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Narrativa
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi poetici inediti,
in lingua diversa dall'italiano, purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai,
Dario De Lucia,
Amanda Nebiolo
Interviste
Intervista a Dario De
Lucia
a cura di Massimo
Acciai
Il Simposio di Poeti: Intervista a Giovanna
Salerno
a cura di Massimo
Acciai
Recensioni
Saggi
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Un uomo di trentadue anni
procedeva, sorretto dalla moglie, per le scale che
portavano all'entrata del Policlinico
Neuro-osteopatico. Nessuno ci credeva, tantomeno
l'uomo. La "Nerodistrofiamolecolareossea" non faceva
prigionieri. Mesi di pellegrinaggi da un medico
all'altro, professori, primari, ricercatori e
addirittura scienziati, ma l'unico risultato era
stata una decisa e demoralizzante scossa del capo.
Niente da fare. Nessuna cura esistente. Le sue ossa
avrebbero via via perso sempre più consistenza, si
sarebbero indebolite a tal punto, che l'uomo non
sarebbe stato più in grado di muovere un solo arto
del corpo. Di pari passo, anche i muscoli e le fibre
nervose avrebbero iniziato il loro processo
degenerativo, che avrebbe pregiudicato molte delle
funzioni primarie del corpo umano. Infine, le ossa
in particolare, si sarebbero sbriciolate
completamente, facendolo diventare una specie di
fantoccio immobile, che non attendeva nient'altro
che una morte imminente. 'Questo è l'ultimo medico
che vedo', si riprometteva ogni volta l'uomo. Almeno
venti volte se l'era giurato. Poi, un giorno, un
vecchio amico del malato, sparito da diverso tempo a
causa, si mormorava, di una grave forma di mielosi
multipla, raccontò di come, sebbene condannato a
morte sicura da decine di dottori, avesse trovato la
sua straordinaria guarigione all'ospedale
specializzato in malattie ossee. "Io, comunque, non
vi ho detto nulla", s'affrettò a puntualizzare
Enrico, l'amico dell'uomo, "E non accennate
minimamente al fatto che loro possano guarire Marco,
potreste far saltare tutto… Aspettate che siano loro
a tirare fuori l'argomento, è inutile che siate voi
a chiederlo. Se vi domandassero come mai avete
scelto proprio quell'ospedale, girate attorno alla
domanda, inventate qualche frottola, quello che
volete, ma non fate il mio nome, vi prego".
"Per me, è un pazzo", confidò quel giorno Paola al
marito, appena Enrico se ne era andato.
"Tentiamo, potrebbe aver ragione, è sempre un mio
amico", precisò Marco.
"Sì, ma non capisco il motivo di tutti questi
misteri", ribadì Paola.
"Neanche io, ma, onestamente, non me ne importa
proprio nulla".
Non era una costosa ed esclusiva clinica privata, al
contrario. Non un centesimo bisognava sborsare.
Paola aveva chiamato per avere ulteriori
informazioni e, dall'altra parte del telefono, una
volta saputa la malattia del marito, gli avevano
subito fissato un appuntamento, raccomandandosi con
Paola affinché inviasse loro tutta la documentazione
in suo possesso sulla patologia di Marco, allo scopo
di indirizzarlo al medico più competente in materia.
"Ce la fai, amore?" domandò con tono quasi materno
Paola, quando mancavano oramai pochi scalini
all'entrata dell'ospedale, un edificio piccolo,
sguarnito, semi-nascosto da una fitta vegetazione,
situato a pochi chilometri dal Parco Nazionale del
Circeo.
"Sì, non sono ancora morto", fece l'uomo, acido. La
donna lo guardò: due occhi lucidi che promettevano
un'inondazione di lacrime.
"Scusa… Scusa… Io…".
"Lo so, lo so", comunicò la donna, e se lo strinse
forte a sé. "Lo so, lo so", ripeteva la donna,
baciandolo prima sulle guance, poi sulla fronte ed
infine sulla bocca.
