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Narrativa

Neve & nebbia di Massimo Acciai, Ospedali di Giuseppe Costantino Budetta, I gatti di Villa De Santis di Rossana D'Angelo, Camomilla per due di Renato Lonza, Novanta anni di Paolo Ragno, La pelliccina di Anna Maria Volpini

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Elvira Balestracci, Mariella Bettarini, Daniel Bosco, Miriam Cividalli Canarutto, Elisabetta Giancontieri, Renato Lonza, Gabriella Maleti, Maria Pia Moschini, Manuela Palchetti, Barbara Pumhösel, Paolo Ragni, Aldo Roda, Nicola Ruggiero, Roberto Veracini, Anna Maria Volpini

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici, in una lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie in lingua napoletana, esperanto ed inglese

Recensioni

Artico di Francesca Mattoni - recensione di Marco Simonelli
Impromptu di Amelia Rosselli - recensione di Marco Simonelli

Interviste

Intervista a Paolo Ragni: scrittore e poeta
di Massimo Acciai

Arte a Milano

Isola nell'Arte a Milano: un museo del futuro
di Alessandro Rizzo

Novanta anni
 

di Paolo Ragni


Veronica andò alla finestra. Piano piano la aprì e guardò in direzione del tramonto. Era una bellissima serata di maggio, soffiava una leggera profumata brezza di ponente.
Voleva scendere giù in giardino, ma c'era una ventina di scale, e a quell'ora era fatica risalirle tutte. Decise così di restare alla finestra: sotto, la strada presentava poche novità durante la giornata, adesso, invece passavano le macchine per la pizzeria lì vicino.
"Questo è il bello della mia città: non è città, e non è campagna".
Questa frase se l'era detta mille volte, però le faceva sempre piacere ripetersela. Del resto, aveva già sentito l'ultima telefonata dei suoi figli, quindi poteva anche distendersi e dire tutto quel che le girava per il capo.
"Sì, è proprio una bella giornata, direi bellissima".
Le venne da ripensare a quando, ragazza, andava a scuola - passava proprio nei pressi, per un sentiero poi diventato viale di circonvallazione.
"Eh, sì, quelli erano giorni..." ricordò quando alle superiori correva in bicicletta, attenta a non strapparsi la gonna, si arrampicava per le strade sconnesse che portavano in città. A quei tempi s'era innamorata di un ragazzo di nome Giacomo, un giovane alto, con gli occhiali. La cosa più difficile era trovare il momento per stare sola con lui.
"Oh, se ricordo…" pronunciò ad alta voce "la sera ci trovavamo, i sabati, a ridere e scherzare in un locale. C'era tutta la classe. Venivano anche i ragazzi del quartiere".
Veronica fece una pausa:
"Diciotto anni. Non avevo niente. Ero povera, davvero. Come ero!?"
Rifletté un po', intanto passò una macchina, aveva il tipico puzzo dei vecchi diesel.
Puntò i gomiti sul davanzale e vi appoggiò la testa:
"Ero molto più felice di oggi. Dovevo fuggire con Giacomo, andarmene via, via".
Restò un po' soprappensiero, poi emise una squillante risata.
"Sì, fuggire con Giacomo … che idea … anche lui era povero come me, però le ragazze, anche più belle di me, gli ronzavano intorno. Non è vero che era bello, aveva un'aria strana, la lisca nel parlare, e solo magliette lacere indosso. Studiava parecchio, passava i giorni chino sui libri, voleva diventare maestro. Era un ragazzo d'oro".
Non se la sentì più di rimanere alla finestra, voleva sentire il profumo dell'erba. Adagio andò alla porta, prese le chiavi appese al muro, la torcia elettrica e, le ciabatte larghe ai piedi deformi, si appoggiò alla balaustra e iniziò a scendere le scale.
Alzò a fatica la testa, le rondini garrivano spudoratamente.
"Spudoratamente? Da dove mi è venuta questa parola in testa?"
