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Narrativa
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi poetici inediti,
in lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
poesie di Amanda Nebiolo,
Alejandro César Alvarez,
Paolo Del Rosso
Aforismi
Interviste
Paolo Adamo è autore del
romanzo "giovanile": Milano Baby'lone
intervista a cura di
Alessandro Rizzo
Recensioni
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Parole acquose e lunari le gocciolavano
ancora lungo il corpo flessuoso dopo che Lui se ne era andato.
Le aveva parlato con quel suo tono profondo. Deep. Quel suono
catalogava meglio la sua impressione. Deep. L'eco le si formava
già fra i denti. Un suono rapido e denso. Preciso. Doveva
catalogare tutto con rigore maniacale. Così Lui le aveva
insegnato. Così Lei ora voleva.
La sfida era iniziata davanti ad un casereccio piatto di
tortelli di zucca. Una rimpatriata fra una dozzina di ex
compagni di università, non ricordava bene quanti. Forse
tredici. No, non è possibile, porta male. Eppure forse Lui era
proprio il tredicesimo, l'elemento fuori luogo, l'apostolo
sciagurato. Amico di amici, infiltrato all'ultimo momento. Si
era aperto un varco nei loro discorsi incrostati di memorie come
una lama affilata, e aveva raschiato via tutto quel passato
inutile. Erano rimasti loro due sospesi sopra il
chiacchiericcio, i suoi occhi che indagavano impertinenti nella
casta scollatura che ora la faceva arrossire, le sue mani
abbronzate che sfioravano lo spesso bicchiere, la grisaglia
inopportuna e sfrontata contro la tovaglia a quadretti bianchi e
rossi, il senso di inadeguatezza di Lei di fronte alla sua
arguzia. L'aveva affascinata con imprevedibili domande, tutto
ciò che era convenzionale sembrava orbitare anni luce distante
da Lui. Non si erano neppure presentati. Una magnifica entità
senza nome. Lui. Ed ora, una richiesta apparentemente innocua a
spezzare la tensione, ma che la metteva in difficoltà quanto le
altre: " Descrivimi il sapore dei tortelli di zucca." Un sorriso
malizioso che disegnava una fossetta. Una sola. A destra.
Un filo di voce che si arrampicava a stento lungo la gola: "
Sono deliziosi. Dolci." E la voce era precipitata schiantandosi
sul diaframma.
" E poi?" Ancora la fossetta.
" Sento il sapore dell'amaretto che contrasta col burro fuso…" .
" Non farmi l'elenco degli ingredienti. Quelli li conosco. Tu
cosa senti? Cosa provi? Descrivimi le tue sensazioni, le tue
emozioni."
Aveva tentato una mezza risata nervosa, ed una stupida via di
fuga: " Non mi emoziono per così poco…"
Il patetico tentativo aveva galleggiato per un attimo nell'aria
satura di sentori di zucca e di ferormoni, e poi si era dissolto
nel contrariato sguardo verde menta di Lui. " Male. Molto male.
Dovresti."
Lei non capì se stesse scherzando. Era più enigmatico di quanto
sarebbe lecito pensare.
Lei ritornò nel tempo e nello spazio, si trovò accanto il gomito
di Luca che poco elegantemente formava un angolo retto mentre
mangiava, ricompose gli stralci di conversazione chiassosa degli
amici, si rese conto che nel piatto una salamella attendeva
d'essere tagliata, avvertì il vimini intrecciato che sicuramente
le stava segnando i glutei, guardò l'orologio bianco e rosso
appeso alla parete vaniglia e si stupì del poco tragitto che
avevano percorso le lancette. Tutto a posto, non era accaduto
nulla di grave. Perché agitarsi così?
E poi Lui l'aveva accompagnata a casa. " Salgo da te." Non una
richiesta, non un vago ammiccamento. Una dichiarazione precisa
che non contemplava repliche. E che non ci furono. Era ciò che
Lei voleva e non avrebbe osato proporre.