"Ti amo… Ti amerò sempre, anche dopo…", biascicò
Marco, anche lui prossimo ad un pianto a lungo
rimandato.
"Andiamo" decretò Paola, sistemandosi i lunghi
capelli castani, quasi usandoli a mo' di fazzoletto,
per asciugare lacrime sfuggite ad ogni guinzaglio
mentale. Vedendo la sua compagna che, anche in un
gesto così semplice, sapeva tirare fuori tutta la
sua sensualità, Marco ribollì di rabbia, di una
rabbia bastarda, verso la sua malattia, che era
riuscita a privarlo persino del corpo stupendo di
sua moglie, a depredarlo dell'energia necessaria a
compiere il gesto più bello del mondo. Questi
pensieri deprimenti, vennero per fortuna interrotti,
poiché, appena furono dentro l'ospedale, venne loro
incontro quello che diceva di essere il dottor
Stefano Eiberness, e che, in effetti, lo era.
"Venite con me, vi stavo aspettando". Il medico, di
chiara origine scandinava, sembrava uscito da
qualche saga nordica: alto, biondo, muscoli che si
mostravano al mondo prepotenti, abbondanti; occhi di
ghiaccio, penetranti, ma capaci anche di mettere a
proprio agio chi li mirava, di scaldare l'animo
umano, come un igloo: freddo fuori, ma caldo al suo
interno.
"Entrate, prego, qui nessuno ci disturberà", l'uomo
volse il palmo della mano destra verso l'interno di
una stanza composta da un tavolo e tre sedie, basta.
Non un lettino. Niente vetrina traboccante di
medicinali omaggio. Niente computer. Niente.
"Non potrei chiamarlo il mio studio, neanche per
scherzo", spiegò sorridendo il medico, avendo notato
lo stupore del malato e di sua moglie.
"Cos'è allora?", chiese Paola.
"La stanza del colloquio", replicò il giovane
medico. Dopo che tutti furono al loro posto, il
Vichingo cominciò: "Signor Bettini, ho già avuto
modo di studiare la sua cartella clinica, da voi
inviatami via e-mail alcuni giorni addietro e,
glielo dico subito, nessun medico al mondo potrà mai
guarirla". Paola strabuzzò gli occhi: lo fece al
posto di Marco, che oramai non aveva più la forza di
fare neanche quello: "Scusi, dottore, con tutto il
rispetto, allora che diamine ci stiamo a fare da
lei? Perché ci ha fissato un appuntamento se già
sapeva che sarebbe stato inutile? Che la malattia di
mio marito è incurabile già lo sapevamo, ma se siamo
venuti sin qui, è perché pensavamo che almeno…", il
medico alzò una mano verso la donna, la quale si
bloccò all'istante, come all'alt di un vigile: "Al
mondo di oggi", affermò flemmatico il medico,
ritirando fuori il suo magico sorriso nordico.
"Eh?" fu tutto quello che proferì Paola.
"Sì, ha capito bene, al mondo di oggi, 6 giugno,
2011, non c'è nessun medico in grado di curare il
suo uomo. Ma al mondo di domani, forse, e ribadisco
energicamente il forse, ci potrebbe essere".
Marco e Paola si fissarono un attimo intensamente.
Non potevano credere a quelle parole. Nessuno ci
avrebbe potuto.
"Vede", riprese il medico, "c'è sempre una speranza,
una via alternativa, sebbene questa strada
inconsueta non sia certo priva di dubbi.
Generalmente, non sono così rapido nel fare questa
proposta ma, nel caso di suo marito, mi rendo conto
che, se non ha diritto lui a questa possibilità,
allora nessun altro ce l'ha".
"Dottore, non ce la faccio più, parli chiaro, la
prego", supplicò Marco con un filo di voce.
