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Narrativa
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi poetici inediti,
in lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
poesie di Amanda Nebiolo,
Alejandro César Alvarez,
Paolo Del Rosso
Aforismi
Interviste
Paolo Adamo è autore del
romanzo "giovanile": Milano Baby'lone
intervista a cura di
Alessandro Rizzo
Recensioni
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Il mio primo ricordo risale a quando avevo
forse tre anni, le trecce imbiondite dal sole e la bocca
imbronciata sporca di briciole. Saltavo. Cercavo di saltare
dentro la mia ombra e con disappunto notavo che non succedeva
nulla, non ero mai nel centro nonostante gli sforzi, poi provavo
ad afferrarla e lei sfuggiva, correvo rapida per seminarla ma
lei era sempre davanti a me, oblunga e scura. Mi sono
affezionata presto a questa presenza costante nella mia vita,
lei rimase sempre anche quando tutti mi snobbavano, e quando
qualcuno iniziò a tornare dopo il mio successo lei non pretese
diritti di esclusiva. Mi compatì, questo di sicuro, ma non mi
abbandonò. La mia infanzia solitaria subì il fascino di quelle
sagome grigie, da bambina il mio gioco preferito erano le ombre
cinesi, divenni una virtuosa negli interminabili pomeriggi senza
compagnia; poi la mia fantasia reclamò degli strumenti, e per
Natale chiesi una lanterna magica. Giocattolo antico, ma io
avevo gusti anacronistici, e la mia camera si trasformò nel
teatro di battaglie navali e corse di cavalli, dame svenevoli e
cavalieri senza macchia, seguivo ipnotizzata quelle figure
evanescenti. Preferii sempre le vetuste meridiane agli orologi,
e ottenni di averne una all'ingresso della villa, mi parve il
regalo più bello che si possa desiderare. Quando iniziai a
prendere confidenza con i pastelli costrinsi spesso i miei
fratelli a stare immobili mentre io tracciavo i contorni dei
loro profili neri, e mi indispettivo se non apprezzavano ogni
volta i miei capolavori. I miei nonni non sanno che danno hanno
fatto a raccontarmi la leggenda secondo la quale l'ombra
abbandona il corpo di chi sta per morire, tuttora non riesco a
liberarmi dall'ossessione di controllare con apprensione la
proiezione di chiunque incontri. E' invece solo per colpa mia
che ho il terrore di finire nella pozza oscura di un malato
grave, sono convinta che possa contagiarmi, ma non so da dove
provenga questa idea. Da bambina, poi, mi chiedevo spesso se gli
angeli custodi ne abbiano una, e nei miei disegni diventava un
arcobaleno. Alle medie scrissi un tema che mi fece prendere il
mio primo nove; il titolo era:"Come superi le diversità
generazionali all'interno della tua famiglia", ed io con grande
fantasia spiegai come l'elemento più democratico e di unione fra
le generazioni sia proprio l'ombra che rende tutti uguali; lei
non rivela l'età, protetti dai suoi contorni siamo tutti uguali,
privi di passato e leggeri di anni, non riproduce impietosa le
rughe e i capelli bianchi, e guardando quelle sagome senza tempo
possiamo riuscire ad avvicinarci in un territorio neutrale che
favorisce la reciproca comprensione. Terminavo affermando che
solo l'ombra di mia nonna suggeriva la sua vecchiezza attraverso
il disegno del bastone, ma io interpretavo quella propaggine
come una meridiana privata a cui rivolgermi costantemente per
interrogare il tempo, e mai con angoscia, semmai con gratitudine
per ogni preziosa ora regalata. Al liceo studiavo sovente in
giardino, mi rilassava stare seduta nel berceau accarezzata dal
profumo del glicine, l'orzata sul tavolino e le montagne di
libri accatastati sulle sedie di vimini. Quando poi pretendevo
il massimo della concentrazione per capire i classici latini mi
sdraiavo sotto una tamerice e mi affidavo alle sue piccole ombre
lanceolate che scorrevano sulle pagine ad ogni capriccio di
nuvola. Quell'estate passeggiando sul lungolago la mia ombra si
intrecciò con quella di un ragazzo, e nella fugace
sovrapposizione lessi il mio destino. Prima di vedere a chi
apparteneva seppi che le nostre sagome avrebbero camminato a
lungo insieme. Durante gli anni universitari si manifestò in
modo inequivocabile la mia creatività, compresi che per
realizzarmi dovevo necessariamente esprimere la mia indole
artistica, e così accumulai centinaia di rullini. Le mie foto
erano sempre in bianco e nero, e ritraevano un unico soggetto:
le ombre. Immortalai sagome di cattedrali imponenti in albe
madreperlacee, ombre diagonali di pescatori in tramonti
insanguinati, proiezioni filiformi di ballerine nelle scuole,
nature morte in scale di grigi. Quando selezionai una serie di
scatti che mi parvero soddisfacenti mi iscrissi ad un concorso,
e dopo averlo vinto inaugurai la mia prima mostra personale dal
titolo "L'altro regno". Da quel giorno lontano è un susseguirsi
costante di successi che mi inorgogliscono e stupiscono insieme.
