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Narrativa
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, in lingua diversa
dall'italiano, purché rispettino i più
elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai,
Manuela Léa Orita,
Iuri Lombardi,
Tetiana Anatolivna
Vinnik
Recensioni
In questo numero:
- "L'amore ai tempi del Cavaliere" di
Francesco Vico
- "I Figli del serpente" di G.L.Barone
- "Il confessionale e l'apostolato" di Liliana
Ugolini
- "Venite Venite B-52" di Sandro Veronesi,
recensione di Stefano Gecchele
- "L'Oasi e la neve" di Monica Osnato,
recensione di Simonetta De Bartolo
- "L'amore arreso" di Zhang Ailing, recensione
di Rita Barbieri [pdf]
- "Belfine" di Paolo Ragni
- "L'ultima estate a Famagosta" di Paolo
Ragni, nota di Massimo Acciai
- "Adventurae" di Paolo Ragni
- "Racconti persi e dispersi" di Paolo Ragni
Incontri nel giardino
autunnale
Articoli
Letteratura per la Storia
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A miriam per le sue mani che
strizzano panni.
Fu una volta che il potere tentò di sedurre anche
l'uomo di Nazareth, usando la forza di petti salubri
e fortissimi, che si fletterebbero elastici in
battaglia, sbaragliando gli animi esangui di tutti i
nemici, con le mani nude.
Nel pugno teso del seduttore dai lunghi capelli di
seta nera, la tensione si smorzò nelle nocche, che
si distesero in dita molli, disegnando una carezza.
E la furia del potere si addolcì, in docili tocchi
di membra, che scivolarono sul suo petto, fino
all'ombelico tastando l'inguine bagnato.
Poi, si aprirono le mani, entrambe in volo come
farfalle, per mostrare tutto quello che c'era
intorno e negli occhi dell'uomo di Nazareth.
E si richiusero, formando una coppa o un sacco, ma
capiente, da contenerci l'universo intero per quell'uomo
solo.
Infine quelle dita da seduttore svettarono alte
sulle guglie delle chiese, come segnali di comando:
l'ordine dell'unico re al suo gregge, di fermarsi.
Abbassare il capo e piegare il ginocchio.
Allora. L'attimo terribile dell'agonia, prima del
respiro che varca la soglia,
soffiò potente nello stomaco dell'uomo di Nazareth,
e appesantì le sue gambe.
In quel luogo il potere lottava con l'assenza,
davanti a tutti gli uomini, e prendeva a testimone
il re dei cieli, che il seduttore combatteva.
L'uomo di Nazareth fu scosso da brividi disperati,
contando tutte le sue assenze, tutti i buchi sul
tessuto della veste.
Di lì passava una donna, ignara proprio del momento
della lotta, e si recava alla fonte a lavare i
panni.
L'uomo di Nazareth si dondolava nell'incertezza,
desiderando tutto ciò che l'assenza gli sottraeva,
nell'esercizio della lotta.
Entrambi, lui e il seduttore, rivolsero l'attenzione
alle amorevoli cure che la donna prestava alle vesti
di lino.
Le ceste di panni erano numerose, e la donna una
lavandaia.
Il sole tramontò sul lavoro di braccia della donna,
uno sforzo di muscoli e schiena sulla pietra grigia
di acqua gelata.
La lotta sembrava sospesa tra loro, i pensieri
stessi svaniti nel gioco di spruzzi e sapone
schiumante.
Sebbene la donna non si risparmiasse per un istante
nel lavoro di braccia sulle vesti, pure, le sue mani
scheggiate diventavano esili e timorose quando le
dita sfioravano una veste di lino bianchissimo.
A quella sola veste di lino bianco quella donna,
ogni giorno, dedicava una cura amorevole, e lo
avrebbe fatto, fino a imbiancare i capelli, timida e
sfuggente, lavando il tessuto pulito.
Il seduttore lanciò uno sguardo d'intesa all'uomo di
Nazareth, che gli sorrise.
Quelle erano le vesti dell'uomo che da sempre aveva
scavato il suo nome nel cuore della lavandaia, suo
marito.
E le dita della donna sapevano fare l'amore anche
con la presenza di quell'umile veste, che profumava
del suo uomo e del loro amore.
Loro lo capirono. Il seduttore riprese il
combattimento, con le spalle alla donna, che
continuava a sfregare il tessuto.
L'uomo di Nazareth si lasciò crollare nella sabbia,
finalmente estenuato dalla lotta, con un'immagine
sola negli occhi e nella carne.
Un muro giallo, da bambino, nell'ora d'estate quando
si dorme, e un rettangolo di sole disegnato sui
mattoni rossi.
Nella quieta presenza di tutto.
L'assenza allora scivolò in polvere nella sabbia,
strisciando tra i suoi piedi e gli spruzzi d'acqua
dolce della donna, il seduttore si fermò, gettando
uno sguardo assente indietro.
C'era una paura terribile sospesa tra loro, la paura
del potere.
Fu un lampo e il seduttore si insinuò nelle arterie
delle sue paure, veloce come il sangue.
L'uomo di Nazareth sentì la malattia nel suo sangue,
rapida e impalpabile, diffusa ovunque.
L'assenza riemergeva dalla paura del potere. Il
potere era forte, lascivo.
Lui si guardava le mani, bianche, leggerissime,
attraversate da sottili venature di assenze, perché
era sempre stato troppo timido per trattenere
qualcosa.
Sempre, fino a questo giorno di lotta, a quest'ora
che lo vedeva perdere tutto.
Inginocchiato nella polvere, ora, si batteva i pugni
contro le gote, forte, per sanguinare fuori il suo
sangue freddo e appiccicoso.
Quella donna svelava la paura, nei suoi lini.
Lui aveva rinunciato da bambino ad occupare spazio
con la sua ombra, ma ora quella paura gli sembrava
una vigliaccheria.
Anche rinunciare a tutto gli sembrava un inganno. Lo
aveva voluto.
Per paura? Sì! Aveva voluto inesorabilmente
rinunciare alle assenze.
Rideva guardando le facce diverse vestite dal
potere, che combatteva al fianco del seduttore.
Rise così forte anche delle sue paure, giocando con
l'acqua saponata che gli bagnava i piedi.
Rialzando la testa la rivide, era di nuovo giorno, e
il sole cuoceva la pelle della lavandaia, facendola
fumare.
Di nuovo quel suo gesto, totale come un rito, dita
di nebbia che asciugano la veste, portandola al
petto e al seno, e di nuovo la sfiorano.
Sorrise, mentre il tempo si schiantava tra lui e
quella donna.
Si rialzò sulle gambe, e pensò che non si sentiva né
forte, né debole.
Ma le gambe le sentiva e anche l'aria, e il freddo
dell'acqua.
Sorrise di nuovo e fece cenno al seduttore di
avvicinarsi.
Non mi tentare - gli disse delicatamente, mentre
teneva con un gesto nervoso le mani dietro la
schiena.
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