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Due opposte concezioni del
fantasy: il caso "Sempre ad est" e la saga del
"Canto delle montagne"
Come molti ho apprezzato le
straordinarie potenzialità del genere fantasy
leggendo Tolkien, ma poi ho seguito una strada mia
buttando giù il mio primo e per ora unico romanzo
fantasy, che casualmente è anche il mio primo libro
pubblicato: "Sempre ad est". Si tratta di un romanzo
piuttosto atipico: chiarisco questa mia
considerazione confrontandolo con un altro romanzo
italiano di questo secolo, anzi con una saga che
rientra invece a pieno titolo nella grande
tradizione tolkeniana: "Il canto delle montagne" di
Cristian Vitali (a cui ho
dedicato un'intervista); una buona opera fantasy, ben
scritta, di cui ho letto il primo volume
autopubblicato dall'autore, originario di Porretta
Terme. Due testi opposti sotto molti aspetti, pur
avendo in comune l'ambientazione fantasy (il "mondo
secondario" di cui parla Tolkien), la lingua in cui
sono stati scritti e il fatto che gli autori siano
entrambi italiani e contemporanei, grandi ammiratori
dell'autore de "Lo hobbit" e del "Signore degli
anelli".
Nel primo volume de "Il canto delle montagne" Vitali
ci fa fare la conoscenza di Norys, un Nano che ha
deciso di vivere nel regno degli uomini, Nymor, in
eremitaggio volontario. Sua unica compagnia, non
molto gradita almeno all'inizio, una dispettosa ma
simpatica fata di nome Sìgrin. Periodicamente il
Nano va nella capitale a vendere le gemme che trova
nel suo bosco: stavolta però viene coinvolto in un
attentato alla giovane principessa Giada nel giorno
del suo incoronamento. Agendo d'impulso Norys salva
la mancata regina trascinandola via con se nella
confusione dell'attacco magico delle non meglio
identificate forze del Male, venendo inseguito e poi
catturato dalle guardie reali le quali,
fraintendendo le buone intenzioni del Nano, lo
imprigionano. Intanto, in una storia parallela,
seguiamo le vicende di Lucio, dell'elfo Arkèmisis e
di Berengario - compagni d'arme nell'esercito nymoriano, incaricati segretamente di ritrovare la
principessa dopo che Lucio si era accorto che il
corpo decapitato rinvenuto nelle fogne non era
quello di Giada. La ricerca porterà la piccola
compagnia di improvvisati agenti segreti in una
serie di disavventure e pericoli, ma una nuova
alleata si unità a loro: l'elfa Esperia, incaricata
inizialmente di ucciderli. Il primo volume si
interrompe con l'incontro tra la compagnia di
soldati e Norys, riuscito a fuggire, con Giada e
Sìgrin e con la decisione di proseguire verso il
regno dei Nani. Il secondo volume non l'ho ancora
letto, mentre il terzo deve ancora uscire (stando
alla pagina FB dell'autore, uscirà a dicembre 2016).
Per quanto riguarda invece il mio "Sempre ad est",
si tratta di un'opera autoconclusiva, non è il primo
volume di una saga (anche se ho in programma, vista
anche la richiesta di alcuni miei lettori, di
scrivere un altro romanzo ambientato nello stesso
universo narrativo). Anche nel mio romanzo si parte
da un personaggio "eremitico" che vive nel bosco: si
tratta di Hynreck, un pacifico boscaiolo che
possiede un surypanta femmina, Saj. Il surypanta è
una mia creazione originale, che non ho ripreso
dalla tradizione fantasy: è un animale magico, un
piccolo felino di pelo blu, immortale, che ha il
potere di far rivivere al suo proprietario come in
una visione le vicende del passato. Il prezioso
animaletto viene sottratto al nostro boscaiolo con
l'inganno da parte di un mago malvagio che
"colleziona" i surypanta, tenendoli nel suo castello
magico che si sposta di luogo in luogo. Hynreck non
ci sta e parte subito alla ricerca di Saj, seguendo
le indicazioni di un mago suo amico (che altro non
sono che I Ching) e seminando una scia di cadaveri
lungo la strada, essendo costretto ad uccidere più
volte per legittima difesa. Lungo il cammino la sua
ricerca di incrocerà con quella di due ragazze che
lo aiuteranno a riconquistare il surypanta fino
all'epico ed apparentemente impari scontro col
potente Mago.
