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Narrativa
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi poetici inediti,
in lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
poesie di Amanda Nebiolo,
Alejandro César Alvarez,
Paolo Del Rosso
Aforismi
Interviste
Paolo Adamo è autore del
romanzo "giovanile": Milano Baby'lone
intervista a cura di
Alessandro Rizzo
Recensioni
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La picciridda, stretta nel corsetto color
vinaccia, osserva sorridendo il padre che si sistema
l'immacolata parrucca. Vede le sue labbra che articolano parole
per lei mute. Lei è emozionata, sa che oggi si vendemmia come il
giorno in cui è nata, ha festeggiato i compleanni assistendo a
quel rito antico. Si porta le mani al petto a tranquillizzare il
cuore. Il padre continua a parlare come se potesse sentirlo, ma
lei sa cosa sta ripetendo: " Sbrigati, l'uva non può aspettare
oltre." La carrozza li conduce alla tenuta sobbalzando lungo la
strada disseminata di buche, alla periferia del suo silenzio lui
si lamenta degli scossoni. Assunta segue ipnotizzata l'ombra
degli alberi che le accarezza la spalla attraverso le tendine
color mosto. Vorrebbe comunicare al genitore l'incanto che prova
a quel rapido alternarsi di luce e ombra, una danza di giallo e
nero che le rammenta il susseguirsi di gioia e dolore nella sua
breve vita. La madre le ripete sempre che è solo una picciridda,
ma la sua mente è cresciuta prima del corpo. Prende il taccuino
che porta appeso in vita per scrivergli questi pensieri, ma la
bianca mano indolente di lui le fa cenno che ha compreso. Non sa
in quale modo, ma le parole sembrano riuscire a fuggire dal suo
terso silenzio per approdare alla torbida dimensione rumorosa
del padre. Queste giornate appartengono solo a loro, un
intervallo dalle atmosfere rarefatte e impersonali della grande
villa rosa. Potrà correre libera per le vigne senza curarsi di
strappare le vesti, al tramonto sosterà sotto il portico insieme
ai viddani ad aspettare la prima stella senza che le sorelle la
possano criticare, e soprattutto potrà bere Zibibbo a volontà
senza che la madre la sgridi. Non c'è spazio per le altre donne
della famiglia, la nascita di un nuovo vino è un'alchimia che
riguarda lei e l'adorato padre. Ora che sono soli non le fanno
più male neppure le parole di sua sorella Nunzia, l'altro giorno
le ha gettato addosso un biglietto con scritto: " Per tutta
Pantelleria sei solo la mutola, non pronunciano neppure il tuo
nome per lo schifo." Sa che il suo destino si chiama convento,
ma per ora trova rifugio fra quelle braccia forti che ancora non
la lasciano andare. Forse se riuscirà a parlare i progetti della
signora madre andranno in frantumi, è abbastanza graziosa e
potrebbe anche rimediare un buon partito, per questo in segreto
prova ad articolare parole che le rimangono aggrappate in fondo
alla gola. Una volta ha chiesto al padre di spalancare la bocca
per poter sbirciare dentro, ma non ha visto nulla di
particolare, sembra piena di silenzio come la sua. Negli anni ha
collezionato centinaia di foglietti riempiti dalla sua grafia
spigolosa e impaziente, così diversa dal suo aspetto, ma sa che
in quei tratti nervosi si cela l'ansia di comunicare a voce con
lei; i dottori gli hanno spiegato che non c'è rimedio, eppure
lui non si arrende, la porta da chiunque lo possa illudere in un
futuro diverso. Della madre conserva poche parole, è tirchia di
frasi come di carezze, e delle tante sorelle, nate una dietro
l'altra in attesa del maschio che non arrivava, ha solo una
serie di insulti. Ma lei custodisce anche quelli nel cofanetto
d'argento. Anche quelli sono ricordi. Il giallo e il nero della
vita. Quando giungono alla tenuta il giallo sembra esplodere
ovunque: nel sole sfacciato che inonda la proprietà, nei filari
di viti che si susseguono rigogliosi, nei capelli del padre che
sbucano da sotto la parrucca e appaiono più biondi che mai,
nelle canzoni che intonano i contadini e lei non può sentire, ma
che sa essere gialle e dolci, proprio come lo Zibibbo. Quando
scrive al padre che per lei i suoni hanno un colore e un sapore
lui sorride intenerito, ma nell'animo è orgoglioso di quella
capacità misteriosa della figlia. La loro simbiosi iniziò alla
fine d'agosto di dieci anni fa, la grassa mammana tagliò il
cordone ombelicale e lui le bagnò la fronte con una goccia di
Zibibbo. Non si sa perché, non lo fece col resto della progenie,
ma in quel gesto forse c'era già racchiuso il loro legame che sa
scavalcare la barriera del silenzio. Assunta si siede fra le
fresche ombre del loggiato a mangiare moffoli ripieni di ricotta
e canditi, enormi cannoli, petrafennule, gelato allo Zibibbo.
Vedere il tavolo di canne intrecciate così imbandito la delizia
in un modo che le parole non riuscirebbero mai a tradurre, e
osservare il padre che impartisce ordini ai viddani le trasmette
serafica tranquillità. Sono lontane le crocchie nere della
signora madre e delle sorelle, almeno per ora tutto è giallo e
sereno. I preziosi grappoli vengono deposti sui terrazzamenti ad
appassire sotto il sole cocente, presto il loro sentore mielato
le cullerà i suoi sensi sviluppati. Un giorno il padre le spiegò
l'antica origine del moscato d'Alessandria, e lei rimase
incantata dalla parola araba zabib, seppe che doveva essere un
suono succoso e denso, di un color oro puro. Per festeggiare il
compleanno le stappa una bottiglia di Zibibbo che ha la sua età,
e lei lo sorseggia grata di quel gesto amorevole. Estrae un
foglietto e, con grafia panciuta e precisa, gli scrive che in
quel nettare sente tutto il sole abbacinante e il vento della
sua terra, le onde del mare e il cielo turchese. Il padre le
arruffa i capelli d'ambra e le risponde: "Picciridda mia non
cambierai mai, troppa fantasia tieni nella capa." Lei ride
felice con la sua risata monca, e aggiunge: "Ma sento anche la
vaniglia e le mandorle, e l'albicocca e il fico, e il dattero
maturo e la liquirizia. Proprio come mi avete insegnato voi
signor padre." Sa di averlo compiaciuto, e nulla la appaga più
profondamente. Hanno ancora venti giorni da trascorrere insieme,
poi gli acini compiranno il loro destino e Assunta dovrà tornare
alla villa rosa. Sa che non dimenticherà mai questa spensierata
fine d'estate, forse l'ultima col padre, poi dovrà solo
ripescare fra i ricordi che galleggiano nelle acque stagnanti
del silenzio. Inspira profondamente il profumo di muschio che
impregna il suo panciotto e cerca di fissarlo nella memoria. Il
cielo sanguina all'improvviso, e lei attende paziente la prima
stella per esprimere il suo desiderio. L'unico. Chissà che si
avveri. Chissà che il futuro la possa sorprendere. Ma forse
questa è proprio la sua ultima vendemmia. Poi si apriranno le
porte del convento. E allora sarà tutto solo nero. Per sempre.
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