"Parlerò chiaro, certo: abbiamo la possibilità, e
sottolineo il fatto che sia, almeno per ora, solo
una possibilità, di mandarla avanti nel tempo,
sperando, che in un futuro non troppo lontano, sia
stata trovata una cura per la sua patologia".
"Non esiste nessuna macchina del tempo", decretò
Paola, quasi con rancore verso il medico.
"E chi lo dice questo?", domandò il dottore.
"Nessuno, appunto: i giornali non ne parlano, la tv,
internet…".
"Ah, e secondo lei, un'invenzione del genere,
sarebbe qualcosa da dare in pasto ai mass media, e a
che pro? Per avvantaggiare ulteriormente una
criminalità già fin troppo prevaricatrice? O per
dare modo a qualche milionario, già abbastanza
carico, di speculare ulteriormente sulle disgrazie
dell'umanità? No, non credo proprio".
"E perciò, a che vi potrebbe servire?"
"Ad aiutare gente come suo marito o, almeno, a
tentarci".
"Non è uno scherzo, vero? Non c'è una telecamera
nascosta da qualche parte, con qualcuno che si sta
sbellicando dalle risate alle nostre spalle? me lo
dica", implorò Paola, il suo cervello combattuto tra
la voglia di credere e la paura di passar per fessi.
"Seguitemi". Il medico si alzò e i due si lasciarono
guidare nei sotterranei dell'ospedale, il quale non
pareva più così piccolo come visto dall'esterno; i
tre avanzarono lentamente, tra corridoi lunghi come
anaconde, con Paola che in pratica trascinava Marco:
un corpicino che oramai aveva raggiunto il
ragguardevole peso di quarantadue chili.
Giunti davanti ad una porta blindata, il medico
accostò l'occhio davanti a quello che pareva uno
spioncino. Pochi secondi, un "beep" e la porta si
aprì.
"Identificazione tramite riconoscimento dell'iride",
spiegò l'uomo. La coppia venne introdotta in una
stanza di almeno trecento metri quadri, al cui
centro si innalzava un oggetto simile ad una campana
di vetro capovolta, della grandezza di un uomo, con
una piccola porta per entrarvi. Intorno ad esso,
diversi fasci di luce saettavano repentini
alternandosi l'uno con l'altro, formando quello che
era una sorta di campo magnetico.
"Generale, buongiorno". Il medico, con questo
appellativo, salutò un uomo anziano, di statura
media, con dei lunghi capelli argentei.
"Chi sono?", interrogò il generale.
"Un malato e sua moglie", replicò il Vichingo.
"E allora?"
"Allora… Ho fatto loro la solita proposta".
"Ancora!" Il generale fu stizzito.
"Sì, ancora generale. Lei sa benissimo che stiamo
parlando di gente che soffre pene atroci, senza
speranza alcuna, eccetto un'eutanasia illegale. È
nostro dovere aiutare queste persone, ed è anche la
politica dell'attuale governo".
"Ahhh… L'attuale governo! Ma l'umanità non è ancora
pronta per la mia invenzione, lo vuole capire,
maledetto!"
"Generale, si dia una bella calmata, lei non ha più
nessun potere, ha perso ogni diritto sulla sua
scoperta, se lo rammenti".
"Perso ogni diritto? Me l'hanno rubato ogni diritto!
Questa nazione di merda, fatta di politicanti
incapaci… Lei… Lei…", il generale si avvicinò al
dottor Eiberness, agitandogli l'indice in faccia,
"Lei, non si rende minimamente conto dei rischi che
comporta usare la mia invenzione. Lei è talmente
pieno di boria, così ricolmo del suo ego di buon
samaritano, che non vuole considerare la semplice
realtà, ossia che è tutto ancora in fase
sperimentale, lo vuole capire o no, dannatissimo
medico del diavolo!", il generale pareva sul punto
di una crisi asmatica, mentre il medico, lo
osservava con uno sguardo di commiserazione benigna.
"Non fate caso al generale: la pazzia, purtroppo, è
prerogativa del vero genio", sussurrò il dottore a
Paola e Marco.
