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Lavorare vicino ad un cimitero? Sempre
meglio che lavorare dentro ad un cimitero. Sempre meglio che
avervi fissa dimora, nel cimitero, senza essere un becchino!
Giovanni, 29 anni, continuava a ripeterselo da quando era stato
assunto come barista esperto nel chiosco di fronte al cimitero
comunale di Ipazia. Se lo ripeteva soprattutto quando, entrando
al lavoro o tornandosene a casa, passava davanti al tetro
cancello grigio che lasciava intravedere al di là le tranquille
file di lapidi in marmo e i condomini di loculi in fondo,
dall'altro lato della strada. Era un camposanto di media
grandezza, in un quartiere periferico di una città di media
grandezza, abitato da uomini di media grandezza. Accanto al bar,
una grande fabbrica opponeva alla "città dei morti" le vetrate a
specchio dei suoi uffici, e le sue fila di auto parcheggiate
nelle strisce blu, tutte ordinate e di media grandezza. Accanto
al cimitero invece, dall'altra parte del viale, c'era una
piccola edicola, proprio di fronte al Bar Marina. Lì Giovanni
lavorava ormai da tre mesi. Tre mesi di duro lavoro.
"Un latte macchiato" chiese la ragazza bionda.
Giovanni le diede una rapida occhiata ed iniziò a scaldare la
macchina. Era sempre lei: da tre mesi arrivava sempre la mattina
presto, sempre alla stessa ora, quando ancora non c'era nessuno,
e la sera quando smontava. Qualche volta era in compagnia, ma
spesso era da sola. Chiedeva sempre un latte macchiato.
La macchina fischiava e creava quella deliziosa schiuma di latte
che, versata sul caffè spolverato di cioccolato creava un
piccolo capolavoro di golosa fragranza. Avrebbe voluto berlo lui
quel latte, ma paradossalmente non c'era mai tempo…
"Dove lavora?"
Era da tanto che voleva chiederglielo. Da tre mesi per la
precisione. Aveva ipotizzato, all'inizio, che lavorasse come
impiegata nella fabbrica dall'altro lato della strada - aveva
l'aspetto di una giovanissima impiegata scrupolosa e zelante,
oppure - ma lo riteneva più improbabile (non sapeva perché) -
poteva lavorare all'edicola. Ma aveva scartato presto l'ipotesi
edicola: anche se la trovava sempre chiusa quando entrava al
lavoro, alle cinque del mattino, e quando smontava, gli era
capitato di fermarsi qualche volta nella pausa pranzo. Nel
chiosco c'era sempre un ometto che somigliava ad uno gnomo. Lei
non ce l'aveva mai vista. Molto probabilmente lavorava in
fabbrica.
"Scusi, sono troppo curioso, lasci perdere." Disse Giovanni,
cercando di concentrarsi sul lavoro. Era imbarazzato. A mala
pena aveva finito la domanda che già si rimproverava la sua
indiscrezione. Anche se si vedevano tutti i giorni, non era
scontata la confidenza che si prendeva. Come barista poi era di
carattere introverso, non molto propenso ad intrattenersi in
chiacchiere come i suoi colleghi, il che era in parte apprezzato
dal capo.
La ragazza appena sentì la domanda abbassò gli occhi e consumò
più in fretta del solito il latte macchiato. Quando fece per
prendere i soldi dalla borsetta per pagare pentito della sua
domanda che, secondo lui era stata indiscreta, la fermò dicendo
con decisione: "Offro io."
La ragazza alzò per brevi momenti gli occhi per guardarlo ed
accennò un sorriso, poi, senza dire niente, uscì.
Giovanni, quando fu sicuro di non essere visto dalla ragazza, si
affacciò per vedere in quale direzione si incamminasse. Era
strano. Vedeva la figura di lei come in una luce intensa che
rendeva il paesaggio confuso. La vide sparire quando non era
ancora così distante da lui da non poter essere raggiunta con lo
sguardo. Pensò ad una specie di allucinazione, uno scherzo della
luce. Si rese conto, pensandoci bene, che tutto quel lato della
strada sembra essere immerso in una luce più viva rispetto al
resto del paesaggio, come se fosse avvolto da un alone.