In entrambi i romanzi abbiamo il tema della ricerca
- tema comune a tutta la narrativa fantastica - ma
vi sono molte e sostanziali differenze nella visione
narrativa dei due autori (mia e di Vitali). Vorrei
impostare questo confronto prendendo in
considerazione vari aspetti:
A) Aspetto politico. Si dice che il genere
fantasy sia "di destra": certo è molto conservatore;
si parla di sovrani, di regni, di guerrieri, di
virtù militari che possono richiamare un po' qualche
sinistra ideologia di destra (scusate il bisticcio)
pur non arrivando a dichiararsi smaccatamente
fascista o peggio nazista. Tuttavia la concezione
politica è quella medievale o medievaleggiante, e lo
stesso Tolkien non ha mai nascosto la sua antipatia
verso il comunismo che - pare - abbia voluto
rappresentare nel regno totalitario ed omologante di
Sauron, l'Oscuro Signore di Mordor. Nel fantasy lo
scontro tra il Bene e il Male non si realizza certo
in uno scontro tra Monarchia e Democrazia: esiste
solo la prima, da entrambi gli schieramenti, e viene
esaltato il sacrificio bellico per la casa regnante
da parte dei "buoni" mentre i "cattivi" sono solo
cattivi e basta, senza volto e senza nome. L'opera
di Vitali, di chiara ispirazione tolkeniana, non
sfugge a questa logica: la principessa Giada, che
sta per essere incoronata sovrana del regno di Nymor,
è certo gentile, altruista e coraggiosa, ma è pur
sempre una nobile la cui vita, legata alla sua
carica politica, va messa davanti a quella dei suoi
sudditi che "giustamente" si immolano per lei.
In "Sempre ad est" non si fa accenno a nessuna
monarchia o sistema feudale. Magari esistono regni e
reali anche nel mondo pure medievaleggiante di
Hynreck, "eroe" atipico sotto molti aspetti, ma non
sono importanti per la storia e certo il nostro eroe
non si sacrificherebbe mai per il suo eventuale
sovrano. Ad Hynreck interessa solo vivere in pace
del suo lavoro, senza rogne. D'altra parte si tratta
di un "medioevo" fantastico, privato delle
caratteristiche più brutali e antidemocratiche del
medioevo reale (e anche del "mondo secondario"
creato da Tolkien), dove potrebbero esistere anche
delle repubbliche…
Non so se il mio fantasy si possa proprio definire
"di sinistra", ma certo rispecchia la mia idea
anarchica.
B) Aspetto religioso. Tolkien, considerato
universalmente il padre del moderno fantasy, si è
sempre dichiarato fervente cristiano, come
d'altronde il suo amico e collega scrittore C.S.
Lewis, autore delle "Cronache di Narnia" (altra
grande saga fantasy classica): nella sua opera
tuttavia l'aspetto religioso è marginale e non
determina la storia. Esiste sì un complesso
pantheon, descritto soprattutto ne "Il Sirmarillion",
che fa capolino anche nella trilogia del "Signore
degli anelli", ma i personaggi non appaiono
particolarmente devoti agli antichi dèi (che
procedono in qualche modo dagli dei pagani delle
saghe nordiche). Il romanzo di Vitali invece è
sfacciatamente filo-cattolico (come l'autore
d'altronde) e, sebbene neanche nel ciclo del "Canto
delle montagne" il divino intervenga direttamente
nelle vicende, i personaggi - soprattutto Lucio -
sono devoti al limite del bigotto, inneggiando
continuamente al Santo (a differenza della Terra di
Mezzo, la religione dominante a Meridia è di tipo
monoteista) che richiama chiaramente la religione
cattolica.