"Generale, le ripeto ciò che le ho detto l'ultima
volta: sia collaborativo, o sarò costretto a
riferire ai servizi segreti…".
"No! I servizi segreti no! Maledetto… Io la… Io…",
il generale si accasciò a terra, piangendo come un
frugoletto.
"Andiamo, lasciamolo solo, gli passerà".
"… Io… Ahhh… Maledetto…!"
"Non fatevi impressionare, si comporta sempre a
questa maniera all'inizio".
"…Maledetto…!"
Appena furono tutti e tre fuori, il medico disse
loro: "Adesso sapete come stanno le cose. Prendetevi
pure tutto il tempo per decidere. Una cosa sola: per
nessuna ragione, dovrete farne parola con anima
viva. Né adesso, né in futuro. Seguite alla lettera
questa mia prescrizione, e non vi accadrà nulla di
male. In caso contrario…".
"In caso contrario, raggiungerò mio marito
nell'altro mondo, giusto?", interloquì Paola.
"Esatto", confermò il medico, che all'improvviso
aveva assunto un'espressione scura e severa.
"Non vi pare di esagerare?" domandò Paola.
"Non dipende da noi e, ad ogni modo, in risposta
alla sua domanda: no".
"Capisco".
"Mi sembra tutto talmente assurdo", mormorò Marco,
"voglio dire, una macchina del tempo, per viaggiare
nel futuro, roba da film di fantascienza, ma com'è
possibile? E da quanto tempo è stata messa a
punto?".
"Non posso dirvi molto, come immaginerete. Tuttavia,
circoscriverò le mie pur esigue divulgazioni
dichiarando che, ancor prima del generale, al quale
tuttavia spetta il merito di aver saputo sviluppare
nella pratica la macchina del tempo, dobbiamo molto
al grande matematico statunitense Kurt Gödel, di
origine Boema e scomparso più di trent'anni fa.
Senza ora entrare in complicati princìpi, senz'altro
di difficile esposizione per chiunque non abbia una
profonda conoscenza della fisica, mi limito a dirvi
che, il grande Kurt, sviluppò la teoria secondo cui,
in un universo chiuso e in perenne rotazione su se
stesso, muovendosi a velocità uguale a quella della
luce, si potrebbe raggiungere ogni istante di tempo
passato e futuro. Amico di Einstein, entrambi
insegnavano all'università di Princeton, Gödel
confidò queste sue teorie all'amico scienziato e
chissà se, in tutto questo, non ci sia stato anche
stavolta lo zampino del geniale Albert. Tuttavia,
questa sorta di struttura dell'universo così come
ipotizzata da Gödel, non è una vera macchina del
tempo come siamo soliti immaginare: non può essere
azionata quando vogliamo, come in un film di
fantascienza di quart'ordine. Una macchina del tempo
vera e propria è quella che ci permette di curvare
la linea temporale a nostro piacimento, manipolando
il tempo laddove reputiamo necessario e
consentendoci, quindi, esplorazioni nel passato e
nel futuro. Sono stati pertanto necessari ulteriori
studi e perfezionamenti prima di raggiungere quello
che abbiamo ottenuto attualmente.
Tutto comincia, a onor del vero, da Euclide, che
riguardo l'equazione dell'universo dice: dal punto
alla linea come serie di punti, alla superficie come
serie di linee, al volume come serie di superfici.
Allora, dato un punto, di quel punto si può trovare
l'equazione del suo sviluppo lineare.
Gödel ha analizzato l'equazione della formula
dell'universo in espansione, impostata, su quella
che viene chiamata "linea temporale", e si è accorto
di un fatto curioso: viaggiando lungo la linea del
tempo nel futuro, ad un certo punto del viaggio, ci
si ritrova nel passato. Non solo, sembra che il
punto di arrivo della linea si doppi nel punto di
partenza, perciò l'equazione della linea temporale
con la quale è fondata la teoria dell'universo, ci
permetterebbe sì di viaggiare nel tempo ma,
tuttavia, a forza di andare avanti ci si
ritroverebbe comunque indietro, poiché la via del
tempo all'infinito è circolare. Anche qui, è stato
necessario un attento studio del problema, affinché
non si venisse scagliati in epoche indesiderate.