E Lui tornò da Lei tante notti consecutive. Ma rimaneva sempre
Lui, senza un nome a precisarne i contorni, senza un nome a
ingabbiarne la personalità. Il gioco dell'anonimato era
proseguito, intrigante. Citofonava a tarda sera: " Sono io." Se
ne andava quando Lei si addormentava scomposta, i capelli rosso
tiziano che le attraversavano il volto pallido, un braccio che
penzolava oltre le lenzuola stropicciate, l'altro che
abbracciava il cuscino troppo in diagonale, l'odore di sesso che
ancora ristagnava fra le fibre di lino. Non c'erano mai stati
risvegli insieme, non avevano mai vagato abbracciati per la
città, non frequentavano nessun luogo. Solo Lei e Lui, solo
quell'appartamento. E le sue domande che divenivano sempre più
assurde ed insistenti.
" Dimmi di che colore è una sfera. Dimmi che consistenza ha.
Dimmi che sapore ha. Dimmi che suono produce. E poi fai lo
stesso con un triangolo. Associa. Stupiscimi."
Ormai Lei non si stupiva più, rimaneva solo incantata. Dimmi.
Dimmi. Dimmi. Ripeteva ossessivamente quell'imperativo. Tutto in
Lui era imperioso e dominante. Sentiva che stava scavando dentro
la sua mente, verso i recessi più nascosti e intimi, la voleva
conoscere in tutte le sue associazioni di idee per possederla
davvero. Se si fosse applicata abbastanza avrebbe ricevuto un
premio, la posta in palio era il suo nome, la sua identità che
continuava a sfuggirle. Le sarebbe stato facile scoprirlo, una
telefonata ai suoi amici e il mistero si sarebbe risolto, ma
aveva accettato le regole del gioco ed ora si sforzava di
formulare risposte sensate a domande insensate.
" Per me una sfera non può essere che blu. Colore freddo,
primario, perfetto nella sua essenzialità come perfetta è la
sfera. Blu ha un suono rapido e profondo, come il suono che deve
produrre quel solido. E' cupo e discendente. E' come un tonfo
nell'acqua. Una pesante sfera che viene inghiottita nelle
profondità del mare." Aveva imparato a dare risposte articolate,
a lasciarsi andare alle libere associazioni di idee senza
vergognarsi delle apparenti frasi sconnesse che ora pronunciava
con tono fermo a calmo. Chiudeva gli occhi mentre parlava, le
palpebre occultavano le sue ambre per entrare meglio in contatto
con ciò che immaginava. " La sento. E' gommosa e liscia. Se la
mordo è dolce. Ma non come una torta. E' qualcosa di molto più
semplice, come un frutto maturo. Il triangolo è indubbiamente
giallo. Non un giallo caldo, non è un girasole, è un giallo
acido, più come un limone. Così come il suo sapore acidissimo
che mi aumenta la salivazione. Tutto è acuto e acido nel
triangolo, come il suono che produce, metallico e preciso,
ascendente. E al contatto con la mia pelle è freddo."
Lui, compiaciuto, disegnava la fossetta che Lei ormai amava.
La stava trasportando nel mondo onirico delle sinestesie,
pretendeva che si rapportasse alla realtà svincolata dagli
schemi, le stava insegnando a guardare con l'olfatto, ad
ascoltare con le mani, a toccare con il gusto… Voleva che
trovasse il colore dei suoni, la musica dei dipinti. Una
sinfonia poteva essere rosso cremisi, ed una pietanza esprimersi
nella melodia di un violino. Insisteva soprattutto sul senso del
gusto, era convinto che quello potesse trasportarla verso i
ricordi più antichi, attraverso le sue papille avrebbe
conosciuto il suo passato. Banale parlare di Proust e le
madeleines. Lui esigeva qualcosa di più carnale. La catena che
li legava era l'Eros, e se uno dei due l'avesse spezzata forse
non sarebbe rimasto nulla. Di questo erano consapevoli. Non
sarebbero mai diventati due fidanzati, non avrebbero mai
frequentato amici. Lui e Lei. E la tensione erotica che ormai
impregnava quell'appartamento.
