narratore qual è Marco
Bazzato (già autore di "Progetto Emmaus", altra
opera dai contenuti forti), ed è capace di tenere il
lettore incollato fino all'ultima riga. A me ha
suscitato molte riflessioni personali che vorrei qui
esporre, prendendo come spunto proprio questa
vicenda inventata ma che potrebbe benissimo essere
reale e precisando che si tratta di un mio personale
punto di vista.
Premetto che io sono un sostenitore della libertà,
in campo sessuale come in altri campi: tra adulti
consenzienti per me tutto e permesso, in accordo col
diritto (una conquista peraltro recente; fino a non
molti decenni fa avere rapporti omosessuali in
Inghilterra era reato penale, e lo è ancora in molti
luoghi del Terzo Mondo, un reato punito addirittura
con la morte). Per me omo ed etero hanno e devono
avere gli stessi diritti. Tuttavia sono anche a
favore dell'aborto, che ritengo un diritto
inalienabile della donna, e penso che per un figlio
o una figlia omosessuale non sarebbe un bell'affare
nascere in una famiglia omofoba, come non sarebbe,
più in generale, una cosa positiva per un figlio o
figlia etero nascere in una famiglia che non lo/la
desidera. Il discorso si potrebbe allargare a quei
bambini portatori di handicapp che, se potessero
scegliere, forse sarebbero i primi a chiedere alla
madre di abortire. Mi rendo conto di dire delle cose
forti ed anche in certa misura arbitrarie: in fondo
non si può per ovvi motivi chiedere il parere del
diretto interessato, ossia il feto. Ma il feto si
può considerare una persona a tutti gli effetti?
Quando comincia effettivamente la vita? All'atto del
concepimento? Al momento della produzione dell'ovulo
o dello spermatozoo che lo penetrerà? O forse è
ancora più antica ed affonda in vite precedenti,
come insegna la dottrina della reincarnazione? Forse
la vita fluisce eternamente dall'infinito passato
all'infinito futuro, come insegna il buddismo, e non
ha un vero inizio e una vera fine… ma il discorso ci
porterebbe lontano ed è bene non divagare troppo.
Il diritto, dicevo, di decidere della vita di un
feto è un diritto della donna che lo porta in
grembo. Ma può essere anche un diritto della società
dove quella donna vive? Mi spiego meglio.
Immaginiamo che così come fosse possibile isolare il
gene dell'omosessualità fosse possibile individuare
anche quello della criminalità. Se si sapesse che il
tale feto ha buone probabilità di essere un futuro
serial killer, o uno stupratore o un violento, ecc…
sarebbe giusto interrompere la gravidanza? Io
ritengo che non sia solo giusto, ma anche doveroso.
Auspico un futuro in cui il potenziale criminale
venga fermato addirittura prima di nascere: penso
che ci arriveremo, magari tra uno o due secoli o
più, ma ritengo che sarebbe un fatto inevitabile se
la premessa che la propensione alla delinquenza sia
genetica si dimostrasse fondata (tra l'altro è una
tematica che sto affrontando in un mio romanzo breve
di fantascienza che sto scrivendo in questo
periodo).
E il gene dell'ateismo o del fanatismo religioso? In
una società di fantatici religiosi o di atei un
elemento così diverso sarebbe sicuramente sgradito
(forse più tollerato dagli atei, ma fino ad un certo
punto) e non avrebbe vita facile. O il gene
dell'omofobia? Una coppia di donne porterebbe a
termine la gravidanza se il loro figlio fosse un
potenziale omofobo, oppure lo accetterebbero
comunque come un dono anche se crescendo odiasse le
due madri? Come si vede lo spunto di riflessione che
mi ha dato Marco Bazzato mi porta lontano. Ma
Bazzato non parla solo di eugenetica e di omofobia;
dipinge un ritratto desolante anche del mondo del
giornalismo televisivo, dell'assenza di scrupoli,
dell'invadenza dei media nella vita di privati
cittadini che può configurarsi come un vero e
proprio "stupro mediatico". Anche su questo dovremo
riflettere; in particolare mi torna alla mente il
mio lavoro di ricerca mentre preparavo la mia tesi
di laurea su "Comunicazione e fantascienza".
D'altronde ciò che era solo fantascienza quando
scrivevo la tesi, una quindicina di anni fa, oggi
già non lo è più: quello dei media e delle notizie è
un mondo in rapidissima e continua trasformazione.
Tornando però al tema dell'aborto, vorrei concludere
questa breve e, mi rendo conto, incompleta
panoramica su un argomento difficilissimo, citando
il pessimista Giacomo Leopardi che si dichiarava
d'accordo con i saggi greci sul fatto che è comunque
meglio non essere mai nati, e preferibile morire
presto (e qui concedetemi un gesto scaramantico,
visto che io non la vedo nello stesso modo sul
morire presto dal momento che abbiamo avuto la
fortuna o disgrazia di venire al mondo…).
Firenze, 16 novembre 2015
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