Ma nei primi anni dedicati con furore maniacale alla ricerca
della giusta inquadratura accadde qualcosa nella mia psiche. Non
so dire quando iniziò con esattezza, qui i ricordi sfumano
proprio in una tavolozza di grigi, ma un giorno la mia ombra mi
parlò. Dapprima non capii da dove provenisse quella voce
stentorea, era un suono liquido e potente insieme, aveva il
fragore di una cascata impetuosa, come se chi stesse parlando
non fosse in grado di modulare adeguatamente uno strumento che
conosceva poco. Poi quelle parole di tuono persero un'ottava ad
ogni sillaba e si adattarono alle orecchie umane. Lei, la mia
gemella monocromatica, mi rassicurò dicendomi che non ero
impazzita, avevo solo acquisito delle capacità sensoriali che
gli altri non posseggono, e quindi potevo dialogare con la metà
che striscia silente sulla Terra. L'altra me stessa era sempre
più saggia di me, ne ebbi prova infinite volte, riusciva ad
analizzare al meglio le situazioni e a dedurne le idee più
geniali; proprio grazie a lei le mie mostre divennero così
universalmente famose, mi suggeriva i soggetti e le tecniche più
alternative per stupire il pubblico e la critica. E poi era così
spirituale, così profonda da farmi desiderare di lasciare il mio
corpo terreno e disincarnarmi per divenire come lei. Mi
sussurrava con voce fumosa di infinite dimensioni inesplorate
che convivono segretamente intrappolate nello spazio-tempo, di
entità superiori che la nostra mente limitata non può
immaginare, di Verità che i presuntuosi umani non riusciranno
mai ad intuire. Precedendomi o seguendomi mi impartiva lezioni
che nessun docente avrebbe mai potuto replicare, mi svelava
misteri che nessun teologo risolverà mai. Spesso non riuscivo a
controllarmi, così le rispondevo a voce alta senza rendermene
conto, ma gli altri, meno dotati di me, non capivano chi fosse
il destinatario delle mie frasi ispirate, e al mio passaggio i
compagni d'università si davano gomitate e mi indicavano. Il
baratro in cui sprofondai si fece sempre più profondo, e più
cadevo più la mia ombra mi abbracciava amorevolmente. I miei
genitori si accorsero della mia solitudine e della mia
stranezza, così mi convinsero ad andare in analisi e lo
psicologo, con ottuso rigore, mi dichiarò affetta da
schizofrenia. Cercò di convincermi che non si può chiacchierare
con un'entità immateriale, che quella voce risiedeva solo dentro
di me e che era uno sdoppiamento della mia personalità, che
avevo bisogno di cure e soprattutto di relazionarmi con gli
altri, ero troppo chiusa in me stessa. Non mi persuase, ma nel
frattempo con i soldi e la fama erano tornati gli ipocriti amici
che per anni mi avevano giudicata troppo bizzarra per
frequentarmi, mi avevano ripudiata dal mondo reale per lasciarmi
regnare nel mio paese d'ombre, ed ora mi sorridevano servili. La
mia fedele compagna non mi abbandonò e non mi criticò per aver
accettato quella disponibilità tardiva da parte dei
tridimensionali, solo che da allora si è barricata dietro un
inespugnabile silenzio. Ho cercato spesso di punzecchiarla per
ottenere una risposta, ma ogni tentativo è stato vano, è il suo
modo di mostrarmi che è contrariata. Talvolta, quando sono
abbastanza rapida a girarmi, intravedo con la coda dell'occhio
che sta indietro un passo, serva devota e risentita, o forse è
solo uno scherzo ottico. Oggi alla mia ombra si è aggiunto un
bastone, mi ricorda quel lontano tema di secoli fa, e quando
guardo la mia meridiana personale sorrido felice d'aver avuto
così tanto tempo a disposizione per poter creare, e prego
affinché il mio gnomone possa indicare ancora il susseguirsi di
tante ore.
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