Non si chiedevano mai cosa avessero fatto durante la giornata,
ciò che esisteva ed avveniva fuori da quella casa semplicemente
era nulla. Non erano interessati alla reciproca quotidianità.
Lui voleva conoscerla nei suoi istinti più veri, nei ricordi più
remoti. Lei aveva compreso bene le regole, e non progettava
alcun futuro con Lui. Perché non poteva esserci. Esisteva solo
il presente, e quello andava vissuto con la massima intensità.
Il resto non importava.
Lui cercava di isolarle i sensi per sfruttare al massimo le
potenzialità di un solo senso alla volta.
Non appena il corpo di Lei rimaneva orfano dell'insolente vista,
ogni fibra diveniva più ricettiva. Ma a Lui non bastava, voleva
che si concentrasse al meglio sul gusto, e così le legava le
mani e le tappava il naso, lasciando attivo solo l'udito per
poter ascoltare quel suo tono profondo. Così immobilizzata, la
imboccava, ed attendeva che le associazioni di idee fluissero
libere. Era come far saltare gli argini di una diga, le emozioni
venivano gettate di colpo violentemente lontane da Lei, come
volesse liberarsene perché per troppo tempo tenute compresse.
E' strano, ma non era così facile riconoscere immediatamente i
cibi senza l'ausilio degli altri sensi. Il solo gusto faticava a
dare un nome a ciò che Lei mangiava affamata dalle mani di Lui.
Legata alla sedia, sbilanciava il busto in avanti e leccava,
mordeva dalle affusolate mani che Lui le tendeva. Eppure il nome
non andava subito a posarsi sulla polpa che le premeva contro il
palato, sulle mousse che le invadevano la lingua, sulle
consistenze ruvide che le solleticavano le guance, sui filamenti
che le si avvolgevano attorno ai denti candidi. Se non avesse
avuto quella benda di seta nera sugli occhi Lui avrebbe visto
ogni volta la sue espressione interrogativa, ma la leggeva
comunque sul suo capo che si inclinava per un istante su un
lato, dubbioso. Lei rifletteva, ridava l'identità al cibo che le
aveva attraversato la gola, e poi sfogava l'urgenza di associare
miriadi di dettagli e sensazioni a quei gusti che ora le
apparivano più intensi che mai.
Il rituale si ripeteva ormai ogni sera, e Lui era orgoglioso di
come Lei si fosse lasciata plasmare dalla sua fantasia.
C'erano stati cibi che avevano prodotto il rumore delle unghie
che graffiano la lavagna, altri erano risa di bambini, altri
ancora avevano il colore dell'erba bagnata, ancora altri erano
neve che si scioglie al sole.
La prima sera Lui aveva gettato il cappotto cammello sulla
poltrona broccata all'ingresso, ora che era il tempo delle
camicie di lino bianche Lei era in grado di catalogare tutto.
Anche le sfumature nel tono della sua voce. Meritava il premio
per il quale si era così caparbiamente impegnata. Non sarebbero
più stati Lei e Lui, non più due entità astratte e oniriche,
sarebbero di colpo piombati nella realtà.
Ancora bendata, le parlò. I fiammeggianti capelli tiziano che
splendevano nel tramonto, qualche goccia di cocomero che
riluceva sulle labbra carnose, la sensazione di abbandono che le
attraversava le membra. Lui, in piedi davanti a Lei, le gambe
leggermente divaricate nei pantaloni di canapa, la fossetta che
latitava dal volto.
Sapevano cosa stava accadendo.
Parole acquose e lunari le gocciolavano ancora lungo il corpo
flessuoso dopo che Lui se ne era andato. Le aveva parlato con
quel suo tono profondo. Deep. Quel suono catalogava meglio la
sua impressione. Deep. L'eco le si formava già fra i denti. Un
suono rapido e denso. Preciso. Doveva catalogare tutto con
rigore maniacale. Così Lui le aveva insegnato. Così Lei ora
voleva.
L'apostolo sciagurato non c'era più, al suo posto solo un
bigliettino avorio con un nome. Tutto quello che sarebbe rimasto
a testimonianza del suo passaggio.
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