|
|
Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi narrativi inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Partita di calcio a Napoli
est di Giuseppe C. Budetta,
Il cupolone di Giuseppe
C. Budetta, Alle grotte di
Burgio di Antonio Carollo,
Ten bells (prima parte)
di Italo Magnelli, La
lastra di ghiaccio di Pietro Rainero,
La dama inglese di
Pietro Rainero
Poesia in italiano
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, purché rispettino
i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Erika Casini,
Antonio Caterina,
Rossana D'Angelo, Italo
Magnelli, Emidio
Montini
Poesia in lingua
Recensioni
Articoli
Interviste
|
|
Casanova autore di fantascienza
ovvero una lettura moderna dell'Icosameron
Ogni libro ha una storia, e il
modo in cui ciascun libro giunge nelle mani del
lettore è una storia a parte fatta di strani
collegamenti. Nell'attuale era digitale i
collegamenti saltano fuori spesso dal web ed in
particolar modo da Wikipedia, sempre più simile alla
"biblioteca di Babele" immaginata da Borges. Non
ricordo per quale catena di ricerche sono finito
nella pagina dell' "Icosameron", ma questo libro mi
ha incuriosito fin dall'inizio, sia per l'autore (si
tratta proprio di lui, Giacomo Casanova, il grande
seduttore e avventuriero settecentesco) sia per la
tematica "fantascientifica". Trattandosi di un'opera
settecentesca le virgolette sono d'obbligo, tuttavia
c'è molto che accomuna quest'opera alla fantascienza
moderna. Riuscito ad ottenerne una copia in prestito
in biblioteca (la ricerca è stata complicata dal
fatto che l'unica edizione disponibile nello SDIAF
era catalogata col titolo di "Jcosameron", con la J)
mi sono immerso nella lettura.
Due parole sul libro che ho effettivamente letto.
Non si tratta né di un'edizione in lingua originale
(benche l'autore fosse italianissimo, ha deciso di
scrivere in francese per il semplice fatto che era
più diffuso della sua lingua madre - oggi avrebbe
scritto sicuramente in inglese) né si tratta di
un'edizione integrale: il romanzo che Casanova diede
alle stampe a Praga nel 1787 era in cinque volumi
per complessive 1800 pagine, mentre l'edizione che
ho letto io - stampata in Italia da Lerici Editori
nel 1960 - riportata in italiano moderno, consta di
354 pagine e riporta nel titolo "Edoardo ed
Elisabetta". Nel frontespizio si legge il
chilometrico titolo completo (tipico settecentesco)
che in italiano suona "Jcosameron ovvero Storia di
Edoardo ed Elisabetta che passarono ottant'un anni
presso i Megamicri abitanti aborigeni del Protocosmo
nell'interno del nostro globo".
Il titolo svela già buona parte della trama.
Anticipando una tematica che sarà ripresa nella
fantascienza ottocentesca e primo-novecentesca (Verne,
Wells, Burroughs…) Casanova illustra la teoria della
Terra cava: il nostro pianeta sarebbe vuoto
all'interno, ossia sarebbe una crosta di terra
spessa diversi chilometri, di forma sferica, che
racchiude un piccolo sole interno il quale illumina
le terre concave ivi racchiuse. I protagonisti sono
due giovanissimi inglesi, fratello e sorella, che in
seguito ad un naufragio nei pressi del "Maelstrand"
a Nord (il Maelström del racconti di Edgar Allan
Poe?), finiscono nel mondo interno alla Terra,
incontrano la strana popolazione che lo abita,
vivono mirabolanti avventure e tornano nella loro
cara Inghilterra presso i loro ultracentenari
genitori a cui raccontano il tutto alla presenza di
Lord Bridgent e altri nobili. Il ritorno dei due
fratelli, quasi centenari ma con l'aspetto ancora
giovanile (nei mondo dei Megamicri il tempo scorre
più lentamente), avviene nel 1615: facendo un po' di
calcoli il loro naufragio si colloca nel 1534.
Edoardo ed Elisabetta si salvano dal vortice nefasto
a bordo di una speciale cassa imbarcata sul vascello
da un marinaio che desiderava esservi sepolto, in
mare. All'interno dell'improbabile navicella i due
attraversano la crosta terrestre e risbucano nel
mare interno alla Terra: quivi vengono salvati dagli
indigeni, esseri umani alti cinquanta centimetri,
completamente nudi e con la pelle di vari colori. I
"giganti" vengono portati al cospetto delle autorità
per trovare loro una sistemazione: in fondo sono
elementi estranei che irrompono nella quotidianità
di un mondo già perfettamente organizzato e che
arriveranno poi a turbarne profondamente l'ordine.
