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Il dio ateo:
realtà e fantasia tra Gaarder ed
Ende
Geniale. Inquietante. Ironico.
Sorprendente. Malinconico. Questa lettura mi ha
stupito, mi ha commosso, mi ha dato le vertigini.
Sto parlando di un romanzo di Jostein Gaarder,
scrittore norvegese contemporaneo che deve la
propria fama internazionale proprio a questo libro
straordinario: "Il mondo di Sofia" (1991). Quest'opera
me ne ha fatta venire in mente un'altra, uscita poco
più di un decennio prima, forse un po' più famosa
grazie all'adattamento cinematografico che ha
conquistato una grande massa di spettatori di tutte
le età: "La storia infinita" (1979) del tedesco
Michael Ende (1929-1995). Gli aggettivi che ho usato
all'inizio di questo articolo valgono ovviamente
anche per questo secondo romanzo.
Cosa unisce le due opere? Molte cose in realtà. La
prima, che salta agli occhi - subito nel caso di
Ende, circa a metà romanzo nel caso di Gaarder - è
che si tratta di "meta-romanzi". La seconda è che i
protagonisti sono molto giovani (un bambino di dieci
anni nel caso di Ende, una ragazzina che sta per
compierne 15 nel caso di Gaarder), sono molto maturi
per la loro età, molto riflessivi, amano leggere.
Entrambi vivono avventure straordinarie al confine
tra realtà e fantasia, portando il lettore a
riflettere su questo tenue confine. Nel caso di
Gaarder è la storia della filosofia che fa da fil
rouge, nel caso di Ende è la fantasia pura e
semplice (anche se non mancano le riflessioni
filosofiche, ma non sono così circostanziate come
nel romanzo del norvegese). La terza cosa che hanno
in comune è che gli autori fanno un interessante
confronto tra il ruolo dello scrittore (o comunque
del creativo) e quello di dio (lo scrivo minuscolo
in quanto sono fieramente ateo): l'autore di un
romanzo non è in fondo un po' un dio nei confronti
dei suoi personaggi? Non li "crea" insieme ai loro
mondi? Non ne dirige forse le vicende? Non
stabilisce chi vive e chi muore?
Ma andiamo con ordine.
Partiamo dal primo romanzo che ho letto, in ordine
cronologico. Avevo circa 13 anni quando scoprii il
capolavoro di Ende. Fu una lettura entusiasmante:
non posso negare che fu proprio in seguito a quell'esperienza
che decisi di diventare uno scrittore. Cosa molto
importante per me: fu una lettura extrascolastica.
La storia portata al cinema si riferisce in realtà
solo alla prima parte del lungo romanzo dello
scrittore tedesco: quella che può essere considerata
un inno alla fantasia. Il piccolo Bastiano scopre
l'omonimo romanzo "La storia infinita" in un negozio
d'antiquariato, lo ruba e va a leggerselo in
soffitta, marinando la scuola (dove viene
perseguitato regolarmente da bulli e insegnanti… e
posso comprenderlo bene). Si tratta di un romanzo
fantasy: Bastiano ne è felice dal momento che non
ama i romanzi realistici (come non li amo io, con
alcune eccezioni) visto che la triste realtà è già
sotto gli occhi ogni giorno. Molto meglio evadere in
un mondo di fantasia, dove tutto può accadere. Dove
le storie hanno un lieto fine, il bene trionfa, gli
eroi vincono ecc. Man mano che procede la lettura
(non sto a riassumerla: è arcinota e comunque val la
pena leggerla senza spoilerarla) Bastiano si accorge
di avere un legame particolare col libro che sta
leggendo, si sente chiamato in causa, ad un certo
punto "entra" nel libro. Inizia a vivere le
avventure in prima persona. Tra le molte cose strane
che vi trova c'è un gruppo di scimmie immortali che
battono casualmente su una macchina da scrivere: in
tempi lunghissimi sono in grado di scrivere tutta la
letteratura umana, compreso il libro "La storia
infinita": sia quello che stava leggendo Bastiano,
sia l'omonimo di Ende che contiene la storia stessa
del piccolo lettore, come in una cornice. I due
piani narrativi finiscono presto per confondersi:
tra le righe emerge l'idea del dio-scrittore (chi ha
scritto il libro che leggeva Bastiano? Chi ha
scritto la storia stessa di Bastiano? Forse qualcuno
ad un livello superiore sta scrivendo la storia di
Ende che scrive la storia di Bastiano, che legge la
storia di Atreiu, il quale a sua volta incontra
altre storie nella sua ricerca del "figlio degli
uomini" che può salvare il regno di Fantàsia dal
Nulla?). Non si tratta, come il lettore avrà capito,
solo di un geniale gioco di scatole cinesi:
l'intenzione del libro va oltre. Ci pone davanti due
inquietanti domande: cos'è la realtà? Esiste il
libero arbitrio?