Giovanni si diede dell'idiota e cercò nuovamente di concentrarsi
sul lavoro. Nel frattempo era arrivato un gruppetto di clienti
che reclamava la sua attenzione con un fracasso degno di uno
stadio. Non pensò più alla ragazza bionda fino all'ora di
chiusura.
Uscendo all'aria frizzante di un venerdì sera di ottobre, pensò
che era una bella giornata e che il lavoro al bar non era così
malvagio, anche se con la sua laurea in lettere avrebbe sperato
in un'altra sistemazione. Ma era provvisorio, si ripeté.
Pensò anche che di buono c'era l'occasione del suo incontro con
la ragazza bionda, di cui non conosceva neanche il nome ma da
cui si sentiva attratto. Maledì ancora una volta la sua dannata
timidezza e s'incamminò verso la fermata dell'autobus. Solo
allora vide un foglio attaccato al palo ed iniziò a
preoccuparsi. C'era sciopero quel giorno, dalle 16 alla fine del
servizio. Che idiota! Possibile gli fosse sfuggita di mente una
cosa del genere? Come sarebbe tornato a casa? Certo non a piedi,
erano molti chilometri. Un taxi? Era l'unica soluzione, anche se
costosa.
Tornò indietro a passo veloce fino al bar, ma ormai le
saracinesche erano già abbassate e non c'era più nessuno. Anche
l'edicola era impietosamente blindata. Dannazione, pensò. Si
guardò attorno ma non c'era nessuno, neanche un passante a cui
chiedere la cortesia di usare il cellulare per chiamare il taxi.
Dannazione anche alla sua irrazionale antipatia per i cellulari,
e all'assurda convinzione che tanto non ne avrebbe mai avuto
bisogno. Dannazione infine all'amministrazione comunale che
aveva sradicato tutte le cabine telefoniche in città, usate
sempre meno.
Intanto la notte calava rapidamente. Era una bella giornata
serena, il cielo era limpido, ma già si stava facendo di un blu
scuro ad oriente mentre l'ultimo riflesso rossastro si spengeva
sopra al cimitero.
Un tuffo al cuore quando vide una figura in lontananza che stava
attraversando la strada.
Quando la figura si avvicinò la riconobbe: era la ragazza del
bar! Ora aveva un'altra occasione di intrattenerla, dimenticando
per un po' la pena per il guaio in cui si trovava.
Preso dalla timidezza seppe soltanto dirle: "Scusami, potresti
prestarmi il cellulare per una telefonata? Si tratta di un
minuto, dovrei chiamare un taxi..".
La ragazza, con lo stesso atteggiamento schivo e gentile di poco
prima quando consumava il suo latte macchiato al bar, gli tese
il cellulare. Lui la ringraziò e chiamò in tutta fretta; poi,
mentre riattaccava il suo occhio andò sul display e notò una
stranezza: la data sul cellulare segnava il 20 marzo. Giovanni
poteva anche non essere sicuro che fosse proprio il 20 - era
così sbadato - ma non aveva dubbi che fosse ottobre. In quel
momento era troppo preso dalla ragazza per pensare ad altro e
mentre le restituiva il cellulare riuscì a dirle: "Allora ci
rivedremo al bar?". Lei fece un sorriso che lasciava intuire un
sì e se ne andò dopo averli detto un timido "Ciao". Ora poteva
ritenersi soddisfatto, aveva capito di non esserle del tutto
indifferente.
Al cellulare gli avevano detto: "Tre minuti Como1": il tempo di
attesa e il nome del taxi. Mentre aspettava, seduto sul
marciapiede ormai scuro, gli tornò alla mente la data sul
cellulare. Pensò che non era poi così strano, non tutti hanno
bisogno di regolare la data su un cellulare, e non tutti sanno
farlo... Sorrise a questo pensiero.
Mentre era immerso in questi pensieri si accorse che la sua mano
in tasca non sentiva più al solito posto le chiavi di casa.
