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Narrativa

Top nonik (seconda parte) di Massimo Acciai, A modo mio di Massimo Acciai, Zone Franche di Giuseppe Costantino Budetta, Un'Utopia liscia di Andrea Cantucci, Il viaggio di Rossana D'Angelo, Cum res ita sint (preghiera) di Paolo Filippi, Prologo per Selinunte di Paolo Filippi, Prologo per Antonella di Paolo Filippi, Pensieri concertanti di Paolo Filippi, Il giallo e il nero di Maddalena Lonati, Sinestesie di Maddalena Lonati, L'ombra di Maddalena Lonati, L'Assedio di Iuri Lombardi, Isaia di Matteo Nicodemo

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Andrea Cantucci, Paolo Del Rosso, Cesare Lorefice, Renato Lonza, Michele Parigino, Antonio Piccolo, Enrico Pietrangeli, Paolo Ragni, Mirko Roglia, Biagio Salmeri, Marco Saya, Anna Maria Volpini

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, in lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Amanda Nebiolo, Alejandro César Alvarez, Paolo Del Rosso

Aforismi

10 AFORISMI in poesia...
di Andrea Cantucci  

Interviste

Paolo Adamo è autore del romanzo "giovanile": Milano Baby'lone intervista a cura di Alessandro Rizzo

Recensioni

- Delle marionette, dei burattini e del Burattinaio di Liliana Ugolini, nota di Massimo Acciai
- Il mangiatore di pietre di Davide Longo, recensione di Simonetta De Bartolo
- Dieci (possibili) ragioni della tristezza del pensiero di George Steiner, recensione di Antonio Carollo
- Gioco perverso di Italo Moscati
- Evoluzioni 14 di Marco Milani
- Sopra e sotto di Roberto Casalena, nota di Enrico Pietrangeli
- Dipintore di sogni di Cesare Lorefice, nota di Anna Maria Volpini
- La bambina è soprappensiero e non lo dice di Martina Magno
- Il mercante di eresie di Andrea Moneti