Nuovamente rise di sé e della parola strana saltatale in testa; pianissimo andò al tavolino, scostò una sedia di ferro, si sedette. Di lì poteva osservare sia la strada, sia la città distesa in basso, sia le stelle tra una mezz'ora.
"Davvero. Giacomo non me lo feci sfuggire. Una sera era una festa di compleanno, io mi era vestita meglio che potevo. Certo, avevo quei miei soliti quattro cenci, ma anche lui … non era di meno!"
Sorrise a questa osservazione.
"Prima che riuscissi a parlargli, lui mi disse, rosso in viso che quasi faceva paura: 'Sono tre settimane che non riesco a dormire. Ti penso sempre. Vuoi…' ma non riuscì a terminare. 'Io…' però non riuscivo a riprendere il discorso, non mi aspettavo questo da parte sua. Mi squadrò severamente in viso. 'Io…sì' fu l'unica cosa che riuscii a dire. Lui stette immobile, poi si allargò in uno di quei sorrisi… aveva il naso storto, i capelli troppo lunghi e gli occhi verdi, ridevano di felicità.
'Vieni. Andiamo a prendere qualcosa!' mi invitò.
Ad un juke-box qualcuno mise una canzone lenta, sembrava fatta apposta per noi. Io non sapevo ballare, e neanche lui, eravamo così felici che scoppiammo a ridere non appena la musica terminò. Intorno a noi capirono quel che era successo tra noi. Restammo tutti e due abbracciati a ballare anche a musica finita, e così continuammo: Giacomo fischiettava una canzone ed io l'accompagnavo al canto".
Adesso si stava facendo buio, il rosso del tramonto era diventato quasi viola, solo in un angolo, giusto all'orizzonte, si vedevano striature blu, porpora, rosa.
Veronica si lasciò andare ai suoi pensieri, senza però più parlare sottovoce, le piaceva vedere il giardino immergersi nella penombra. Poteva accendere i lampioni ma non ne aveva voglia, poteva mettersi a sedere sul grande dondolo alle sue spalle, ma preferiva restare seduta così, come da ragazza.
"A quei tempi non c'erano le sdraio…"
Un leggero odore di pomodoro, di sughi, di pizza le arrivò al naso, era il ponente che glielo portava, quando soffiava lo scirocco invece non c'era alcun buon odore di pasta, ma solo un caldo afoso, quasi intollerabile.
"Passammo così molti sabati. Andavamo alla casa del popolo, o in parrocchia, e ogni volta tutto era più bello della precedente. Qualcuno portava sempre nuove canzoni, ma un sabato saltò la luce. Invece di smettere, tutti quanti, continuammo a ballare, Giacomo mi teneva stretta e alla penombra mi guardava che mi scavava dentro. Erano sguardi brevissimi, fulminanti".
Adesso la campagna era immersa nel buio, i lampioni davano una debole luce, solo i fari delle macchine illuminavano la strada. I clienti non trovavano posto accanto alla pizzeria e lasciavano la macchina sempre più vicino al suo cancello. Veronica sorrideva. Un'auto le fu messa quasi davanti al cancello, ne uscirono un ragazzo e una ragazza. Osservarono perplessi il parcheggio un po' infelice, quando lei scorse la vecchia seduta nel giardino.
"Signora" la chiamò "Le dà noia se lasciamo la macchina qui davanti?"
Veronica rispose, prontamente:
"No, nessuna noia. A novant'anni non si esce più la sera!"
I due giovani sorrisero.
"Buona serata!" le augurò il ragazzo "Ma sta così al buio?"
"Sì, sennò vengono le zanzare" rispose, in realtà non veniva nessuna zanzara a maggio, ma le piaceva starsene immersa nella penombra. Le piaceva ancora di più essere vista da chi passava e poter scambiare due chiacchiere con qualcuno.
I due giovani si allontanarono, si tenevano a braccetto, parlavano a bassa voce.
"Giacomo" sussurrò Veronica "Perché ti sei schiantato sulla Siena-Bettolle … perché avevi così tanta fretta di tornare…"
Il telefono da casa sua squillò.
"Oh Dio, chi sarà mai a quest'ora!"
