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Dormi ancora mia adorata, una pozza di sole
allaga l'incavo fra le tue morbide spalle, un esile rezzo ti
attraversa i lombi, la luce e l'ombra si contendono il tuo
giovane corpo. Dormi nuda, come sempre, le membra scomposte, il
capo inclinato appoggiato laddove la pelle del braccio si fa più
fine, i cernecchi d'ambra che invadono la distesa lucente della
schiena. Appari serena in questa incerta mattina d'aprile, fra
poco ti sveglierai e accetterai le sottili torture che la
femminilità ti impone: il bustino troppo stretto, la crinolina
ingombrante, i nei posticci, il segreto codice malizioso di un
ventaglio che vorresti riporre in un cassetto. La leziosa
società ti attende, non puoi sottrarti agli obblighi a cui la
tua conturbante avvenenza ti costringe, sei una cortigiana e non
ti è concesso il privilegio di vivere il tuo dolore. Di gioia e
ambiguità ti devi ammantare, venere discinta che nasce dalle
fantasie altrui. Ti ammiro mentre un chiaroscuro polveroso ti
dipinge la pelle, mia ingenua musa impura. Un leggero fremito ti
percorre, forse l'incubo che ti insegue da tante notti; vorrei
posare le mie labbra sulle tue per liberarti dall'angoscia che
non ti dà pace, vorrei stringerti al petto e sussurrarti che non
devi preoccuparti per me, vorrei accarezzarti i capelli e dirti
che mai ho visto nulla di più bello. Non posso. Posso solo
continuare a guardarti in silenzio per l'ultima volta. Sono
trascorsi appena cinque giorni da quando ti dedicavo i miei
sonetti ripetendoti quanto sia sconfinato il mio amore, e da
allora secoli lugubri sembrano aver preso il posto delle ore.
L'arroganza di un inutile duello ti ha reso vedova mai sposata,
e ha consegnato me ad una dimensione sospesa che ancora non
comprendo. Una voce senza suono mi ha ordinato di congedarmi da
te per sempre, non veglierò su altre tue notti, non sarò più la
presenza silente che si specchia nelle tue lacrime, non
ascolterò più il murmure del tuo respiro. Non so ancora chi sia,
ma mi ha richiamato a sé, devo lasciarti senza poterti neppure
baciare un'ultima volta, e tu non saprai mai delle mie tante ore
nel limbo della non esistenza. Addio Ermione, ti devo
abbandonare alla superficialità di abbracci che non desideri,
all'apparenza di un mondo che ti ripudia ma non può rinunciare a
te. Non torturarti nei sogni inquieti con l'immagine che i tuoi
occhi adolescenti non avrebbero mai dovuto vedere, non ripensare
alla mia vita che usciva da quella ferita, non aggiungere altro
dolore a quello che gli anni ti elargiranno. Vivi. Vivi anche
per quello che la morte mi ha sottratto, attingi energia da
queste mie riserve d'amore che mai si potranno estinguere e
amoreggia con la caducità del presente. Vorrei essere quel
raggio di sole che impertinente ti riga il fianco, vorrei essere
l'aria che stai respirando per poter amare ancora il tuo corpo,
ma nulla mi è concesso, neppure parlarti in sogno. Parto, parto
per una meta che non conosco e che non ti potrò raccontare,
stavolta non ci saranno poesie a riempire il vuoto della
lontananza. E' tempo che io vada. E allora addio mia adorata
Ermione, che tu possa conoscere ancora la leggerezza della
felicità, l'insensatezza della passione, la profondità
dell'esistere.
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