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Il diverso e il fantastico
Qualche tempo fa mi trovavo
nell'ufficio di Antonio Pagliai, l'editore. Seduti
alla sua scrivania stavamo discutendo della
possibilità di pubblicare la mia raccolta di
racconti di fantascienza La compagnia dei
viaggiatori del tempo, la quale era piaciuta ai
lettori della casa editrice. L'editore mi parlò ad
un certo punto di un libro che aveva dato alle
stampe una decina di anni prima; libro di cui volle
donarmene una copia. Si trattava degli atti di un
convegno tenutosi a Borgo San Lorenzo nell'autunno
2005 sulla tematica del "diverso" nella letteratura
fantastica. Al convegno parteciparono nomi noti nel
settore quali Roberto Chiavini, Marco Cimmino,
Giuseppe Lippi, Adolfo Morganti e Gian Filippo
Pizzo. Il libro, di un'ottantina di pagine, tratta
dei vari fondi di narrativa di fantascienza presenti
sul territorio, del legame tra questo genere
letterario e cinematografico e la cittadina
mugellese, candidata a "capitale" del fantastico
italiano; la parte che ho trovato più interessante è
tuttavia l'analisi della figura del "diverso" in
questo genere che è quello che amo più di tutti. Un
genere molto ampio che comprende non solo la
fantascienza ma anche il fantasy, l'horror, il
soprannaturale e le varie commistioni tra questi
sottogeneri ed i sottogeneri dei sottogeneri. Sono
sempre stato affascinato da tutto quello che esula
dalla "banale" realtà quotidiana, fin da bambino: è
naturale quindi che abbia trovato questa lettura
estremamente interessante.
Nell'introduzione si pone una questione annosa su
cui gli addetti ai lavori ancora non hanno trovato
un accordo: quando nasce il genere fantastico? Col
romanzo greco di età ellenistica a cui fa il verso
Luciano di Samosata nel II secolo d.C con la sua
Storia vera? O ancora prima, con i poemi epici e la
mitologia antica?
Si prosegue poi con un'apologia del genere,
ingiustamente bistrattato e ignorato dalla critica
ufficiale (con qualche eccezione) nonostante gli
illustri antenati. Si passa poi ad analizzare il
vero tema del libro: ciascuno degli autori dei vari
capitoli prende in esame un particolare aspetto.
Marco Cimmino fa una panoramica dall'età antica a
quella moderna, passando per il medioevo. Il diverso
per antonomasia è da sempre lo straniero, guardato
con sospetto e insieme con interesse: in un mondo in
cui le conoscenze geografiche erano molto limitate,
lo straniero proveniva da un mondo favoloso e
misterioso dove tutto può accadere. Nella
letteratura classica compaiono molte figure di
"diversi"; Cimmino ne indica tre in particolare:
Enkidu (il gigante di fango compagno di Gilgamesh),
Tersite (l'anti-eroe dell'Iliade) e il protagonista
dell'Asino d'oro di Apuleio il quale ci fornisce una
visione da un punto di vista "altro" del nostro
stesso mondo che ci appare così deformato e
bizzarro.
Il medioevo abbonda di creature fantastiche di ogni
tipo, di esseri ibridi, "non catalogabili" (in
un'epoca in cui la catalogazione aveva una grande
importanza). Ne sono pieni i bestiari, le saghe
germaniche (si pensi a Grendel) e perfino la
Commedia dantesca (si pensi alle figure di Cerbero,
di Caronte e di Minosse). Ma si pensi anche al
folclore nordico (folletti, elfi, gnomi, ecc.). In
un mondo bigotto e superstizioso come quello
medievale il diverso era fatalmente identificato col
maligno. I personaggi negativi della letteratura
sono anche deformi e stranieri (si pensi a Gano di
Maganza, il traditore per antonomasia) e anche
quando sono cristianizzati (come il mago Merlino)
conservano un'ambiguità di fondo di cui è meglio non
fidarsi completamente.