Stavolta non aveva pensato a portarsi dietro il cordless, cosa che faceva sempre, quindi rimase un po' impaurita e un o' irritata dal contrattempo "Speriamo che non richiamino".
Il telefono tacque e poi ricominciò. Veronica stette inquieta ad aspettare se squillava ancora, ebbene squillò davvero, a distesa, e poi ancora, e poi ancora.
"Bisognerà che mi alzi, allora!"
Si alzò e si tastò nella tasca del golfino se aveva chiave e torcia. Attraversò così mezzo giardino e iniziò a salire le scale.
"Ma chi sarà mai che mi disturba, proprio adesso!
Il telefono squillava inesorabilmente, non aveva mai squillato così tanto da quando c'era in casa.
"Io mi domanda" brontolava Veronica "chi sarà mai che mi disturba ora".
Così diceva, sinceramente, ma era anche preoccupata, ogni cosa nuova da qualche anno aveva cominciato a darle preoccupazione, e una telefonata la sera alle dieci era una di queste.
"Ah!" esclamò, si ricordò improvvisamente che suo figlio Carlo le aveva promesso di telefonarle appena arrivato alla fine di un viaggio aereo.
"Ma come avevo fatto a scordarmene?"
Veronica trasalì. Era impossibile essersi dimenticata di questa cosa. Gli aveva sempre raccomandato di darle una telefonata quand'era a destinazione, e stasera lei se n'era scordata. Era il più grande dei suoi quattro figli, quello che per primo gli aveva dato dei nipoti, e per primo dei pronipoti. Eh, sì, perché adesso aveva anche tre pronipoti.
"I miei pronipoti…" disse in un sorriso, ma il pensiero di Giacomo le sovrastava ogni altro pensiero. "E' molto caro Carlo ma…"
Le aumentava la tensione per non poter arrivare presto al telefono, cercò di accelerare il passo per quanto poteva.
Le scale erano molte, specie a quell'ora, e un po' buie. Veronica accese la torcia, la teneva forte davanti a sé, ma per un qualche motivo la ciabatta le scivolò dal piede, il piede inciampò contro lo scalino, Veronica lasciò cadere la torcia, ma quell'attimo le fece perdere l'equilibrio, perché in un baleno scivolò, rotolò giù per le scale e si rovesciò per terra, batté la testa per terra, sull'erba.
Lì per lì sentì solo un gran dolore alla gamba, finché non capì che cosa era successo. Era caduta, era riversa, forse le si era rotto qualcosa. Dal viso non usciva sangue, la testa forse era salva. Il telefono suonava ancora, chiamava e chiamava.
"Giacomo" sospirò Veronica "Mi ricordo ancora quando mi dettero la notizia. Ma io ricordo ancora di più quando mi baciasti la prima volta. Quando mi portasti all'osteria a bere un bicchiere di vino. Mi ricordo ancora che mi ero messa la gonna a plaid".
Il telefono squillava squillava.
"Qualcuno arriverà prima o poi" pensò Veronica. Ho altri tre figli, due sono in città, dieci nipoti, e poi i pronipoti… qualcuno arriverà…."
A quel punto non le importò più niente se qualcuno fosse arrivato o meno, c'era tanta gente che poteva accorrere in suo aiuto, e del resto il dolore alla gamba era sopportabile.
"Ho sopportato molto di peggio in questi novant'anni" disse tra sé
"Due parti, un'emorragia che rischiavo di morire, due operazioni che manca poco andavo al Creatore, e poi …"
Non le sovveniva in mente niente, più niente di niente. Aveva quasi sonno, le era passato ogni dolore davvero.
"Bene, così si sta proprio bene. Proprio. Non sono mai stata bene così".
Il telefono aveva smesso di squillare.
"Adesso Carlo chiamerà qualcuno in città, da dove è finito in capo al mondo. E qualcuno verrà a vedere cosa ha fatto questa sciocca della sua mamma per andare a rispondere al telefono. Oh, questi telefoni, quanta noia danno! di', Giacomo, non si stava tanto meglio prima?"

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