Le prime "giornate" (il titolo "Icosameron" - che in
greco significa "venti giornate" - allude proprio
alla durata del racconto dei due protagonisti) sono
dedicate alla descrizione della società dei
Megamicri (altro termine derivato dal greco,
traducibile con "grandi-piccoli") e sono a mio
parere le più interessanti. Dopo la minuziona e
noiosa descrizione del salvataggio di Edoardo ed
Elisabetta, assistiamo a questo incontro di civilità:
un incontro inizialmente pacifico. I "giganti"
vengono accolti con cortesia dal piccolo popolo ed
introdotti gradualmente nelle loro bizzarre usanze.
I Megamicri sono ermafroditi e legati a coppie per
la vita: ciascun individuo ha un suo "inseparabile"
da cui trae e a cui dà nutrimento attraverso il
latte-sangue che viene succhiato dai reciproci seni.
Il progresso tecnologico appare maggiore in questo
strano mondo, ma il lettore non s'inganni: la
società apparentemente futuribile (ci sono alcune
invenzioni prettamente fantascientifiche, per
l'epoca, come l'automobile) è in realtà estremamente
arcaica e primitiva, come d'altronde l'epoca stessa
dell'autore. La pacifica popolazione dei Megamicri è
suddivisa in caste, esiste la povertà e la nobiltà e
uno stato teocratico ("idolatra", come lo definisce
l'autore-narratore) basato sul culto del Sole
(quello interno alla Terra). Il clero presso i
Megamicri non è meno corrotto, arrogante,
superstizioso e assetato di potere rispetto a quello
che conosciamo. Vi sono repubbliche e monarchie, ma
da nessuna parte c'è democrazia o uguaglianza
(stupisce, visto che il '700 è l'età
dell'illuminismo e il romanzo è uscito un paio
d'anni prima della Rivoluzione Francese) né ne viene
deplorata la mancanza.
Un aspetto dei Megamicri a cui l'autore accenna
appena, ma che io trovo più notevole degli altri, è
il fatto che ciascuno di loro conosce in anticipo la
data della propria morte e l'accetta con filosofia,
ritirandosi sei mesi prima dell'infausto giorno per
prepararsi. Una tale conoscenza è un bene o un male?
Se lo chiedete a me risponderei che non vorrei
assolutamente saperlo e che se lo sapessi non la
prenderei così bene…
Se il mondo in cui sono capitati appare fantasioso,
non meno stravagante è il comportamento di Edoardo
ed Elisabetta. Non si capisce come i due ragazzini
(fratello e sorella, ricordiamo), la prima volta che
si vedono reciprocamente nudi (in questo mondo il
nudismo è la regola, probabilmente perché il clima è
costante e temperato) vengono presi da raptus
erotico ed iniziano ad accoppiarsi come cani in
calore, continuando così per tutta la loro
permanenza nel sottosuolo. Ciò stranamente non va a
cozzare con i loro principi cristiani (l'intero
romanzo è percorso da disquisizioni religiose e
dalla tipica mentalità catto-colonialista): basta
che si dichiarino marito e moglie e tutto va a
posto. L'incesto diventa anzi la regola: Elisabetta
partorisce una coppia di gemelli (tutti maschio e
femmina) dietro l'altra, come se non ci fosse un
domani, ed Edoardo trova del tutto logico sposare le
varie coppie di figli e figlie tra di loro, fondando
una stirpe incestuosa che stranamente non risente
delle leggi genetiche che sconsigliano tale pratica:
nascono tutti sani, nessun mostro, nessuna tara
genetica. Non viene spiegato come mai nascano sempre
due gemelli, maschio e femmina: forse la spiegazione
è nella parte che è stata tagliata. Diciamo che
all'uomo settecentesco piace molto la simmetria, a
discapito della credibilità. La tribù cresce
esponenzialmente, tanto che Edoardo si trova
patriarca e padrone di una discendenza che raggiunge
e supera, al suo ritorno in patria, i quattro
milioni di individui. Qualcuno dei figli o figlie ha
qualcosa da obiettare sui matrimoni combinati e
incestuosi? No, assolutamente, anzi tutti trovano
naturale la cosa. Solo alcune coppie preferiscono
fare cambio con i cugini…
C'è poi la faccenda dei serpenti. Sì, perché, come
il lettore avrà intuito, questo mondo interno alla
Terra non è altro che il perduto paradiso terrestre,
l'Eden. È un immenso giardino su cui splende sempre
il sole e in cui il tempo è misurato con la
fioritura di certe piante e con strani incendi
periodici. Vi sono anche qui "frutti proibiti" di
cui si cibano minacciosi serpenti sibilanti che