La figura del diverso continua nell'età moderna
attraverso Don Chisciotte (la mescolanza tra sogno e
realtà) e i vari maniaci, da De Sade a Mister Hide,
da Psycho a Stephen King fino ad arrivare ai serial
killer del recentemente scomparso Faletti. La
diversità è invece vista in chiave positiva
nell'opera tolkeniana: la Compagnia dell'Anello è
composta da razze diverse l'una all'altra che, pur
non andando molto d'accordo, si uniscono per una
causa comune. La diversità diventa allora una
risorsa. Cimmino conclude ricordando un geniale
racconto di Wells, Il paese dei ciechi, in cui è un
uomo normale che è "diverso" nel paese di non
vedenti, celato tra le Ande, in cui capita per caso:
l'apparente vantaggio di avere il dono della vista
non fa di lui un re, come auspicava all'inizio, ma
un emarginato. Alla prima lettura di questo racconto
lungo, tanti anni fa, rimasi in effetti fortemente
impressionato, soprattutto nella scena in cui il
protagonista viene messo davanti alla scelta se
rinunciare alla vista e poter coronare il suo sogno
d'amore con la figlia del capovillaggio oppure
rinunciare alla donna amata e fuggire. Al suo posto
comunque anch'io avrei scelto la fuga: e che
diammine!
Adolfo Morganti riprende il tema del diverso in
Tolkien, appena accennato da Cimmino, ampliandolo
nel suo capitolo, facendoci notare come nella
visione tolkeniana la diversità sia un valore mentre
l'omologazione e l'uguaglianza forzata sia una
maledizione. I buoni appartengono a razze diverse,
alleate per uno scopo superiore, mentre le forze del
male sono fortemente inquadrate e prive di ogni
caratteristica individuale. Morganti fa poi un
interessante parallelismo tra l'opera di Tolkien e i
nostri tempi, mostrando come si vada verso una
uniformazione delle masse, istupidite dalla
tecnologia e dai poteri. Apro una parentesi per dire
che non mi trovo del tutto d'accordo con la visione
conservatrice tolkeniana: auspico infatti un fantasy
che superi i vecchi schemi medievali gerarchici
della distinzione in rigide classi sociali. La
storia di regnanti e di cavalieri che si ergono sul
popolo non l'ho mai vista di buon occhio: con questo
spirito ho scritto un mio romanzo fantasy atipico,
Sempre ad est, in cui non si parla dei soliti re
alla riconquista del regno o dell'eroe bello e
coraggioso, molto stereotipato, ma di un anti-eroe
che cerca solo la pace e la tranquillità: uno
spirito libero, che non deve obbedienza a nessuna
divinità e a nessun sovrano, e che lotta per
riottenere ciò che gli è stato sottratto con
l'inganno: insomma un "fantasy di sinistra", se così
si può dire.
Giuseppe Lippi, storico curatore di Urania (ho avuto
l'occasione di incontrarlo di persona in un convegno
su Lovecraft tenutosi qui a Firenze qualche anno fa;
gli ho sottoposto alcune mie opere senza però avere
risposta), si concentra su un periodo storico
particolare: gli anni tra la morte di Lovecraft e i
primi romanzi di Stephen King, in pratica il periodo
1940-1975. Un periodo molto fecondo e sottovalutato
che precede una commercializzazione del genere
soprannaturale.
Gli autori citati da Lippi sono veramente tanti e
non starò qui a ripetere il suo elenco. Vengono
ricordati anche molti film di quel periodo, in
particolare tre celebri pellicole tratte da
altrettanti romanzi: Rosemary's Baby di Ira Levin,
L'esorcista di William Peter Blatty e Carrie di
Stephen King. Lippi vuol dimostrare, attraverso
questi tre esempi, come vi sia un grande pubblico
interessato alle storie fantastiche "purché inserite
in un contesto mainstream: in altre parole con
attori di prestigio, buone sceneggiature ed effetti
speciali all'altezza" (p.55).
Lippi conclude trattando, come Cimmino, la figura
del serial killer che impersona il moderno erede
dell'Orco: da Psycho ad Hannibal Lecter, arrivando
al nostrano Tiziano Sclavi (creatore di Dylan Dog).