A queste domande cerca di rispondere anche il libro
di Gaarder, letto solo di recente (ma di Gaarder
avevo già letto "Il venditore di storie", "L'enigma
del solitario" e altri libri) in una lunga
carrellata attraverso i millenni; dagli antici miti
cosmogonici ai filosofi presocratici, dal medioevo
al XX secolo, il geniale scrittore norvegese
racconta la storia del Pensiero intrecciandola con
la vicenda di Sofia (il nome non è scelto a caso),
adolescente che vede recapitarsi strane buste
contenenti un "corso di filosofia" scritto da uno
strano personaggio di nome Alberto.
Contemporaneamente la ragazzina vede recapitarsi
cartoline indirizzate ad una certa Hilde, sua
coetanea e per lei totalmente sconosciuta, da parte
del padre di lei, militare dell'ONU in missione in
Libano. L'enigma si fa sempre più intricato,
accompagnato da fatti misteriosi e assurdi che
trovano poi una spiegazione solo circa a metà del
romanzo: in realtà Sofia e il suo mondo (compresi
quindi Alberto, il cane-messaggero Ermes, l'amica
Jorunn e gli altri personaggi) non sono altro che il
parto della fantasia del padre di Hilde, il quale ha
scritto un romanzo filosofico come regalo di
compleanno per la figlia. In un raffinato ed
intelligente gioco che Gaarder conduce col lettore,
i personaggi incominciano ad interrogarsi sulla loro
esistenza in relazione al dio-scrittore, che viene
esplicitato dallo stesso militare autore del romanzo
(e, a un livello superiore, dallo stesso Gaarder) e
cercano di liberarsi dal suo controllo. Impresa
assai ardua: sarebbe come se l'uomo volesse essere
superiore al suo "creatore". Come, per dirla in
termini geometrici, se un essere a due dimensioni
volesse uscire dal piano nella terza dimensione. Ma
Sofia osserva che lo stesso scrittore che li ha
"creati" non deve sentirsi al sicuro, perché da
qualche parte nel mondo magari c'è un altro
scrittore che sta scrivendo proprio di lui (Gaarder)
e pure lui potrebbe essere il frutto della fantasia
di uno scrittore che sta ancora più in alto.
Arriviamo a dio?
Confesso che verso il finale mi sono sentito
smarrito, così come verso le ultime pagine de "La
storia infinita". Sono uno scrittore anch'io ed è
inevitabile che mi interroghi sulla "realtà" dei
personaggi a cui "do vita". Ma cos'è dunque la
realtà? Da dove vengono le storie che immagino? Da
dove vengono i sogni, le fantasie, le utopie? Da
dove vengo io? Esiste qualcuno o qualcosa ad un
"livello superiore" di realtà?
Ci potremo interrogare per tutta l'eternità - se non
fosse che siamo effimeri - senza giungere ad una
risposta certa a queste domande. Il grande mistero
della nostra esistenza, della nostra realtà, del
senso della vita, probabilmente rimarrà tale. E
forse è giusto così.
Firenze, 18 marzo 2016
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