vengono temuti e odiati dai Megamicri. C'è un tabù
religioso su questi frutti: nessuno, giganti
inclusi, se ne può cibare. Edoardo non ci pensa però
due volte a trasgredire il divieto e, in una
rivisitazione a ruoli rovesciati della Genesi, ne
offre alla moglie-sorella Elisabetta. Il "crimine"
viene scoperto e punito con la prigione (solitamente
nelle prigioni dei Megamicri non c'è oscurità, in
quanto in un mondo in cui è sempre giorno il buio è
gradito e ricercato, ma per loro fanno
un'eccezione…), ma poi vengono liberati ed esiliati
in un regno vicino. Qui fanno amicizia col regnante
locale e trovano il modo di rendersi utili (il loro
cruccio era proprio quello di essere sulle spalle
dei loro ospiti, senza poter far nulla per
ricambiare l'ospitalità). Edoardo ha l'idea di
impiantare una cartiera e di inventare una scrittura
monocromatica al posto di quella policromatica e
dispendiosa usata fino a quel momento. Inoltre
inizia a fare esperimenti con la polvere da sparo,
con i fuochi d'artificio e con i gas tossici (per
eliminare i serpenti), costruisce teatri, scrive
commedie e si improvvisa perfino oculista, ridando
la vista a diversi Megamicri ciechi. Col tempo
cresce il prestigio dei giganti e della loro prole
che si fa via via più numerosa, finché ad Edoardo
viene affidato un feudo ed entra a pieno titolo
nella nobiltà di quel mondo.
Passano gli anni megamicrici e la vita scorre serena
e tranquilla. La figliolanza aumenta e si fonde
sempre di più con gli indigeni, sempre comunque
educata al "vero" culto cristiano. Gl'intrighi di
palazzo non tardano comunque a turbare la prosperità
raggiunta, e ad un certo punto c'è anche una
prevedibile guerra tra giganti e Megamicri su cui
sorvolo dal momento che ho saltato a pié pari quelle
pagine, esercitando il mio diritto riconosciuto
anche da Pennac (da pacifista qual sono le guerre mi
fanno schifo nel mondo reale e mi annoiano
mortalmente nella narrativa, tanto che ho saltato
tutte le descrizioni di battaglie nel "Signore degli
anelli"). La seconda parte del libro infatti l'ho
trovata piuttosto noiosa. L'interesse è tornato nel
finale, quando a causa di un'esplosione Edoardo ed
Elisabetta vengono catapultati in un mondo
sotterraneo intermedio tra quello interno e quello
esterno. Impossibilitati a tornare tra i Megamicri,
non possono che cercare di risalire al nostro mondo.
Portano con se un servo megamicro, rimasto
intrappolato con loro, il quale morirà a causa
dell'impossibilità di nutrirsi. Il viaggio di
ritorno ricorda molto la salita al monte Fato di
tolkeniana memoria: i tre personaggi attraversano
sofferenze di ogni tipo prima di giungere al vulcano
da cui riusciranno infine a "riveder le stelle" e a
tornare alla natia Inghilterra.
Non oso immaginare come sia l'edizione integrale in
cinque volumi: non è un caso che il romanzo non
abbia avuto nessuna fortuna e sia caduto presto nel
dimenticatoio, riscoperto solo in tempi più recenti.
Casanova si aspettava l'immortalità letteraria da
quest'opera: l'ha fatta stampare a sue spese e si è
indebitato fino alla bancarotta. Si vede che il
libro intero era un mattone anche per i suoi
contemporanei, se addirittura l'autore, nella
prefazione, lasciava libero il lettore di saltare le
parti più tecniche che potevano annoiarlo. Si tratta
di un'opera enciclopedica, in cui si spazia tra le
varie scienze ed arti: Casanova mette in mostra la
sua cultura libresca (era pur sempre bibliotecario
del conte di Waldstein, in Cecoslovacchia, mentre
scriveva quest'opera monumentale) e se ne compiace:
certo non immaginava che la tanto agognata gloria
sarebbe giunta con le Memorie e non con l'Icosameron
o Jcosameron che dir si voglia.
Questa lettura lascia un senso di amaro per la
disillusione di questo Eden nascosto che pare
corrotto ed infelice nonostante l'apparente armonia
tra i Megamicri (presso cui esiste pure il razzismo
basato sul colore della pelle: i rossi sono nobili e
spadroneggiano sugli altri colori): certo Casanova
era figlio del proprio tempo e non poteva immaginare
che un paio di secoli dopo il mondo sarebbe stato
molto migliore di quello che descriveva nella sua
utopia megamicrica ma, come si dice, "il futuro non
è più quello di una volta".
Firenze, 10-11 febbraio 2016
|
|
|