Allarmato guardò anche nelle tasche dei jeans e in tutte quelle
che aveva indosso. Niente da fare. Proprio in quel momento
spuntò il taxi dal fondo della strada. Giovanni chiese al
tassista se cortesemente volesse attenderlo qualche minuto. Si
precipitò dall'altra parte della strada vicino al bar. Tirò un
sospiro di sollievo trovando subito il mazzo di chiavi in terra.
Gli erano cadute accanto alla porta d'entrata. Le raccolse e
come fece per attraversare la strada si accorse che il taxi
dall'altra parte non c'era più. Non fece in tempo a chiedersi
dove poteva essere andato che avvenne una cosa incredibile:
appena rimise piede sul marciapiede dove aveva lasciato il taxi,
questo riapparve! "Ma cosa diammine sta succedendo?!"; era così
spaventato da non sapere più cosa fare.
Una sensazione di irrealtà lo invase. A poco a poco il senso di
terrore era scomparso, sostituito da un'euforia crescente. Ogni
suono, ogni colore, ogni movimento giungeva sfumato ai suoi
sensi, come se fosse sotto anestesia. C'era soprattutto una
strana curiosità. Un che di morboso.
Qualcosa lo spinse ad attraversare nuovamente la strada. Si
voltò di scatto. Il taxi non c'era più. La strada era deserta.
C'era un silenzio che non sapeva spiegarsi. Un silenzio che fino
a pochi attimi prima non c'era. Con estrema calma tornò di nuovo
sull'altro lato della strada. Fece appena in tempo a vedere il
taxi che svoltava l'angolo. Il tassista doveva aver tratto una
sua conclusione sulla sanità mentale di quello strano cliente
che attraversava la strada più volte, senza alcun motivo
apparente. Giovanni invece aveva i suoi buoni motivi, ed aveva
paura a chiarirli a se stesso.
Si girò e vide di nuovo la ragazza bionda, stavolta accanto
all'edicola che, con grande stupore di Giovanni, risultava di
nuovo aperta.
Attraversò di nuovo la strada. Voleva raggiungere la ragazza.
Voleva parlarle, chiederle se anche lei stesse vivendo quel
buffo sogno, se di sogno si trattava.
Si avvicinò con passo deciso. Lei aveva comprato un quotidiano.
Dovette aver visto avvicinare qualcuno e forse si era
spaventata; ad ogni modo accelerò il passo. La seguì con lo
sguardo, proprio davanti al cancello del cimitero. La vide
sparire. A quel punto Giovanni si scosse da quello strano
torpore. Il cuore riprese a battere all'impazzata. Cominciò a
sudare. Doveva aver avuto una specie di abbaglio, non c'erano
altre spiegazioni. La ragazza non poteva essere che entrata
dentro il cimitero.
Niente di strano, se non fosse che il cancello era chiuso; con
tanto di catena.
Giovanni cominciò ad aver paura di essersi imbattuto in qualcosa
di soprannaturale. La ragazza bionda era un fantasma? Una
non-morta? Una…
In quel momento si accorse che ai piedi del cancello, in terra,
c'era il quotidiano che poco prima aveva in mano la ragazza.
Doveva essergli caduto nella fretta. Lo raccolse istintivamente
come se quell'oggetto rappresentasse un tramite tra lui e lei.
Il suo occhio andò sulla prima pagina: la data riportata sul
giornale era il 20 marzo 2015!
Dapprima pensò ad un errore di stampa - non solo nel giorno e
nel mese, ma pure nell'anno! - poi considerò che anche la data
sul cellulare della ragazza segnava il 20 marzo. Si sentiva la
vittima di una specie di scherzo.
I lampioni si stavano accendendo in perfetta sincronia. Si era
fatto ormai scuro e si faceva fatica a distinguere le forme e le
distanze, benché il cielo fosse di un bell'azzurro profondo in
cui spuntavano le prime stelle. Non c'era nessuno a giro, non
passava neanche una macchina; cosa non del tutto strana visto
che quella via era poco trafficata anche di giorno. Cominciava a
far freddo e lo stomaco iniziava a protestare, ciò nonostante
Giovanni si sentiva attraversato da una strana euforia che si
alternava all'inquietudine. Un senso di mistero, un qualcosa che
lo faceva sentire straordinariamente vivo. Come non gli accadeva
da molto tempo.