Inutile dirvi che le tesi che vi ho appena citato,
seppur alterate in parte del loro significato di
partenza, sono risultate pienamente applicabili. E
qui, entra in gioco il generale, che, sebbene sembri
talvolta un bambino, è una persona con
un'intelligenza fuori dal comune. È stato lui,
infatti, stimolato dalla teoria di Kurt, ad
inventare un apparecchio che riuscisse, seppur per
breve tempo, ossia il tempo necessario al compimento
di una determinata azione, a trasportare un corpo
alla velocità della luce, nonché a manipolare la
sopraccitata linea temporale, potendo liberamente
scegliere l'epoca di destinazione, senza il rischio
di venire, ancora una volta, involontariamente
scaraventati in un periodo non voluto".
"La usate anche per andare nel passato?", inquisì
Paola, a mo' di scolaretta ad una visita al museo,
mentre, con tutte le sue forze, cercava di opporsi
all'effetto sonnifero dell'astrusa trattazione.
Il medico parve infastidito notevolmente
dall'interruzione della donna e, dopo aver tirato un
lungo sospiro, e avendo risposto con un 'No'
asciutto e perentorio, chiuse gli occhi, gli riaprì
dopo un paio di secondi e proseguì l'ostica
dissertazione:
"Dunque, dicevo… Questa macchina ideata dal generale
ha il duplice scopo di consentire la scelta del
periodo verso cui viaggiare, distorcendo a
piacimento la linea temporale sia, caratteristica
non meno importante, di convogliare in essa
un'energia presente nello spazio che costituisce uno
dei fattori di avanzamento naturale del tempo. Senza
quest'ultima possibilità, sarebbe inconcepibile un
qualsiasi viaggio nel tempo, a causa dei costi molto
elevati che richiederebbe in termini di energia. Nei
primi esperimenti con animali, sono sorti
innumerevoli inconvenienti di natura medica, dovuti
al fatto che a spostarsi nel tempo fossero degli
esseri viventi. Ora, questi problemi sono stati
interamente risolti anche, anzi, soprattutto, grazie
al mio intervento", gli occhi del medico brillarono
nel pronunciare l'ultima frase, e il suo volto si
contorse in un sorriso appena discernibile.
"Potrò andare assieme a mio marito?", domandò Paola.
"Assolutamente no. È vietato, per via di… Ehm,
ragioni di sicurezza", il vichingo terminò la frase
con una punta di disagio.
"Ragioni di sicurezza? Dottore, non ci prenda in
giro, ammetta, piuttosto, che magari è accaduto
qualche problema a chi veniva trasportato nel
tempo", asserì Paola, con un tono di accusa.
"Signora, questo non lo accetto. Noi proviamo solo
ad aiutare la gente malata, punto. Suo marito è
senza speranza, morirà presto, quindi…".
"Tanto vale usarlo come cavia, vero? È questo il
significato delle sua parole, giusto, dottore? Voi
non siete mossi dal desiderio di dare aiuto a gente
che soffre, ma dal tornaconto dei vostri
esperimenti…".
"Paola, per favore, non fare così, io aspetto la
morte, ogni giorno che viene, lo sai, quindi…
Dottore, ho già deciso", dichiarò Marco.
"Marco, ma… Sei sicuro?", chiese Paola.
"Che ho da perdere, dimmelo?"
………………………………………….