Sinestesie
 

di Maddalena Lonati


Parole acquose e lunari le gocciolavano ancora lungo il corpo flessuoso dopo che Lui se ne era andato. Le aveva parlato con quel suo tono profondo. Deep. Quel suono catalogava meglio la sua impressione. Deep. L'eco le si formava già fra i denti. Un suono rapido e denso. Preciso. Doveva catalogare tutto con rigore maniacale. Così Lui le aveva insegnato. Così Lei ora voleva.
La sfida era iniziata davanti ad un casereccio piatto di tortelli di zucca. Una rimpatriata fra una dozzina di ex compagni di università, non ricordava bene quanti. Forse tredici. No, non è possibile, porta male. Eppure forse Lui era proprio il tredicesimo, l'elemento fuori luogo, l'apostolo sciagurato. Amico di amici, infiltrato all'ultimo momento. Si era aperto un varco nei loro discorsi incrostati di memorie come una lama affilata, e aveva raschiato via tutto quel passato inutile. Erano rimasti loro due sospesi sopra il chiacchiericcio, i suoi occhi che indagavano impertinenti nella casta scollatura che ora la faceva arrossire, le sue mani abbronzate che sfioravano lo spesso bicchiere, la grisaglia inopportuna e sfrontata contro la tovaglia a quadretti bianchi e rossi, il senso di inadeguatezza di Lei di fronte alla sua arguzia. L'aveva affascinata con imprevedibili domande, tutto ciò che era convenzionale sembrava orbitare anni luce distante da Lui. Non si erano neppure presentati. Una magnifica entità senza nome. Lui. Ed ora, una richiesta apparentemente innocua a spezzare la tensione, ma che la metteva in difficoltà quanto le altre: " Descrivimi il sapore dei tortelli di zucca." Un sorriso malizioso che disegnava una fossetta. Una sola. A destra.
Un filo di voce che si arrampicava a stento lungo la gola: " Sono deliziosi. Dolci." E la voce era precipitata schiantandosi sul diaframma.
" E poi?" Ancora la fossetta.
" Sento il sapore dell'amaretto che contrasta col burro fuso…" .
" Non farmi l'elenco degli ingredienti. Quelli li conosco. Tu cosa senti? Cosa provi? Descrivimi le tue sensazioni, le tue emozioni."
Aveva tentato una mezza risata nervosa, ed una stupida via di fuga: " Non mi emoziono per così poco…"
Il patetico tentativo aveva galleggiato per un attimo nell'aria satura di sentori di zucca e di ferormoni, e poi si era dissolto nel contrariato sguardo verde menta di Lui. " Male. Molto male. Dovresti."
Lei non capì se stesse scherzando. Era più enigmatico di quanto sarebbe lecito pensare.
Lei ritornò nel tempo e nello spazio, si trovò accanto il gomito di Luca che poco elegantemente formava un angolo retto mentre mangiava, ricompose gli stralci di conversazione chiassosa degli amici, si rese conto che nel piatto una salamella attendeva d'essere tagliata, avvertì il vimini intrecciato che sicuramente le stava segnando i glutei, guardò l'orologio bianco e rosso appeso alla parete vaniglia e si stupì del poco tragitto che avevano percorso le lancette. Tutto a posto, non era accaduto nulla di grave. Perché agitarsi così?
E poi Lui l'aveva accompagnata a casa. " Salgo da te." Non una richiesta, non un vago ammiccamento. Una dichiarazione precisa che non contemplava repliche. E che non ci furono. Era ciò che Lei voleva e non avrebbe osato proporre.
E Lui tornò da Lei tante notti consecutive. Ma rimaneva sempre Lui, senza un nome a precisarne i contorni, senza un nome a ingabbiarne la personalità. Il gioco dell'anonimato era proseguito, intrigante. Citofonava a tarda sera: " Sono io." Se ne andava quando Lei si addormentava scomposta, i capelli rosso tiziano che le attraversavano il volto pallido, un braccio che penzolava oltre le lenzuola stropicciate, l'altro che abbracciava il cuscino troppo in diagonale, l'odore di sesso che ancora ristagnava fra le fibre di lino. Non c'erano mai stati risvegli insieme, non avevano mai vagato abbracciati per la città, non frequentavano nessun luogo. Solo Lei e Lui, solo quell'appartamento. E le sue domande che divenivano sempre più assurde ed insistenti.
" Dimmi di che colore è una sfera. Dimmi che consistenza ha. Dimmi che sapore ha. Dimmi che suono produce. E poi fai lo stesso con un triangolo. Associa. Stupiscimi."
Ormai Lei non si stupiva più, rimaneva solo incantata. Dimmi. Dimmi. Dimmi. Ripeteva ossessivamente quell'imperativo. Tutto in Lui era imperioso e dominante. Sentiva che stava scavando dentro la sua mente, verso i recessi più nascosti e intimi, la voleva conoscere in tutte le sue associazioni di idee per possederla davvero. Se si fosse applicata abbastanza avrebbe ricevuto un premio, la posta in palio era il suo nome, la sua identità che continuava a sfuggirle. Le sarebbe stato facile scoprirlo, una telefonata ai suoi amici e il mistero si sarebbe risolto, ma aveva accettato le regole del gioco ed ora si sforzava di formulare risposte sensate a domande insensate.