Guardò l'altro lato della strada, diventato d'improvviso alieno
e minaccioso. C'era il solito bar, la solita edicola, la solita
fabbrica, i soliti alberi e lampioni lungo la via. Tutto così
uguale, pure nella luce dei lampioni, eppure così estraneo, così
nuovo. Perché adesso aveva così paura a compiere un gesto così
banale come attraversare una strada?
Si voltò e vide da vicino il cancello del cimitero. Un brivido
gli corse su per la schiena. Una ventata lo scosse dai suoi
pensieri. Meccanicamente si incamminò verso il cancello. Era
aperto. Poteva essere così sicuro di averlo visto chiuso con la
catena, pochi minuti prima? Ormai non poteva più essere sicuro
di nulla.
Spinse timidamente il cancello.
Tutto era silenzioso e buio. Le uniche luci erano quelle dei
lumini e dei lampioni che proiettavano le loro ombre oltre le
mura. Sapeva che sarebbe finito a curiosare in quel cimitero -
l'aveva saputo fin dal primo giorno di lavoro al bar, anzi dal
giorno del colloquio di assunzione - ma non immaginava di farlo
di notte ed inseguendo una ragazza bionda. Riflettendo, non era
realmente la ragazza che stava cercando, ma qualcosa che non
sapeva definire. Provò un senso di paura che gli fece girare le
spalle un paio di volte, ma poi si ritrovò ad andare avanti.
Incosciente.
Ad un certo punto si chinò su di una lapide e quasi si sentì
mancare.
Erano pochi attimi ma poteva essere un eone. Non poteva essere,
doveva trattarsi di un'omonimia, una di quelle stranissime
coincidenze che pure accadono. Anche se non aveva mai sentito di
due persone che, oltre a condividere nome, cognome e data di
nascita, condividessero anche lo stesso aspetto fisico. Neanche
due gemelli.
Non poteva essere anche per un fatto che lo confortava non poco:
lui, Giovanni Luna, era vivo. Se ne sarebbe accorto, perdio, se
fosse morto! La sua mente razionale gli proibiva di ammettere
l'esistenza di un aldilà, dunque se era ancora lì ad
interrogarsi su quello strano caso voleva almeno dire che era
ancora vivo. Anche se la lapide che osservava come ipnotizzato
sembrava affermare il contrario.
Fece un salto. Qualcuno gli aveva appoggiato una mano sulla
spalla. Si voltò di scatto e vide la ragazza bionda. Aveva uno
sguardo serio ma pieno di comprensione. Era talmente assorto che
non l'aveva sentita arrivare. Le era apparsa come un fantasma.
Giovanni si mise a correre come un pazzo, tra le file di lapidi.
Inciampò dopo pochi passi e batté violentemente sopra il marmo
di un angioletto. Reggendosi il ginocchio dolorante, iniziò ad
urlare. La ragazza si avvicinava a passi lenti, senza fretta,
cercando di tranquillizzarlo. Cercava, ironia, di fargli
comprendere che non era un fantasma!
Giovanni si calmò un po'. Quando fu davanti a lui, le chiese:
"Sai spiegarmi cosa sta succedendo?"
La ragazza lo guardò perplessa, come indecisa sul da farsi. Era
come se stesse valutando l'opportunità di rivelargli cose che o
non avrebbe dovuto sapere o non avrebbe comunque creduto.
Giovanni in quel momento avrebbe voluto volentieri essere messo
alla prova sulla sua incredulità.
"Dunque?"
La ragazza gli porse una mano e lo aiutò ad alzarsi. Per la
prima volta in quella terribile sera, lei gli sorrise. Gli
chiese come andava il ginocchio.
"Potrebbe andare meglio" provò ad ironizzare "ma ce la faccio a
camminare"
A fuggire? Non credo proprio, valutò tra sé.
"Non c'è bisogno di fuggire" disse lei, leggendogli nel pensiero
"non sono un fantasma, semmai lo sei tu… in un certo senso!"
"Spiegati!"