Gian Filippo Pizzo parla invece della trasformazione
dell'uomo nella fantascienza. A ben vedere l'intero
genere letterario è centrato sulla figura del
diverso: come giustamente nota l'autore
dell'articolo "Un pianeta vicino o sperduto nello
spazio sarà sempre 'diverso' dal Nostro, come
diverso sarà un tempo del futuro prossimo o remoto,
oppure del passato; e similmente lo è - già oggi -
l'habitat di una astronave rispetto alla nostra
casa." (p.57).
Possiamo iniziare dal grande H.G. Wells, grande
padre della fantascienza insieme a Jules Verne, e
dai suoi "diversi": gli Eloi e i Morlocchi in cui si
è differenziata la razza umana nel futuro remoto (in
La macchina del tempo) o l'Uomo Invisibile
dell'omonimo romanzo e gli animali umanizzati dalla
Scienza de L'isola del dottor Moreau. Ritorna
l'accenno al già citato Paese dei ciechi.
Già prima di Wells Mary Shelley aveva dato vita ad
un altro celebre "diverso": il mostro di
Frankenstein. Detto per inciso, lo scrittore e
teorico della science fiction Brian Aldiss indica
proprio l'opera della Shelley quale primo romanzo di
fantascienza. Era il 1811. Sempre nel XIX secolo
assistiamo alla terrificante trasformazione del
dottor Jekyll in mister Hide (anche questo già
citato), ma è nel secolo successivo che la
fantascienza si sviluppa enormemente dando vita al
filone degli individui ESP (dotati di poteri
extrasensoriali) che da Slan di Van Vogt agli X-Men
descrive la lotta di un piccolo gruppo di mutanti
contro il resto dell'umanità che li vede come nemici
da combattere. Nei romanzi di Philip Dick i poteri
psichici (quali telepatia, precognizione, telecinesi,
ecc.) sono curiosamente dati per scontati, sono un
elemento secondario della trama, nessuno se ne
stupisce più di tanto.
Altra categoria di diversi è quella dei vampiri. La
figura del vampiro è antica, ben precedente al
Dracula di Bram Stocker, ma trova nel XX secolo una
modernizzazione ed entra a passa a pieno titolo dal
genere soprannaturale a quello fantascientifico nel
bellissimo romanzo di Matheson Io sono leggenda:
libro più volte portato sullo schermo, ultimamente
nel film con Will Smith (uscito nelle sale un anno
dopo la pubblicazione degli atti del convegno
oggetto di questo articolo). Il tema del vampiro è
rovesciato: non è il vampiro, nel mondo futuro
immaginato da Matheson, il diverso, bensì il
protagonista umano che si trova a fronteggiare un
mondo popolato interamente di vampiri, diventando
così a sua volta "leggenda". Dello stesso Matheson
c'è un altro classico della fantascienza, Tre
millimetri al giorno, anch'esso trasformato in film.
Uomo rimpicciolisce ogni giorno fino a perdersi nel
mondo degli atomi. Quale solitudine maggiore?
L'ultimo intervento è di Roberto Chiavini, il quale
prosegue il discorso di Pizzo citando altri esempi
letterari e cinematografici. Chiude il libro Ernesto
Vegetti con un'appendice dedicata ai fondi librari e
di riviste nell'ambito del fantastico in Italia.
Tanto ci sarebbe ancora da dire su questa tematica,
ma da studioso ed amante di questo genere (è uscito
proprio di recente a stampa la mia tesi di laurea
dedicata alla comunicazione nella fantascienza, sia
letteraria che cinematografica) posso dire che il
libro dà una panoramica abbastanza esaustiva e
compiuta per quanto possibile nello spazio di
un'ottantina di pagine, passando in rassegna le
opere più celebri che hanno sfidato il tempo,
giungendo fino a noi: una lunghissima e grandissima
tradizione che non cessa di stupire e di porre
interrogativi su tematiche sempre attuali.
Firenze, 26-27 marzo 2016
Bibliografia
1) AAVV, Il "diverso" e il suo ruolo nella
fantascienza e nel fantasy, Firenze, Polistampa,
2006.
2) Acciai Massimo, Sempre ad est, Aosta, Faligi,
2011.
3) Acciai Massimo, La comunicazione nella
fantascienza, Ariccia, Ermes, 2016.
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