Un gruppo di persone, per nulla omogeneo, sia
nell'aspetto quanto nella qualifica professionale,
discuteva, piuttosto animatamente e con ampie
gesticolazioni, davanti alla campana di vetro. Alla
fine, quando sembrò raggiunto un accordo, o meglio
sarebbe dire un compromesso, fu il generale, ormai
rinsavitosi, a parlare: "Signor Bettini, si
avvicini, che le spiego alcune cose".
Marco avanzò di alcuni passi, aiutato dalla moglie.
"Ascolti, per il momento, la manderemo avanti di
cento anni precisi. Dovrebbe bastare, visti i rapidi
progressi che la medicina fa oggigiorno. Le verrà
inserito un piccolo microchip nel collo: trascorse
72 ore dall'inizio del suo viaggio, grazie a questo
piccolo impianto, lei verrà automaticamente
reimmesso nel suo flusso temporale, facendo così
ritorno al momento esatto della sua partenza. Non
possiamo concederle più tempo, sarebbe troppo
rischioso, per lei come per noi. C'è un problema:
noi non sappiamo nulla del mondo futuro, poiché solo
alle persone in fin di vita, è concesso viaggiare
nel tempo. Alcuni malati, glielo dico subito, non
sono tornati indietro, e non credo per loro scelta.
Quindi noi, la faremo andare avanti di cento anni e
basta, poi lei dovrà fare tutto da solo. Nessuno può
dirle cosa troverà: ci potrebbe essere una guerra,
un'epidemia, qualsiasi cosa. Anche se, le confesso,
che essendoci state altre persone alcuni secoli
avanti, per certe date future abbiamo sì qualche
certezza. Nel suo caso, ad esempio, sappiamo che fra
cento anni non ci sarà nessuna guerra e, anzi, il
mondo sarà notevolmente migliorato. Inoltre, per i
prossimi duecentocinquantatré anni, esiterà questo
ospedale, quindi lei si ritroverà all'interno del
medesimo. Ma non siamo a conoscenza di altri
dettagli, né possiamo garantirle che la sua malattia
sarà stata debellata; ma ci sono buone possibilità
che lo sia. Qualora fosse necessario un viaggio più
in là nel futuro, la debbo avvertire di prestare la
massima attenzione quando si ritroverà catapultato
nella nuova era: potrebbe riemergere nel bel mezzo
di un'autostrada, per esempio, e venire investito da
qualche sorta di mezzo di trasporto; o addirittura
in una casa privata: verrebbe accusato di essere un
ladro e incarcerato, ma stia tranquillo: finché avrà
il microchip inserito nel collo, passate le 72 ore,
tornerà automaticamente indietro nella sua epoca. Ad
ogni modo, se delle persone la dovessero vedere
comparire dal nulla, e incominciassero a farle delle
domande, lei faccia il vago, e si allontani il prima
possibile dal luogo. Tenga sempre a mente, che lei
sarà una sorta di straniero, senza documenti validi
e senza un posto nella società, quindi cerchi di
dare nell'occhio il meno possibile. Che non le salti
in mente, poi, di tentare simili sciocchezze come
cercare di trovare suoi eventuali figli o nipoti: in
caso riuscisse nell'intento, si avrebbero
conseguenze disastrose per l'intera umanità. Lei
deve pensare a curarsi e basta. Per noi il tempo non
passerà come per lei: viaggiando alla velocità della
luce lei compirà una sorta di "salto" del tempo,
quindi, mentre per lei trascorreranno appena 72 ore,
noi dovremo attendere invece due settimane, affinché
lei appaia nuovamente in questa stanza, e ci dica
l'esito del suo pellegrinaggio. C'è una piccola
grande fortuna: muoversi nel tempo, causa, seppur
momentaneamente, una rigenerazione cellulare del 70%
circa. Grazie a questo, lei potrà essere autonomo e
in grado di provvedere alle sue esigenze. Tuttavia,
non bisogna abusarne, poiché questo, a lungo andare,
causa esattamente l'effetto contrario e, nel suo
caso, non c'è bisogno che le dica le conseguenze che
si potrebbero avere. Le daremo tre piccoli lingotti
d'oro, del peso di cento grammi ciascuno: lei dovrà
venderli, per avere, così, la moneta corrente del
periodo futuro in cui lei sarà trasportato. Ho detto
tutto, dottor Eiberness", il generale fece un cenno
con la mano verso il medico, il quale si avvicinò
all'uomo e gli consegnò un foglio stampato: "Qui,
c'è scritto tutto quello che c'è da sapere sulla sua
malattia: lo dia al medico che la visiterà e, mi
raccomando, non gli dica che viene dal passato, non
lo dica a nessuno e, sebbene io abbia il sospetto
che, com'è ovvio pensare, qualcuno nel futuro sappia
della macchina del tempo, questo non è affar suo:
pensi solo a guarire e basta. Un'ultima cosa:
qualora le prescrivessero delle medicine, cerchi di
portarne il più possibile con sé, perché non avrà
una seconda occasione, va bene?"