In "Sempre ad est" l'elemento religioso è invece del
tutto inesistente: i personaggi sono atei (come me
d'altronde) e contano soltanto sulle loro proprie
forze, senza rivolgersi a qualche divinità
sovrannaturale. L'unico elemento che attinge al
"mondo primario" (sempre per dirla con Tolkien) è il
riferimento a I Ching, ma si tratta di un antico
sistema filosofico-divinatorio cinese più che di un
elemento religioso. Esiste certo la magia nel mio
romanzo, e l'elemento sovrannaturale è funzionale
alla storia, ma non si tratta affatto di qualcosa di
sacro.
C) Aspetto militare. Aspetto questo
collegato alla visione politica già accennata sopra.
Il piatto forte delle saghe fantasy, a partire dalle
origini, sono le scene di battaglia. Non ci si
stupisce vista la discendenza del genere dall'epica
classica, passando dal romanzo cavalleresco e dalle
saghe scandinave. La lotta si realizza tra gli
eserciti delle forze del Bene e quelli delle forze
del Male che si svolge su vasta scala, coinvolgendo
interi popoli e intere razze. L'opera di Vitali non
fa eccezione: gli echi di battaglia compaiono già
nel primo libro, senza arrivare alla guerra, ma sono
pronto a scommettere che questa si realizzerà nei
volumi successivi.
La mia al contrario è un visione fortemente
pacifista. Hynreck combatte contro il Mago per
riottenere quel che è suo, ma si tratta di una
guerra personale, che non coinvolge nessun altro a
parte le due ragazze che lo aiutano nella sua
missione. Trovo insopportabile la descrizione di
scene di battaglia, tanto che le ho sempre saltate a
pié pari nelle mie varie riletture de "Il signore
degli anelli": è forse l'aspetto che meno mi piace
del genere fantasy. Nella narrativa la guerra mi
annoia terribilmente, nella realtà invece mi fa
proprio orrore.
D) Aspetto razziale. Gira e rigira le razze sono
sempre le stesse, tratte dall'epica nordica: Uomini,
Nani, Elfi e Orchi. C'è qualche personaggio che non
rientra in nessuna di queste razze (come Gollum o
qualche mostro dall'origine sconosciuta) ma
sostanzialmente non c'è molta originalità. Certo:
Tolkien ha creato i simpatici Hobbit, che non ha
ripreso da altri autori e che sono entrati poi a
buon diritto nel genere, anche se non mi risulta che
siano stati a loro volta ripresi da autori
successivi. Io ho creato il surypanta.
Le razze di rado sono in buoni rapporti tra loro:
generalmente c'è diffidenza se non proprio aperta
ostilità. Tuttavia, come giustamente nota Adolfo
Morganti in un suo saggio sulla figura del "diverso"
nell'opera tolkeniana (vedi bibliografia), le varie
razze finiscono poi per superare la reciproca
mancanza di fiducia in nome di un ideale superiore
(come avviene nella Compagnia dell'Anello, in cui
convivono Hobbit, un Nano, un Elfo, un Uomo e uno
Stregone). Vedi anche il mio articolo
"Il diverso e
il fantastico".
Nel "Canto delle montagne" sono presenti tutte le
razze classiche (Elfi, Nani, Uomini, Orchi e Fate)
più una orripilande creatura che assale la compagnia
di soldati sulle montagne. In "Sempre ad est" invece
ci sono solo due "razze": quella umana e quella dei
surypanta, ossia una razza animale. D'altronde non
mi sono rifatto, scrivendo il mio romanzo, né a
Tolkien né alla mitologia, preferendo creare un
"mondo secondario" originale.