" Per me una sfera non può essere che blu. Colore freddo, primario, perfetto nella sua essenzialità come perfetta è la sfera. Blu ha un suono rapido e profondo, come il suono che deve produrre quel solido. E' cupo e discendente. E' come un tonfo nell'acqua. Una pesante sfera che viene inghiottita nelle profondità del mare." Aveva imparato a dare risposte articolate, a lasciarsi andare alle libere associazioni di idee senza vergognarsi delle apparenti frasi sconnesse che ora pronunciava con tono fermo a calmo. Chiudeva gli occhi mentre parlava, le palpebre occultavano le sue ambre per entrare meglio in contatto con ciò che immaginava. " La sento. E' gommosa e liscia. Se la mordo è dolce. Ma non come una torta. E' qualcosa di molto più semplice, come un frutto maturo. Il triangolo è indubbiamente giallo. Non un giallo caldo, non è un girasole, è un giallo acido, più come un limone. Così come il suo sapore acidissimo che mi aumenta la salivazione. Tutto è acuto e acido nel triangolo, come il suono che produce, metallico e preciso, ascendente. E al contatto con la mia pelle è freddo."
Lui, compiaciuto, disegnava la fossetta che Lei ormai amava.
La stava trasportando nel mondo onirico delle sinestesie, pretendeva che si rapportasse alla realtà svincolata dagli schemi, le stava insegnando a guardare con l'olfatto, ad ascoltare con le mani, a toccare con il gusto… Voleva che trovasse il colore dei suoni, la musica dei dipinti. Una sinfonia poteva essere rosso cremisi, ed una pietanza esprimersi nella melodia di un violino. Insisteva soprattutto sul senso del gusto, era convinto che quello potesse trasportarla verso i ricordi più antichi, attraverso le sue papille avrebbe conosciuto il suo passato. Banale parlare di Proust e le madeleines. Lui esigeva qualcosa di più carnale. La catena che li legava era l'Eros, e se uno dei due l'avesse spezzata forse non sarebbe rimasto nulla. Di questo erano consapevoli. Non sarebbero mai diventati due fidanzati, non avrebbero mai frequentato amici. Lui e Lei. E la tensione erotica che ormai impregnava quell'appartamento.
Non si chiedevano mai cosa avessero fatto durante la giornata, ciò che esisteva ed avveniva fuori da quella casa semplicemente era nulla. Non erano interessati alla reciproca quotidianità. Lui voleva conoscerla nei suoi istinti più veri, nei ricordi più remoti. Lei aveva compreso bene le regole, e non progettava alcun futuro con Lui. Perché non poteva esserci. Esisteva solo il presente, e quello andava vissuto con la massima intensità. Il resto non importava.
Lui cercava di isolarle i sensi per sfruttare al massimo le potenzialità di un solo senso alla volta.
Non appena il corpo di Lei rimaneva orfano dell'insolente vista, ogni fibra diveniva più ricettiva. Ma a Lui non bastava, voleva che si concentrasse al meglio sul gusto, e così le legava le mani e le tappava il naso, lasciando attivo solo l'udito per poter ascoltare quel suo tono profondo. Così immobilizzata, la imboccava, ed attendeva che le associazioni di idee fluissero libere. Era come far saltare gli argini di una diga, le emozioni venivano gettate di colpo violentemente lontane da Lei, come volesse liberarsene perché per troppo tempo tenute compresse.
E' strano, ma non era così facile riconoscere immediatamente i cibi senza l'ausilio degli altri sensi. Il solo gusto faticava a dare un nome a ciò che Lei mangiava affamata dalle mani di Lui. Legata alla sedia, sbilanciava il busto in avanti e leccava, mordeva dalle affusolate mani che Lui le tendeva. Eppure il nome non andava subito a posarsi sulla polpa che le premeva contro il palato, sulle mousse che le invadevano la lingua, sulle consistenze ruvide che le solleticavano le guance, sui filamenti che le si avvolgevano attorno ai denti candidi. Se non avesse avuto quella benda di seta nera sugli occhi Lui avrebbe visto ogni volta la sue espressione interrogativa, ma la leggeva comunque sul suo capo che si inclinava per un istante su un lato, dubbioso. Lei rifletteva, ridava l'identità al cibo che le aveva attraversato la gola, e poi sfogava l'urgenza di associare miriadi di dettagli e sensazioni a quei gusti che ora le apparivano più intensi che mai.
Il rituale si ripeteva ormai ogni sera, e Lui era orgoglioso di come Lei si fosse lasciata plasmare dalla sua fantasia.
C'erano stati cibi che avevano prodotto il rumore delle unghie che graffiano la lavagna, altri erano risa di bambini, altri ancora avevano il colore dell'erba bagnata, ancora altri erano neve che si scioglie al sole.
La prima sera Lui aveva gettato il cappotto cammello sulla poltrona broccata all'ingresso, ora che era il tempo delle camicie di lino bianche Lei era in grado di catalogare tutto. Anche le sfumature nel tono della sua voce. Meritava il premio per il quale si era così caparbiamente impegnata. Non sarebbero più stati Lei e Lui, non più due entità astratte e oniriche, sarebbero di colpo piombati nella realtà.
Ancora bendata, le parlò. I fiammeggianti capelli tiziano che splendevano nel tramonto, qualche goccia di cocomero che riluceva sulle labbra carnose, la sensazione di abbandono che le attraversava le membra. Lui, in piedi davanti a Lei, le gambe leggermente divaricate nei pantaloni di canapa, la fossetta che latitava dal volto.
Sapevano cosa stava accadendo.
Parole acquose e lunari le gocciolavano ancora lungo il corpo flessuoso dopo che Lui se ne era andato. Le aveva parlato con quel suo tono profondo. Deep. Quel suono catalogava meglio la sua impressione. Deep. L'eco le si formava già fra i denti. Un suono rapido e denso. Preciso. Doveva catalogare tutto con rigore maniacale. Così Lui le aveva insegnato. Così Lei ora voleva.
L'apostolo sciagurato non c'era più, al suo posto solo un bigliettino avorio con un nome. Tutto quello che sarebbe rimasto a testimonianza del suo passaggio.

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