"Ho capito", confermò il malato terminale, ora più
nervoso che mai.
"Ah, dimenticavo", riprese il medico, "una firma
qui, grazie". Marco prese tra le sue deboli mani il
consenso informato e, senza nemmeno leggerlo, con un
grande sforzo scarabocchiò quella che era oramai la
sua firma.
"Perfetto", comunicò il dottore.
A Marco fu inserito il microchip, venne nuovamente
istruito su altri piccoli dettagli e, quando tutto
fu al suo posto, venne disattivato il campo
magnetico e l'uomo fu invitato ad entrare nella
campana. "Solo un attimo", gridò Paola. Corse
incontro al marito, gli mise le braccia intorno al
collo, e gli mormorò: "Ce la farai, vedrai. Ti amo
amore, andrà tutto bene". L'uomo sfiorò le labbra
della donna con le sue ed entrò nella campana. Il
campo magnetico fu riattivato, e fu un'orgia di
colori e luci di varia intensità, che di tanto in
tanto sfrigolavano e sibilavano come se stessero
intraprendendo una lotta all'ultimo sangue. Pochi
secondi e l'uomo svaporò nel futuro.
"Andate pure a casa, e ritornate qui fra due
settimane precise", annunciò il generale.
Passati quattordici giorni, Paola, il medico
vichingo e il generale erano nuovamente davanti la
campana.
Puntuale ricomparve l'uomo, sofferente come prima.
"Uhmm… Proviamo duecento anni in avanti", affermò il
generale, "portate i lingotti!", urlò ad alcuni suoi
assistenti. Stessa procedura.
"Ci rivediamo tra due settimane", comunicò
nuovamente il generale.
Lo stesso malato ricomparve esattamente come prima.
"Non hanno fatto un cavolo", riferì Marco.
"Strano, molto strano, il progresso sembra essersi
arrestato. Trecento anni in avanti!", ordinò il
generale.
"Niente", fu tutto quello che disse Marco appena
tornato per la terza volta.
"È una malattia molto grave, che interessa tutte le
fibre nervose e le cellule del corpo, non mi
stupisce più di tanto la difficoltà nel curarla",
informò il dottor Eiberness.
"D'accordo: mille anni in avanti! Ma vi avverto, ora
si cominciano a correre dei seri rischi… I
lingotti!" esclamò il generale.
Al suo ritorno, l'uomo si limitò a scuotere la
testa. "Lo state facendo impazzire!" protestò Paola.
"Si calmi signora, guarirà, mi creda", ribadì il
medico.
"Come volete: duemila anni avanti… Non so che mondo
troverà… E che il Signore lo aiuti!"
Due settimane, per rivedere l'espressione
malinconica e sconvolta del povero malato.
"Tremila anni avanti!" urlò il generale.
Puntuale ricomparve l'uomo e, come un pazzo, inveì
contro il generale: "L'oro non vale più un cazzo! Ho
dovuto chiedere l'elemosina, come un barbone, cioè
quello che ero! Bastaa!"
