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Narrativa
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi poetici, in una
lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i
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Artico di
Francesca Mattoni -
recensione di Marco Simonelli
Impromptu di
Amelia Rosselli -
recensione di Marco Simonelli
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Intervista a Paolo Ragni:
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di Alessandro Rizzo
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Recensioni
In questo numero:
Artico di Francesca Matteoni -
recensione di Marco Simonelli
Impromtu di Amelia Rosselli - proposta
di lettura di Marco Simonelli
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Francesca Matteoni, ARTICO (Milano, Crocetti,
2005)
Lo spazio in cui il testo poetico accade non è riconducibile ad
un luogo geografico per il suo autore: piuttosto una scelta
(istintiva? Meditata?) di locazione filmica di ciò che viene
facendosi, una scena in cui far scorrere la propria
affabulazione, un fondale davanti al quale porre il proprio
dire. Un fondale in cui l'autore sceglie di essere contenuto.
Nella poesia Paesaggio possiamo leggere due differenti ottave in
verso libero, slegate tra loro dal triplo asterisco eppure
strettamente unite da una figuralità glaciale mossa da
sinestesie ( "i rami sognano la direzione della neve",
"l'orizzonte bianco, drappo di nidi/ sonnolenti"). In tutte le
poesie di Artico è lo stesso paesaggio a raccontare liricamente
l'autrice, s-oggetto spesso sottinteso eppure sempre presente
nella tessitura poetica e grammaticale. Un io che diventa un
quasi corale noi, usato spesso nella forma impersonale ("Si
scivola sotto ai mastelli"; "Si è ricordati nelle case"). Come
in Neurosuite di Margherita Guidacci (autrice verso cui
Francesca, nell'intervista pubblicata in fondo al libro,
dichiara di nutrire debiti culturali) la scenografia poetica si
dilata dall'interiorità sofferente delle figure che popolano le
pagine. Artico di Francesca Matteoni è un libro compatto ed
essenziale che nei suoi 24 testi racconta, attraverso una
mappatura energicamente tracciata, una sorta di spedizione e
relativa ricognizione attraverso le "zolle d'una terra
malferma". L'iceberg, la cui parte emersa è una minima
percentuale delle sue reali dimensioni, si frattura e si
manifesta interamente creando una superficie praticabile solo da
colui (colei, in questo caso) per cui "L'inverno è consolazione/
indomabile ghiaccio, puro". Nonostante la matrice metaforica sia
composta in parte da un immaginario quasi fiabesco, il timbro
generale del testo poco ha in comune con la consolazione: la
continua paratassi, la scelta di immagini dai contorni definiti,
gli incisivi dettagli di un paesaggio interiorizzato (più che
interno o meramente simbolico) non sono altro che gli
stratagemmi retorici necessari ad un approccio dinamico e
combattivo nei confronti di una realtà ostile. Una lingua
scandita dallo sguardo che compie la sua iterazione dall'interno
della condizione reale, abbandonandosi ad una descrizione quasi
onirica di sé e della propria esperienza umana in una sorta di
fase REM dei codici espressivi.
Marco Simonelli
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ALL'IMPROVVISO UNA SCONOSCIUTA
[Proposta di lettura per Impromptu di Amelia Rosselli]
In una lettera dell'11 Luglio 1980 indirizzata a Giorgio Devoto
Amelia Rosselli, accompagnando l'invio del poemetto Impromptu,
preoccupata che la brevità del suo scritto possa distogliere
l'editore dalla pubblicazione, propone l'aggiunta di altri
testi:
"Potrei darle anche degli inediti (appunti, oppure alcune poesie
del periodo '66/'77), ma penso che il poemetto stia meglio da
solo […]".
Interessante il post scriptum:
"Se proprio è necessario aggiungere una seconda parte inedita a
questo poemetto avrei anche della prosa del 1968, inedita,
anch'essa di 10 pagine, intitolata Diario Ottuso […]"
Impromptu sarà pubblicato nel 1981 presso le edizioni San Marco
dei Giustiniani come testo singolo, con una prefazione di
Giovanni Giudici mentre Diario Ottuso apparirà in volume
solamente nel 1990 presso l'Istituto Bibliografico Napoleone in
Roma. Perché Amelia propone, seppur riluttante, l'abbinamento
della sua "autobiografia possibilmente pochissimo biografica" a
quel poemetto composto dopo un settennale silenzio e che per lei
costituisce uno "sbalzo tecnico rispetto a Documento"? Possibile
ipotizzare un rapporto che in qualche modo leghi le due opere
aprendo uno spiraglio interpretativo (uno dei possibili)
sull'intelligenza di Impromptu? Al di là del dato stilistico,
entrambi i testi sembrano suggerire più che una serie di rimandi
impliciti alle proprie vicende esistenziali, un punto
cronologico che sintetizza sulla pagina un'improvvisa visione
d'insieme dell'esperienza. Se è possibile attribuire alle tre
raccolte maggiori (Variazioni belliche, Serie ospedaliera e
Documento) l'intenzione di registrare attraverso la spazialità
metrica una visione della realtà immortalata nel suo cubico
divenire, Impromptu e Diario ottuso sembrano funzionare secondo
un meccanismo in cui la realtà non è più soggetto monologante ma
oggetto di interrogazioni e dubbi, imputato a cui contestare il
"nostalgico procedere/ verso un' impenetrabile morte".