E) Aspetto temporale. La storia di Meridia,
come quella di Arda e della Terra di Mezzo, si
svolge su varie ère e su migliaia di anni di
omogeneo medioevo in cui non cambia nulla: nessun
progresso tecnologico, sociale o culturale. Migliaia
di anni in cui le società restano sostanzialmente
identiche a se stesse: solo un susseguirsi di guerre
e di dinastie. Neanche nel medioevo reale si assiste
ad un'immobilità simile! Un'analoga osservazione si
potrebbe fare paradossalmente anche per certa
fantascienza: vedi l'Impero Galattico di asimoviana
memoria, dove anche lì in migliaia di anni, anzi
decine di migliaia, non cambia nulla. Tuttavia nel
primo volume si parla della super-civiltà di
Mit-Ulliand, decaduta ed estinta, che aveva
raggiunto le vette massime della conoscenza e della
scienza, riuscendo perfino in un intento che sa di
"futuristico", ovvero viaggiare attraverso la luce
usando le Pietre Radiose. C'è quindi non una
insensata linearità nello sviluppo temporale, dalle
origini fino al presente, bensì una profonda,
improvvisa e drammatica regressione, che riporta
Meridia a uno stato di vita "medievale". E anche
questo fa parte di tutta la simbologia presente
nell'opera, che via via continuerà a svelarsi
durante i cinque libri, parlando non di un
nostalgico passato, ma focalizzandosi sul nostro
presente con tutte le sue più ardue realtà. "Posso
dire tranquillamente" afferma Cristian Vitali, e mi
sembra giusto riportare anche la sua replica "che Il
Canto delle Montagne è un'opera che nasce nel
presente e guarda verso il futuro. Del passato ha
solo il vestito."
Ad ogni modo il mio surypanta attraversa anch'esso
migliaia di anni di storia, forse addirittura
milioni essendo immortale, ma pur restando identico
vede il mondo cambiare e il finale del mio romanzo -
un finale a sorpresa che non spoilerò - lo
testimonia.
In conclusione, pur rimanendo un grande estimatore
di Tolkien e dei grandi maestri del fantasy
anglosassone nei suoi vari sottogeneri (dallo "sword
and sorcery" di Robert E. Howard alla recente saga
delle guerre elfiche di Herbie Brennan, in cui il
fantasy si contamina con la fantascienza), e
apprezzando anche il fantasy nostrano nel libro di
Cristian Vitali, opera godibilissima e di cui spero
di leggere presto il secondo volume, ritengo che il
genere andrebbe un po' rimesso al passo con i tempi
e liberato da certe impostazioni "reazionarie" che
lo hanno caratterizzato così a lungo. Chi lo ha
detto che il fantasy è solo un genere per nostalgici
del passato? Che non possa appassionare anche un
pubblico progressista? Che non possa farsi veicolo
insomma di nuovi ideali?
PS. Ringrazio l'amico Italo Magnelli, il quale mi ha
regalato il primo volume dell'opera di Cristian
Vitali per il mio compleanno. Senza di lui non avrei
probabilmente mai scoperto questo interessante
autore fantasy.
Firenze, 5-6 maggio 2016
Bibliografia
1. AAVV, Il "diverso" e il suo ruolo nella
fantascienza e nel fantasy, Firenze, Polistampa,
2006.
2. Acciai M., Sempre ad est, Aosta, Faligi, 2011.
3. Acciai M., "Il diverso e il fantastico" in
Segreti di Pulcinella n.49, maggio 2016
4. Tolkien J.R.R, Lo hobbit o la Riconquista del
Tesoro, Milano, Adelphi Edizioni e La Nuova Italia,
1996.
5. Tolkien J.R.R, Il signore degli anelli, Milano,
Bompiani, 2000.
6. Tolkien J.R.R, Albero e foglia, Milano, Bompiani,
2000.
7. Tolkien J.R.R, Il Silmarillion, Milano, Club
degli Editori, 1980.
8. Vitali C., Il canto delle montagne. Libro primo:
l'ombra della congiura, Narcissus.
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