Quella situazione gli piaceva sempre meno. Stava seduto su una
tomba, accarezzandosi un ginocchio dolorante, probabilmente
ferito, e conversava con una ragazza che, come se niente fosse,
gli dava del fantasma. In quelle circostanze poteva venirgli
persino il sospetto che avesse ragione.
"Spiegati, ti prego". La voce gli uscì più lamentosa di quanto
volesse. Doveva controllarsi.
Lei lo guardò pensierosa, come se cercasse le parole per
iniziare un discorso che certo non avrebbe creduto. Almeno non
subito. Infine ruppe il silenzio:
"Questo lato della strada" disse "non è sincronizzato con
l'altro lato. Non ti sorprendere, niente è perfettamente
sincronizzato a questo mondo. Ogni oggetto, ogni persona, è
sfasata. Conosci il detto mille ore mille orologi?"
"Non capisco" si lamentò Giovanni.
"Ci sono piccolissime sfasature temporali, che sfuggono persino
al più preciso degli orologi atomici. Nella stragrande
maggioranza dei casi è così. Talvolta però le sfasature sono più
grandi. Possono essere rilevate anche dagli orologi più precisi.
In realtà non è il tempo ad essere sfasato, mi segui?"
"A dire la verità no!"
"Sono i mondi ad essere sfasati! Infiniti mondi paralleli,
infinite realtà. Molte di queste realtà sono identiche, tranne
per qualche piccolo particolare di cui normalmente neanche ci
accorgiamo. Saltiamo da un mondo all'altro, da una realtà
all'altra, quasi di continuo e non ce ne accorgiamo solo perché
finiamo in un mondo quasi identico a quello dove ci trovavamo un
attimo prima. Quasi identico. Il discorso è complicato, mi rendo
conto…"
"Vuoi dire che…"
"Semplicemente che questo lato della strada è dieci anni avanti
rispetto all'altro lato".
Giovanni non poté fare a meno si sorridere.
"Non è possibile" disse, ritrovando la sua sicurezza "Da questa
strada transitano macchine e persone, non è certo una cosa che
passerebbe inosservata!"
"E perché non dovrebbe? Non immagini quante cose straordinarie
sfuggano alle persone, soprattutto quando sono prese nei loro
piccoli rituali quotidiani… in una periferia anonima, poco
frequentata… in fondo questo potrebbe essere il mondo dieci anni
nel futuro come dieci anni nel passato. Tu ti sei accorto solo
per caso…"
"Quando ti ho visto sparire dietro il cancello chiuso!"
"Un altro avrebbe pensato ad un'allucinazione, se ci avesse
fatto caso."
Giovanni si sentì profondamente stanco.
"Insomma… si può sapere chi sei tu?"
"Una studiosa di salti di realtà, diciamo così" disse sorridendo
"una disciplina che non troverai nei piani di studio
universitari."
Appena pronunciate queste parole, Giovanni vide la ragazza
letteralmente sparire, come se non fosse mai stata lì. Il
cimitero però c'era ancora, così come la notte e quel senso di
paura. Deve essere saltata in un'altra realtà, pensò tra sé
cercando di tirarsi su. Il ginocchio gli faceva ancora male, ma
si sentiva in grado di camminare. Non voleva rimanere in quel
luogo più a lungo del necessario. Gli metteva i brividi. Forse
stava incominciando ad accettare quel discorso astruso?
Pensò che se tutto questo è vero, se non è insomma una specie di
sogno, allora io… sarei morto tra meno di dieci anni? Ma se
era vero quello che gli aveva detto la ragazza, allora aveva
visto solo uno degli infiniti mondi, degli infiniti futuri
possibili, nel suo mondo, dall'altro lato della strada, magari
sarebbe stato immortale. Provò una grande consolazione e al
contempo una grande fretta di attraversare il viale.
Al di là del cancello la notte era misteriosa ed inquietante.
Più inquietante che nello stesso cimitero. Iniziò ad
attraversare la strada. Come mai provava adesso un senso di
paura maggiore. Il ginocchio faceva male, ogni passo era una
sofferenza. Come mai adesso, all'apparire di un paio di fari
sulla strada, la paura cresceva ancora?
Massimo Acciai & Rossana D'Angelo
Firenze-Roma, 9 giugno - 7 luglio 2006
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