In particolare, la prima parte di Impromptu afferra due diverse
percezioni dell'io mettendole in antitesti. Amelia rifiuta
d'essere il borghese che "tralappia" e ribadisce l'integrale
matrice della propria poesia intesa non solo come vocazione ma
anche come scelta personale di lavoro e impegno politico
all'interno di una società ("un sudore/ tutto concimato, deciso,
coinciso/ da me, non altri-": si noti la possibile devianza
linguistica di quel sudore "coinciso", verosimilmente inciso
con, quasi che la fatica del lavoro contenesse insieme
l'accezione del latino "cadere dentro" e quella dell'apertura
con un taglio netto). Amelia ingiunge "l'alt" alla percezione di
sé da parte "d'altri" come "clown faunesco": la mancata
"epidemia" di sillabe e parole che negli anni precedenti ha
generato il corpus della sua opera poetica è contrapposta
energicamente alle sue "ossa che/ si rifiutavano di seccarsi al
sole"; il nucleo di tensione politica che costituisce lo
scheletro-intelaiatura della poesia di Amelia è ancora presente
in questi versi del 1980 (in un'intervista rilasciata nel 1992 a
Francesca Borrelli dichiarerà a proposito di Impromptu: "…Lì
ricominciai a parlare di politica, se pure in modo larvato").
La terza strofe del poemetto introduce concettualmente un
paesaggio metaforico sempre in antitesi: non esiste un sole che
non sia "lumière": qui l'elemento cosmico e naturale, diremmo
quasi patriarcale, assume una sfumatura significante
possibilmente luce soffusa oppure, seguendo il connettivo
linguistico della Rosselli, per la quale ogni parola è un "pozzo
della comunicazione" da cui estrarre una pluralità di senso
sempre aderente alla di lei intenzione comunicativa, potremmo
supporre che qui Amelia stia parlando liberamente "alla luce del
giorno". Il francese, poi, è un "par terre" (espressione che,
con differente grafia, ha il valore di aiuola d'erba ma anche,
per estensione, la zona del teatro in italiano definita come
boccascena. In questa strofe Amelia dispone e prepara la scena
verbale dichiarando i propri intenti discorsivi e ribadendo la
poetica di sempre, scrittrice che parla di sè attraverso la
funzione teatrale e rappresentativa delle parole. Non si tratta
di parola teatrante ma di parola "teatrata", rappresentata. E'
in questo palcoscenico che avviene la metamorfosi: "cangiando
viste" e "forme": con una inedita percezione della realtà che si
riflette sull'asciuttezza dell'impalcatura metrica di questi
versi (lo "sbalzo tecnico" che Amelia stessa ravvisa in questa
scrittura evidentemente differente da quella di Documento e
dalle precedenti).
Nei "soli e luci/ per nulla naturali" Amelia "impenetrava" la
sua notte: in questa devianza linguistica (che Manuela Manera
riconduce ad una contaminazione fra penetrare x imperniare x
impermeare) è possibile vedere l'estremo impegno del lavoro
poetico dell'autrice che entra nella sua notte, la aggancia e la
fissa col perno-scrittura, non ammette più una compenetrazione
fra il suo privato silenzio e la necessità del suo dire
pubblicamente alla luce del sole.
Si distingue, a questo punto, fra "chi era fermo, e chi non/ lo
era". Si tratta di prendere una posizione, di riconoscere ancora
una volta (in sè stessa e nel suo ruolo pubblico di poeta) la
necessità di un'azione, agire esercitando una scelta.
Improvvisamente, è il riconoscersi ancora capaci di discernere
fissità e movimento. Un "elettrico ballo non più/ compaesano"
sembra essere il principio di questa distinzione.
Appena dimostrata la sostanziale differenza tra la stasi e il
movimento (intellettuale? ideologico? politico? artistico?)
Amelia passa immediatamente all'azione (e qui sarebbe necessario
notare come nella rendition interpretativa vocale del proprio
testo, la voce dell'autrice segua un timbro più martellante,
frenetico, concitato, mitragliante). Iscritta al Pci da ventotto
anni, la Rosselli (fedele all'animo patriottico dell'illustre
genitore) difende "i lavoratori" e "il loro pane a denti
stretti" e cacciando quel metaforico "cane" dalla sua "mansarda"
(la sua abitazione romana in via del Corallo era effettivamente
una mansarda) si prepara a una "vendemmia", quindi ad un
raccolto (poetico? artistico? politico? Nella Rosselli l'impegno
poetico e quello civile si mischiano generando una pluralità di
letture).
Gli ultimi versi di questa prima parte del poemetto sono una
clausola importante di un contratto morale fra il poeta e i suoi
lettori. Impromptu rischia di essere "l'ultima opera" e quell'inquietante
condizionale "se non mi salvate" getta adesso, a dieci anni
dalla scomparsa, una macabra luce sull'intelligenza del testo:
una richiesta di aiuto non solo personale che, anzi, diretta al
pubblico (entità che Amelia in più interviste si dichiarerà
incapace di figurare) pare un'esortazione all'azione. non già ad
una rivoluzione ma ad una coscienza identificativa di massa che
riconosca il sole (con le sue molteplici sfumature di chiarezza,
di luce, di entità splendente etc.) come legittima proprietà del
popolo.
Marco Simonelli
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