Il generale ignorò l'invettiva del morente, e
proseguì il suo lavoro:
"Quattromila anni!"
Nulla.
"Cinquemila!"
Niente.
"Seimila!"
"Settemila!"
"Ottomila!"
Dopo le ultime due settimane: "Generale, ho
difficoltà a capire e a farmi comprendere, parlano
una specie di ingletaliano imbastardito… Dottore,
col foglio che mi ha dato mi ci pul…".
"Si calmi!" ringhiò il Generale, troncando di netto
il turpiloquio del povero malato, "diecimila anni e
portate i lingotti!"
"Le ho detto che l'oro non vale più un…".
Il generale e due suoi collaboratori spinsero in un
baleno l'uomo all'interno della campana e, tempo una
manciata di secondi, Marco e la sua ultima parola
mai pronunciata furono proiettati in un futuro
sempre più incerto e maligno, mentre il medico, a
forza tratteneva Paola, la quale era in preda ad un
isteria non più controllabile.
"Basta! Non posso vivere così, meglio morire!",
esclamò il malato, appena tornato dai diecimila anni
futuri, il quale aggiunse "Ho rischiato la pena di
morte solo perché non avevo documenti validi, c'era
una guerra tra uomini e donne… Ci sarà questa
guerra, dovrei dire… Non avevo un maledetto
tesserino magnetico che attestasse la fertilità del
mio sperma, e quindi la mia utilità sociale, in
pratica il mio diritto alla vita… Le donne erano in
vantaggio… Oh che il Signore ci aiuti, basta, bastaa!"
"Marco, ti prego! Per favore!!".
"Generale, spinga quella sua dannatissima macchina
al massimo, quest'uomo a breve non sarà più in grado
di sopportare un solo viaggio!"
"Lo so, lo so! Mi dia il tempo per organizzarmi,
figlio di puttana! Non creda che io mi stia
divertendo! Allora, la manderò nel 199999, questo è
il massimo che possiamo raggiungere, non so che
dirle".
"Ne sono convinto: meglio morire, che sopportare
tutto questo. Paola, spero solo che non ci siano
mezze misure: o torno in salute perfetta, oppure è
meglio che io muoia del tutto!", informò Marco.
"Non parlare così, tesoro…", esortò Paola, sull'orlo
di un esaurimento nervoso.
Marco venne condotto per l'ultima volta in quella
specie di campana. Dopo pochi secondi, era migrato
in un'epoca futura talmente lontana e con un mondo,
che nessuno avrebbe mai potuto immaginare quale
conformazione avesse assunto, ammesso ci fosse
ancora stato.
Paola fece ritorno a casa, combattendo, nelle due
settimane di attesa, tra ansiolitici, antidepressivi
e sonniferi, sotto forma di pasticche, iniezioni e
gocce varie.
Allo scadere del quattordicesimo giorno, tutti si
ritrovarono per l'ultima volta nella "stanza della
campana", iniziando una specie di conto alla
rovescia mentale:
meno 60 min., meno 5 min., meno 50 sec., meno 20,
meno 5, meno 1, meno…
Dall'interno della campana una figura, dapprima
indistinta e quasi intangibile, iniziò a prendere
forma.
Pochi secondi, e Marco apparì per intero.
La porta si aprì, e il malato d'un tempo uscì fuori.
Un urlo raccapricciante venne fuori dalle viscere
della donna: spaccò i vetri, increspò l'acqua di un
vicino lago, frantumò i timpani dei presenti.
Un robot, con un viso freddo e inespressivo, ma
identico a quello di Marco, con la coscienza di sé e
la memoria di Marco nell'hard-disk, avanzò, con
passo pesante ma deciso e, guardando la moglie negli
occhi, esclamò, con le parole che gli uscivano a
scatti e con una voce metallica e sgraziata:
"A-mo-re, guar-da, so-no tor-na-to, so-no
gua-ri-to!"
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